Moglie condannata per estorsione ai danni dell’ex marito: può esserle concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali?

Cass. Pen., Sez. I, Sent., 18 gennaio 2021, n. 1911
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Z.M., nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/02/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE;
lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza dell’11 febbraio 2020 il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato la richiesta di ammissione alla misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale presentata da Z.M. in relazione alla pena residua di due anni, due mesi e ventotto giorni di reclusione, inflittale per il delitto di estorsione aggravata.
Dato atto della storia personale della condannata – la quale, trasferitasi nel nostro paese dalla natia Bulgaria, ha sposato il figlio della donna che assisteva per poi vessarlo con continue richieste di denaro in favore dei di lei figli, i quali medio tempore la avevano raggiunta in Italia – e delle condizioni nelle quali è maturato il reato per il quale le è stata irrogata la pena in esecuzione, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che la assenza di consapevolezza rispetto alla commissione dell’illecito induce a ritenere ancora non superato il rischio di recidiva e che la collocazione in ambiente familiare possa offrirle il destro per reiterare analoghe condotte, non avendo ella raggiunto un grado di rieducazione sufficiente alla formulazione di una prognosi positiva in ordine all’efficacia rieducativa della misura richiesta.
2. Z.M. propone, con l’assistenza dell’avv. Paolo Bolley, ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge per avere il Tribunale di sorveglianza orientato la decisione sulla scorta di un elemento di fatto, la mancata ammissione di colpevolezza, inidoneo ad indurre una prognosi sfavorevole in merito all’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale o di altra misura alternativa alla detenzione.
Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza illogicamente e contraddittoriamente svalutato le positive informazioni acquisite in ordine al suo vissuto ed all’evoluzione della sua personalità in epoca successiva alla commissione del reato – che la ha vista attuare condotte riparative in favore della vittima e dedicarsi al lavoro, in un contesto di ottimo inserimento sotto il profilo relazionale, affettivo, ambientale e che lavorativo – ed esaltare, al contrario, argomenti meramente congetturali relativi all’instaurazione di vincoli di dipendenza potenzialmente forieri di nuove occasioni criminose, oltre che la mancata confessione.
3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
2. L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorchè, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.
Il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatti consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui “In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condannato” (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, commi 2 e 3, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condannato, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorchè non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, Loggia, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, Betti, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, Anastasio, Rv. 202413).
Rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto.
Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorchè se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio.
3. Scrutinata alla luce di tali principi, l’ordinanza impugnata non supera il vaglio di legittimità.
Il Tribunale di sorveglianza, invero, nel motivare il rigetto dell’istanza di ammissione di Z.M. all’affidamento in prova al servizio sociale, ha affiancato al congruo riferimento all’assenza di consapevolezza rispetto alla commissione del reato che le è valso la condanna in esecuzione la menzione di ulteriori circostanze che, al contrario, non appaiono idonee ad incidere sull’apprezzamento delle condizioni per farla accedere alla misura alternativa e trascurato, per contro, significativi elementi di segno contrario, sì da pervenire ad un giudizio connotato, nel suo complesso, da manifesta illogicità.
In tal senso depone, in primo luogo, il cenno all’instaurazione di una nuova relazione affettiva con un cittadino italiano, che, in caso di ammissione alla misura alternativa alla detenzione, sarebbe disposto ad accoglierla presso la propria abitazione: ciò che, nell’ottica considerata, costituisce, almeno in astratto, fattore favorevole o, al più, neutro e che, in assenza di precise informazioni, non si presta invece ad essere letto, se non in termini di inammissibile pregiudizio, quale espressione della tendenza della donna a legarsi ad uomini dai quali ella dipende economicamente, ovvero a creare le premesse per la reiterazione di condotte criminose simili a quelle accertate con la sentenza di condanna della cui esecuzione si discute.
Il provvedimento impugnato si rivela, sotto altro aspetto, gravemente carente laddove, nel valutare l’evoluzione della personalità dell’odierna ricorrente, omette di considerare che ella ha posto in essere condotte riparatorie in favore dell’ex marito, il quale ha formalmente dichiarato di avere recuperato, anche grazie al rasserenamento dei rapporti con la Z., una situazione di appagante equilibrio psicofisico ed economico, e che la donna, non coinvolta in ulteriori procedimenti penali, è ben inserita nella famiglia del suo nuovo compagno, con il quale ha ininterrottamente convissuto per quattro anni, e può fruire, secondo quanto indicato dallo stesso Tribunale di sorveglianza, di una opportunità di lavoro quale domestica a tempo parziale presso una casa di riposo in Cambiano, struttura nella quale ella già svolto, in passato, attività analoga.
4. Le superiori osservazioni impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Torino per un nuovo giudizio che, libero nell’esito, tenga conto dei superiori rilievi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021.