Sussiste abbandono se i genitori rifiutano di collaborare.

Cassazione,2 settembre 2021, n. 23802
La censura in ordine al mancato accoglimento della domanda di consulenza tecnica è
inammissibile in quanto insindacabile se la scelta è adeguatamente motivata.
I giudici di merito avevano acquisito la ctu resa in altro giudizio, nonché le relazioni del
Consultorio familiare.
Nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, le relazioni
degli assistenti sociali e degli psicologi costituiscono, nel quadro dei rapporti informativi, degli
accertamenti e delle indagini da compiere in via sommaria secondo il rito camerale, indizi sui
quali il giudice può fondare il suo convincimento e la cui valutazione non comporta violazione
dei diritti di difesa dei genitori.
Ricorre lo stato di abbandono in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi
predetti qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia
inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare
risulti infine l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio e assicurargli
assistenza e stabilità affettiva.
Rif. leg.: art. 1 L. n. 184/1983 – L. n. 149/2001
Cassazione civile sez. I – 02/09/2021, n. 23802
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22247/2020 proposto da:
A.M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo
Zummo, per procura in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Avv. S.F., nella sua qualità di tutore dei minori
C.D., Co.De., C.M. e C.S.;
Ca.Ro.;
Co.Ma.;
– intimati –
e nei confronti di:
Procura Generale presso la Corte di appello di Palermo;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di PALERMO n. 12/2020
pubblicata il 13 luglio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14 giugno 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza del 13 luglio 2020, la Corte di appello di Palermo ha rigettato l’appello
proposto da A.M.G. e Ca.Ro., avverso la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Palermo n.
90/2019, depositata il 18 luglio 2019, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei minori
C.D., nata a (OMISSIS), Co.De., nata a (OMISSIS), C.M., nato a (OMISSIS) e C.S., nata a
(OMISSIS).
2. La Corte di appello di Palermo, a sostegno della decisione impugnata, condividendo
le statuizioni di primo grado, ha ritenuto che le risultanze istruttorie erano inequivoche e che
sussisteva il rischio che lo sviluppo psicofisico dei minori potesse essere gravemente e
irreversibilmente pregiudicato; che la relazione del 16 dicembre 2013 degli operatori della
comunità (OMISSIS) aveva messo in evidenza che i minori provenivano da una ambiente
familiare non tutelante e che, dopo un anno dall’inserimento in comunità, le difficoltà dei
minori si erano lievemente attenuate.
3. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno affermato:
-con specifico riferimento all’ A., che la madre era incapace di prendersi cura dei propri
figli e specificamente di accudire la più piccola, S., e che si relazionava con loro solo con il
rimprovero, senza ascoltare i loro bisogni e mostrava un atteggiamento svalutante durante le
visite, inficiando così il lavoro svolto dagli operatori sui minori e incidente sulla autostima della
figlia De.; la stessa, oltre a squalificare il marito davanti ai figli, non si rendeva conto delle
gravi crisi respiratorie delle figlia J.; la stessa, dopo la nascita di Cl. il (OMISSIS), avuta dalla
relazione con il convivente Cr.Gi., non si era più presentata agli appuntamenti fissati dal
Consultorio e nel riprendere i contatti, continuava a non ammettere le proprie carenze
genitoriali;
– con riguardo a Co.Ma. che lo stesso, inizialmente, si era reso irreperibile e che aveva
dimostrato di non sapere instaurare con i figli un valido rapporto, tanto da non venire
percepito come persona autorevole e che diverse volte non si era presentato alle visite,
senza avvisare, con ciò confermando il suo disinteresse alla cura e all’assistenza dei bambini;
egli non reagiva a comportamento della moglie, che lo squalificava davanti ai figli e nemmeno
alle offese proferite dai figli stessi;
– in relazione a Ca.Ro., nonna materna, che la stessa, oltre ad essere del tutto
inconsapevole delle problematiche dei minori, come la figlia, non aveva mai manifestato una
concreta disponibilità all’affidamento, limitandosi ad aderire alle iniziative della A.;
– con riferimento a P.M., nonna paterna, che la stessa non aveva mai instaurato alcun
legame affettivo con i nipoti, dando una disponibilità ad accoglierli e durante gli incontri i nipoti
non manifestavano alcun piacere nel vederla e anche la P. rimaneva passiva e non faceva
nulla per relazionarsi con loro.
4. A.M.G., avverso la detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione con atto
affidato a due motivi.
5. Co.Ma., Ca.Ro. e l’Avv. S.F., nella sua qualità di tutore dei minori, non hanno svolto
difese.
CONSIDERATO
CHE:
1. Preliminarmente va rilevato che l’Avv. Gaetana Valenti, difensore del tutore, Avv.
S.F., ha rappresentato che, per mero errore materiale, non era stato inoltrato il deposito
necessario a formalizzare la sua costituzione nel giudizio di Cassazione; la stessa, peraltro,
tenuto conto dell’impossibilità di costituirsi tardivamente, ha inviato ugualmente il
controricorso, corredato dalle notifiche alle controparti a mezzo pec; si tratta di
documentazione, tuttavia, che, in quanto tardiva, è inammissibile.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.
5, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, perché la
sentenza è stata motivata in modo apparente circa la dichiarazione dello stato di abbandono
dei minori e della conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità.
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 1 come sostituito dalla
L. n. 149 del 2001; degli artt. 1, 8 e 9 della Convenzione di Strasburgo, resa esecutiva con L.
n. 357 del 1974; degli artt. 29 e 30 Cost., con riguardo all’accertamento della sua capacità
genitoriale e alla conseguente dichiarazione dello stato di abbandono e alla successiva
dichiarazione dello stato di adottabilità.
3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché riguardano entrambi lo stato di
abbandono e la dichiarazione dello stato di adottabilità, sono infondati.
3.2 Sulla istanza difensiva volta all’esperimento di una consulenza psicologica sulla
capacità della ricorrente, va affermato che “il principio secondo cui il provvedimento che
dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito,
incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice
deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica
rilevante per la definizione della causa; ne consegue che, quando il giudice disponga di
elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune
esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il
mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente
motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo” (Cass., 3 gennaio 2011,
n. 72).
Questa Corte, inoltre, ha evidenziato che “in tema di dichiarazione dello stato di
adottabilità di un minore, ove i genitori facciano richiesta di una consulenza tecnica relativa
alla valutazione della loro personalità e capacità educativa nei confronti del minore per
contestare elementi, dati e valutazioni dei servizi sociali – ossia organi dell’Amministrazione
che hanno avuto contatti sia con il bambino che con i suoi genitori – il giudice che non intenda
disporre tale consulenza deve fornire una specifica motivazione che dia conto delle ragioni
che la facciano ritenere superflua, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti nei
procedimenti in materia di filiazione e della rilevanza accordata in questi giudizi, anche dalla
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, alle risultanze di perizie e
consulenze” (Cass., 7 maggio 2019, n. 12013; Cass., 26 giugno 2019, n. 17165).
3.3 Peraltro, “nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un
minore le relazioni degli assistenti sociali e degli psicologi costituiscono, nel quadro dei
rapporti informativi, degli accertamenti e delle indagini da compiere in via sommaria e
secondo il rito camerale, indizi sui quali il giudice può fondare il suo convincimento e la cui
valutazione non comporta violazione dei diritti di difesa dei genitori, atteso che questi ultimi,
nel successivo giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità (e oggi di
impugnazione), hanno il diritto di prendere cognizione di dette relazioni, di controdedurre e di
offrire prova contraria” e che “ricorre la situazione di abbandono in caso di rifiuto ostinato a
collaborare con i servizi predetti qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita
da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la
rescissione del legame familiare risulti infine l’unico strumento che possa evitargli un più
grave pregiudizio e assicurargli assistenza e stabilità affettiva” (Cass., 23 gennaio 2019, n.
1883).
3.4 Tanto premesso, nel caso in esame, non si ravvisa il vizio dedotto poiché, la
motivazione dettata dalla Corte di appello è esistente e consente di ricostruire il percorso
logico seguito nel rispetto dei canoni di congruità logica e come tale è idonea a sottrarsi alla
dedotta censura (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7
aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.5 Ciò posto, i giudici di secondo grado, dopo avere affermato che sussisteva il rischio
che lo sviluppo psicofisico dei minori potesse essere gravemente e irreversibilmente
pregiudicato e che la relazione del (OMISSIS) degli operatori della comunità (OMISSIS)
aveva messo in evidenza che i minori, privi di regole, poco abituati ad una corretta igiene
quotidiana e con atteggiamenti aggressivi e provocatori, provenivano da un ambiente
familiare non tutelante, con specifico riferimento all’ A., hanno evidenziato che la madre era
incapace di prendersi cura dei propri figli e specificamente di accudire la più piccola, S., e che
si relazionava con loro solo con il rimprovero, senza ascoltare i loro bisogni e mostrava un
atteggiamento svalutante durante le visite, inficiando così il lavoro svolto dagli operatori sui
minori e incidente sulla autostima della figlia De.; la stessa, oltre a squalificare il marito
davanti ai figli, non si rendeva conto delle gravi crisi respiratorie delle figlia J.; il tentativo della
stessa di recuperare la propria capacità genitoriale, imponendo delle regole di
comportamento, non era stato continuo e la stessa, dopo la nascita di Cl. il (OMISSIS), avuta
dalla relazione con il convivente Cr.Gi., non si era più presentata agli appuntamenti fissati dal
Consultorio e nel riprendere i contatti, continuava a non ammettere le proprie carenze
genitoriali, non riconoscendo neppure le problematiche della figlia neonata e, presso
l’abitazione della stessa, sono state rilevate evidenti inadeguatezze strutturali e igieniche; che
nel senso dell’incapacità genitoriale dell’ A. deponevano anche le dichiarazioni rese dalla
psicologa del consultorio familiare e dal consulente tecnico d’ufficio nominato nel
procedimento riguardante la minore Cr.Cl..
3.6 Anche il profilo di censura riguardante la circostanza che la sentenza non spiega
adeguatamente il fatto che non si sia proceduto ad una consulenza tecnica sulle capacità
genitoriali della madre è infondato avendo i giudici di secondo grado affermato che la
richiesta di disporre una ulteriore consulenza tecnica era dilatoria ed aveva carattere
meramente esplorativo, risultando esaustiva, oltre che tecnicamente corretta, coerente ed
immune da vizi logici e, quindi pienamente condivisibile, la relazione di consulenza svolta
dalla Dott. L. in altro procedimento sulla capacità genitoriale della A..
3.7 Risulta, inoltre, dalla lettura della sentenza impugnata, contrariamente a quanto
affermato dalla ricorrente, che il Tribunale aveva sentito sia i genitori, che le nonne, materna
e paterna, (pag. 3) e che la Corte territoriale aveva ritenuto, come già detto, superfluo ogni
ulteriore approfondimento istruttorio, ivi compresa l’audizione della A. in appello, alla luce
della natura e della consistenza degli elementi emersi e specificamente dell’acquisizione delle
relazioni del Consultorio familiare (pag. 14 del provvedimento impugnato).
Si legge, poi, a pag. 6 della sentenza impugnata, che la Corte ha acquisito, con
ordinanza del 21-26 febbraio 2020, la relazione di consulenza svolta dalla Dott. L. sulla
capacità genitoriale della A. nel procedimento n. 127/2016 reg. ADS., con ciò instaurando il
contraddittorio delle parti e potendo la ricorrente svolgere specifiche osservazioni, così come,
peraltro, rileva a pagina 26 del ricorso, dove vengono genericamente richiamate le pagine 39-
40 della consulenza del 21 marzo 2019.
3.8 Non risultano, inoltre, in alcun modo esaminate nella decisione impugnata la “serie
di questioni determinanti” elencata a pag. 25 del ricorso, con conseguente inammissibilità del
profilo di censura sollevato, poiché, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano
prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a
pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al
giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico
atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire
questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle
parti, in sede di legittimità, a prospettazioni di questioni o temi di contestazione nuovi, non
trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430).
3.9 E’ utile ribadire, al riguardo, che dovendo tutelarsi esclusivamente l’interesse del
minore, la valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto legittimante la
declaratoria del suo stato di adottabilità, impone di avere riguardo, piuttosto che ai
comportamenti di ciascun genitore, alle possibili conseguenze sullo sviluppo psicofisico della
personalità del bambino, considerato non in astratto, ma in concreto, cioè in relazione al suo
vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età e al suo grado di sviluppo,
mentre l’età dei genitori o il livello di maturità o la consistenza intellettiva o cognitiva non
rivestono, da soli, ai fini della suddetta valutazione, una specifica rilevanza (Cass., 8
novembre 20132, n. 25213).
In poche parole, il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia
d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato
dalla L. n. 184 del 1983, art. 1 nel senso che il giudice di merito deve, prioritariamente,
verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere
situazioni di difficoltà o disagio familiare; e, solo ove risulti impossibile, quand’anche in base a
un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi
compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e
corretto l’accertamento dello stato di abbandono (Cass., 27 settembre 2017, 22589; Cass.,
(Cass., 23 gennaio 2019, n. 1883, citata) e, nel caso di specie, la Corte di appello ha fatto
corretta applicazione dei citati principi.
3.10 In ultimo, va rilevato che, il disposto normativo di cui alla L. n. 184 del 1993, art. 8 e
art. 15, lett. b), laddove fa riferimento all'”assistenza morale”, oltre che materiale, afferma che
il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della famiglia di origine incontra i
suoi limiti in presenza di uno stato di abbandono, che sussiste allorché il contegno dei
genitori, lungi dal risolversi in una mera insufficienza dell’apporto indispensabile per lo
sviluppo e la formazione della personalità del minore, comprometta o determini grave pericolo
di compromissione per la salute e le possibilità di armonico sviluppo fisico e psichico del
minore stesso. Di fronte ad un siffatto nocumento o al rischio di esso, successivi
atteggiamenti o progetti genitoriali per un miglioramento della situazione in tanto rilevano in
quanto, oltre che seri, siano oggettivamente idonei al recupero della situazione medesima
(Cass., 28 ottobre 2005, n. 21100).
3.11 Alla stregua dei principi suesposti, appare, pertanto, evidente che la decisione di
appello non è censurabile sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione circa il fatto storico
principale della controversia, costituito dalla situazione di abbandono dei minori, né sotto
quello della violazione di legge delle norme in materia di adozione indicate, correttamene
interpretate dalla Corte territoriale.
4. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché gli intimati non hanno svolto difese.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il
D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle
generalità e degli altri dati identificativi ai sensi delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2021