Il discrimen tra tentativo e consumazione del reato di violenza sessuale

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 20 settembre 2021, n. 34655

Diritto penale della famiglia – Violenza sessuale – Delitti contro la persona; Rif. Leg. Art. 609-bis
c.p.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere –
Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere –
Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.F.J.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 02/07/2020 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
letta la requisitoria redatta ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, dal Pubblico Ministero
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso;
lette le note di udienza redatte dal difensore avv. D. G., il quale insiste nell’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Torino confermava la decisione emessa dal
Tribunale di Torino e appellata dall’imputato, la quale, riconosciuta la circostanza attenuante di cui
all’art. 609 bis c.p., comma 3, con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, aveva
condannato G.F.J.G. alla pena ritenuta di giustizia in ordine al tentativo di violenza sessuale
commesso in danno della moglie.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per
cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed b), in
relazione agli artt. 336 e 337 c.p.p. Assume il ricorrente che la querela sarebbe invalida, perchè
contiene domande formulate dall’ufficiale di p.g. alla persona offesa, in violazione dell’art. 336 c.p.p.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in
relazione al riconoscimento del tentativo. La motivazione merita censura, ad avviso del ricorrente,
laddove ha ravvisato l’ipotesi del tentativo, senza valutare adeguatamente l’ipotesi alternativa offerta
dalla difesa, in quanto: a) la donna ha riferito che il marito avrebbe volute ucciderla, sicchè la sua
impressione non era quella di aver subito un tentativo di violenza sessuale; b) l’abbigliamento
indossato dall’imputato era incompatibile con la volontà di abusare della moglie; c) non è riscontrata
la circostanza che l’imputato abbia spostato la moglie in posizione supina; d) la donna ha riferito di
non ricordare se il marito fosse eccitato; e) non è dato comprendere perchè sia stata esclusa l’ipotesi
che il marito avesse semplicemente compiuto un gesto di rabbia; f) la donna non ha avviato le pratiche
per la separazione, nè è comparsa, tramite il difensore, nel giudizio di appello.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in
relazione al mancato riconoscimento della desistenza, che, ad avviso del ricorrente, sarebbe
ravvisabile nel caso in esame, avendo l’imputato interrotto la propria azione.
3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo è inammissibile perchè l’asserita violazione di legge, con riferimento agli artt. 336
e 337 c.p.p., in relazione ai presupposti della querela presentata dalla persona offesa il 24 settembre
2016, non era stata dedotta con i motivi di appello, sicchè essa non può essere proposta per la prima
volta nel giudizio di legittimità, giusto il disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte.
5. Il secondo motivo è inammissibile perchè diretto a sollecitare una rilettura dei dati probatori.
Premesso che il ricorrente non muove alcuna censura in ordine all’attendibilità della persona offesa,
la Corte di appello, così come aveva fatto il primo giudice, ha ritenuto sussistente il tentativo di
violenza sessuale, sulla base delle dichiarazioni della donna, la quale ha riferito che, sebbene poco
prima avesse rifiutato un approccio sessuale del marito, costui, seminudo, le si mise sopra, mentre si
trovava coricata nel letto, strusciando i propri genitali contro i suoi, e, al contempo, premendole sulla
faccia un panno imbevuto di acetone.
Il fatto, accertato nei termini dinanzi indicati, integra, a ben vedere, il delitto non tentato, bensì
consumato di violenza sessuale, perchè, sebbene l’intenzione dell’imputato fosse quella di non
consumare con la moglie, non consenziente, un rapporto vaginale completo, in ogni caso vi fu
un’invasione nella sfera sessuale della persona offesa, individuabile nello strusciamento dell’organo
sessuale maschile sulle parti intime della donna.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il tentativo del reato, previsto dall’art. 609 bis c.p.,
è configurabile a condizione che la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una
immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poichè l’agente non ha raggiunto le
zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima
con le proprie parti intime (così, da ultimo, Cass., Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016 – dep. 28/04/2016,
F, Rv. 266900), il che, invece, è avvenuto nella specie, a nulla rilevando che l’agente si prefiggesse il
compimento di un atto sessuale maggiormente invasivo dell’altrui sfera sessuale.
6. In ogni caso, il ricorrente confeziona motivi fattuali, tesi ad accreditare una diversa ricostruzione
della vicenda, sicchè le censure si risolvono nella richiesta di una diversa lettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e nell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in
ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti, attività entrambe precluse nel giudizio di legittimità,
non potendo la Corte di cassazione ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito, bensì
esclusivamente riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali.
7. Il terzo motivo è inammissibile perchè generico.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione, laddove, nell’esaminare il corrispondente motivo di
appello, la Corte distrettuale ha negato i presupposti applicativi dell’art. 56 c.p., comma 3, sul
presupposto che la desistenza non fu affatto volontaria, come richiede espressamente la norma in
esame, ma dovuta alla pronta reazione della persona offesa, la quale, svegliatasi, nonostante l’acetone
che fu costretta ad inalare, riuscì a scalciare e a mordere l’imputato, e, quindi, a rinchiudersi nel bagno,
da dove telefonò a un’amica, raccontandole l’accaduto e chiedendole aiuto. Si tratta di una
motivazione immune da vizi logici e giuridici, che, quindi, merita conferma.
8. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 Euro in favore della Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a
norma del D.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.