L’affido ai servizi non necessita di un termine di durata

Corte d’Appello di Bologna, 29 marzo 2021
N. R.G. 19/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 19/2020 promossa da:
N. K., [ recte : coniuge divorziato ( ex marito ) di H. K. ; ] , nato in Tunisia il (omissis) (omissis) 1976, con
l’avvocato Roberto Giorgi Ronchi del foro di Bologna
APPELLANTE
contro
H. K., [ recte : coniuge divorziato ( ex moglie ) di N. K. ] , nata in Tunisia, il (omissis) (omissis) 1989, con
l’avv. Elisa Battaglia del foro di Bologna
APPELLATA
in punto a
“appello avverso la sentenza n. 12695/2019 del 25 giugno – 4 luglio 2019
del Tribunale di Bologna”
con l’intervento del Procuratore Generale che ha concluso per la conferma della decisione
impugnata.
LA CORTE
udita la relazione della causa fatta dal Consigliere dott.ssa Antonella Allegra;
lette le conclusioni prese dai procuratori delle parti;
letti ed esaminati gli atti ed i documenti del processo, ha così deciso:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 12695/2019 del 25 giugno – 4 luglio 2019, ha
pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto in data (omissis) (omissis) 2017 in
(omissis), (Tunisia), da N. K. e H. K., di nazionalità tunisina, dall’unione dei quali erano nati i
figli J (l’(omissis) (omissis) 2010), X (il (omissis) (omissis) 2012) e W (il (omissis) (omissis) 2015),
ritenendo applicabile alla fattispecie, quanto al vincolo, la legge tunisina — come richiesto
congiuntamente dalle parti — in forza della quale è consentito procedere al divorzio senza un
previo periodo di separazione personale, affermando invece doversi applicare la legge italiana
quanto alla responsabilità genitoriale e all’obbligo alimentare nei confronti dei figli
minorenni, residenti in Italia.
Il Tribunale ha quindi ritenuto di poter far proprie le conclusioni formulate congiuntamente
dalle parti e ha disposto l’affidamento al Servizio Sociale per la durata di sei anni dei tre figli
minori, il loro collocamento presso la madre, con assegnazione alla stessa della casa familiare,
ha inoltre regolato la frequentazione paterna demandando la sua organizzazione al Servizio
Sociale stesso, inizialmente alla presenza di un educatore, e ha infine posto a carico del padre
un contributo al mantenimento dei ragazzi e delle spese straordinarie.
2- Avverso la sentenza predetta ha proposto appello N. K., con ricorso depositato il 4 gennaio
2020, censurando la decisione impugnata esclusivamente nella parte in cui ha stabilito
l’affidamento dei figli minori «..ai Servizi Sociali competenti per la durata di anni 6..», da un lato
perché più volte la sentenza appellata ha fatto riferimento all’accordo delle parti, le quali
avevano sì concordato di lasciare l’affidamento dei tre minori ai Servizi Sociali, come già
disposto nell’ordinanza presidenziale, ma senza indicare alcun termine; dall’altro perché si
tratta di una decisione assai gravosa per il padre e immotivata, comparendo l’indicazione di
un termine così lungo per l’affidamento dei figli minori ai Servizi Sociali per la prima volta
nel dispositivo della sentenza di primo grado.
Ha lamentato che una simile durata dell’affidamento ai servizi finirebbe per menomare il
rapporto ‘padre – figli’ e violare i principi di cui agli artt. 30 Cost. e 337-ter c.c. e ha chiesto

quindi la riforma della sentenza impugnata e l’affidamento dei tre figli minori ai Servizi
Sociali per un periodo non superiore a un anno e sei mesi.
Si è costituita in giudizio H. K. e ha resistito all’impugnazione predetta, invocandone il
rigetto, deducendo la correttezza della decisione del Tribunale di Bologna dal punto di vista
processuale poiché adottata nell’ambito di una procedura contenziosa che, sebbene conclusa
con il raggiungimento di un accordo tra le parti, è rimasta tale e in ogni caso rientrando nei
poteri e nella competenza del Tribunale l’intervenire per disciplinare aspetti non definiti
dalle parti ovvero per modificare condizioni non ritenute rispondenti all’interesse dei minori,
stante la natura pubblicistica dei provvedimenti relativi all’assistenza e alla cura dei minori,
non governati dal principio della domanda (Cass. sent. 11218/2013).
Ha chiesto quindi l’integrale conferma della sentenza appellata.
E’ intervenuto il Procuratore Generale e ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
La causa è stata trattata con il rito camerale ed è stata trattenuta in decisione.
3- Preliminarmente si osserva che non vi è contestazione di sorta in ordine allo scioglimento
del matrimonio, né quanto al mantenimento e neppure all’affidamento di per sé al Servizio
Sociale, riguardando l’impugnazione unicamente la durata dell’affidamento al Servizio
sociale, essendo condivisa dalle parti la necessità che i ragazzi siano affidati allo stesso.
Pur essendo ciò pacifico e non oggetto di impugnazione, vale la pena comunque di
richiamare le ragioni che hanno reso necessario una simile regolamentazione
dell’affidamento: e cioè la notevolissima conflittualità fra le parti, e i comportamenti,
inizialmente definiti come “..persecutori..”, da parte del marito nei confronti della moglie,
come inequivocabilmente si evince dall’ordinanza presidenziale (che ha confermato le
condizioni di cui al provvedimento già disposto dal Tribunale per i minorenni).
Vi è inoltre la prova dell’inadeguatezza della condotta tenuta dal padre nella relazione del
Servizio Sociale datata 19 dicembre 2018, nella quale si dà atto che N. K. “..solo in alcune brevi
occasioni si è mostrato collaborativo e intento a migliorare le proprie competenze genitoriali; tuttavia, ad
oggi, non mostra sufficiente consapevolezza del proprio ruolo e di come questo debba essere esercitato e
dà prova di scarsa autonomia nella gestione di minori, ponendo dubbi sulle sue capacità di dispensare
adeguate cure..” (v relazione depositata al Tribunale di Bologna il 3 giugno 2019).
Tali circostanze giustificano pienamente la misura dell’affidamento ai Servizi Sociali (non
contestata neppure dalla madre, pur ritenuta adeguata dal Servizio stesso), del quale peraltro
non pare necessario predeterminare la durata, dal momento che il provvedimento resta in
essere fino a quando non si verifichino mutamenti nello stato di fatto, nei rapporti fra le
parti, nell’atteggiamento dei genitori nei confronti della prole (e viceversa) atti a giustificarne
la modifica: com’è noto in materia di affidamento dei figli minori e mantenimento della
prole e del coniuge vige il principio “rebus sic stantibus.”.
Non si ignora l’orientamento secondo il quale non è precluso al giudicante disporre una
determinata disciplina — specie se limitativa della titolarità o dell’esercizio della responsabilità
genitoriale — per il tempo che si reputa strettamente necessario a produrre determinati effetti
nell’interesse della prole.
Tale scelta appare peraltro condivisibile solamente nell’ipotesi in cui le risultanze di causa
consentano di acquisire elementi sufficientemente stringenti perché possa essere elaborata
una prognosi dettagliata e verosimile, non essendovi diversamente ragione per disporre una
limitazione temporale del provvedimento.
Nel caso di specie non solo non si ravvisano le ragioni per le quali si possa fin d’ora ritenere
che la necessità di affidare al Servizio Sociale i minori verrà meno dopo sei anni dalla
pronuncia della sentenza, ma neppure vi è modo di individuare il percorso logico seguito dal
Tribunale di Bologna, che non ha in alcun modo motivato le ragioni della durata.
Non può quindi ritenersi condivisibile, contrariamente a quanto dedotto dall’appellata,
privilegiare l’esigenza di “..evitare una nuova apertura del procedimento giudiziario..”, così come ha
fatto il Tribunale di Bologna .
E’ invece senz’altro vero che, nonostante le parti avessero rassegnato conclusioni congiunte,
ben poteva il Tribunale intervenire “..in via integrativa indicando il termine..”, nell’interesse della
prole minorenne, poiché rientra in ogni caso, nei poteri e nella competenza del Tribunale
l’intervenire per disciplinare aspetti non definiti dalle parti ovvero per modificare condizioni
non ritenute rispondenti all’interesse dei minori. Infatti i provvedimenti relativi all’assistenza
e alla cura dei minori hanno natura pubblicistica e non sono quindi governati dal principio
della domanda (Cass. sent. 11218/2013).
Proprio per tali ragioni ben può questa Corte disporre, a garanzia dell’interesse dei minori, di
revocare la previsione aggiuntiva relativa alla durata di sei anni, non potendosi in alcun modo
prevedere che alla scadenza del sesto anno una diversa disciplina (in difetto di altre previsioni
coincidente con quella “legale” dell’affidamento condiviso) possa apparire adeguata per i
minori, risultando assai più garantista per i tre ragazzi che solo a fronte di uno sperimentato
miglioramento delle capacità genitoriali di entrambe le parti, si proceda alla modifica
(consensuale o meno) dell’affidamento al Servizio Sociale.
Ancor meno può ritenersi prevedibile che in tempi assai più brevi (un anno e mezzo dalla
pubblicazione della sentenza di primo grado) la condotta paterna sarà sufficientemente
consapevole e rassicurante e l’accordo fra i genitori ripristinato, al fine di garantire una
gestione concordata della prole.
4- Pur nel rigetto delle ragioni dell’appellante, la modifica sostanzialmente officiosa delle
statuizioni di primo grado, nell’interesse della prole minorenne, induce a ritenere equa la
compensazione delle spese di lite fra le parti anche per questo grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita,
così dispone:
I- in parziale modifica della sentenza impugnata, dispone l’affido dei figli minori J, X e W al
Servizio sociale territorialmente competente, senza limiti di durata e fino a diverso
provvedimento;
II- conferma nel resto la sentenza impugnata;
III- compensa le spese di lite fra le parti.