Maltrattamenti. L’infedeltà del coniuge e il riconoscimento dei propri diritti patrimoniali non incidono sul dolo
Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 8 luglio 2024 n. 26934 – Pres. De Amicis, Cons. Rel. Travaglini
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A. nato il (Omissis) a V
avverso la sentenza del 24/04/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonio Balsamo, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato …in sostituzione dell’Avvocato…, nell’interesse della parte civile B.B., che ha
richiesto dichiararsi tardiva la memoria difensiva depositata dall’Avvocato …., allegando
conclusioni scritte e nota spese;
udito l’Avvocato …nell’interesse del ricorrente, che ha richiamato la memoria difensiva depositata
il 5 marzo 2024 e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna del
Tribunale nei confronti di A.A. per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie. B.B., e dei tre
figli, “dal 2008 al 20 giugno 2012” (capo A), e ha dichiarato la prescrizione per tutti gli altri (lesioni
aggravate, violazione di domicilio, violenza privata e minacce).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso A.A., con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando
i motivi di seguito enunciati.
2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 70 cod. proc. pen., in quanto,
nonostante in altro processo, dinnanzi alla Corte di appello di Roma, a carico del ricorrente, per reati
fiscali, fosse stata riconosciuta la sospensione per incapacità processuale, la medesima istanza era
stata respinta nel presente procedimento a fronte di una perizia, disposta dal Collegio, che aveva
riscontrato un deterioramento cognitivo ritenuto erroneamente compatibile con il delitto di
maltrattamenti e con l’elaborazione di una strategia difensiva.
2.2. Con il secondo motivo deduce omessa motivazione circa il rigetto dell’acquisizione della
sentenza del Tribunale civile di Roma in ordine al contenzioso insorto tra il ricorrente e la moglie
relativamente alla titolarità del castello (Omissis), e dell’annessa tenuta, utile a dimostrare la
strumentalizzazione della denuncia da parte di B.B.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla responsabilità del ricorrente per
il delitto di maltrattamenti che per l’epoca successiva al 2012 trovava la propria giustificazione nella
scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dalla B.B. che, con il nuovo compagno, tentava
di spogliare il marito del suo patrimonio, come dimostrato dai documenti prodotti dalla difesa e
dalle dichiarazioni del figlio della coppia (pag. 57 dell’atto d’appello). Si assume, in sostanza, che la
sentenza, considerando erroneamente le sole condotte oggettive, ha ignorato che la natura reattiva
dei comportamenti di A.A., mossi dall’infedeltà della moglie, niente affatto succube del marito, fosse
tale da escludere il dolo.
2.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti
generiche, in quanto fondato soltanto su alcuni precedenti penali dell’imputato, senza tenere conto
che le condotte maltrattanti costituivano soltanto la reazione all’ingiusta minaccia all’unità familiare
e alla condotta della persona offesa, contraria ai principi fondanti il matrimonio e volta ad
appropriarsi del patrimonio del marito tanto da rendere applicabile l’attenuante della provocazione
su cui la Corte di merito non si è pronunciata.
3. In data 5 marzo 2024 è pervenuta memoria difensiva nell’interesse del ricorrente, con allegati, in
cui si rappresenta che in altro procedimento penale per il delitto di atti persecutori il giudice ha
disposto accertamento sulla capacità processuale di A.A.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve preliminarmente accogliersi l’eccezione della difesa di parte civile di tardività della memoria
presentata, nell’interesse del ricorrente, dall’Avvocato …in data 5 marzo 2024.
Il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611 cod. proc.
pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in
udienza pubblica, una volta richiesta la trattazione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137
del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020, ed emesso il provvedimento presidenziale di trattazione in
pubblica udienza, onde la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall’obbligo di prendere in
esame le stesse (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv.281647; Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv.
278719).
3. Il primo motivo, relativo alla sospensione del processo per incapacità dell’imputato, è
manifestamente infondato.
3.1 La Corte di appello di Roma, in adesione ad una perizia correttamente riportata, ha rigettato il
motivo di appello con un percorso argomentativo privo di fratture logiche ed esplicativo della
decisione assunta, fondata sulla documentazione sanitaria e sulla visita a cui è stato sottoposto A.A.,
avente ad oggetto anche le vicende oggetto del procedimento.
In forza di detti elementi di fatto, non contestati dal ricorso, l’imputato è stato ritenuto, innanzitutto,
capace di intendere e di volere al momento dei fatti e, per quello che interessa il motivo in esame,
capace di partecipare coscientemente al processo. A detto ultimo riguardo, la sentenza ha richiamato
come dagli atti fosse risultato che A.A. avesse un moderato deterioramento cognitivo, incidente
sull’attenzione e sulla memoria (pag. 6), ma non sulla comprensione delle accuse a suo carico. Infatti,
aveva descritto le condotte oggetto dell’imputazione fornendo una propria autonoma ricostruzione
nel corso del dibattimento di primo grado, inoltre, aveva predisposto una precisa linea difensiva
volta a contestare le emergenze a suo carico nei termini indicati nei paragrafi che seguono.
La sentenza impugnata, infine, ha dato atto che i rilievi difensivi, intesi ad accreditare l’incapacità di
stare in giudizio dell’imputato, valorizzassero erroneamente le diverse conclusioni dei periti di altro
processo, concernente reati, quali quelli fiscali, la cui tecnicità poteva incidere sulla capacità di stare
in giudizio di A.A. ai fini di comprendere le accuse mosse.
3.2. A ciò si aggiunge che il motivo di ricorso richiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione
in fatto, rispetto a valutazioni che attengono alla capacità di stare in giudizio dell’imputato. Si tratta,
infatti, di un ambito che, fatte salve patologie radicali ed irreversibili, quali non risultano essere
quelle diagnosticate al A.A., impone di delineare in modo puntuale la condizione psichica del
soggetto nel caso concreto, come correttamente rappresentato dal perito e dalla sentenza che ne ha
fatte proprie le conclusioni.
Peraltro, in tema di incapacità processuale, la sussistenza di una patologia psichiatrica non è
sufficiente ad escludere il requisito della cosciente partecipazione, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. pen.,
ma è necessario che sia di gravità tale da non consentirgli la difesa in giudizio, il cui accertamento,
rimesso al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, se motivato nel rispetto della
logica processuale e delle emergenze nosografiche (Sez. 1, n. 10926 dell’11/03/2022, Campisi, Rv.
282963).
3.3. Come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, infine, l’esito di una perizia psichiatrica,
eseguita in altro e diverso procedimento penale, non può avere alcuna influenza in un successivo
giudizio nel quale la valutazione viene compiuta alla stregua di altro accertamento peritale e del
tutto indipendente da quello eseguito in precedenza (Sez. 2, n. 13778 dell’8/03/2019, Mosca, Rv.
276415), tanto da rendere irrilevante la memoria depositata in questa sede con la relativa produzione
documentale.
3.4. Deve ritenersi irrilevante, in questa Sede, il fatto che in altri procedimenti (vedi par. 3) siano stati
disposti accertamenti sulla capacità processuale dell’odierno ricorrente, trattandosi di elementi di
fatto che mirano a sollecitare una diversa valutazione di merito, come tale non consentita nel
giudizio di legittimità.
4. Il secondo e il terzo motivo, entrambi generici, possono essere esaminati contestualmente perché
attengono agli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti.
4.1. Detti motivi di censura non sono tesi a porre in discussione, nei termini previsti dai limiti del
giudizio di cassazione, la motivazione della sentenza, ma tentano di spostare la valutazione su un
piano diverso, implicante apprezzamenti di fatto riguardanti i comportamenti della persona offesa.
Infatti, il ricorso, esclusa espressamente la natura calunniatoria della denuncia, ha ritenuto che le
pronunce di merito avessero omesso di considerare la circostanza che l’aggressività dell’imputato
fosse dovuta alla scoperta di una relazione extra-coniugale della moglie, la quale ne aveva persino
approfittato per ragioni economiche, così da porre in pericolo l’unità familiare.
4.2. Premesso che non sono contestate le gravi e quotidiane violenze, fisiche e psicologiche,
perpetrate da A.A. nei confronti di B.B. e dei tre figli, soprattutto della “figlia C.C., in quanto donna”
(pag. 3 della sentenza di primo grado), appellata, come la madre, con epiteti sessisti, la pronuncia
impugnata, in piena conformità a quella di primo grado, con argomenti completi e logici, basati su
un coerente apparato probatorio, ha escluso che le condotte, consistite in violenze di A.A.
costituissero meri conflitti familiari, accentuatisi a seguito della scoperta della relazione
extraconiugale della consorte.
Infatti, la Corte di appello di Roma, in piena adesione alla consolidata giurisprudenza di questa
Corte, ha correttamente ritenuto che integrassero il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. le quotidiane
condotte maltrattanti di A.A. sulla moglie e sui figli, dal giorno della loro nascita, costretti a vivere
in un clima di terrore, violenze fisiche e psicologiche, umiliazioni che li costringeva a scappare di
casa e rifugiarsi per ore, anche di notte, nel bosco, per sottrarvisi (pagg. 3 e 5 della sentenza del
Tribunale), o le continue ingiurie ed umiliazioni alle donne di famiglia a cui si rivolgeva con
appellativi sessisti.
4.3. Altrettanto generico è il motivo di ricorso nella parte in cui riconduce l’assenza di dolo della
condotta di A.A. alla presunta violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della moglie e al tentativo
di “spoliazione del patrimonio del marito”.
4.3.1. Il dolo, quale coscienza e volontà del fatto tipico, da intendersi, nella specie, come l’idoneità a
ledere beni di rilievo costituzionale quali la dignità, l’autodeterminazione e l’integrità fisica e
psichica (Sez. 6, n. 19847, del 22/04/2022, M., non mass.; Sez. 1, n. 13013 del 28/01/2020, Osintsev, Rv.
279326) non è accertabile sulla base delle condotte tenute dalla persona offesa, perché oltre a
contrastare con la logica, finirebbe per sovvertire l’oggetto della valutazione giudiziaria,
concernente, sul piano soggettivo, l’accertamento della colpevolezza di chi agisce. Infatti, i
comportamenti della persona offesa sono estranei alla struttura oggettiva e soggettiva del reato di
maltrattamenti.
Il dolo, inoltre, si distingue dal movente, che costituisce una finalità ulteriore di per sé ininfluente ai
fini dell’integrazione del reato.
4.3.2. La Corte di appello con puntuali argomenti, in conformità a quelli impiegati dal Tribunale, ha
escluso che avessero inciso sulle violenze praticate dall’imputato sia la presunta relazione affettiva
intrattenuta dalla moglie, sia la volontà di costei di spogliare il marito del suo patrimonio, alla luce
della protrazione dei maltrattamenti di A.A. ai danni della donna e dei figli dalla nascita di costoro,
cioè da decenni.
In ogni caso, ritenere l’infedeltà coniugale della persona offesa come determinatrice delle violenze
dell’autore e tale da escludere il dolo del reato, come prospettato dal ricorso, richiama schemi
interpretativi ampiamente superati dalla coscienza sociale e dall’ordinamento giuridico, perché
riconosce come plausibile la chiave di lettura discriminatoria offerta dall’agente sul presupposto che,
l’onore maschile, leso dal mero dubbio di relazioni extra-coniugali della moglie, imporrebbe di
rimediarvi attraverso forme punitive, mosse da pulsioni incontrollabili, capaci di riaffermare, anche
pubblicamente, la propria supremazia e, dunque, la propria rivendicata identità (Sez. 6, n. 28217 del
20/12/2022, dep. 2023, G., non mass.).
Giustificare la condotta maltrattante, sotto il profilo soggettivo, in questi termini è giuridicamente
errato sotto due profili.
Innanzitutto, contrasta con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.; con il divieto di
utilizzo di pregiudizi di genere enunciato sia dall’art. 12.1 della Convenzione di Istanbul (“Le parti
adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio culturali
delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra
pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o sui modelli stereotipati dei ruoli delle donne e
degli uomini”) che dall’art. 5 della Cedaw (“Gli Stati prendono ogni misura adeguata: a) al fine di
modificare gli schemi ed i modelli di comportamento socioculturale degli uomini e delle donne e di
giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, che
siano basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea
di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne”), e con lo stesso art. 572 cod. pen. che, secondo
l’esegesi costituzionalmente e convenzionalmente orientata adottata da questa Corte (tra le tante, da
ultimo, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273), è una norma posta a tutela di diritti umani
inalienabili e, per questo, rende illecite le pratiche punitive fondate su una pretesa insubordinazione
femminile ad obblighi familiari o coniugali, di qualsiasi natura, ingiunti dall’autore per presunte
lesioni dell’unità familiare.
Inoltre, l’argomento difensivo non tiene conto che l’elemento soggettivo del reato di violenza
domestica ai danni delle donne è costituito dalla coscienza e volontà dell’autore, la cui matrice è
espressa dal Preambolo della Convenzione di Istanbul, allorché ne richiama “la natura strutturale” e
qualifica questa specifica ‘ forma di violenza come espressiva di “una manifestazione dei rapporti di
forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla
discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini ed impedito la loro piena emancipazione”
(Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G., cit., par. 5.2.).
Attraverso la chiave di lettura offerta dalle fonti sovranazionali in materia (Convenzione per
l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne, detta Cedaw, ratificata dall’Italia con
la L. del 14 marzo 1985, n. 132 e Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta
contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul,
ratificata senza riserve con L. 27 giugno 2013, n. 77), per come recepita dall’interpretazione
giurisprudenziale, a partire innanzitutto dalla sentenza delle Sez. U., n. 10959 del 29 gennaio 2016,
P.O. in proc. C., Rv. 265893, viene ormai riconosciuto il disegno discriminatorio che guida gli autori
dei reati di violenza nei confronti delle donne, il cui nucleo è costituito, non da passioni incoercibili
o emozioni incontrollabili, ma da deliberati intenti di possesso, dominazione e controllo della libertà
femminile per impedirla (Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C., non mass.).
4.3.3. Allo stesso modo è incensurabile la motivazione della sentenza impugnata là dove, a fronte di
prove convergenti sulle sistematiche violenze di A.A. su moglie e figli, ha ritenuto irrilevanti la
circostanza della permanenza di B.B. nella residenza familiare e le questioni connesse alla sua attività
imprenditoriale (pag. 10), oltre che priva di supporto probatorio l’asserita spoliazione economica
praticata dalla persona offesa ai danni del marito, utilizzando “strumentalmente” la denuncia per
maltrattamenti.
Non considera il ricorrente che, a fronte di un delitto di mera condotta, come è quello di
maltrattamenti, in cui è solo il comportamento dell’autore ad essere oggetto di accertamento per
valutare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che lo integrano, non incide sul dolo
del reato la circostanza che la persona offesa abbia legittimamente richiesto, al Tribunale civile, il
riconoscimento dei propri diritti patrimoniali nei confronti del marito (Sez. 6, n. 38306 del 14/06/2023,
P., Rv. 285185).
4.4. Sotto ulteriore profilo, infine, il ricorso, paventando una sorta di provocazione, chiede di
escludere l’illiceità del fatto in base alla reazione della persona offesa, peraltro neanche indicata.
Va ribadito che le sentenze di merito fondano, con argomenti logici e coerenti, l’accertamento della
responsabilità sui soli comportamenti dell’imputato e non su un dato estrinseco, rappresentato dalla
reazione di chi subisce i comportamenti illeciti, perché se così fosse si finirebbe per invertire l’oggetto
dell’accertamento giudiziario (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., cit.; Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022,
dep. 2023, P. Rv. 284107; Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022,
M., non mass).
5. Alle medesime conclusioni di inammissibilità, per genericità e aspecificità, si perviene in ordine
al motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale ha spiegato con valutazioni sintetiche, ma esaustive, perché fosse corretta la
decisione assunta in primo grado.
Premesso che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto, ma
richiede l’apprezzamento di elementi concretamente favorevoli in nessun modo prospettati da A.A.
il ricorso reitera, anche sotto il profilo della pena, argomenti volti a giustificare la violenza esercitata
perché la persona offesa aveva tenuto una condotta “sicuramente contraria ai principi fondanti del
matrimonio”.
La Corte di appello, di converso, ha fornito adeguata motivazione sulla dosimetria della pena –
peraltro fissata sui minimi e senza gli aumenti per la continuazione interna derivanti dall’essere più
persone le vittime delle condotte maltrattanti – e sul diniego delle attenuanti, ritenendo infondata la
tesi difensiva, basata su una asserita provocazione (pag. 11 della sentenza di primo grado e pag. 10
della sentenza di secondo grado), e valutando al contrario la gravità delle condotte di A.A. e la loro
protrazione nel tempo.
6. Sulla base degli argomenti che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo
fissare nella misura indicata in dispositivo, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente
grado di giudizio dalla parte civile, B.B., che vanno liquidate in complessivi Euro 3.686,00, oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel
presente giudizio della parte civile, B.B., che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di
legge.