Chi rinuncia all’eredità non perde l’assegno divorzile

Cass. Civ., Sez. I, ord. 16 maggio 2023, n. 13351 – Pres. Acierno, Cons. Rel. Russo
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. …-2021 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avv. …indirizzo PEC:
– ricorrente –
CONTRO
B.B., elettivamente domiciliata in Roma Via …presso lo studio dell’avvocato ….rappresentata e
difesa dagli avvocati…;
-controricorrente-
avverso il DECRETO di CORTE D’APPELLO di MILANO n. 650 DEL 2020 depositata il 16/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/03/2023 dal Consigliere RITA E. A.RUSSO.
Svolgimento del processo
Il ricorrente ha chiesto la modifica delle condizioni di divorzio, deducendo un decremento delle
proprie condizioni patrimoniali ed un incremento delle condizioni patrimoniali della ex moglie. Il
Tribunale di Busto Arsizio ha respinto la domanda. Il A.A. ha proposto appello che la Corte milanese
ha respinto osservando: a) non è dimostrato che il A.A. abbia subito un decremento della propria
condizione reddituale risultando agli atti che il reclamante abbia venduto un immobile per la somma
di Euro 350.000,00 acquistandone altro per il minore importo di Euro 220.000,00 e non risultando
provata l’effettiva stipula del contratto di mutuo asseritamente da lui contratto al fine di pagarne il
prezzo di acquisto; b) non risulta dimostrato che la B.B. abbia migliorato la propria situazione
reddituale avendo percepito nel 2019 un reddito complessivo in linea con le dichiarazioni dei redditi
riferite agli anni precedenti; nessun rilievo può essere riconosciuto all’apertura della successione
ereditaria della madre della B.B. stante la documentata rinuncia all’eredità.
Il A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Si è costituita con controricorso
la B.B.. Entrambe le parti hanno depositato memoria. La causa è stata tratta alla udienza camerale
non partecipata del 2 marzo 2023.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5 la violazione
dell’art. 116 c.p.c. con conseguente falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970 n. 898, artt. 9 e 12 bis.
La parte denuncia l’errore in cui è incorsa la Corte di Appello nell’omettere indagini istruttorie atte
sia a quantificare la massa ereditaria sia a comprendere le motivazioni sottese alla manifestata
rinuncia all’eredità della B.B.. Deduce che ha errato la Corte a non valutare il non volere migliorare
la propria condizione economica e patrimoniale, e che la signora B.B. ha “simulato” la rinuncia
all’eredità (poichè è evidente che l’accettazione avverrà a nome dei figli, consentendole di godere
appieno dei beni patrimoniali della defunta madre) al solo scopo di non perdere i diritti correlati
alla titolarità dell’assegno divorzile. Chiede l’applicazione del seguente principio di diritto “l’assegno
divorzile continua ad essere dovuto ovvero vengono a cessare i presupposti e viene a mancare il
diritto a percepirlo se l’ex coniuge rinuncia intenzionalmente ai propri diritti ereditari con
conseguente rinuncia spontanea ed autonoma con la finalità di non accrescere le proprie risorse
economiche e patrimoniali”.
2.- Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello considera la rinuncia alla eredità come un fatto documentato, che rende quindi
irrilevante, al fine di ritenere il (preteso) miglioramento delle condizioni economiche della B.B., la
chiamata ereditaria. Il ricorrente oppone, in questa sede, che si tratterebbe di una rinuncia “simulata”
ovvero con la unica motivazione di continuare a gravare sull’ex coniuge (atto emulativo), questioni
di cui nel provvedimento impugnato non vi è cenno e pertanto, egli avrebbe dovuto specificare se
ha le sottoposte al giudice d’appello, e in che termini, e se ha indicato specifici atti istruttori che la
Corte avrebbe omesso malgrado la loro rilevanza ed ammissibilità. Posto che il ricorrente non ha
assolto a quest’onere la censura deve considerarsi nuova, proposta per la prima volta in Cassazione
e quindi inammissibile (Cass. n. 15430 del 13/06/2018). Il motivo è comunque inammissibile anche
per altre ragioni, in quanto non si confronta compiutamente con la ratio decidendi del provvedimento
impugnato, posto che la questione della (rinunciata) eredità materna è stato solo uno solo di uno
degli elementi tenuti in considerazione della Corte nell’ambito di una complessiva valutazione, volta
ad escludere la sussistenza dei presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio, che
costituisce giudizio di fatto di cui in questa sede non si può sollecitare la revisione.
Nè è sufficiente a superare questi evidenti difetti in punto di ammissibilità della censura la
enunciazione in ricorso di un preteso “principio di diritto” che la Corte di merito avrebbe violato; non
poggia infatti su alcuna norma di diritto positivo l’affermazione che “viene a mancare il diritto a
percepirlo (l’assegno n.d.r.) se l’ex coniuge rinuncia intenzionalmente ai propri diritti ereditari con
conseguente rinuncia spontanea ed autonoma con la finalità di non accrescere le proprie risorse
economiche e patrimoniali”. Viceversa il nostro ordinamento conosce il principio della libertà nella
accettazione della eredità (art. 470 c.c.) posto che essa involge sia scelte di convenienza economica –
dato che l’erede è tenuto al pagamento dei debiti- nonchè scelte di carattere personalissimo, legate
alle relazioni con il de cuius.
3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. con conseguente falsa
applicazione della L. 1 dicembre 1970 n. 898, art. 9 in relazione all’art. 360 c.p.c n. 5, per erronea
applicazione dei parametri su cui fondare la richiesta di modifica dell’assegno divorzile ed omessa
valutazione delle circostanze di fatto esistenti. La parte deduce di avere posto in luce la variazione
reddituale e patrimoniale data dal raggiungimento della soglia pensionistica e la negoziazione di un
mutuo. Il giudice dell’impugnazione ha falsamente applicato la legge 01 dicembre 1970 n. 898, art. 9
ritenendo erroneamente non essere stato dimostrato il decremento economico subito per effetto del
pensionamento e dei nuovi impegni finanziari. Al riguardo la Corte territoriale si è limitata a rilevare
la mancata traccia della stipula dell’atto di mutuo ha quindi così omesso di esaminare a priori
l’incidenza che lo status di pensionato e il debito contratto potesse avere sulla condizione economica
del ricorrente.
4.- Il motivo è inammissibile.
Si propone, sotto veste di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, una censura di merito, peraltro avverso una
sentenza conforme a quella di primo grado, deducendo da un lato il travisamento della prova,
censura inammissibile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di motivazione
costituzionalmente rilevante (Cass. n. 37382 del 21/12/2022), e deducendo quale “fatto” di cui sarebbe
stato omesso l’esame le conseguenze economiche di una condizione personale (l’essere pensionato
che ha contratto un debito) che Corte ha invece tenuto in considerazione, osservando che non è stato
dimostrato che il richiedente abbia subito un decremento dalla sua condizione reddituale; con ciò la
parte incorre anche in un evidente difetto di pertinenza della censura rispetto alla ratio decidendi.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi,
Euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed
agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n.
228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di
informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti,
riportati nella oridnanza