Toccamenti fugaci sul seno: osteopata cieco condannato per violenza sessuale

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 09 febbraio 2021, n. 5043
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. LIBERATI Giovanni -Presidente -Dott. CORBETTA Stefano -Consigliere -Dott. REYNAUD Gianni F. -rel. Consigliere -Dott. MENGONI Enrico -Consigliere -Dott. MACRI’ Ubalda -Consigliere -ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: B.R., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 13/12/2019 della Corte di appello di Torino;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gianni Filippo Reynaud;lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mastroberardino Paola, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137,dell’art. 23, comma 8. conv., con modifica., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176,che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;lette le conclusioni rassegnate, nell’interesse dell’imputato, dall’avv. Michela Malerba, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo –Motivi della decisione1. Con sentenza del 13 dicembre 2019, la Corte d’appello di Torino, decidendo il gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la condanna del medesimo alle pene di legge in ordine al reato di cui all’art. 609 bis c.p..2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 609 bis c.p. ed il vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova dell’elemento soggettivo del reato. Si lamenta, in particolare, che non era stata data risposta alle doglianze al proposito proposte con il gravame, nel quale si era chiesto alla corte d’appello di valutare l’involontarietà del gesto compiuto dall’imputato -osteopata non vedente -nel massaggiare la paziente che gli si era rivolta. La sentenza -ci si duole -si limita ad escludere apoditticamente l’involontarietà dell’atto senza considerare il più rilevante degli elementi addotti dall’appellante, vale a dire la cecità, con ciò omettendo di rendere sul punto, come invece sarebbe stato necessario, argomentazioni chiare e precise.3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.3.1. Va in primo luogo rilevato che in esso vengono riproposte le stesse doglianze sull’involontarietà della condotta, concretizzatasi nel compimento di atti oggettivamente sessuali, tenuta dall’imputato nei confronti della paziente. Tali doglianze -reputa il Collegio -sono tuttavia state disattese dalla Corte territoriale con motivazione stringata, ma efficace e non illogica, senza che il ricorrente si confronti seriamente con la chiara ratio decidendi.In questo quadro, il ricorso è pertanto affetto da genericità, causa di inammissibilità che ricorre non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione -che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito -si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).3.2. In secondo luogo, il ricorrente si limita a contestare la ricostruzione del fatto non illogicamente operata dalla sentenza impugnata, peraltro in termini identici a quelli effettuati nella sentenza di primo grado, senza considerare che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p.,comma 1, lett. e), il controllo di legittimità consentito sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo e non meramente apparente (cioè idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata), che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni, nè illogicità evidenti (cfr. Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516).Quanto alla illogicità della motivazione come vizio denunciabile, la menzionata disposizione vuole peraltro che essa sia manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643). L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto (cfr. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), essendo precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).3.3. In particolare, la sentenza impugnata -ricostruendo il fatto in modo conforme a quanto avvenuto in primo grado, senza che sul punto il ricorrente muova contestazioni -attesta che, secondo le attendibili dichiarazioni della persona offesa, la quale si era rivolta all’imputato per un ciclo di trattamenti contro la cefalea, alla seconda seduta, mentre ella si trovava sul lettino in reggiseno e mutandine, l’uomo la “afferrò stretta stretta e ad un certo punto le toccò il gluteo all’interno delle mutandine e verso la fine del massaggio le toccò le grandi labbra. Nel frattempo con un braccio le aveva serrato il seno e ad un certo punto l’uomo si era toccato i genitali”.Dopo aver dato atto -anche qui senza che il ricorrente muova contestazioni -che lo stesso consulente tecnico della difesa aveva escluso che il trattamento delle cefalee richieda contatti con le zone genitali o il seno, la sentenza conclude nel senso che “i toccamenti pur fugaci sul seno e dentro le mutandine” erano “certo intenzionali, non potendo essere in alcun modo connessi alle pratiche osteopatiche, come affermato anche dal consulente tecnico della difesa”.Tale valutazione di merito -che non si presta a censure sul piano della logicità e non può dunque essere sindacata in questa sede -all’evidenza esclude, implicitamente ma inequivocabilmente, che la cecità dell’imputato possa aver avuto un qualsivoglia rilievo nella condotta contestata, stante, appunto, la chiara intenzionalità della stessa, sicchè nessun vizio di carenza di motivazione è al proposito ravvisabile. Se la condotta è intenzionale -e la conclusione sul punto è del tutto logicamente argomentata -è ovvio che sussiste l’elemento soggettivo e che nessun rilievo può riconoscersi alla cecità dell’imputato.4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Dispone, a norma delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52che -a tutela dei diritti o della dignità degli interessati -sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza. Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021