Testamento. Annullamento per incapacità del testatore ed impugnazione di una disposizione testamentaria effetto di dolo

Tribunale di Reggio Emilia, sent. 6 settembre 2021
TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA
SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Francisco Parisoli Presidente
dott. Damiano Dazzi Giudice Relatore
dott. Stefano Rago Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. 617/2019 promossa da:
CARDOSO LORENA, CARDOSO LIDIA, CARDOSO PAULO ANTONIO, con il patrocinio
dell’avv. FRANCHI DANIELA;
ATTORI
contro
ALBUFERIA MARIA HELENA, MIRANDA MELLO FRANCISCO, con il patrocinio dell’avv.
BONI ANDREA;
CONVENUTI
CONCLUSIONI
Gli attori hanno concluso come da separato foglio, depositato con modalità telematiche in data
07.04.2021.
I convenuti hanno concluso come da separato foglio, depositato con modalità telematiche in data
08.04.2021.
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.
Lorena Cardoso, Lidia Cardoso e Paulo Antonio Cardoso convenivano in giudizio Albuferia Maria
Helena e Francisco Miranda Mello, per impugnare il testamento pubblico redatto a ministero Notaio
di Modena dr. Alessandro Frigo in data 15.07.2016, pubblicato il 27.09.2018, con il quale il de
cuius Alexis Cardoso, deceduto a Castelnovo né Monti (RE) in data 23.06.2018, aveva nominato eredi
universali i convenuti Albuferia Maria Helena e Francisco Miranda Mello, rispettivamente badante
e vicino di casa del defunto.
Gli attori, nell’atto di citazione, chiedevano che il testamento impugnato del 15.07.2016 fosse
dichiarato nullo perché tale atto non risultava firmato dal testatore e dai testimoni.
Proponevano inoltre azione di annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore,
deducendo che il de cuius, alla data del 15/07/2016, si trovasse in stato di assoluta incapacità di
intendere e di volere.
In via subordinata, svolgevano domanda di annullamento del testamento ex art. 624 c.c., sostenendo
che le disposizioni testamentarie fossero state frutto della captazione della volontà del de cuius e di
violenza.
Deducevano, conseguentemente, che la successione dovesse essere regolata dal precedente
testamento pubblico del 11.11.2013, redatto a ministero Notaio di Scandiano (RE) dr. Benedetto
Catalini, che li vedeva nominati eredi universali.
Concludevano quindi chiedendo:
• di accertare che il testamento pubblico redatto il 15.07.2016 a ministero del Notaio
Alessandro Frigo, pubblicato il 27.09.2018, fosse affetto da nullità per carenza della firma del
testatore e dei due testimoni;
• di accertare la sussistenza dell’incapacità di intendere e volere del testatore e di conseguenza
di dichiarare l’annullamento del testamento, nonché, in subordine, di dichiararne
l’annullamento “per captazione, dolo e/o violenza subiti dal testatore”.
I convenuti, costituitisi in giudizio, eccepivano in via preliminare la mancanza della condizione di
procedibilità della domanda di nullità del testamento, nonché della domanda subordinata di
annullamento del testamento per captazione, stante il mancato esperimento, su tali domande, del
procedimento di mediazione obbligatoria. Nel merito, contestavano la fondatezza delle domande
attoree e ne chiedevano il rigetto con condanna delle controparti al risarcimento del danno per lite
temeraria ex art. 96 c.p.c.
Deducevano che il testamento pubblico in questione del 15.07.2016 fosse pienamente valido in
quanto munito delle firme del testatore, dai testimoni e del Notaio, e che parte attrice non avesse
fornito la prova rigorosa richiesta dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al fatto che il
testatore, in epoca prossima al 15.07.2016, fosse incapace di intendere e volere ex art. 591 cod. civ.
Alla prima udienza del 20.06.2019 il Giudice, accogliendo l’eccezione preliminare dei convenuti,
rilevava che la domanda di mediazione contenesse esclusivo riferimento, quali ragioni della pretesa,
all’incapacità naturale del de cuius, e non alla domanda di nullità ed alle altre ragioni di
impugnazione dedotte nell’atto di citazione, cosicché, in ragione della mancata simmetria
tra petitum e causa petendi fatti valere in sede di mediazione e quelli successivamente presentati in
sede processuale e della conseguente mancata realizzazione della condizione di procedibilità di tutte
le domande attoree, assegnava termine per l’esperimento del procedimento di mediazione su tutte
le domande svolte.
La mediazione sortiva esito negativo.
Nel corso del giudizio di merito, in accoglimento dell’istanza cautelare ex art. 670 c.p.c. avanzata
dagli attori, il Giudice, con decreto inaudita altera parte confermato con successiva ordinanza a sua
volta confermata in sede di reclamo, autorizzava il sequestro giudiziario dei beni rientranti nell’asse
ereditario del de cuius Alexis Cardoso.
Assegnati i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., la causa veniva istruita con CTU a firma della dr.ssa
Laura Lestingi, finalizzata ad accertare, sulla base della documentazione medica in atti, se il testatore
Alexis Cardoso fosse o meno in condizioni di capacità di intendere e di volere al momento della
redazione del testamento pubblico del 15.07.2016.
Veniva inoltre assunta la prova testimoniale alle udienze del 25/11/2020, del 27/01/2021 e del
10/03/2021.
Gli attori, in corso di causa, chiedevano in data 10/03/2021 l’ammissione di due querele di falso
aventi ad oggetto, rispettivamente, la prima il testamento pubblico del 15/07/2016, e la seconda il
certificato medico del 24.05.2016 del Dott. Farouk Ramadan; querele entrambe non autorizzate dal
giudice istruttore con ordinanza del 12.03.2021.
All’udienza del 15.04.2021, le parti precisavano le conclusioni ed il giudice istruttore rimetteva la
causa al Collegio, assegnando i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e
di memorie di replica.
Fatte queste premesse, si esamina la fattispecie in decisione.
Parte attrice ha introdotto il presente giudizio affermando, nell’atto di citazione, che il testamento
pubblico impugnato fosse privo della firma del testatore e dei testimoni, e per tale ragione ne ha
chiesto la declaratoria di nullità.
Quanto agli elementi identificativi dell’azione di nullità proposta, il petitum è dunque rappresentato
dalla pronuncia di nullità del testamento, mentre la causa petendi (ossia la ragione per cui si è
domandata la nullità) è rappresentata dall’affermata mancanza di firma in calce al testamento: si
legge infatti nella sesta e settima pagina dell’atto di citazione, che il testamento in questione non
riportasse in calce le firme (“delle firme non vi è traccia”), con conseguente sua nullità (“Ne deriva che
qualora il testamento non sia stato sottoscritto questo sarà affetto da nullità”).
Ritiene il Collegio che la domanda sia infondata perché, come si evince chiaramente dal documento
n. 9 prodotto dagli stessi attori con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., il testamento pubblico
del 15.07.2016 risulta sottoscritto sia dal testatore che dai testimoni e dal Notaio, come peraltro
attestato dal Notaio stesso.
Mentre nell’atto introduttivo del giudizio, come si è detto, gli attori hanno fondato la loro domanda
di nullità sull’assunto che il testamento fosse privo della firma del testatore, nella successiva
memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. essi hanno introdotto, a sostegno della domanda di nullità,
una nuova e diversa causa petendi, affermando che il testamento risultasse sì firmato (“le firme ci
sono”), ma che la firma non fosse riconducibile al testatore o comunque fosse stata apposta “con mano
guidata ovvero con mano forzata”.
Ora, un conto è affermare la nullità del testamento perché non risulta firmato (come asserito dagli
attori nell’atto di citazione); altro è affermare la nullità del testamento perché la firma, seppur
presente, non sia autografa del testatore o comunque sia stata guidata dalla mano di terzi (come pare
sostenere parte attrice nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.).
Le due causae petendi sono diverse.
Ritiene pertanto il Collegio che la domanda attorea di accertamento della nullità del testamento del
15.07.2016 (petitum) così come formulata per la prima volta con la memoria ex art. 183, comma 6, n.
1 c.p.c. (“Accertare che il testamento pubblico redatto il 15.07.2016 dal de cuius Alexis Cardoso a ministero
del Notaio Alessandro Frigo e pubblicato il 27.09.2018 dallo stesso Notaio è affetto da nullità/annullabilità in
quanto la firma del testatore Alexis Cardoso non è riconducibile allo stesso ovvero è stata apposta
con mano guidata ovvero con mano forzata”) debba essere dichiarata inammissibile trattandosi di
domanda nuova, in quanto avente una causa petendi diversa da quella indicata nell’atto di citazione,
ove gli attori avevano domandato che il testamento fosse dichiarato nullo perché era privo della
firma del testatore e dei testimoni (“accertare che l’originale del testamento pubblico redatto il 15.07.2016
dal de cuius Alexis Cardoso a ministero del Notaio Alessandro Frigo e pubblicato il 27.09.2018 dallo stesso
Notaio è affetto da nullità per carenza di elementi essenziali nello specifico carenza della firma del testatore
e dei due testimoni”).
Va poi osservato che, come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione, la parte che contesti
l’autenticità del testamento deve proporre non già querela di falso, bensì azione di accertamento
negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali
dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa: in questo senso si sono espresse
Cass. Sez. Un. 15 giugno 2015, n. 12307 (conf., ancora più di recente, Cass. n. 109/2017).
Ebbene, nel caso di specie nessuna prova è stata fornita da parte attrice, entro i termini
istruttori ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c., circa il fatto che la firma fosse stata apposta da Alexis
Cardoso “a mano guidata”, o che fosse stata apposta da soggetti terzi; quindi l’azione di
accertamento negativo della provenienza della firma sarebbe comunque infondata nel merito per
mancanza della relativa prova.
Anzi, nel testamento pubblico in questione, il Notaio dr. Alessandro Frigo ha attestato testualmente
che “il presente testamento viene sottoscritto alle ore diciassette e trenta dal testatore, dai testimoni…”, ed
ha ricevuto le dichiarazioni del testatore Alexis Cardoso, che in tal sede dichiarava al Notaio “di poter
sottoscrivere con difficoltà …per l’età avanzata”.
Inoltre, nel corso del giudizio, all’udienza del 25.11.2020, lo stesso Notaio dr. Alessandro Frigo,
escusso come testimone, ha precisato: “Preciso che il sig. Alexis Cardoso firmò davanti a me ed ai
testimoni da solo sebbene a fatica, con mano tremolante”, e dunque, contrariamente a quanto
sostenuto dagli attori, deve escludersi che la firma fosse stata apposta dal testatore “a mano guidata” o
addirittura da persona diversa dal testatore medesimo.
Parte attrice, ad istruttoria orale già esaurita, all’udienza del 10.03.2021 ha proposto querela di falso
nei confronti del testamento pubblico del 15.07.2016 di cui si discute.
Si tratta, tuttavia, di querela inammissibile. Questo Collegio, al riguardo, condivide e fa proprie le
motivazioni dell’Ordinanza del Giudice Istruttore resa in data 12.03.2021, stante il necessario
esperimento, a tal fine, non già di querela di falso ma di azione di accertamento negativo in ordine
alla riferibilità della firma al testatore; azione risultata nel caso concreto inammissibile e comunque
infondata nel merito per le ragioni più sopra esplicitate.
La difesa attorea ha, poi, dedotto l’invalidità del testamento impugnato sotto il diverso profilo
dell’asserita infermità e deficienza psichica del de cuius, sostenendo che Alexis Cardoso, all’atto del
testamento pubblico in data 15.07.2016 ricevuto dal notaio Alessandro Frigo, sarebbe stato “affetto da
grave deficit cognitivo così come certificato dalla Dott.ssa Patrizia Cardoso il 13.02.2017”.
La prova dell’incapacità di intendere e di volere del testatore al momento della redazione del
testamento era a carico della parte che ha chiesto l’annullamento del testamento, ossia a carico degli
attori (ex multis, Cass. ord. 22 gennaio 2019, n. 1682).
Non è sufficiente una semplice alterazione delle capacità psichiche, ma occorre la prova dell’assenza
assoluta della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi nel momento in cui viene
redatto il testamento.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha un orientamento ormai da tempo consolidato,
secondo cui “L’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non
già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova
che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia
privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti
ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità
assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere” (così, tra
le tante, Cass. n. 8690/2019; Cass. n. 27351/2014; Cass. n. 15480/2011 Cass. n. 9081/2010), con la
precisazione per cui “poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta
a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità salvo che il testatore non risulti affetto da
incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la
corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo” (così Cass. n. 27351/2014; conf., da ultimo,
Cass. sez. 6-2, ord. n. 3934 del 19 febbraio 2018).
Nel caso per cui si procede, quindi, gli attori avevano l’onere di dimostrare in modo preciso e
rigoroso la sussistenza non di mere difficoltà psicofisiche del defunto, ma di una grave
compromissione delle sue capacità cognitive, tale da determinarne un vero e proprio stato di
incapacità.
Ciò premesso, deve rilevarsi che, nel caso di specie, anche la domanda attorea di annullamento del
testamento per asserita incapacità naturale del de cuius, proposta ai sensi dell’art. 591, comma 2, n.
3) cod. civ., si sia rivelata sfornita di prova sufficiente.
La causa è stata istruita mediante l’acquisizione di prove documentali (documentazione medica
relativa al de cuius) e testimoniali, nonché tramite l’espletamento di una C.T.U. depositata il
25.01.2021 a firma della dr.ssa Laura Lestingi, medico specialista in neurologia e specialista in
psichiatria, per verificare la valenza della documentazione medica fornita dalle parti.
Le prove testimoniali ed i documenti prodotti non hanno fornito la prova rigorosa richiesta dalla
succitata giurisprudenza di legittimità in ordine alla sussistenza dell’incapacità di intendere e di
volere del de cuius.
Quanto alla documentazione medica in atti, la C.T.U. ha osservato che “Solo DOPO l’esecuzione
dell’atto testamentario sono presenti agli atti certificati attestanti la presenza di un deterioramento senile la
cui entità viene valutata solo con test di primo livello e senza alcun tipo di esame strumentale”.
In particolare, con specifico riferimento al certificato redatto della geriatra dr.ssa Patrizia Cardoso in
data 13 febbraio 2017 presso il Centro Disturbi Cognitivi, Distretto di Scandiano, valorizzato da parte
attrice a sostegno della propria domanda di annullamento per incapacità (doc. attoreo n. 4), in tale
certificato la geriatra riporta testualmente: “nel corso dell’ultimo anno, c’è stato un peggioramento del
deficit cognitivo. E’ disorientato, non riconosce la propria casa e la persona che lo assiste, presenta un rapido
oblio per le informazioni recenti. Totale dipendenza nella IADL; nelle attività di base della vita quotidiana per
evidenti deficit nella fase esecutiva dipende da altra persona nell’igiene e nella vestizione, …. si alimenta da
solo con cibi pronti, deambula affiancato per sicurezza. Alla valutazione neuropsicologica paziente
collaborante, l’eloquio spontaneo è fluente ma ridotto e povero nei contenuti; non sempre adeguata la
comprensione delle consegne verbali, ci sono deficit nella lettura e nella scrittura. E’ disorientato nel tempo,
parzialmente orientato nello spazio e sui dati personali. Sono presenti deficit importanti
nell’attenzione/calcolo, nella memoria, nelle funzioni visuo-spaziali e visuo-costruttive, esecutive …
Conclusioni: Quadro di avanzata demenza senile…”.
Pur vero che la geriatra dr.ssa Cardoso ha riportato, nel citato certificato del 13/02/2017, un
peggioramento del deficit cognitivo “nel corso dell’ultimo anno” (da cui si desume un esordio del
decadimento cognitivo già a febbraio 2016); tuttavia la C.T.U. ha ritenuto tale inciso generico,
inducendo “presuntivamente a considerare la presenza di sintomi di impossibile entità e definizione,
considerando la mancanza di dati obiettivi sui quali confermare la modalità di esordio”, ed ha sottolineato
come, in ogni caso, “la presunta diagnosi di demenza prima dell’atto testamentario non sia bastevole a
definire l’esclusione della capacità naturale del testando al momento della disposizione dell’atto” (pagg. 28 e
29 relazione CTU).
Le conclusioni a cui è giunta la C.T.U. sono oltremodo condivisibili, se si considera la deposizione
testimoniale resa all’udienza del 25.11.2020 dalla stessa geriatra dr.ssa Patrizia Cardoso, la quale ha
dichiarato, proprio con riferimento al menzionato certificato dalla stessa redatto il 13.02.2017, che la
situazione dello stato cognitivo di Alexis Cardoso dell’anno precedente (2016) le fosse stata riferita
da coloro che avevano accompagnato il paziente alla visita medica, e non fosse stata quindi da lei
stessa accertata direttamente con riscontri obiettivi (” la situazione dell’anno precedente l’ho raccolta in
sede di anamnesi raccogliendo informazioni da chi lo accompagnava … Preciso che io nel 2016 non ho mai
visitato il paziente Alexis Cardoso , l’ho visitato per la prima volta nel 2017″).
Il C.T.P. degli attori ha sostenuto che, presuntivamente, Alexis Cardoso fosse affetto da demenza
senile già un anno prima rispetto al certificato della geriatra del febbraio 2017.
Ritiene al riguardo il Collegio che la C.T.U. abbia adeguatamente risposto a tale osservazione del
C.T.P. attoreo, evidenziando sul punto che, “nella situazione specifica, l’assenza di accertamenti sanitari
e strumentali, rende impossibile determinare sia l’epoca di esordio che la progressione della sintomatologia,
nonché la sua relazione con la capacità di testare. La mera diagnosi di demenza nel periodo posteriore al
testamento non permette di evincere automaticamente il fatto che il 15 luglio 2016 il testatore sia stato affetto
da incapacità totale e permanente. Nel caso specifico la prima documentazione medica comprovante la patologia
cognitiva è successiva di diversi mesi, circa sette, dalla data di redazione del testamento. Essa è compilata senza
alcun esame strumentale e di secondo livello e quindi non può essere sufficiente, in assenza di dati obiettivi
scientificamente documentati, a far presumere l’incapacità naturale del soggetto al momento dell’atto. Non si
riscontrano i presupposti per l’inversione dell’onus probandi sulla presunzione di incapacità naturale anche
precedente all’atto, in quanto la ricostruzione documentale non permette di trovare riscontri oggettivi
indicanti una compromissione rilevante delle funzioni dell’Io”.
Come visto era onere degli attori dimostrare lo stato di incapacità del defunto al momento del
testamento. Di conseguenza, l’eventuale incertezza sulle sue effettive condizioni deve ricadere su di
loro.
Gli esiti della C.T.U., che il Collegio ritiene di condividere in quanto chiari, ben argomentati e privi
di vizi logico-giuridici, non consentono quindi di accogliere la domanda di annullamento del
testamento.
Il perito incaricato dal Tribunale dott.ssa Laura Lestingi, nella propria relazione peritale depositata
il 25.01.2021, ha infatti affermato, all’esito di un approfondito esame di tutta la documentazione
medica prodotta in atti, che, “nel caso specifico, l’esiguità della documentazione inerente il periodo
antecedente all’atto testamentario, l’assenza di esami strumentali e di tests neuropsicologici di secondo livello,
non permette di stabilire in modo rigoroso che il soggetto fosse incapace di intendere e di volere al momento
dell’atto” (pag. 27 relazione CTU).
In particolare, in ordine al quadro clinico del testatore antecedente al testamento, dalla CTU e dalla
documentazione medica prodotta, emerge innanzitutto un certificato del febbraio 2015, effettuato
presso l’ambulatorio di neurologia di Scandiano, da cui si evince una descrizione dell’esame
obiettivo neurologico “nella norma, “non vengono riferiti disturbi neurologici di recente insorgenza” (pag.
27 CTU).
Spiega a tal proposito la dr.ssa Lestigi che “Cardoso Alexis avrebbe manifestato un episodio di ischemia
cerebrale transitoria che non avrebbe lasciato sintomi neurologici, sia cognitivi che somatici, in base al
contenuto del certificato. La neurologa ha prescritto una terapia antiaggregante finalizzata alla riduzione del
rischio di recidive, ma nel certificato non si evidenziano problematiche cliniche temporanee o permanenti. Si
sottolinea che non vengono citati esami strumentali eseguiti antecedentemente o in occasione della visita e non
è possibile evincere se il TIA abbia interessato il circolo cerebrale anteriore o quello posteriore-vestibolare, quali
siano stati i sintomi …”. La CTU ha in ogni caso rilevato come fosse sicuro che, dal 2009 al 2015, non
fossero sopravvenute complicanze, anzi nel febbraio del 2015 l’obiettività neurologica fosse “nella
norma” (pag. 28 relazione CTU).
Quanto invece al quadro clinico del testatore successivo alla redazione del testamento, osserva la
CTU che, “nel 2017, esistono documenti agli atti che evidenziano uno scadimento delle funzioni cerebrali
superiori del signor Alexis Cardoso, anche se mancano valutazioni neuropsicologiche di secondo livello ed
esami strumentali indispensabili, come la TAC cerebrale o la RMN encefalica. Nella cartella clinica del centro
per le demenze mancano molti dati anamnestici, rendendo così impossibile la ricostruzione dell’esordio e
dell’andamento della condizione involutiva cerebrale” con specifico riferimento alla data del testamento
del 15 luglio 2016 (pag. 30 relazione CTU).
La CTU ha quindi concluso affermando che, “esaminata la documentazione agli atti il signor Alexis
Cardoso il giorno 15 luglio 2016 , alla data della redazione del testamento, era in condizione di capacità di
intendere e di volere in relazione alla capacità di testare esercitata con il suddetto testamento .
Non risultano infatti elementi clinici per ipotizzare l’abolizione della capacità naturale al momento del negozio
giuridico considerando l’assenza di prove documentali in merito all’esistenza in data 15 luglio 2016 di una
patologia neurologica o psichiatrica di entità tale da interferire gravemente con le funzioni cerebrali
superiori” (pagg. 30-31 relazione CTU).
Si aggiunga che le ultime volontà furono espresse da Alexis Cardoso avanti al Notaio con la
redazione di un atto con tutte le formalità previste dalla legge per il testamento pubblico, e
trattandosi di volontà testamentarie rese nella forma pubblica, non può trascurarsi il fatto che il
Notaio dr. Alessandro Frigo non avesse rilevato, nel momento in cui ha ricevuto le ultime volontà
del Cardoso, alcuna alterazione delle sue capacità mentali. Il Notaio Alessandro Frigo, in sede di
deposizione testimoniale, all’udienza del 25.11.2020, ha sul punto dichiarato con riferimento al
testatore: “mi apparve come un signore, che non avevo mai visto prima, anziano alto circa come me che
camminava da solo e parlava normalmente. Mi disse che era vedovo e che aveva perso l’unico figlio, che non
aveva altri parenti, nipoti genitori ovviamente, e che quindi aveva intenzione di lasciare tutti i suoi beni alle
persone che in quel momento gli stavano facendo del bene. Preciso che quando abbiamo redatto il testamento
erano presenti solo i testimoni previsti per legge e il testatore oltre al sottoscritto, l’accompagnatore era rimasto
fuori ad aspettare…” (verbale d’udienza del 25.11.2020).
Infine, deve osservarsi che nessun elemento a sostegno della tesi dell’incapacità naturale del
testatore possa trarsi dal contenuto del testamento.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini dell’accertamento sulla sussistenza
o meno della capacità di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del
testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto del testamento medesimo e gli
elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle
relative disposizioni, nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate (cfr. Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 230 del 05/01/2011).
Nel caso specifico, dal testamento si evincono le ragioni delle ultime volontà dichiarate dal testatore
(“Nomino eredi in parti uguali, per ringraziarli per l’assistenza che da anni mi prestano: Miranda Mello
Francisco, nato a…; Albuferia Maria Helena, nata a …”), e non è emerso che tra il defunto ed i beneficiari
del testamento sussistesse una conflittualità incompatibile con la volontà di istituirli eredi, né
tantomeno che i rapporti con gli attori fossero talmente preferenziali da rendere inspiegabile la loro
pretermissione.
La difesa attorea ha, poi, dedotto l’invalidità del testamento pubblico del 15.07.2016, chiedendone
l’annullamento sotto il diverso e subordinato profilo della “captazione, dolo e/o violenza subiti dal
testatore”, come tali riconducibili all’art. 624 cod. civ. .
È noto che, secondo giurisprudenza da tempo consolidata, la cd. “captazione” rientra tra le forme in
cui può manifestarsi il dolo ex art. 624 c.c., per cui deve considerarsi annullabile il testamento redatto
dal de cuius sotto il condizionamento di un’influenza psicologica capace di incidere in modo
determinante sul processo formativo della sua volontà, che altrimenti si sarebbe indirizzata in modo
diverso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6396 del 22/04/2003).
Questa forma di invalidità presuppone, ovviamente, la prova della captazione, che grava sulla parte
che chiede l’annullamento, la quale ha l’onere di dimostrare non soltanto l’esistenza di un’influenza
sul de cuius, ma anche che il beneficiario della disposizione testamentaria si sia avvalso di un mezzo
fraudolento.
In particolare, in tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di
dolo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “per potere configurarne la sussistenza non è
sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste,
suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di veri e propri raggiri o altri mezzi fraudolenti, i quali –
avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in
inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe
spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che
consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul
processo formativo della volontà del testatore che altrimenti si sarebbe indirizzata in modo diverso” (Cass.
Sez. 2, n. 14011 del 28/05/2008; Cass. Sez. 2, n. 824 del 16/01/2014; Cass. Sez. 2, n. 6396 del 22/04/2003;
Cass. Sez. 2, n. 4653 del 28/02/2018).
Ciò posto, ritiene il Collegio che, nel caso concreto, gli attori non abbiano allegato, né tantomeno
provato, fatti certi e specifici che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e
l’influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore, essendosi limitati a
riferire, genericamente, che il de cuius vivesse “in uno stato di assoggettamento psicologico nei confronti
della badante” (pag. 2 atto di citazione), nonché di un tentativo messo in atto dalla convenuta
Albuferia di isolare il Cardoso dai nipoti mediante cambiamento della serratura di casa, in modo
tale da impedire ai nipoti stessi di accedervi liberamente.
Né sono stati allegati e provati specifici fatti da cui possa trarsi la conclusione che le disposizioni
testamentarie in questione fossero state l’effetto di una violenza subita dal testatore.
La domanda degli attori va, dunque, rigettata anche sotto questo profilo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, le domande attoree vanno, in definitiva, tutte
respinte in quanto infondate. Ne consegue la revoca del sequestro giudiziario disposto in corso di
causa.
Le spese di lite, ivi comprese quelle della fase cautelare e di mediazione, sono regolate dal principio
della soccombenza e sono liquidate in dispositivo facendo applicazione dei criteri e dei parametri
previsti dal DM 55/2014 così come modificato dal D.M. 08/03/2018 n. 37.
Quanto alle spese della fase cautelare (procedimento per sequestro giudiziario in corso di causa R.G.
617/2019 – sub 1), si precisa che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “il provvedimento
cautelare chiesto in corso di causa dà vita ad un subprocedimento incidentale, come tale privo di autonomia
rispetto alla causa di merito. Ne consegue che la regolamentazione delle spese processuali di detto
subprocedimento non può che essere disposta, al pari di quella relativa alle spese che si sostengono nel
procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest’ultimo” (in tal senso, Cass. civ. Sez. II,
sentenza n. 3436 dell’11/02/2011; si veda inoltre Cass. civ. Sez. III, ordinanza n. 12898 del 13/05/2021).
Non trova applicazione l’aumento richiesto del 30% ex art. 4, comma 2, D.M. 55/2014, atteso che, pur
essendo presenti due parti convenute aventi la stessa posizione processuale, tale maggiorazione
risulta neutralizzata dalla speculare riduzione in pari misura del 30% prevista dal successivo art. 4,
comma 4, del D.M. 55/2014, non avendo la prestazione professionale dell’avvocato nei confronti di
più soggetti comportato l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto.
Le spese di C.T.U., già liquidate con separato decreto del 26.01.2021, sempre in forza del principio
di soccombenza vanno poste in via definitiva a carico degli attori in solido tra loro.
Il compenso del custode giudiziario nominato con decreto del 12 agosto 2019, nel procedimento per
sequestro giudiziario R.G. 617/2019 – sub 1 e già liquidato con separato decreto del 04/09/2021, deve
parimenti da porsi in via definitiva a carico degli attori in solido tra loro in quanto soccombenti.
Confluisce inoltre negli esborsi da riconoscere ai convenuti anche il compenso del consulente tecnico
di parte convenuta Dott. Personé, pari ad € 1.020,00, documentato dalla fattura n. 292 del 14-12-2020,
prodotta dai convenuti con la memoria di replica.
Venendo, infine, alla richiesta di condanna degli attori ai sensi dei commi primo e terzo dell’art. 96
c.p.c., ritiene il Tribunale che le difficoltà insite nella valutazione postuma della capacità di intendere
e volere del de cuius e dell’evoluzione del suo quadro clinico, escludano la sussistenza del
presupposto soggettivo previsto dall’art. 96 c.p.c., vale a dire l’aver agito in giudizio con mala fede
o colpa grave.
P.Q.M.
Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni
diversa ed ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede:
1. respinge le domande degli attori;
2. revoca il sequestro giudiziario disposto con decreto emesso in data 12.08.2019 e confermato
con ordinanza in data 3.9.2019;
3. condanna gli attori in solido tra loro al pagamento in favore dei convenuti delle spese di lite,
ivi comprese quelle della fase cautelare, che liquida complessivamente in € 15.343,00 per
compenso, in € 1.210,40 per esborsi (di cui € 1.020,00 per spese di CTP, € 16,40 per spese di
citazione dei testi ed € 174,00 per anticipazioni sostenute nella fase cautelare), oltre IVA e
CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex
art. 2 del D.M. 55/2014;
4. condanna gli attori in solido tra loro al pagamento, in favore dei convenuti, delle spese
relative al procedimento di mediazione, che liquida in € 510,00 per compenso, in € 341,60 per
anticipazioni, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura
del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014;
5. pone il compenso del custode giudiziario così come già liquidato con separato decreto del
04/09/2021, in via definitiva a carico degli attori in solido tra loro;
6. pone le spese di CTU, così come già liquidate con separato decreto del 26.01.2021, in via
definitiva a carico degli attori in solido tra loro;
7. rigetta la domanda dei convenuti formulata ex art. 96 c.p.c.
Reggio Emilia, 6 settembre 2021.
Il Giudice estensore
Dott. Damiano Dazzi
Il Presidente
Dott. Francisco Parisoli

Pubblicazione il 06/09/2021