La risarcibilità del danno da perdita anticipata della vita

Cass. Civ., Sez. III, Sent., 27 dicembre 2023, n. 35998; Pres. Travaglino, Rel. Cons. Porreca
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
che:
l’Azienda USL Toscana Sud Est ricorre, sulla base di cinque motivi, corredati da memoria, per la
cassazione della sentenza n. 326 del 2020 della Corte di appello di Firenze esponendo che:
– D.D., A.A., e B.B. in proprio e per la figlia minore C.C., avevano convenuto la deducente per
ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla morte, per insufficienza cardiaca, del congiunto
F.F., indicata come causata dalla colposa condotta di E.E., medico di turno della Guardia medica cui
la vittima si era rivolta, appena due giorni prima, accusando forti dolori allo stomaco, ricevendone
solo indicazioni diagnostiche di cattiva digestione, con prescrizione di fermenti lattici e due fiale del
farmaco “Plasil” da utilizzare al bisogno;
– il Tribunale aveva accolto la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui,
in particolare:
– dalla consulenza tecnica giudiziale espletata in prime cure emergeva che il dolore toracico
epigastrico era riconducibile a sindrome coronarica acuta di natura cardiaca;
– il medico coinvolto si era genericamente concentrato sulla patologia digestiva senza esami mirati e
senza neppure invio al Pronto Soccorso;
– la vittima, senza le colpose omissioni del sanitario, avrebbe avuto una elevata possibilità di
sopravvivenza, quantificabile nell’80%;
– la sopravvivenza in parola era quantificabile in sette anni, tenuto conto delle pregresse condizioni
patologiche della vittima, che sei mesi prima dell’evento aveva effettuato una visita cardiologica con
cui si erano evidenziate tracce di infarto miocardico e cardiopatia ischemica;
– ne era derivata una perdita anticipata della vita causalmente oltre che colposamente imputabile,
fonte di danno reclamabile “iure successionis”;
– spettava ed era stato richiesto dai congiunti, sin dalla citazione, anche il danno non patrimoniale
“iure proprio”;
– non era scorretto il criterio di liquidazione del danno seguito dal Tribunale, che aveva quantificato
il valore di un’invalidità permanente al 100% di un soggetto di 63 anni, età della vittima, secondo il
punto tabellare c.d. milanese, e aveva poi effettuato due abbattimenti, del 30% per le pregresse
condizioni della vittima, e di due terzi in relazione al fatto che la vittima avrebbe avuto l’80% di
possibilità di vivere limitatamente ad altri 7 anni: infatti, una volta accordato, il danno da perdita di
“chance” quale sopra inteso, il risarcimento di quello avrebbe dovuto essere integrale, sicchè non
avrebbero dovuto operarsi nemmeno le suddette riduzioni, con conseguente carenza d’interesse alla
doglianza di eccesso nella liquidazione formulata sul punto in appello sia per ciò che concerneva il
danno a titolo ereditario che quello a titolo proprio; infine, non poteva dirsi sussistente alcun concorso
colposo della vittima ai sensi dell’art. 1227 c.c., in relazione alle dedotte raccomandazioni di
richiamare telefonicamente ovvero chiamare il numero di emergenza 118, formulate dal dottor E.E.
e inevase dai congiunti conviventi, poichè ai familiari era stata comunicata una diagnosi
tranquillizzante e non avrebbero potuto richiedersi a quelli valutazioni mediche sui sintomi, tenuto
conto che le condizioni per il ricovero erano esistenti già al momento della visita presso a Guarda
medica;
nessuno ha svolto difese per gli intimati;
in pubblica udienza ha partecipato alla discussione il difensore degli intimati;
il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte, ribadite in udienza;
Rilevato che:
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost., art. 2043, c.c.,
art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, poichè la Corte di appello avrebbe travisato il motivo di
appello inerente all’impossibilità di accordare il danno da perdita anticipata della vita “iure
successionis”, stante l’impossibilità di liquidare quello tanatologico, con conseguente spettanza del
solo e diverso danno “iure proprio” da lesione del rapporto parentale;
con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 1123, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., art.
116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 5, poichè la Corte di appello avrebbe errato, in logica subordinazione a
quanto dedotto con la prima censura, operando, per il danno a titolo successorio, un abbattimento del
30% determinato in modo arbitrariamente immotivato, senza consulenza tecnica sul punto, e non
tenendo neppure conto del fatto che la durata della vita cui avrebbe dovuto rapportarsi la liquidazione
non era quella media ma quella determinata dalle sue pregresse condizioni patologiche;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101 e 112 c.p.c., art.
132 c.p.c., n. 4, artt. 1218, 1223 e 2907 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere
domandato il danno “iure proprio” non patrimoniale da perdita di “chance”, mentre era stato richiesto,
a tale titolo, solo quello non patrimoniale per la perdita del familiare e quello patrimoniale per la
perdita del relativo apporto economico;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, art. 116
c.p.c., artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato nel
quantificare il danno da perdita di “chance” “iure proprio”, in termini analoghi a quanto dedotto con
il secondo motivo;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., poichè la Corte
di appello avrebbe errato mancando di considerare che non era stata contestata la circostanza della
raccomandazione data dal deducente ai familiari, di cui era stata esclusa invece la rilevanza, e che, di
contro, questa non poteva che aver inciso sulla sequenza che aveva portato al decesso, posto che i
familiari colposamente ebbero a chiamare tardivamente il numero di emergenza dopo due giorni, solo
quando il congiunto aveva perso conoscenza;
Motivi della decisione
che:
deve preliminarmente evidenziarsi che il ricorso è tempestivo, posta la sospensione dei termini
stabilita, in ragione dell’occorsa pandemia internazionale, dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83 e D.L. n. 23
del 2020, art. 36, quali convertiti (dal 9 marzo all’11 maggio 2020);
nel merito cassatorio vale ciò che segue;
il primo, motivo è fondato, con logico assorbimento del secondo e del terzo;
questa Corte, in tema di responsabilità sanitaria, ha di recente chiarito “funditus” e ribadito che:
– in ipotesi di condotta colpevole del sanitario cui sia conseguita la perdita anticipata della vita, perdita
che si sarebbe comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia del
paziente, non è concepibile, nè logicamente nè giuridicamente, un danno da “perdita anticipata della
vita” trasmissibile “iure successionis”, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della
responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico (Cass., 19/09/2023, n. 26851);
– è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con
riferimento al diritto “iure proprio” degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto
dal congiunto (Cass., n. 26851 del 2023, cit.);
– in ipotesi di morte del paziente dipendente (anche) dall’errore medico, qualora l’evento risulti
riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi
ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde “in toto”
dell’evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della
causalità materiale, potendo l’eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rilevare
esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave
complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un
obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece,
all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato (Cass., n. 26851 del 2023, cit., in cui
si richiama l’ormai costante giurisprudenza sul punto);
è stato sottolineato (Cass., n. 26851 del 2023, pag. 17) che, quando la vittima è già deceduta al
momento dell’introduzione del giudizio da parte degli eredi “non è concepibile, nè logicamente nè
giuridicamente, un “danno da perdita anticipata della vita” trasmissibile iure successionis (Cass.,
04/03/2004, n. 4400, Cass. n. 5641 del 2018, … e Cass., Sez. U., n. 15350 del 2015), non essendo
predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico.
Esemplificando, causare la morte d’un ottantenne sano, che ha dinanzi a sè cinque anni di vita sperata,
non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d’un ventenne malato che, se correttamente curato,
avrebbe avuto dinanzi a sè ancora cinque anni di vita.
L’unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo
che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli
assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una
distinzione “morfologica” tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda
ipotesi di danno.
E’ possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con
riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto
ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo
effettivamente vissuto….
In conclusione, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già
deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili iure hereditario, se allegati e
provati, i danni conseguenti:
a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata
nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente
vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della
anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto
eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;
b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non
determinata nè nell’an nè nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza.
In nessun caso sarà risarcibile iure hereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra,
un danno da “perdita anticipata della vita” con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente”;
pertanto, “quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato (o provocherà) la morte
anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi
considerazione sulla risarcibilità di chance future, salvo quanto si dirà.
Nell’esigenza di pervenire ad una terminologia chiara e condivisa, va pertanto chiarito che:
a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi
della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno
biologico (differenziale);
b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza
delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore
medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della
capacità di battersi ancora contro il male;
c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più
a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;
d) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione
al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei
termini prima chiariti, quale che sia la durata del “segmento” di esistenza cui la vittima ha dovuto
rinunciare.
Deve concludersi che non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti
speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando
rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite. Ne consegue, pertanto, che:
a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto
della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e
relazionale: art. 138 nuovo testo c.a.p.), sulla base del criterio causale del “più probabile che non”:
l’evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell’errore
medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il
risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto – e non a quello
non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure
proprio, ai congiunti) stante l’irrisarcibilità del danno tanatologico – in tutti i suoi aspetti, morali e
dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva
diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente
determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente
“differenziale” (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle,
migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia);
b) il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, volta che, da
un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo,
vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della (come detto
apprezzabile) possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum
nè predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell’ipotesi sub a). La valutazione equitativa di
tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, nè ai valori
tabellari previsti per la perdita della vita, nè a quelli del danno biologico temporaneo;
c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola,
non saranno nè sovrapponibili nè congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire
oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso
dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere
ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria,
concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo
i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.
Fermo il generale principio, come sopra espresso, della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da
perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, in via eccezionale possono
darsi ipotesi in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che,
oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche
circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica
certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto
sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in
una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non
attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via
di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benchè anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa
voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a
prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello
da premorienza”;
nel caso di specie, è stato accertato in fatto che, senza l’omissione del sanitario, colposamente causale,
la vittima, deceduta per infarto due giorni dopo, avrebbe “più probabilmente che non” vissuto un
periodo di vita determinato, di sette anni, come tale risarcibile “iure proprio” non “iure successionis”,
in linea con quanto osservato anche dal Pubblico Ministero;
si osserva che quanto alla sussistenza della domanda di risarcimento del danno “non patrimoniale,
“iure proprio”, in conseguenza della perdita di una persona cara”, essa, da correlare ai principî appena
riaffermati, risulta da ciò che lo stesso ricorso, nella corretta cornice di specificità regolata dall’art.
366 c.p.c., n. 6, riporta alle pagine 15 e 16;
per quanto appena detto, non viene invece in discussione la domanda di danno “iure proprio” da
perdita di “chance”;
il quarto motivo è inammissibile;
va premesso che la censura fa nominativamente riferimento al danno da perdita di “chance”, ma esso
va riqualificato, fermi i fatti accertati, quale danno da perdita del rapporto parentale, nei termini
ricostruiti, ovvero danno relazionale per l’individuato tempo non vissuto dai congiunti; e, infatti, i
giudici di merito hanno preso le mosse (analogamente a quanto fatto per il danno riconosciuto a titolo
ereditario, di cui qui si è esclusa la spettanza), dalla relativa quantificazione in base alla c.d. tabelle
milanesi, che si riferiscono “fisiologicamente” alla perdita parentale relazionata a un soggetto che
sarebbe vissuto secondo l’età media della statistica demografica, e non al tempo residuo in base alla
statistica clinica rapportata a un soggetto affetto da una specifica pregressa patologia;
sul punto, il giudice di prime ha per un verso, dunque, operato equitativamente una riduzione in
relazione a tale ultimo aspetto, e ha, per altro verso, illegittimamente operato una decurtazione
confondendo la percentuale afferente alla ricostruzione del nesso eziologico con una percentuale di
conseguente pregiudizio risarcibile, con carenza d’interesse alla censura sul punto, come
condivisibilmente osservato dal Collegio di merito;
la parte in questa sede ricorrente avrebbe allora dovuto specificatamente argomentare e dimostrare
che, proporzionando ai 7 anni di vita attesa in concreto la misura del danno da perdita del “fisiologico”
rapporto parentale, non decurtato, la somma da accordare, senza l’ulteriore decurtazione di due terzi
illegittimamente computata, sarebbe stata minore;
anzi, posto che non si censura l’unità di misura presa a riferimento (ma solo la prima decurtazione
indicata come arbitraria e la mancanza di una terza decurtazione in relazione al tempo di vita clinico
e non demografico residuo della vittima: pag. 13 del ricorso), suddividendo correttamente il valore
non decurtato (200 mila Euro per moglie e figli conviventi, 100 mila Euro per la nipote pure
convivente: pag. 4 della sentenza gravata), per il tempo di vita indicato nella stessa censura come
proprio della statistica demografica (80,8 anni in quel momento: stessa pagina del ricorso), e
moltiplicando il valore unitario ottenuto per il numero degli anni residui (7 anni) secondo gli
indiscussi accertamenti medico legali officiosi, senza altre decurtazioni, il risultato è di somme
maggiori rispetto a quelle liquidate;
il quinto motivo è inammissibile;
la Corte territoriale ha accertato in fatto che le condizioni per il ricovero esistevano al momento della
visita della Guardia medica, e la diagnosi e le prescrizioni furono “tranquillizzanti”, sicchè non era
esigibile dai familiari una diversa e più reattiva lettura dei sintomi, al fine di una chiamata al numero
di emergenza più immediata di quella che pure fu effettuata;
come pure argomentato dal Pubblico Ministero, a fronte di ciò, censura mira, prima che a dedurre un
errore di sussunzione della fattispecie concreta in quella legale, a una rilettura delle risultanze
istruttorie come tale estranea alla presente sede di legittimità;
il giudizio può essere deciso nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti, con
compensazione delle spese dell’intero giudizio in relazione alla reciproca soccombenza e alle
progressive precisazioni giurisprudenziali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e terzo, dichiara inammissibile il quarto e il
quinto, cassa in relazione la decisione impugnata e, decidendo nel merito, esclude la condanna
risarcitoria statuita per il danno a titolo ereditario. Spese compensate.