Obbligo di informazione dell’avvocato
Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 10 luglio 2024 n. 18908 – Pres. Manna, Cons. Rel. Pirari
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere – rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. …/2019 R.G. proposto da
A.A. , rappresentato e difeso dall’avv…., con studio in Salerno, via A.M. …e domicilio telematico
presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata.
– ricorrente –
contro
B.B. , rappresentato e difeso dall’avv…., con studio in Verona, via …presso il cui studio è
elettivamente domiciliato.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, n. 488-2019, pubblicata il 5 aprile 2019 e non
notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2024 dalla dott.ssa
Valeria Pirari;
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1986/2013, pubblicata il 25 luglio 2013, il Tribunale di Salerno condannò C.C. ,
B.B. e D.D. al pagamento, in favore dell’attore A.A. , della somma di Euro 20.021,13 a titolo di
corrispettivo dovuto per lo svolgimento di attività defensionale nell’ambito di due giudizi riuniti
celebrati davanti al Tribunale di Verona, riducendo le pretese attoree e dichiarando che quest’ultimo
aveva il diritto di escludere dal vincolo di solidarietà E.E. e F.F. , anche nell’interesse dei quali erano
stati instaurati i giudizi.
Il giudizio d’appello, incardinato su iniziativa di A.A. , si concluse, nella resistenza di C.C. , B.B. e
D.D. , che proposero a loro volta appello incidentale, con la sentenza n. 488/2019, pubblicata il 5
aprile 2019, con la quale la Corte d’Appello di Salerno rigettò tanto l’appello principale quanto quelli
incidentali.
In particolare, premesso che, nel primo giudizio, G.G. (dante causa degli appellati C.C. , B.B. e D.D.),
E.E. , H.H. (deceduto nelle more) e F.F. avevano chiesto, per il tramite del difensore A.A. , che venisse
dichiarata la nullità della rinuncia della madre, I.I. , all’eredità del secondo marito, J.J. , essendo
maturati i presupposti per ritenere tacitamente accettata l’eredità, o, in subordine, che alla rinuncia
venisse attribuita la natura di donazione indiretta nei confronti della figlia nata dal predetto, K.K. ,
soggetta a collazione, e che si procedesse allo scioglimento della comunione, mentre nel secondo
giudizio, incardinato in seguito alle difese della convenuta K.K. nel primo giudizio, allorché aveva
dedotto, tra l’altro, l’esistenza di un testamento olografo del padre che la istituiva erede universale,
dispensandola dalla collazione, chiesero, come risulta dal ricorso (non essendovi specificazione nella
sentenza), che, in subordine, si desse prevalenza alla delazione testamentaria rispetto a quella
legittima e che i due procedimenti venissero riuniti, i giudici d’appello, confermando la sentenza di
primo grado, ritennero che nulla fosse dovuto al difensore per il patrocinio riguardante questa
seconda causa, quantomeno fino alla sua riunione alla prima, sia perché il difensore avrebbe potuto
ritualmente e tempestivamente approntare le medesime difese già nel primo giudizio, sia perché
questi non aveva dimostrato, benché ne fosse onerato, di avere informato i propri clienti della
proposizione del secondo giudizio e della necessità di instaurarlo a causa delle deduzioni della
convenuta K.K. , non rilevando, a dimostrazione del contrario, il fatto che C.C. , B.B. e D.D. avessero
rilasciato le loro procure, risalendo le stesse al 2003, ossia ad epoca di gran lunga antecedente a
quella in cui il secondo giudizio era stato incardinato.
2. Contro la predetta sentenza, A.A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. B.B.
resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184
cod. proc. civ. , nella versione antecedente alle novelle processuali del 2005, e degli artt. 620, 1460 e
2943 cod. civ. e di tutte le norme desumibili dai motivi che seguono, in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ. , per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso del ricorrente per tutte le
attività professionali da lui svolte con riguardo al secondo giudizio, fino al momento della sua
riunione al primo, in quanto le domande in esso spiegate avrebbero potuto ritualmente e
tempestivamente essere proposte nel primo, giacché, a fronte delle difese della controparte K.K. , gli
attori avrebbero potuto, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. , proporre domande ed eccezioni
conseguenti alle avverse argomentazioni e richieste, nonché precisare e modificare domande,
eccezioni e conclusioni già proposte. Il ricorrente ha, in proposito, obiettato che, al momento della
notifica dell’atto di citazione, non risultava pubblicato, né trascritto alcun testamento olografo
riconducibile a J.J. e contenente la nomina di K.K. quale erede universale, che di esso ne aveva fatto
menzione quest’ultima solo nella comparsa di costituzione del 31/10/2002, allorché aveva affermato
che lo stesso, essendo intervenuta la rinuncia all’eredità della madre, I.I. , non era stato pubblicato,
né essa intendeva avvalersene, che detto documento era stato prodotto soltanto con le memorie
istruttorie ex art. 184 cod. proc. civ. , allorché si era saputo della sua pubblicazione avvenuta il
22/10/2002, che, pertanto, aveva chiesto la rimessione in termini per la formulazione delle
conseguenti domande, che il giudice aveva rigettato l’istanza e che, pertanto, aveva notificato l’atto
di citazione del 3/5/2005, in nome e per conto di tutti gli eredi legittimari, introducendo il secondo
giudizio che era stato riunito al primo. Alla stregua di tali precisazioni, il ricorrente ha, quindi,
affermato che, prima del deposito del testamento olografo, non avrebbe potuto proporre alcuna
correlata domanda per la lesione della legittima dei propri assistititi, essendo il relativo diritto
divenuto attuale soltanto con l’accettazione dell’eredità da parte della chiamata, in assenza della
quale sarebbe mancato l’interesse alla domanda.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. , per avere
i giudici di merito affermato che le procure notarili rilasciate da B.B. , C.C. e D.D. risalivano al 2003
e, dunque, ad epoca di gran lunga antecedente all’istaurazione del giudizio e che le stesse,
nonostante gli ampi poteri rilasciati al difensore, non facevano riferimento al secondo giudizio, ma
a quello antecedentemente intrapreso. Peraltro, per non incorrere nell’inammissibilità del motivo
per la c.d. doppia conforme, il ricorrente ha precisato che le pronunce di primo e secondo grado
erano sul punto diverse, posto che il Tribunale non aveva riconosciuto alcun compenso per il
secondo giudizio, in quanto era mancato da parte dell’avvocato l’adempimento dell’obbligo di
informazione nei confronti del cliente, senza citare in alcun modo le procure, mentre la Corte
d’Appello aveva preso posizione sul punto.
3. Con il terzo motivo di ricorso, subordinato al secondo, si lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 82, 83, 84 cod. proc. civ. e 1708 cod. civ. e di tutte le altre norme desumibili dai motivi, in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. , per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso
del difensore, in quanto questi aveva violato l’obbligo di informazione in relazione all’introduzione
del giudizio di secondo grado, senza considerare che la procura alle liti, che costituisce una mera
designazione, derivando l’attribuzione dei poteri del difensore direttamente dalla legge, dava facoltà
a quest’ultimo di impostare la lite, di scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi
del cliente e di modificarla in relazione agli sviluppi della causa, sicché le procure rilasciate al
ricorrente gli conferivano il potere di proporre le domande più opportune, proprio perché non
eccedenti l’ambito della lite originaria.
4. Per motivi di priorità logica, si ritiene di dover analizzare il secondo e il terzo motivo, la cui
inammissibilità, prima ancora che infondatezza, determina a cascata l’inammissibilità del primo.
E invero, come precisato in premessa, i giudici d’appello hanno fondato la decisione su due
autonome rationes decidendi, avendo escluso il diritto al compenso del difensore, sia in quanto il
secondo giudizio avrebbe potuto essere evitato se il legale avesse proposto la medesima domanda
con le memorie ex art. 183 cod. proc. civ. , nella formulazione antecedente alla novella del 2005, sia
in quanto il legale non aveva dimostrato di avere informato i propri assistiti della proposizione del
secondo giudizio, non potendo considerarsi a tal fine dirimente né la procura ad esso rilasciata da
C.C. , B.B. e D.D. , in quanto di gran lunga antecedente alla instaurazione dello stesso e, pur
attribuendo al procuratore ampie facoltà, non riferita al secondo giudizio, ma a quello già intrapreso
dal loro dante causa, né i documenti prodotti e le circostanze in essi attestate. Tale documentazione
è attinente a soggetti diversi dagli appellati e non idonea a dimostrare, in maniera piena e
incontrovertibile, la conoscenza, acquisita grazie all’informazione che il professionista avrebbe
dovuto dare loro, dell’introduzione del secondo giudizio e della sua necessità derivante dalle difese
della controparte K.K. . Ne deriva che il giudicato formatosi sulla prima ratio decidendi non può che
ridondare nell’inammissibilità della seconda, essendo la prima in sé idonea a reggere la decisione.
Con riguardo, in particolare, alla questione afferente all’omessa dimostrazione, da parte del
ricorrente, dell’adempimento dell’obbligo di informazione, occorre, innanzitutto, evidenziare come
le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle dell’avvocato, sono, di
regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si
impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo,
senza che il proprio inadempimento possa essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento
del risultato utile avuto di mira dal cliente, dovendo, invece, essere valutato alla stregua dei doveri
inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il
quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il
parametro della diligenza professionale media fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ. , da
commisurarsi alla natura dell’attività esercitata, sicché la relativa responsabilità può trovare
fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo,
a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi
tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo
l’espresso disposto dell’art. 2236 cod. civ. , solo nel caso di dolo o colpa grave (Cass. , Sez. 2, 14/8/1997,
n. 7618).
In sostanza, la responsabilità del legale, quale prestatore d’opera professionale, è normalmente
regolata dall’art. 1176 cod. civ. , che fa obbligo al professionista di usare, nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, con la
conseguenza che egli risponde anche per colpa lieve, mentre nella sola ipotesi che la prestazione
dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la norma
dell’art. 2236 cod. civ. prevede un’attenuazione della normale responsabilità, nel senso che il
professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave (Cass. , Sez. 2,
11/8/1990, n. 8218); sicché, essendo la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 cod. civ. di integrazione per
complementarietà e non già per specialità, vale come regola generale quella della diligenza del buon
professionista (art. 1176, comma secondo) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre
quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la
successiva norma dell’art. 2236 cod. civ. , che delimita la responsabilità professionale al dolo o alla
colpa grave (Cass. , Sez. 3, 15/1/2001, n. 499).
E allora, analizzando più nel dettaglio la questione oggi controversa, non può che affermarsi come
la condotta ascritta al difensore attenga ad un obbligo, quello di informazione, che l’art. 13, comma
5, della L. n. 247 del 2012 gli impone di adempiere per ogni questione sottoposta alla sua attenzione,
indipendentemente dalla maggiore o minore difficoltà di essa, non solo all’atto del conferimento del
mandato, ma anche nel corso dello svolgimento del rapporto. Obbligo, questo, che deve essere
assolto attraverso la rappresentazione al cliente di tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque
insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti
dannosi, la richiesta di elementi necessari o utili in suo possesso e l’opera di dissuasione
dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole nel corso dello
svolgimento del rapporto (Cass. , Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412; Cass. , Sez. 3, 19/7/2019, n. 19520),
derivando dall’omessa informazione il totale inadempimento della prestazione, che, in quanto
improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, fa venir meno il diritto al compenso (in termini
analoghi, Cass. , Sez. 3, 26/2/2013, n. 4781).
Questi essendo, dunque, i principi da applicare nella specie, appare evidente come, a fronte
dell’accertato inadempimento all’obbligo di informazione da parte del ricorrente, nessun rilievo
possano assumere gli esiti favorevoli del giudizio di merito che sarebbero stati conseguiti in caso di
impugnazione della sentenza di rigetto, né tantomeno i poteri conferiti al difensore attraverso il
rilascio della procura necessaria all’esercizio dello jus postulandi, siccome inidonei a deporre per la
compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del
cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o
intervenire in giudizio (Cass. , Sez. 2, 19/7/2019, n. 19520; Cass. , Sez. 2, 30/7/2004, n. 14597), specie
ove si consideri che non rientra tra i doveri di correttezza dell’avvocato ex art. 1227 cod. civ. , quello
di intraprendere un’azione giudiziaria aggiuntiva con accollo dei costi e dei rischi relativi (Cass. ,
Sez. 2, 14/8/1997, n. 7618), giacché sarebbe stata rilevante la sola prova della condotta mantenuta, il
cui onere, gravante sullo stesso ricorrente (Cass. , Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412), è stato considerato
dalla Corte d’Appello non assolto.
Orbene, le due censure, per come articolate, non colgono la ratio decidendi della sentenza
impugnata, nella quale la questione afferente alla procura è stata esaminata, unitamente, peraltro,
ad altra documentazione fornita e giudicata a sua volta inidonea, solo in quanto prospettata come
dimostrativa dell’assolvimento dell’obbligo di informazione gravante sul legale, non certo per
negare la sussistenza di poteri rappresentativi in capo ad esso nell’instaurazione del secondo
giudizio o per mettere in discussione la strategia difensiva dallo stesso adottata e i poteri difensivi
ad essa connessi, come dedotto con la terza censura, che, peraltro, sono stati stigmatizzati sotto altro
profilo, ossia quello delle facoltà esercitabili nel primo giudizio ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ.
Inoltre, il secondo motivo tende altresì a rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la
valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai
giudici del merito, benché tale possibilità, trattandosi di accertamento di fatto, sia preclusa in sede
di legittimità (ex plurimis Cass. , Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass. , Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass. ,
Sez. 6 – 5, 7/12/2017, n. 29404; Cass. , Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056). La valutazione delle prove raccolte è
attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui
conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono, per l’appunto, sindacabili
con il ricorso per cassazione (Cass. , Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass.
29/10/2018, n. 27415).
Per quanto detto, le due censure sono inammissibili.
5. Dall’inammissibilità del secondo e terzo motivo, deriva l’inammissibilità del primo, atteso che,
qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali
logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso
per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità (o, come nella specie,
la pronunciata inammissibilità della censura riguardante una di esse), per difetto di interesse, anche
del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non
inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata o, pur censurata, inammissibile, con la conseguenza
che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass. , Sez. I, 18 aprile 1998,
n. 3951; Cass. , Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257).
6. In conclusione, stante l’inammissibilità delle censure, deve essere rigettato. Le spese del giudizio,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge
n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 – bis dello stesso art. 13,
se dovuto.