L’assegno di mantenimento in favore del coniuge va parametrato considerando il generale tenore di vita reso possibile in costanza di matrimonio, non la fruizione di singoli beni
Cassazione civile sez. I – 10/04/2024, n. 9708
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21179/2022 R.G.
proposto da:
Ma.Ca., elettivamente domiciliata in ROMA Viale delle Medaglie d’Oro, presso
lo studio dell’avvocato MANCINI LINO (Omissis) che la rappresenta e
difende
-ricorrente-
contro
Mo.En., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato TRIVELLI
Giurisprudenza di legittimità Ondif
SIMONE (Omissis) che lo rappresenta e difende
-contro ricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3673/2022
depositata il 30/05/2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal
Consigliere CLOTILDE PARISE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 16323/2020, emessa in data 11/19 novembre 2020, il
Tribunale di Roma dichiarava la separazione personale dei coniugi Ma.Ca. e
Mo.En., coniugati a R il (Omissis), rigettava le reciproche domande di addebito
e quella diretta a ottenere l’assegno di mantenimento proposta dalla moglie,
compensando le spese di lite per due terzi e condannando la Ma.Ca. al
pagamento del rimanente terzo.
2. Con sentenza n. 3673/2022, pubblicata il 30/05/2022, la Corte di Appello di
Roma rigettava l’appello proposto da Ma.Ca. avverso la citata sentenza, che
confermava, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado. In
particolare, la Corte di Appello riteneva che le condotte dell’ex marito allegate
come causative dell’irreversibile crisi familiari non fossero dimostrate, sia con
riguardo all’infedeltà coniugale, tra l’altro risalente al 2015 ossia a un periodo
in cui il rapporto era già in grave crisi, sia con riguardo alle condotte
denunciate come violente. La Corte di merito affermava che era stata
depositata la sentenza di assoluzione del Mo.En. ex art. 530, II comma, cod.
proc. pen., divenuta definitiva, per i fatti oggetto anche della domanda di
addebito, e non erano stati acquisiti agli atti ulteriori elementi probatori, diversi
da quelli esaminati in sede penale, considerato che le asserite violenze da
parte del marito sarebbero state perpetrate negli anni del matrimonio
(celebrato il (Omissis)), ma denunciate dalla moglie per la prima volta solo nel
novembre 2015 dopo la scoperta, nel luglio precedente, della presunta
relazione extraconiugale del marito; tuttavia mancavano riscontri
relativamente ad asseriti episodi di violenza domestica, in tesi perdurati per un
lungo lasso temporale (circa quattordici anni), senza alcuna reazione da parte
della vittima, che tra l’altro era inserita in un contesto ambientale e lavorativo
che le avrebbe certamente consentito di cercare tutela presso parenti, amici o
strutture specializzate. La Corte territoriale neppure riteneva dimostrato
l’asserito rifiuto affettivo e sessuale del Mo.En. nei confronti della moglie, che
assumeva di essere stata privata della gioia di diventare madre. All’esito della
comparazione delle condizioni economiche dei coniugi, come emergenti dalla
documentazione prodotta, la Corte d’appello riteneva che tra le posizione dei
coniugi sussistesse una sostanziale equiparazione, tale da non giustificare il
riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore della Ma.Ca., anche
tenuto conto della degenerazione della malattia da cui quest’ultima era da
tempo affetta, dato che ella percepiva già una pensione di invalidità e godeva
di tutti i benefici riconosciuti dalla legge agli invalidi per ragioni di salute, non
essendo peraltro dimostrato che l’interessata sostenesse personalmente spese
relative a eventuali necessità di assistenza. La Corte di merito, infine, riteneva
non spettante l’assegnazione della casa familiare all’appellante, non
proprietaria della suddetta abitazione e non affidataria di prole, e infondate le
doglianze circa il mancato accoglimento, da parte del Tribunale, della richiesta
di indagini mediante Guardia di Finanza sulle condizioni patrimoniali dell’ex
marito, il quale nel corso del giudizio aveva reso la dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà e aveva depositato la propria documentazione fiscale, da
lavoratore dipendente, mentre non erano state specificamente indicate
dall’appellante eventuali ulteriori fonti di reddito non dichiarate dall’ex coniuge.
3. Avverso tale sentenza la Ma.Ca. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato
a sette motivi, resistito con controricorso dal Mo.En..
4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli
artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Le parti hanno depositato
memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente denuncia:
i) con il primo motivo la “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360,
comma 1, n. 3 e 5 c.p.c.., in relazione all’art. 151, comma 2, c.c., in ordine
all’art. 143 c.c. e dell’art. 29 della costituzione per omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, per avere
la Corte di Appello erroneamente ritenuto, alla luce delle prove espletate, che
l’addebito della separazione al marito non fosse provata dall’infedeltà, in
particolare rimarcando l’irrilevanza del dato temporale, il tenore dei messaggi e
delle mail intercorsi tra il marito e la collega di lavoro, la dimostrata astinenza
unilaterale reiterata del Mo.En. dai rapporti sessuali con la moglie, il distacco
emotivo affettivo e tutti quei comportamenti contrari ai doveri nascenti dal
matrimonio, che erano stati, ad avviso della ricorrente, causativi
dell’intollerabilità della convivenza;
ii) con il secondo motivo, “ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la
violazione degli artt. 112-115-116 c.p.c.”, per avere la Corte d’Appello basato
la decisione anche sulla sentenza di assoluzione del Mo.En. ai fini dell’addebito
della separazione a quest’ultimo, non essendo condivisibile il ragionamento
della Corte d’Appello che aveva considerato “scarsamente attendibile” la
denunciante attuale ricorrente, in quanto la valutazione del giudice penale non
poteva configurarsi in alcun omnicomprensiva degli aspetti civilistici collegati;
iii) con il terzo motivo la “violazione o falsa applicazione ex art. 360, comma 1,
n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 6, comma 6, legge 898/70 applicabile in sede di
separazione in forza dell’art. 23 legge 74/87 inerente l’assegnazione della casa
coniugale”, per non avere la Corte di Appello adeguatamente valutato
l’invalidità della ricorrente, riconosciuta al 100% e degenerata negli ultimi anni
anche per gravi problemi di deambulazione, come comprovato dai certificati
medici prodotti, tanto che la stessa era costretta ad utilizzare un bastone e a
sostenere ingenti spese mediche, come era dato evincere dalla
documentazione bancaria fino all’ultima annualità disponibile; deduce la
ricorrente che l’assegnazione della casa familiare a favore del coniuge più
debole, anche in assenza della prole, può essere disposta come componente in
natura del mantenimento;
iv) con il quarto motivo la “violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma
1, n. 3 – 5 c.p.c., in relazione all’art. 156 c.c., impugnandosi la parte della
sentenza della Corte d’appello che non considera la sig.ra Ma.Ca. come il
coniuge debole in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento”, per
avere la Corte di merito negato alla ricorrente il riconoscimento di un
contributo al suo mantenimento; la ricorrente rimarca la sperequazione
reddituale tra le parti stante le sempre più aumentate sue esigenze di cura, a
causa delle patologie croniche che l’hanno resa invalida al 100%; rileva di non
avere risorse nemmeno sufficienti a sostenere i costi di un immobile da
prendere in locazione, in quanto le cure mediche/sanitarie (soprattutto private
non coperte dal SSN) di cui ella necessita sono ingenti, così come ingenti sono
i costi per l’aiuto di una badante fissa di cui avrebbe bisogno; afferma la
ricorrente di versare in una posizione economica deteriore, anche perché
assume che sia stata errata la valutazione effettuata dalla Corte di merito sui
suoi redditi, come era dato evincere dalla documentazione bancaria degli ultimi
anni, e sulle sue comproprietà immobiliari, a fronte delle ottime condizioni del
Mo.En., che è persona estremamente benestante e di famiglia “pacificamente
di censo elevato” (vedasi All.to n. 3 fascicolo di parte di Appello della Ma.Ca. –
Provvedimenti provvisori del giudizio di primo grado);
v) con il quinto motivo la “violazione o falsa applicazione di legge (art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c.) in relazione agli artt. 91 e 96 c.p.c.”, per avere la Corte
territoriale erroneamente rigettato la domanda di condanna del Mo.En. al
risarcimento del danno per l’instaurazione temeraria del sub procedimento del
giudizio di separazione, con il quale il marito aveva chiesto revocarsi l’assegno
di mantenimento di Euro 600,00 in favore dell’ex moglie, disposto in sede di
provvedimenti provvisori, sull’erroneo rilievo, da parte del Tribunale, che non
ve ne fossero i presupposti, benché l’istanza fosse stata dichiarata
inammissibile e fosse stata presentata con mala fede o colpa grave;
vi) con il sesto motivo la “violazione e/o falsa applicazione, a norma dell’art.
360 n. 3 – 4 c.p.c., degli artt. 132 n. 4 e 91c.p.c., dell’art. 75disp. att. c.p.c.,
dell’art. 36 cost. e 2233 c.c, anche in relazione alla i. n. 1051 del 1957, agli
artt. 57-64 del r.d.l. n. 1578 del 1933 e all’art. 24 della i. n. 794 del 1942, al
D.M. n. 55 del 2014 (art. 2 – 4 – e tabb. 3 e/o 12)”, per avere la sentenza
impugnata, senza motivazione o con motivazione apparente, provveduto a
determinare le spese di lite per il giudizio di secondo grado in un importo
globale, senza dar conto in motivazione delle prestazioni rese nelle diverse fasi
del relativo processo;
vii) con il settimo motivo la “violazione o falsa applicazione di legge (art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c.., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., all’art. 2729 c.c.
e all’art. 5, comma 9, l. n. 898 del 1970, esteso in via analogica al giudizio di
separazione, all’art. 36 d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 19,
comma 1, lett. d), i. n. 413 del 1991”, per avere la Corte d’appello negato
indagini di polizia tributaria e ulteriori approfondimenti, escludendo anche il
ricorso alle presunzioni gravi, precise e concordanti, sull’erroneo presupposto
che il Mo.En. avesse altre entrate derivanti dalle elargizioni paterne e dalle
eventuali entrate dai canoni di locazione di immobili, sempre gestite dal padre
dell’ex marito; ai fini della ricostruzione dell’effettivo tenore di vita familiare,
ad avviso della ricorrente erroneamente la Corte d’appello non aveva preso in
considerazione il fatto che il padre del Mo.En. aveva elargito ingenti somme di
denaro al figlio e che la coppia durante il matrimonio aveva avuto la
disponibilità delle proprietà immobiliari in posti esclusivi, come vacanze in
barca o negli immobili di famiglia, tra cui Cap d’Ail (Montecarlo).
2. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambi
concernenti la questione dell’addebito della separazione, sono inammissibili.
Occorre ribadire che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.
proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici
dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione
in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. 8053/2014 e successive conformi).
Va aggiunto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di
violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da
parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una
norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione
della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la
cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso
proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che
solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (Cass. n.24054/2017).
Nella specie, la Corte d’appello ha scrutinato in dettaglio ogni profilo di
condotta del marito (infedeltà, violenza – non solo con riguardo alla sentenza di
assoluzione -, rifiuto di rapporti sessuali) e con motivazione congrua ne ha
escluso la rilevanza ai fini invocati. Per contro, le doglianze prospettano una
diversa ricostruzione fattuale in base ad una rivalutazione delle risultanze
istruttorie e pertanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa
applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio, le censure mirano, in realtà, ad una
rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U.
34476/2019).
3. I motivi terzo, quarto e settimo, concernenti, rispettivamente, le questioni
dell’assegnazione della casa familiare, del mantenimento e delle indagini della
Guardia di Finanza circa la situazione economica del contro ricorrente, sono
inammissibili per le stesse ragioni suesposte, poiché le deduzioni difensive si
risolvono in una diffusa enunciazione di fatti che sono stati scrutinati dalla
Corte territoriale e di cui si ripropone una diversa valutazione, nonché si
sostanziano nella denuncia di vizi di violazione di legge sempre mediati dalla
contestata valutazione delle risultanze di causa. Il settimo motivo è altresì
infondato nella parte in cui si sostiene, in buona sostanza, che il tenore di vita
matrimoniale debba determinarsi anche in base a benefici o danaro elargiti dal
padre del marito. Al riguardo questa Corte ha chiarito, esprimendo un
orientamento condiviso dal Collegio (Cass. 952/2023, citata anche nella
memoria di Mo.En.) che “Poiché la separazione personale presuppone la
permanenza del vincolo coniugale, i “redditi adeguati” a cui va rapportato, ai
sensi dell’art. 156, comma 1, cod. civ., l’assegno di mantenimento a favore del
coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza
di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che
non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea (Cass.
12196/2017). Pertanto, condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in
favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità
di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un
tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la
sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo,
al fine della valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede
l’assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche
complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la
qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del medesimo richiedente.
Nell’ambito dello svolgimento di un simile accertamento è necessario, tuttavia,
non confondere il tenore di vita con la fruizione diretta di particolari beni. E’
indubbiamente vero che la separazione può determinare (e normalmente
determina) la cessazione di una serie di benefici e di consuetudini di vita,
strettamente collegati alla posizione patrimoniale, reddituale, professionale e
sociale dell’uno o dell’altro coniuge, che non sono riproducibili durante la
separazione, cosicché il venir meno della possibilità di godere di singoli beni
appartenenti a uno dei coniugi costituisce la fisiologica conseguenza della
scelta di questi ultimi di dividere le loro sorti. Ciò nonostante, il riconoscimento
di un assegno di mantenimento deve avvenire considerando, piuttosto che la
cessazione del godimento diretto di particolari beni, il generale tenore di vita
goduto in costanza della convivenza, da identificarsi avendo riguardo allo
standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse
economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità
derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di
spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro
(cfr. Cass. 20638/2004, Cass. 5061/2006)”.
La Corte territoriale si è attenuta ai suesposti principi, poiché correttamente
non ha fatto riferimento, ai fini della spettanza e della quantificazione
dell’assegno, a un concetto di stile di vita ancorato alla cessazione della
concreta fruizione di specifiche utilità (vacanze in barca o soggiorni negli
immobili di proprietà della più che benestante famiglia dell’ex marito), mentre
la ricorrente pare sostenere che l’assegno di mantenimento debba indennizzare
il venir meno di una simile disponibilità, ascrivibile ad una rilevante posizione
patrimoniale non del coniuge, ma della sua famiglia. In altre parole, la Corte di
merito ha considerato, come una corretta lettura dell’art. 156 cod. civ. impone,
tutte le potenzialità derivanti dalla complessiva situazione patrimoniale dei
coniugi, al fine di verificare poi la necessità di garantire alla richiedente, ove
consentito dalle capacità economiche dell’altro coniuge, la continuazione del
complessivo standard di vita mantenuto in precedenza. In quest’ottica, la
situazione patrimoniale dei coniugi è stata valutata, e così anche la situazione
di invalidità della ricorrente, la quale, a fronte dell’affermazione della Corte
d’appello secondo cui ella non aveva documentato spese mediche e di cura, si
limita genericamente a richiamare solo i suoi estratti conto bancari più recenti,
ad affermare che avrà bisogno di una badante (pag.17 e 18 del ricorso) e a
chiedere l’assegnazione della casa familiare, di proprietà esclusiva del marito,
in base a quanto accertato dalla Corte di merito, come componente “in natura”
del mantenimento. I medesimi profili di genericità presenta la doglianza circa
l’omesso accertamento delle condizioni economiche del marito tramite indagini
della Guardia di Finanza, in assenza di compiuta e specifica precisazione
dell’ambito entro cui dette indagini avrebbero, in tesi, dovuto essere disposte,
posto che il marito è lavoratore dipendente ed è irrilevante ai fini che qui
interessano, per quanto già si è detto, il riferimento alle elargizioni ricevute dal
padre.
4. Il quinto motivo è infondato.
Come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, il Tribunale aveva
valutato l’esito complessivo del giudizio ed aveva compensato in parte le spese
di primo grado anche perché l’istanza del subprocedimento proposta dal marito
era stata dichiarata inammissibile, sicché l’odierna ricorrente era risultata in
parte (preponderante) soccombente, e non totalmente vittoriosa, e ciò esclude
in radice l’applicabilità della condanna dell’altro coniuge ai sensi dell’art. 96
cod. proc. civ.. La responsabilità aggravata prevista dalla norma citata integra
una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte
soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa
grave, sicché non può farsi luogo all’applicazione della norma nel caso di
soccombenza reciproca (Cass. 24158/2017).
5. Il sesto motivo è inammissibile.
La ricorrente non svolge alcuna critica sul quantum delle spese di lite che ella è
stata condannata a pagare con la sentenza impugnata, vale a dire non
contesta l’importo globale liquidato dalla Corte territoriale a tale titolo, ma
deduce solo che difetta l’indicazione delle singole voci. La doglianza così
espressa difetta di specificità poiché non consente di comprendere se vi sia e
quale sia l’interesse all’impugnazione sul punto, in assenza di compiuta e
pertinente allegazione di erroneità della complessiva liquidazione rispetto a
Giurisprudenza di legittimità Ondif
quanto previsto dal D.M. n.55/2024 per lo scaglione di valore della
controversia.
6. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese del
presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso
art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30
giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di
lite del presente giudizio, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per
esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso
art.13, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma delD.Lgs. 30
giugno 2003 n. 196, art. 52.