Quando il “paparazzo” può diventare uno stalker?

Cass. Pen., Sez. V, Sent., 10 dicembre 2022, n. 42856: Pres. Zaza, Rel. Cons. Bifulco
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. BIFULCO Daniela – rel. Consigliere –
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 18/05/2021 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA BIFULCO;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale SABRINA PASSAFIUME, che ha concluso
chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Torino ha confermato il provvedimento con
cui Giudice di primo grado aveva affermato la penale responsabilità di A.A. per il reato di cui all’art.
612 bis c.p., comma 1, con condanna alla pena di mesi 4 di reclusione, al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza in favore della parte civile, B.B..
2. Avverso la sentenza, ricorre l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, articolando le
proprie censure in un unico motivo, col quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione,
per avere la Corte d’appello erroneamente ravvisato la penale responsabilità dell’imputato per il delitto
di atti persecutori. Del tutto genericamente sarebbe descritto, nella parte motiva dell’impugnata
sentenza, l’evento delle alterate abitudini di vita della p.o., così come inesplorato sarebbe rimasto il
profilo dell’impatto emotivo sulla vittima concretamente ingenerato dal comportamento
dell’imputato. I fatti ascritti alla condotta di quest’ultimo, pur se percepiti come “molesti e fastidiosi”
dalla p.o., avrebbero dovuto, al limite, essere ricondotti all’ipotesi contravvenzionale di cui all’art.
660 c.p.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L’unico motivo è manifestamente infondato, in quanto reitera i medesimi rilievi prospettati con
l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli
argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare
una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 4, n. 30810 del 10/05/2022,
Ragusa, n. m.; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838- 01). La
motivazione dell’impugnata sentenza è priva di aspetti di illogicità, mostrandosi, al contrario, dotata
di completezza e rigore logico sia per quel che ha riguardo alla puntuale ricostruzione del fatto sia in
relazione alla qualificazione giuridica prescelta dalla Corte d’appello. A tal proposito, va condivisa la
scelta dei giudici di merito di disattendere l’ipotesi contravvenzionale evocata dal ricorrente: invero,
i comportamenti ascritti all’imputato, avendo determinato una alterazione delle quotidiane abitudini
di vita della p.o., non possono essere ricondotti all’alveo dell’art. 660 c.p.
Il giudizio della Corte territoriale, oltre a poggiare su una corretta lettura dei principi posti dalla Corte
di cassazione in ordine ai criteri discretivi tra reato di atti persecutori e fattispecie contravvenzionale
di molestie o disturbo di cui all’art. 660 c.p., si è basata altresì sull’attenta disamina dei comportamenti
contestati. Infatti, i frequenti appostamenti di fronte all’ingresso dell’ufficio del B.B., e in altri luoghi
frequentati dallo stesso per ragioni lavorative, le insistenti telefonate mirate a ottenere notizie sugli
spostamenti dei calciatori, il seguire la vittima in auto, la pretesa, insistita e molesta, che la p.o.
intercedesse a suo favore presso calciatori al fine di ottenere servizi fotografici, gli insulti rivolti alla
p.o., pubblicamente e con aggressività, per non avere ottenuto dette intercessioni, hanno portato la
Corte territoriale a formulare un coerente giudizio di penale responsabilità per atti persecutori, alla
luce, come si è anticipato, di una motivazione priva di censure sia dal punto di vista giuridico sia da
quello del logico argomentare.
A fronte dei comportamenti contestati, a nulla vale il rilievo difensivo teso a giustificare i predetti
comportamenti data l’attività di “paparazzo” svolta dall’imputato. L’impatto della condotta
dell’imputato sulle abitudini -segnatamente, quelle lavorative- della vittima è chiaramente illustrato
dalla Corte territoriale, la quale, nel far riferimento alle ripercussioni negative di quei comportamenti
sulla vita e sulle quotidiane abitudini della vittima, ha evidentemente tenuto in conto l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui l’evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita
della persona offesa non possa intendersi come puramente occasionale (Sez. 5, n. 17552 del
10/03/2021, B., Rv. 281078 – 01). La p.o. si è infatti vista costretta a ricevere i propri clienti in luoghi
diversi dal proprio ufficio, con detrimento per la propria riservatezza, a non utilizzare la propria
autovettura per non lasciare segni tangibili della propria presenza in ufficio o nei luoghi frequentati
per motivi di lavoro, a bloccare le telefonate in entrata, e così via. I Giudici di merito hanno
chiaramente illustrato la dinamica con cui dette reazioni e escamotages della p.o., indotti dal
comportamento dell’imputato, hanno cagionato un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, tale da
ingenerare un giustificato timore per la propria sicurezza personale e da portare a un’alterazione delle
abitudini di vita (cfr., ex plur., Sez. 5, n. 1813 del 17/11/2021, dep. 2022, Biundo Rv. 282527 – 01).
I Giudici d’appello, nell’analizzare i vari comportamenti persecutori ponendoli in relazione agli effetti
provocati sulla p.o., hanno altresì fatto buon governo dei canoni di giudizio elaborati dalla
giurisprudenza, a iniziare da quella costituzionale. Come infatti ricordato da Corte Cost. n. 172 del
2014, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al
complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e
lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività
persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato,
trattandosi di reato per l’appunto punibile solo a titolo di dolo.
3. Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione
del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs.
n.196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente
provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.196 del 2003
art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2022