La mala gestio comporta la radiazione dell’avvocato amministratore di sostegno
Consiglio Nazionale Forense, sent. 5 settembre 2022
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in seduta pubblica, nella sua sede presso il
Ministero della Giustizia, in Roma, presenti i Signori:
con l’intervento del rappresentante il P.G. presso la Corte di Cassazione nella persona del
Sostituto Procuratore Generale dott. Pietro Molino ha emesso la seguente
SENTENZA
Su ricorso recante r.g. 7/22, presentato al Consiglio Nazionale Forense in data 8 gennaio
2022, dall’Avv. [RICORRENTE], nata a [OMISSIS] il [OMISSIS], C.F. [OMISSIS], quale
procuratore di sé stessa, e residente in [OMISSIS], avverso la sentenza del Consiglio
Distrettuale di Disciplina Forense di Brescia, emessa il 14 maggio 2021, depositata il 7
dicembre 2021 e notificata all’incolpata il 10 dicembre 2021, con cui veniva irrogata
all’Avv. [RICORRENTE] la sanzione disciplinare della radiazione.
per la ricorrente nessuno è comparso;
Per il Consiglio dell’Ordine regolarmente citato, nessuno è comparso;
Udita la relazione del Consigliere Francesco Caia;
Inteso il P.G., Dott. Pietro Molino, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Con segnalazione pervenuta al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Bergamo del 23 aprile 2018, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo
comunicava l’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’Avv. [RICORRENTE] “1) per il
reato di cui agli artt. 61 n. 5 e 7, 81 e 314 c.p., poiché con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, in qualità di amministratore di sostegno di [AAA] (nominato
con decreto del Tribunale di Bergamo del 21 febbraio 2014) e avendo la disponibilità del
denaro di quest’ultimo, se ne appropriava prelevando dal suo conto corrente denaro
contante allo sportello, il tutto per un importo complessivo di 7.500,00 euro. Con le
circostanze aggravanti di aver commesso il tutto approfittando di circostanze di persona
tali da ostacolarne la privata difesa ([AAA] è affetto da grave atrofia cerebrale esotossica
diffusa e polineuropatia,con seria compromissione delle capacità cognitive e psicofisiche)
e di aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante
gravità. In Lallio e Bergamo negli anni 2014 e 2015. 2) per il reato di cui agli artt. 61 n. 5 e
7, 81 e 314 c.p., poiché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in
qualità di amministratore di sostegno di [BBB] (nominato con decreto del Tribunale di
Bergamo del 3 agosto 2007) e avendo la disponibilità del denaro di quest’ultimo, se ne
appropriava prelevando dal suo conto corrente denaro contante allo sportello, il tutto per
un importo complessivo di 65.310,00 euro. Con le circostanze aggravanti di aver
commesso il fatto approfittando di circostanze di persona tali da ostacolarne la privata
difesa ([BBB] è persona affetta da varie patologie in un quadro di ritardo mentale medio,
con assoluta incapacità di attendere autonomamente alle ordinarie occupazioni) e di aver
cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità. In
Scanzorosciate e Bergamo dall’anno 2008 fino al 31.03.2017. 3) per il reato di cui agli artt.
61 n. 5 e 7, 81 e 314 c.p., poiché con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso, in qualità di amministratore di sostegno di [CCC] (nominato con decreto del
Tribunale di Bergamo del 10.10.2012) e avendo la disponibilità del denaro di quest’ultima,
se ne appropriava prelevando dal suo conto corrente denaro contante allo sportello, il tutto
per un importo complessivo di 11.390,00 euro. Con le circostanze aggravanti di aver
commesso il fatto approfittando di circostanze di persona tali da ostacolarne la privata
difesa ([CCC] è, tra l’altro, affetta da deficit mnesico/attentivo con riverbero prassico in
esiti di trauma cranico encefidieo, con incapacità di gestire se stessa e il suo patrimonio) e
di aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
In Bergamo, dal 2013 al 30.09.2015. 4) per il reato di cui agli artt. 61 n. 5 e 7, 81 e 314
c.p., poiché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in qualità di
curatore dell’inabilitata [DDD] (nominato con decreto del Tribunale di Bergamo del 16
novembre 2007) e avendo la disponibilità del denaro di quest’ultima, se ne appropriava
prelevando dal suo conto corrente denaro contante allo sportello ovvero tramite
bancomat, il tutto per un importo complessivo di 41.825,76 curo. Con le circostanze
aggravanti di aver commesso il fatto approfittando di circostanze di persona tali da
ostacolarne la privata difesa ([DDD] è persona con patologie di cui soffre dalla nascita
nonché affetta da decadimento psicotico generale e morbo di Fahr) e di aver cagionato
alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità. In Bergamo dal
2008 al 27.04.2017”.
Trasmessi gli atti al Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense di Brescia, all’esito
dell’istruttoria preliminare, con delibera del 3 aprile 2019, veniva approvato il seguente
capo di incolpazione: “per avere, in violazione degli artt. 9 comma 2, 10, 30 comma 1, 63
e 64 del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 nonché, per quanto di
rispettiva ragione ratione temporis, in violazione degli artt. 5, 7, 41 e 56 del previgente
codice deontologico forense, nell’esercizio della sua funzione di amministratore di
sostegno e/o curatore dei soggetti di seguito specificati, in violazione dei doveri ed abuso
dei poteri inerenti a tale funzione, compiuto le seguenti condotte lesive della propria
reputazione professionale nonché della dignità della professione e dell’affidamento dei
terzi, in particolare: A. poiché, in qualità di amministratore di sostegno di [AAA] (nominato
con decreto del Tribunale di Bergamo del 21 febbraio 2014), soggetto affetto da grave
atrofia cerebrale esotossica diffusa e polineuropatia con seria compromissione delle
capacità cognitive e psicofisiche, e avendo in ragione di tale ufficio la disponibilità del
denaro del medesimo, se ne appropriava prelevando dal suo conto corrente denaro
contante allo sportello per un importo complessivo di 7.500,00 euro; in Lallio e Bergamo
negli anni 2014 e 2015; B. poiché, in qualità di amministratore di sostegno di [BBB]
(nominato con decreto del Tribunale di Bergamo del 3 agosto 2007), persona affetta da
varie patologie in un quadro di ritardo mentale medio con assoluta incapacità di attendere
autonomamente alle ordinarie occupazioni, e avendo in ragione di tale ufficio la
disponibilità del denaro del medesimo, se ne appropriava prelevando dal suo conto
corrente denaro contante allo sportello per un importo complessivo di 65.310,00 euro; in
Scanzorosciate e Bergamo dall’anno 2008 fino al 31/3/2017; C. poiché, in qualità di
amministratore di sostegno di [CCC] (nominato con decreto del Tribunale di Bergamo del
10/10/2012), persona affetta da deficit mnesico-attentivo con riverbero prassico in esiti di
trauma cranico encefalico con incapacità di gestire sé stessa e il suo patrimonio, e avendo
in ragione di tale ufficio la disponibilità del denaro della medesima, se ne appropriava
prelevando dal suo conto corrente denaro contante allo sportello per un importo
complessivo di 11.390,00 euro; in Bergamo dal 2013 al 30/9/2015; D. poiché, in qualità di
curatore dell’inabilitata [DDD] (nominato con decreto del Tribunale di Bergamo del 16
novembre 2007), persona affetta da patologie di cui soffre dalla nascita nonché affetta da
decadimento psicotico generale e morbo di Fahr, e avendo in ragione di tale ufficio la
disponibilità del denaro della medesima, se ne appropriava prelevando dal suo conto
corrente denaro contante allo sportello ovvero tramite bancomat per un importo
complessivo di 43.340,00 euro; in Bergamo dal 2008 al 27/4/2017”.
Disposta la citazione a giudizio dell’incolpata, nel corso dell’istruttoria
dibattimentale venivano sentiti testimoni ed acquisita la sentenza n. [OMISSIS] emessa in
data [OMISSIS]/2019 del Tribunale di Bergamo, Sezione Penale del Dibattimento, relativa
al procedimento penale [OMISSIS]/18 Reg. Gen. (n. [OMISSIS]/16 R.G.N.R.), con cui
l’Avv. [RICORRENTE] è stata ritenuta colpevole delle imputazioni e per gli importi risultanti
dalla citata segnalazione del P.M. (ad eccezione di euro 500,00 quanto alla parte offesa
[BBB] ed euro 60,00 quanto alla parte offesa [DDD]), e per l’effetto condannata alla pena
di sei anni di reclusione. Successivamente, all’udienza del 13 maggio 2021 veniva, altresì,
acquisita dalla Corte di appello di Brescia, Sezione Prima Penale, con cui è stata
confermata la sentenza di primo grado.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense di Brescia, ritenuta accertata la
responsabilità dell’incolpata per le violazioni deontologiche contestate, con sentenza
emessa in data 14 maggio 2021 all’esito del procedimento avente n. 190-BG/2018,
depositata il 7 dicembre 2021 e notificata all’avv. [RICORRENTE] il 10 dicembre 2021,
irrogava nei confronti della medesima la sanzione della radiazione.
Con ricorso pervenuto a mezzo PEC in data 8 gennaio 2022, l’Avv.
[RICORRENTE] propone impugnativa avverso la predetta decisione innanzi a Codesto
Consiglio, affidando le proprie difese a due motivi di doglianza. Con il primo, la ricorrente
eccepisce il difetto di motivazione della sentenza impugnata per mancanza di prova in
ordine alla circostanza che i prelevamenti dalla stessa eseguiti fossero estranei alle
necessità dei soggetti amministrati. Con il secondo motivo, la ricorrente eccepisce, invece,
l’incongruità della sanzione irrogata alla luce della condotta complessivamente tenuta,
della “sostanziale “incensuratezza disciplinare”” della incolpata e del tentativo di
“ravvedimento operoso” della stessa, non conclusosi a causa del sequestro conservativo
subito a seguito della condanna penale.
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza impugnata con conseguente
mitigazione della sanzione irrogata.
All’udienza del 28 aprile 2022, le parti presenti rassegnavano le conclusioni
come da separato verbale
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso, l’Avv. [RICORRENTE] eccepisce il vizio di motivazione della
sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la responsabilità dell’incolpata. Il
Collegio ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, alcun dubbio può
sussistere in ordine alla prova della responsabilità della incolpata, non ravvisando alcun
difetto di motivazione della sentenza impugnata, che, sul punto, appare immune da vizi
logici e giuridici, avendo diffusamente analizzato le risultanze istruttorie, da cui emerge
chiaramente la responsabilità dell’Avv. [RICORRENTE] per i fatti ascritti. Invero, gli
elementi che fanno protendere per la colpevolezza dell’Avv. [RICORRENTE] sono plurimi
e concordanti. Come correttamente osservato dal Consiglio di Disciplina di Brescia la
ricorrente deteneva la carta associata al conto corrente dei soggetti amministrati ed i testi
escussi hanno riconosciuto che era l’incolpata ad eseguire materialmente le operazioni di
prelievo allo sportello, come peraltro si evince dalle ricevute contabili dalla stessa
sottoscritte. Peraltro, la paternità dei prelievi in capo alla medesima ricorrente, oltre ad
essere stata provata dai testi escussi, non risulta neppure contestata dalla incolpata, che
si è limitata, piuttosto, a riferire, senza invero fornire alcuna prova al riguardo, che tali
operazioni erano effettuate nell’interesse dei soggetti beneficiari. Ancora, risulta
ripetutamente violato il dovere di presentare i rendiconti e/o i bilanci annuali al Giudice
Tutelare, non risultando seriamente sostenibile, né provato che tale omissione sia stata
determinata da un atto di pirateria informatica del 2014, in quanto la ricorrente ha omesso
di depositare i bilanci anche per le annualità successive a tale data. Le risultanze
istruttorie del procedimento disciplinare risultano peraltro confermate dalle risultanze del
giudizio penale innanzi al Tribunale di Bergamo, conclusosi con sentenza di condanna n.
[OMISSIS] del 14 novembre 2019, confermata dalla Corte di appello di Brescia, Sezione
Prima Penale con sentenza emessa il 13 maggio 2021. Il CDD di Brescia, con motivazione
del tutto congrua ha correttamente riconosciuto non solo la violazione delle infrazioni
tipiche di cui agli articoli del Codice Deontologico richiamati nel capo di incolpazione, ma
anche dell’illecito deontologico atipico.
La condotta posta in essere dall’Avv. [RICORRENTE] integra gli estremi di un
comportamento certamente lesivo dei canoni di cui all’art e 9, co. 2 del Codice vigente,
non avendo tenuto una condotta ispirata ai canoni di lealtà e correttezza nell’esercizio
della professione e danneggiando, in tal guisa, l’immagine dell’intera categoria e
l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso quale professionista leale e
corretto in ogni ambito della propria attività.
A tal riguardo preme ribadire che “Il principio di stretta tipicità dell’illecito,
proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense,
nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati,
giacché il nuovo sistema deontologico forense -governato dall’insieme delle norme,
primarie (artt. 3 c.3 – 17 c.1, e 51 c.1 della L. 247/2012) e secondarie (artt. 4 c.2, 20 e 21
del C.D.)- è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente
rilevante e delle relative sanzioni “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, cit.), poiché la
variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita
privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata,
tassativa e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, l’eventuale mancata
“descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità,
giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della citata norma di
chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza,
lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e
della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza” (Consiglio Nazionale
Forense, sentenza del 22 novembre 2018, n. 141).
Non vi è dubbio alcuno che la valutazione disciplinare, avvenuta non solo sulla
base delle dichiarazioni testimoniali, ma anche sulla base dell’analisi delle risultanze
documentali acquisite agli atti del procedimento, risulti compiutamente motivata, nella
parte in cui ha rilevato la gravità della condotta tenuta dall’Avv. [RICORRENTE],
riconoscendo a carico della stessa la violazione dell’illecito deontologico atipico, anche in
ragione della funzione pubblica rivestita.
Il primo motivo di ricorso va dunque disatteso.
Venendo al secondo motivo di gravame, questo Collegio ritiene che, contrariamente a
quanto ritenuto dall’Avv. [RICORRENTE], la sanzione comminata dal C.D.D. risulta
congrua in relazione alla gravità e alla natura del comportamento deontologicamente non
corretto tenuto dalla stessa anche alla luce della rilevanza penale della condotta, dovendo
la mala gestio essere valutata con particolare severità, stante il ruolo di garante
riconosciuto alla ricorrente quale amministratore di sostegno e/o curatore dei soggetti
danneggiati dalla sua condotta. A tal riguardo è ormai pacifico che “la determinazione
della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza
della complessiva valutazione dei fatti, della gravità dei comportamenti contestati, violativi
dei doveri di probità, dignità e decoro sia nell’espletamento dell’attività professionale che
nella dimensione privata” (ex plurimis, Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 9 del 15
aprile 2019); “conseguentemente, in forza del criterio di proporzionalità, qualora da siffatto
giudizio emerga la strutturale incapacità dell’incolpato a ravvedersi, ovvero la sua
irrecuperabilità, tanto che la sua permanenza nel Ceto Forense sarebbe altrimenti fonte di
irreparabile vulnus per la reputazione del ceto stesso, la sanzione disciplinare da irrogarsi
in concreto ben può consistere nella radiazione, quand’anche per nessuno dei
comportamenti contestati, singolarmente considerati, fosse prevista una sanzione tanto
grave” (così Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 2 del 23 gennaio 2016). Nel caso
in esame, alcun dubbio può sussistere in ordine al fatto che l’appropriazione di somme di
danaro appartenenti ai propri assistiti, mediante abuso della disponibilità ottenuta,
approfittando della funzione pubblica rivestita quale amministratore di sostegno o curatore
dello stesso, costituisce un comportamento certamente rilevante, non solo dal punto di
vista deontologico, e tale da giustificare la sanzione della radiazione (cfr. Consiglio
Nazionale Forense, sentenza n. 225 del 20 novembre 2020).
Pertanto, appare pienamente condivisibile la sentenza del CDD di Brescia nella
parte in cui ha sanzionato con il provvedimento espulsivo la ricorrente, che con il proprio
comportamento ha arrecato un grave pregiudizio non solo ai propri assistiti ma anche
all’immagine della avvocatura. Come giustamente rilevato nella sentenza impugnata, è
stato accertato che le condotte erano in atto quantomeno fin dal 2008; l’Avv.
[RICORRENTE], una volta scoperta, lungi dal desistere dalla sua condotta, ha tentato di
nascondere i propri illeciti; ancora, nel corso del giudizio disciplinare, non ha mai
ammesso la propria responsabilità, tentando di riparare i danni derivanti dalla propria
condotta. Orbene, il vigente codice deontologico forense tipizza la determinazione della
sanzione disciplinare “nei casi più gravi” e per quanto possibile (art. 22), tuttavia, al fine di
individuare la sanzione disciplinare più adeguata, “il potere di irrogare una sanzione
disciplinare adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine
professionale è riservato agli organi disciplinari che in mancanza di una previsione di
legge contraria si avvalgono, in via di applicazione analogica, dei principi desumibili dagli
art. 132 e 133 del codice penale” (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 77 del 24
giugno 2020). Nel caso di specie, la gravità e la pluralità dei comportamenti
deontologicamente rilevanti accertati a carico della ricorrente, il contesto in cui è avvenuta
la violazione ed il grave pregiudizio subito dai beneficiari consentono di ritenere congrua la
sanzione espulsiva inflitta all’Avv. [RICORRENTE].
Alla luce di tutto quanto innanzi considerato, anche il secondo motivo di gravame non può
trovare accoglimento.
Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso, confermando l’impugnato provvedimento.
Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità
di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli
interessati riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 28 aprile 2022