Parto anonimo. Se la madre biologica è deceduta, è tutelato il diritto alla conoscenza delle proprie origini

Tribunale per i minorenni di Potenza, ord. 26 aprile 2022 – Pres. Rel. Montaruli

Il Tribunale per i Minorenni di Potenza, riunito in camera di consiglio nelle persone dei Giudici:
1) dott. Valeria MONTARULI Presidente rel.
2) dott. Emiliano MISTRULLI Giudice
3) dott. Carmela GENOVESE Giudice On.
4) dott. Gerardo MONTESANO Giudice On.
letti gli atti del fascicolo n. 174/2021 C.C.A.G. relativo all’istanza ex art. 28, comma 7, legge n. 184/83,
avanzata da (…) con atto depositato in data 12.4.2021;
sentito il Pubblico Ministero;
osserva guanto segue.
Con atto depositato in data 12.4.2021 (…) (alla nascita (…), nato a (…) il (…), premesso di essere nato
da donna che al momento del parto aveva dichiarato di non voler essere nominata, chiedeva a questo
Tribunale, previo interpello della madre biologica, di essere autorizzato ad accedere alle
informazioni riguardanti l’identità di quest’ultima, nonché di eventuali fratelli o sorelle biologici.
Dalle indagini espletate è emerso che la madre biologica dell’istante risulta essere deceduta nell’anno
2016.
L’istanza in esame si inserisce nel dibattuto tema del diritto all’accesso alle origini da parte di soggetti
nati da madre biologica che non ha inteso essere nominata al momento della nascita, con la
particolarità che, nella fattispecie, la madre non può essere interpellata, essendo deceduta.
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e delle circostanze della propria nascita
trova un sempre più ampio riconoscimento a livello internazionale e sovranazionale. Tali principi
sono stati affermati dalla giurisprudenza CEDU, da ultimo con sentenza della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 – Ricorso n. 33783/09-n.33783/09 – Godelli c. Italia, che ha
censurato la vigente disciplina interna dell’anonimato, laddove non dà alcuna possibilità al figlio
adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni non identificative sulle
sue origini, non consentendo la reversibilità del segreto. La Corte richiama analoghi precedenti, in
cui si afferma che il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione
della nozione di “vita privata” (Odièvre c. Francia (GC), n. 42326/98, paragrafo 29, CEDU 2003 III, e
Mikulic c. Croazia, n. 53176/99, paragrafo 53, CEDU 2002 I). Nella giurisprudenza costituzionale, la
facoltà della donna di dichiarare nell’atto di nascita di non voler essere nominata è stata riconosciuta
da Corte cost. 5 maggio 1994, n. 171, e da Corte cost. 25 novembre 2005, n. 425, che ha dichiarato
manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alla previsione dell’intangibilità
della volontà di anonimato della madre biologica. Successivamente, Corte Cost.22 novembre 2013,
n. 278, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 28 legge n. 183/1984 sull’adozione dei minori, in guanto
non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata
nell’atto di nascita, per l’eventuale assunzione di rapporti personali e non giuridici con il figlio. In
particolare, la Corte ha riconosciuto all’adottato il diritto a conoscere le proprie origini e ha rilevato
i profili di irragionevolezza nell’irreversibilità dell’anonimato della madre biologica, prevedendo la
possibilità di un interpello di questa da attuarsi all’interno di un procedimento caratterizzato dalla
massima riservatezza. Viene operata anche dalla nostra Corte la riferita operazione di bilanciamento
tra il diritto della madre all’anonimato, che si fonda «sull’esigenza di salvaguardare madre e neonato
da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali,
ambientali, culturali, sociali, tale da generare l’emergenza di pericoli per la salute psico-fisica o la
stessa incolumità di entrambi», e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla
propria storia parentale – atteso che tale «bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti
della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una
persona in quanto tale».
L’importante pronuncia Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, afferma il principio di diritto
per cui, ancorché il legislatore non sia ad oggi intervenuto in adeguamento al principio espresso
nella sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013,n. 278, sussiste la possibilità per il giudice, su
richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, di interpellare la madre che abbia
dichiarato di non voler essere nominata, con modalità procedimentali tratte dal quadro normativo
e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee a garantire la massima riservatezza
e il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite
insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito
all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.
In questo quadro, la Cassazione civile si era già occupata della tematica del parto anonimo con due
pronunce del 2016, con le quali ha affermato che il diritto dell’adottato – nato da donna che abbia
dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi del D.P.R. n. 396/2000, art. 30, comma 1
– ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l’identità della madre biologica
sussiste e può essere concretamente esercitato, anche se la stessa sia morta e non sia possibile
procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando
nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di
assistenza al parto o della cartella clinica di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 93, commi 2 e 3, a
condizione che i dati personali della defunta siano trattati lecitamente ed in modo tale da non
arrecare un danno all’immagine, alla reputazione o ad altri beni di primario rilievo costituzionale,
ad eventuali terzi interessati. (Cass. civ. sez. 1,9 novembre 2016, n. 22838, Cass. civ. sez. I 26 aprile
2017, Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024). Tali pronunce stabilivano il principio per cui il diritto
dell’adottato a conoscere le proprie origini deve essere garantito anche nel caso in cui non sia più
possibile procedere all’interpello della madre naturale. Infatti, lo sbarramento temporale imposto
dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 93, alla rivelabilità dell’identità della donna che ha scelto l’anonimato
al momento della nascita del figlio, non è temperato, nella specie, dalla possibilità di verifica
dell’eventuale sopravvenuta volontà di revoca della scelta compiuta alla nascita.
Il diritto all’identità personale del figlio, da garantirsi con la conoscenza delle proprie origini, anche
dopo la morte della madre biologica, non esclude tuttavia la protezione dell’identità “sociale”
costruita in vita da quest’ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente
costituito dopo aver esercitato il diritto all’anonimato. In particolare, la pronuncia Cass. civ., sez. I,
21 luglio 2016, n. 15024, configura un vero e proprio affievolimento del diritto all’anonimato della
madre, nella misura in cui dopo la nascita non è più il diritto alla vita ad essere in gioco e il diritto
all’anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in
generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi in primo luogo sulla persona
della madre. In questa prospettiva, argomenta la Corte, non è il diritto in sè della madre
all’anonimato che viene garantito, ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza
e partorire senza assumere le conseguenze sociali e giuridiche di tale scelta. Solo la madre in vita
può essere, dungue, la persona legittimata a decidere se revocare la sua decisione di rimanere
anonima, in relazione al venir meno di quell’esigenza di protezione che le ha consentito la scelta
tutelata dall’ordinamento. In termini analoghi si è espressa Cass. civ. sez I 7 febbraio 2018 n. 3004 in
un caso in cui veniva chiesto al Tribunale per i Minorenni di Torino di accedere alle informazioni
riguardanti l’identità dei propri genitori biologici.
Va infine menzionata Cass. civ. sez. I, 20 marzo 2018, n. 6963, per cui l’adottato ha diritto, nei casi di
cui all’art. 28, comma 5, della l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle
informazioni concernenti non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle
sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento
giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei
soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di
constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto. La Cassazione dà una lettura
estensiva dell’art. 28 comma 5, stabilisce, infatti, che l’«adottato, raggiunta l’età di venticinque anni,
può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici»,
escludendone la natura pleonastica e ritenendo che essa, faccia riferimento a uno spettro più esteso
d’informazioni, al fine di ricostruire in modo effettivo il quadro dell’identità personale, affermando
tuttavia che rispetto ai fratelli tale diritto appare, dunque, affievolito e non ha natura potestativa ed
è sempre subordinato all’interpello.
A fronte di una giurisprudenza di legittimità che riconosce con ampiezza la tutela del diritto
all’identità personale dell’adottato da madre anonima, si è affermata una giurisprudenza di merito
che, in caso di avvenuto decesso della medesima, garantisce tutela ai suoi congiunti, ove esistenti.
In particolare, Trib. Min. Genova 28 novembre 2019 ha ritenuto non accoglibile l’istanza di
autorizzazione ad accedere alle informazioni circa la propria origine, nonché l’identità della madre
biologica che abbia optato per l’anonimato, in caso di morte della medesima, se risulti che la donna
deceduta abbia avuto altri figli, non essendo desumibile il dato se essi siano a conoscenza della
vicenda adottiva, e non potendosi procedere all’interpello degli stessi al solo fine di apprendere la
conoscenza o meno di tale vicenda, perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di
tale dato particolarmente sensibile. La pronuncia in esame costruisce un tipo di bilanciamento
difforme rispetto a quello divisato dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, facente riferimento
alla tutela del diritto alla vita privata, ai sensi dell’art. 8 CEDO, dei fratelli biologici, che verrebbe
leso da una non richiesta rivelazione circa un “segreto” così dirompente della propria defunta madre.
Non si ritiene, tuttavia, corretto questo orientamento, in quanto attribuisce, in caso di morte della
madre anonima, un’impropria subvalenza rispetto alla tutela del diritto all’identità personale della
madre anonima, in contrasto con il principio affermato dalla Cassazione secondo il quale, in caso di
decesso della madre anonima, il suo diritto all’oblio diviene recessivo rispetto al diritto all’identità
personale dell’adottato richiedente.
La posizione soggettiva dei congiunti della madre anonima non trova, invero, specifica tutela nella
disciplina dell’art. 28 della legge n. 184/1983, come modificato dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 278/2013 e interpretato dalla giurisprudenza della Cassazione richiamata, ma si
fonda sulla richiamata disciplina generale sul trattamento dei dati personali, che, sulla base dell’art.
5 del Regolamento UE 679/2016, devono essere trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei
confronti dell’interessato. L’accesso ai dati identificativi della madre anonima deve, dunque,
avvenire senza pregiudizio di “terzi eventualmente coinvolti”, i quali possono legittimamente
vantare un diritto a essere lasciati soli, ovvero all’oblio, e, diversamente, a reclamare che l’accesso a
dati avvenga senza cagione di pregiudizio (cfr., sul punto, Cass. civ. 7 febbraio 2018, n. 3004). I rimedi
attraverso cui l’ordinamento tutela gli interessati contro il trattamento illecito dei dati personali,
sono, oltre ai generali rimedi risarcitori, quelli sanzionatori di natura penale di cui agli artt. 167 e
seguenti del Codice della privacy, come modificato dall’art. 9, comma 1, lettera g), del D.L. 8 ottobre
2021, n. 139. Nel caso di specie, il ricorrente ha fatto richiesta di accedere all’identità dei fratelli. La
richiesta non è accoglibile, non sussistono i presupposti per valutare l’attivazione dell’interpello dei
medesimi, secondo l’interpretazione proposta dalla richiamata sentenza della Cassazione n.
6963/2018, secondo la quale, potrà essere consentito l’accesso ai dati identificativi dei fratelli, soltanto
se questi, appositamente interpellati, prestino il loro consenso. Il caso oggetto di esame nell’unico
precedente della Suprema Corte sul punto attiene infatti ad una fattispecie diversa da quella oggi in
considerazione, relativa a un’istanza di accesso alle origini formulata ai sensi dell’art. 28 comma 5
della legge n. 184/1983, per cui l’adottato, raggiunta l’età di venticingue anni, può accedere a
informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche
raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-
fisica. La fattispecie in esame è invece proposta ai sensi dell’art. – 28 comma 7, ovvero nei confronti
della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
In questo caso entra in gioco, sulla base delle pronunce della Cassazione del 2016, il bilanciamento
di interessi rispetto alla protezione dell’identità “sociale” costruita in vita dalla madre che ha scelto
di rimanere anonima. La prassi giurisprudenziale dimostra come sovente le madri anonime
interpellate neghino il consenso alla rivelazione della propria identità per salvaguardare da tale
rivelazione i propri congiunti, i quali ignorano l’esistenza del figlio non riconosciuto dalla madre
deceduta, a differenza che nei casi rientranti nella fattispecie di cui al comma 5, in cui la richiesta di
accesso si riferisce a fratelli consapevoli di essere stati adottati e verosimilmente dell’esistenza di
propri congiunti biologici. Nel caso di specie, dunque, l’esigenza di tutela dell’identità sociale della
madre deceduta, che versa nell’impossibilità di operare la scelta protettiva della sfera personale dei
propri congiunti dalla rivelazione dell’esistenza di un fratello biologico, induce a ritenere non
estensibile a questa fattispecie l’interpretazione evolutiva sposata dall’unico precedente della
Cassazione del 2018.
L’istanza del (…) può dunque essere accolta con riferimento ai soli dati relativi alla madre biologica,
mentre nessuna ricerca (e nessuna informazione) può essere effettuata (o fornita) in relazione ad
eventuali fratelli o sorelle biologici (o altri terzi). L’utilizzo delle informazioni relative all’identità
della madre biologica non può dunque eccedere la finalità per la quale tali informazioni vengono
fornite e delle stesse deve dunque essere fatto un uso corretto e lecito (art. 11 lett. a) D.Lgs. n.
196/2003) e senza cagionare danno, anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione ed ad
altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)
(vedi anche Corte Costituzionale n. 278/2013). Pertanto, al fine di avvalorare, nel caso di specie, il
principio del corretto trattamento dei dati personali, l’istante viene avvertito che non dovrà cercare
di mettersi in contatto con i parenti, potendo altrimenti incorrere nei rimedi risarcitori e sanzionatori
previsti dalla legge per la violazione della tutela dei diritti dei terzi.
P.Q.M.
AUTORIZZA (…) ad accedere alle informazioni relative all’identificazione della madre biologica, con
esclusione di informazioni relative a terzi, informando il medesimo del divieto di ricercare i propri fratelli, e
delle conseguenze sanzionatorie in cui potrebbe incorrere in caso di violazione di questo divieto;
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di sua competenza, anche in ordine alla comunicazione del
provvedimento.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, nei termini imposti dalla legge.
Così deciso in Potenza il 31 marzo 2022.
Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022