Il figlio naturale in assenza di riconoscimento ha diritto all’assegno vitalizio?

Cass. Civ., Sez. I, Sent., 26 ottobre 2022, n. 31672
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19372/2017 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliata in ROMA …., presso lo studio dell’avvocato R. M. G. rappresentata
e difesa dagli avvocati I.G., M.S.;
– ricorrente –
contro
B.B., elettivamente domiciliato in ROMA …, presso lo studio dell’avvocato R.M.G. che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato B. S.;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE n. 660/2017 depositata il
22/03/2017;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27/09/2022 dal Consigliere CLOTILDE PARISE.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 660/2017 pubblicata il 22 marzo 2017 la Corte d’appello di Firenze ha rigettato
l’appello proposto da A.A. nei confronti di B.B. e per l’effetto ha confermato la sentenza non definitiva
impugnata n. 225/2015 del Tribunale di Pisa, con la quale era stata accolta la domanda proposta per
ottenere l’assegno vitalizio ai sensi dell’art. 580 c.c. da B.B., quale assunto figlio naturale di C.C., nei
confronti di A.A., quale erede di D.D., fratello di C.C., e, a seguito del decesso di D.D., quale erede
di C.C., deceduto nel (Omissis) e già de cuius del primo, con rimessione della causa sul ruolo per la
quantificazione del suddetto assegno vitalizio. La Corte di merito, nel condividere le argomentazioni
svolte dal Tribunale, ha affermato che: a) la prova dello status di figlio nato fuori dal matrimonio è
sussumibile anche da seri e concorrenti elementi indiziari del trattamento del figlio come tale
(tractatus) da parte del preteso padre e della notorietà della manifestazione esterna di tale relazione
nei rapporti sociali (fama), senza che sia necessaria anche la prova di rapporti sessuali tra i genitori;
b) la prova della exceptio plurium concubentium, che gravava sulla parte convenuta, di seguito
appellante, non era stata fornita in modo convincente nè con le prove testimoniali dedotte ed assunte,
nè con la prodotta documentazione epistolare, da cui era solo emerso che la madre E.E. era corteggiata
da molti uomini; c) il testimoniale dedotto dall’attore aveva permesso di accertare che C.C. aveva più
volte affermato di essere il padre di B.B., in ambito locale tale filiazione era notoria e anche
nell’ambito familiare era ammessa e riconosciuta; d) le contrarie deposizioni indotte dalla convenuta
non avevano efficacia dirimente, atteso che facevano riferimento ad epoca successiva agli anni 60-
70, quando B.B. era ormai adulto e la madre già si era da tempo sposata con F.F., che aveva pure
riconosciuto B.B. come suo figlio.
2. Avverso questa sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato
con memoria, resistito con controricorso, pure illustrato con memoria, da B.B.
3. Con ordinanza interlocutoria di questa Corte pubblicata il 30-12-2021 è stato disposto il rinvio
della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza del ricorso, già fissato per l’adunanza
in camera di consiglio dell’11-11-2021 ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c.
Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica è stato applicato lo speciale
rito “cartolare” previsto dal D.L. 137 del 28 ottobre 2020 art. 23, comma 8 bis, convertito con
modificazioni dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020 e prorogato a tutto il 2022 dal D.L. 30-12-2021
n. 228, convertito dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022.
4. Le parti hanno ritualmente depositato nuove memorie illustrative. La Procura Generale ha
depositato conclusioni scritte oltre il termine di legge.
Motivi della decisione
5. La ricorrente denuncia: i) con il primo motivo l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360, comma
1 n. 5 c.p.c., in relazione al rigetto dell’exceptio plurium concubentium, per non avere la Corte
d’appello esaminato il fatto che la madre dell’attore, all’epoca del concepimento, intratteneva un
rapporto di fidanzamento con un uomo diverso dal presunto padre; deduce, richiamando le risultanze
probatorie, che era stato dimostrato con certezza che la madre dell’attore, attuale controricorrente, era
fidanzata con tale G.G. e detto dato, non esaminato dalla Corte di merito, e perchè se ne desume che
la madre aveva rapporti intimi almeno con un altro uomo, ossia con il fidanzato, oltre che con F.F., il
quale aveva riconosciuto B.B., pur se nato prima del matrimonio con la madre, sicchè il mancato
esame di quel fatto indiziario senza darne ragione rende implausibile il percorso motivazionale; con
il secondo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione agli artt. 269
c.c. e 116 c.p.c., ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per avere il giudice basato il ragionamento posto a
fondamento del rigetto dell’exceptio plurium concubentium su un argomento logico-deduttivo
illogico e non verosimile, impiegato per risalire dal fatto noto e provato (rapporto di fidanzamento tra
la madre e G.G.) al fatto ignoto (rapporti intimi tra le suddette persone); rileva che, come
incontroverso in causa, il controricorrente era stato concepito tra persone non sposate e dunque la
madre aveva avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio, pur se, come affermato dal Tribunale, negli
anni ’40 ciò costituiva un disvalore, sicchè, ad avviso della ricorrente, il percorso motivazionale della
sentenza impugnata non può considerarsi fondato su parametri di logica e ragionevolezza.
6. Osserva il Collegio, ritenuto pregiudizialmente non preclusivo il pronunciamento del Tribunale di
Pisa del 2009 in quanto espresso solo in termini argomentativi, che, come affermato nella citata
ordinanza interlocutoria, nella specie si pone una serie di questioni inerenti al rapporto tra
accertamento di paternità e titolo di stato di filiazione, ai fini del riconoscimento dell’assegno vitalizio
ai sensi dell’art. 580 c.c., come modificato dalla L. n. 151/1975 e applicabile anche alle successioni
apertesi prima dell’entrata in vigore di detta ultima legge, nella ricorrenza delle condizioni di cui
all’art. 237 della stessa legge. Con il regime dettato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, applicabile, ex art.
104 stesso D.Lgs., retroattivamente ai rapporti di filiazione in essere, salvi gli effetti del giudicato
formatosi prima dell’entrata in vigore della legge, delega n. 219 del 2012, il legislatore ha introdotto
il fondamentale principio dell’unicità dello stato di figlio, rimanendo, nel contempo, fermo l’altro
principio secondo il quale la formazione di un titolo è sempre necessaria perchè possa propriamente
parlarsi di tale stato, mentre la disposizione di cui all’art. 580 è rimasta sostanzialmente invariata,
stante il semplice adeguamento lessicale costituito dalla locuzione “figli nati fuori dal matrimonio”
in luogo di quella “figli naturali”.
Dunque, alla stregua del mutato contesto normativo, ove applicabile in base alla richiamata disciplina
transitoria, il figlio non è mai impossibilitato neppure all’esercizio dell’azione di disconoscimento
della paternità, che è divenuta per il figlio imprescrittibile, sicchè vieppiù si pone il tema, evidenziato
dalla dottrina, del raccordo interpretativo tra la disciplina dettata dell’art. 580 c.c., in combinato
disposto con l’art. 279 c.c., e i principi di cui si è detto.
7. Occorre aggiungere che, già nella vigenza della precedente disciplina sulla filiazione, questa Corte,
attribuendo all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., natura giuridica di legato ex lege, aveva
affermato il principio secondo cui l’accertamento incidentale della procreazione naturale si configura
come puro fatto materiale, riscontrabile senza efficacia di giudicato, in quanto meramente strumentale
al riconoscimento di un diritto patrimoniale, per l’appunto quello all’assegno vitalizio, specificamente
azionato in via autonoma, che non presuppone l’attribuzione dello status di figlio “naturale” (Cass.
12733/1992; Cass. 467/1986). Tutto ciò subordinatamente alla sussistenza del pre-requisito –
configurato come condizione di ammissibilità dell’azione ex art. 580 c.c., da Cass. 12733/1992 citata
– dell’assoluta e originaria impossibilità per il figlio di esperire l’azione di accertamento della paternità
oppure di disconoscimento di paternità. Con successiva pronuncia (Cass. 6365/2004), ai fini del
riconoscimento del diritto ex art. 279 c.c., è stata, invece, attribuita rilevanza anche all’impossibilità
sopravvenuta, ossia derivante dall’omessa proposizione di disconoscimento di paternità entro il
termine di decadenza in allora vigente per il figlio.
Con la riforma del 2013 è rimasto sostanzialmente invariato, stante la sola eliminazione delle parole
“legittimo o legittimato”, anche il disposto dell’art. 253 c.c., secondo cui è vietato il riconoscimento
del figlio già riconosciuto da altro soggetto, ferma restando l’imprescrittibilità del diritto di
impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte del figlio, già prevista dalla
previgente disciplina sulla filiazione, anche ante riforma del 1975.
8. Tanto precisato, nella specie l’odierno controricorrente B.B. è figlio “non riconoscibile” in forza
del divieto di cui al citato art. 253, in quanto egli, nato prima del matrimonio tra sua madre e F.F.,
che lo aveva riconosciuto dopo il suddetto matrimonio, è erede di quest’ultimo in forza di un titolo di
filiazione tuttora in essere e valido e, nel contempo, rivendica la paternità naturale di C.C., come mero
fatto procreativo che rileva solo a fini patrimoniali (assegno vitalizio art. 580 c.c.).
Deve, pertanto, stabilirsi quale sia, alla luce non solo dell’ultima novella ma anche e soprattutto della
concezione sempre più marcatamente sostanziale della famiglia (cfr. Cass. S.U. 12193/2019 e Corte
Cost. 127/2020) e della necessità di tutelare l’identità famigliare del figlio, quale declinazione della
sua personalità ex art. 8 CEDU (cfr. parere consultivo del 10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte
Europea dei diritti dell’uomo), la corretta interpretazione degli artt. 580 e 279 c.c., norma,
quest’ultima, richiamata dalla prima, e di conseguenza stabilire se possano comprendersi nell’ambito
di applicazione dell’art. 580 c.c., anche i casi in cui il figlio non si attivi per rimuovere lo stato di
“figlio altrui” che gli impedisce di conseguire quello corrispondente alla verità biologica nei confronti
del preteso padre defunto, in relazione al quale rivendica il diritto patrimoniale successorio in forza
situazione soggettiva di “figlio non riconoscibile”.
9. Occorre premettere, ricostruendo in estrema sintesi il sistema specialmente come delineato con
l’ultima riforma (L. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013), che, pur essendo il fatto procreativo e la
successiva nascita del figlio i presupposti per il sorgere della responsabilità del genitore ex art. 316 e
ss. c.c., questa viene in essere e produce effetti giuridici, compresi quelli di carattere patrimoniale,
soltanto a seguito di accertamento dello status, che è requisito essenziale per la piena titolarità e
l’esercizio di situazioni giuridiche soggettive derivanti dal rapporto filiale. In altri termini, il fatto
procreativo non determina automaticamente la costituzione del rapporto giuridico di filiazione e la
relativa attribuzione con efficacia erga omnes dello status, occorrendo a tal fine, come ben evidenziato
dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, o un atto di autoresponsabilità del genitore, o un
provvedimento del giudice, o comunque – con riferimento alla filiazione matrimoniale – l’operare del
sistema di presunzioni di cui agli artt. 231 ss. c.c.
In quest’ottica di sistema si innesta l’ulteriore rilievo che, in talune fattispecie legali, il fatto
procreativo in sè può assumere una ben minore valenza, diversa sia per natura sia per conseguenze
giuridiche, poichè può determinare solo il sorgere di una responsabilità patrimoniale limitata del
genitore, senza che avvenga la costituzione dello status, come per l’appunto si verifica nelle ipotesi
previste dalla legge, derogatorie ed eccezionali, di accertamento cd. indiretto della paternità, nel cui
alveo si inquadra la fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c.
Ritiene, infatti, il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato da questa Corte con le
pronunce sopra citate, secondo cui la ratio della disposizione di cui trattasi è quella di assicurare, in
via eccezionale e derogatoria, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di
credito nei confronti dell’eredità del genitore biologico, senza attribuzione nè della qualità di erede
dello status di figlio, ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius.
Pertanto, il fatto procreativo, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento cd. indiretto di
paternità connotati dalla “non riconoscibilità” del figlio, determina solo il sorgere di un rapporto
obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.
Le ipotesi a cui la tutela è certamente riferibile sono quelle in cui il figlio si trova dinanzi ad un
ostacolo alla rimozione dello stato di “figlio altrui” non dipendente dalla propria volontà (figli non
riconoscibili perchè nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salva
l’autorizzazione del giudice – art. 250, comma 5, c.c.; figlio infraquattrodicenne non riconoscibile per
mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione
del Tribunale – art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’arti, comma 2, lett. d) L. n. 219/2012;
figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di
adottabilità e l’affidamento preadottivo – art. 11, ultimo comma, L .n. 184/1983- per essere in tale
ipotesi il riconoscimento divenuto inefficace).
10. Ritiene il Collegio che nel novero della categoria dei figli “non riconoscibili” propria della
fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c., il cui testo è rimasto sostanzialmente immutato dopo l’ultima
riforma, che, dunque, nè lo ha abrogato, nè ne ha specificato l’ambito soggettivo di applicazione,
debbano comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole
non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento
di paternità, e ciò in linea di continuità evolutiva rispetto a quanto statuito dalla citata Cass.
6365/2004, che ha attribuito rilevanza anche all’impossibilità sopravvenuta, ossia derivante
dall’omessa proposizione dell’azione di disconoscimento di paternità entro il termine di decadenza in
allora vigente per il figlio, ai fini del riconoscimento ex art. 279 c.c.
10.1. Non osta a detta opzione interpretativa il principio dell’unicità dello stato di figlio, dal momento
che, come si è visto, la peculiare tutela successoria di cui trattasi attribuisce solo un diritto di credito
verso l’eredità del genitore biologico, e non lo stato di figlio, nè quello di erede, sicchè è destinato a
restare uno solo il titolo di status, ossia quello preesistente e mai rimosso, pur se, in realtà, non
corrispondente alla procreazione biologica.
10.2. Neppure osta alla suddetta soluzione ermeneutica il principio del favor veritatis, che non ha
valenza costituzionale (da ultimo Cass. 30403/2021; Cass. 4791/2020; Cass.26767/2016; Corte Cost.
272/2017 e 127/2020). Questa Corte, facendo applicazione dei principi enunciati dal Giudice delle
leggi, ha affermato, in tema di azioni volte alla rimozione dello status (cfr. Cass. 30403/2021
concernente l’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento proposta dal curatore del
minore su iniziativa del P.M.M.), che nell’ottica del bilanciamento tra l’interesse pubblico alla verità
biologica e l’interesse del figlio (soprattutto se minore), il primo può essere recessivo, nel caso
concreto, ove si accerti la necessità di tutelare “il diritto all’identità personale del figlio, non
necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi
all’interno di una famiglia”, e ciò “con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto
in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo,
educativo e sociale” (così Cass.26767/2016 citata). Di conseguenza, a date condizioni, può consentirsi
al genitore “sociale” il mantenimento dello status genitoriale e la permanenza del rapporto giuridico
di filiazione con un soggetto rispetto al quale difetta il fatto procreativo.
Nel caso in esame ritiene il Collegio che possano mutuarsi gli stessi principi, con gli opportuni
adattamenti. Nello specifico, una volta affermato che il favor veritatis non ha valenza costituzionale.,
nonchè ribadito che è salvaguardato il principio dell’unicità dello stato di filiazione poichè uno solo
resta il titolo di stato, subordinare il riconoscimento dei diritti patrimoniali successori del figlio
biologico alla rimozione dello status preesistente significherebbe violare il suo diritto all’identità
familiare, declinato ex art. 30 Cost., e anche ex art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla stabilità
dell’identità familiare del figlio in tutti casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato,
per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità (cfr. parere consultivo del
10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo).
10.3. Da quest’impostazione evolutiva, in linea anche con l’art. 2 Cost., oltre che con l’ordinamento
sovranazionale, discende che non può negarsi al figlio, pena la violazione delle citate norme, la
possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., non subordinata alla
previa rimozione dello status di figlio altrui, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse
giuridicamente accertare la filiazione biologica. Come rimarcato dalla dottrina richiamata anche dal
controricorrente, solo attribuendo la suddetta scelta al figlio gli si consente di operare un
bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli
di tutela, ossia solo in tal modo gli si può consentire di decidere di preservare lo status e l’identità
familiare con il genitore sociale, in forza di un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in
maniera continuativa per anni, senza dovere, al contempo, rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal
genitore biologico per i limitati diritti patrimoniali successori previsti dalla legge.
11. La Corte ritiene di dover enunciare il seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c.: “Il diritto
all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., che sorge “ex lege” per responsabilità patrimoniale del
genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso
“status” di figlio altrui e nel novero dei figli “non riconoscibili” devono comprendersi anche coloro
che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente
riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al
figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 Cost., e 8 CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore
tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., conservando la stabilità della sua identità familiare
precedente, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione
biologica”.
12. Passando ora all’esame dei motivi di ricorso, il primo è in parte inammissibile e in parte infondato.
12.1. In disparte il rilievo che il primo motivo d’appello, avente per l’appunto ad oggetto l’exceptio
plurium concubentium e le conseguenze che comporta in tema di valutazione delle prove (pag. 3 e 4
sentenza impugnata), è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di merito e detta statuizione non è
specificamente censurata, secondo il costante orientamento di questa Corte che il Collegio condivide
ed intende qui ribadire, il motivo di ricorso per l’omesso esame di elementi istruttori non si risolve
nella prospettazione di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo ove il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014; tra le tante successive conformi Cass.
14324/2015 e Cass. 27415/2018).
Nella specie, la circostanza relativa al fidanzamento della madre del B.B. con tale G.G. non appare
decisiva, tenuto conto che il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti, può essere utilmente dedotto ove abbia carattere decisivo, vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto, l’omesso esame di
elementi istruttori (in tesi il suindicato fidanzamento) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame
di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie le relazioni sessuali con
altri uomini, ivi compreso il G.G.), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè
la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Va aggiunto che è solo la suddetta
circostanza del fidanzamento, secondo la prospettazione di cui al ricorso, a configurarsi come fatto
storico, non anche la relazione sessuale tra i fidanzati, che, infatti, la stessa ricorrente assume come
presunzione probabile scaturente dal rapporto di fidanzamento.
Ciò posto, la Corte di merito ha scrutinato le varie censure svolte dall’appellante e odierna ricorrente,
richiamando in dettaglio le risultanze probatorie, e, quanto alle frequentazioni di E.E. con altri uomini
all’epoca (febbraio 1941) della assunta relazione con C.C., ha “condiviso l’assunto del primo giudice
che rileva il contenuto “generico” delle missive prodotte dall’appellante come doc. da 3 a 6, redatte
prevalentemente da militari al fronte e dimostrative solo del fatto che la madre dell’appellato all’epoca
era molto corteggiata, ma nulla di più. Inoltre il primo giudice sottolinea come il testimoniale (N.N.,
H.H., I.I., L.L. e M.M.) dedotto a prova di relazioni sessuali (le sole rilevanti) con tali uomini era
rimasto del tutto carente dei risultati di prova dedotti: il che riceve conferma nelle dichiarazioni dei
testi, riportate anche in sentenza” (pag.13 della sentenza impugnata).
12.2. Alla stregua di quanto precede, la censura è infondata sia perchè concerne il mancato esame di
un elemento istruttorio nei termini precisati, sia perchè la motivazione non è affatto priva di
giustificazione.
La medesima censura è inammissibile nella parte in cui sollecita una rivalutazione del materiale
probatorio, riproponendo il contenuto delle testimonianze dalle quali sarebbe dato evincere la
fondatezza di quanto la ricorrente sostiene in ordine alla pluralità di rapporti sessuali della E.E. con
diversi uomini nel periodo del concepimento. In tema di procedimento civile, sono, infatti, riservate
al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo
dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla
formazione del proprio convincimento, sicchè è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso
probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (ex plurimis Cass. 21187/2019).
13. Il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo la doglianza concerne la motivazione della sentenza del Tribunale, non quella della
Corte d’appello (pag.17 ricorso), nella quale ultima non è espressa, nè è specificamente richiamata la
ragione di decisione che viene criticata (nella società degli anni ’40 era tutt’altro che scontato che due
fidanzati avessero rapporti intimi).
Secondariamente vanno ribaditi i principi secondo cui: a) in sede di legittimità è possibile censurare
la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorchè ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero
quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi
raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli
considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto
controverso (Cass. 3541/2020); b) il ragionamento del giudice di merito è censurabile ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3. solo qualora sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della
presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei
requisiti (Cass. 29635/2018; Cass.18611/2021).
Nella specie, sotto il profilo sub a), non è affatto dedotto il vizio di sussunzione nei termini suindicati,
nè e in ogni caso ricorre avendo la Corte di merito ritenuto, con motivazione adeguata, non dimostrato
il fatto che avrebbe dovuto considerarsi noto e dimostrato (rapporti intimi tra la madre del
controricorrente e altri uomini nel periodo del concepimento), e perciò non utilizzabile come indizio
escludente nella ricostruzione del fatto ignoto e controverso indagato (rapporto sessuale con il A.A.
e concepimento del figlio B.B. ad opera dello stesso).
Sotto il profilo sub b), la ricorrente non lamenta che il giudice di merito abbia sussunto erroneamente
sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti
che non sono invece rispondenti a quei requisiti, con riferimento al tractatus e alla fama, posti a
fondamento della decisione, ma svolge argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando
la ricostruzione del fatto effettuata dalla Corte di merito circa la mancanza di prova di rapporti intimi
con altri uomini, dolendosi, in buona sostanza, della mancata valorizzazione di un fatto diverso (B.B.
fu concepito tra persone non sposate e la madre ebbe rapporti sessuali fuori dal matrimonio), così
prospettando surrettiziamente una rivalutazione del materiale probatorio.
14. In conclusione, il ricorso va rigettato.
15. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L.
228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L.
n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei
soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2022.