Il delitto di gelosia e la valutazione degli stati d’animo e della premeditazione.

Cass. pen. Sez. I, 09 luglio 2020, n. 20487
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza;
nel procedimento a carico di:
C.A.;
avverso la sentenza del 11/01/2019 del GIP TRIBUNALE di POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere TALERICO PALMA;
non essendo pervenuta alcuna richiesta di discussione orale, si procede alla trattazione del ricorso
iscritto sul ruolo odierno, senza l’intervento del procuratore Generale e delle altre parti ai sensi del
D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, conv. con modificazioni in L. 24 aprile 2020, n. 27.
Il Procuratore generale di questa Corte, Dott. Pinelli Mario, ha concluso per iscritto chiedendo il
rigetto del ricorso; in data 11 giugno 2020, sono pervenute le conclusioni del difensore delle parti
civili, con allegata nota spese e il successivo 17 giugno quelle dei difensori dell’imputato, avv.ti
Paolo Carbone e Donatello Cimadoro, che hanno chiesto che il ricorso venga dichiarato
inammissibile.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’11 gennaio 2019, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza
riconosceva C.A. responsabile dell’omicidio volontario di F.R.G.R. nonchè del reato di porto in
luogo pubblico di una pistola Beretta calibro 7,65, con caricatore inserito, utilizzata nell’occasione
e, conseguentemente, lo condannava, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione,
concessa l’attenuante del vizio parziale di mente, esclusa la ricorrenza delle aggravanti della
premeditazione e dei motivi abietti o futili, operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di
anni dieci, mesi otto di reclusione, nonchè al risarcimento del danno nei confronti delle costituite
parti civili da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale determinata nella
misura di 20.000.00 per ciascuna di esse; applicava, altresì, le pene accessorie di legge e la misura
di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia per anni tre.
Secondo la pronuncia di merito, il C. il (OMISSIS) si era recato sotto l’abitazione del G., che
riteneva avere una relazione con la moglie per ribadirgli di lasciarla stare, posto che in altra
occasione egli lo aveva affrontato, e, dopo averlo affiancato con l’auto, aveva esploso contro di
questi, numerosi colpi di arma da fuoco con la pistola Beretta calibro 7,65, regolarmente detenuta,
cagionandone la morte.
Alla stregua dei risultati peritali – che avevano accertato che il C. è “affetto da disturbo delirante di
gelosia e persecutorio con pregresso disturbo depressivo maggiore e possibile disturbo bipolare” e
che al momento del fatto la capacità di intendere e di volere del predetto era grandemente scemata
poichè era “totalmente obnubilato da un delirio di gelosia” – il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Potenza, valutate le concrete modalità degli accadimenti, riteneva che il fatto
commesso era “collegato a una patologia preesistente che è esplosa in un delirio di gelosia e in un
atto gravissimo nel quale detto delirio si è clamorosamente palesato”.
Per quanto rileva in questa sede, il giudicante reputava che l’aggravante della premeditazione era
incompatibile con l’accertato vizio parziale di mente del C. alla luce della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui l'”apparentemente ferma e irrevocabile risoluzione criminosa che connota la
premeditazione diviene essa stessa il portato necessitato di processi patologici caratterizzati da deliri
e idee ossessive”.
Spiegava che proprio ciò era avvenuto nel caso di specie, in cui “l’idea ossessiva che la povera
vittima avesse una relazione con la Lace (ndr. la moglie dell’imputato) e addirittura con la prima
moglie, induceva il C. a meditare lungamente una reazione, tornando e ritornando su di una idea
fissa e ricorrente, immaginando fatti inesistenti, distorcendo la realtà sino a coltivare un delirio che,
facendogli perdere i contatti col reale, lo induceva a liberarsi del rivale (…) scaricandogli contro un
intero caricatore e non desistendo nel proposito neanche quando il G. era già in terra, gravemente
ferito”.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Potenza
riteneva di determinarlo nella misura indicata, fissando quale pena base per l’omicidio quella di anni
ventitre di reclusione “in ragione della incensuratezza del C. ma anche, nel contempo, della
efferatezza del delitto (ripetuti colpi di pistola di cui alcuni esplosi quando la vittima era già in
terra)”.
2. Avverso detta sentenza il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Potenza ha proposto
ricorso per cassazione, formulando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la “contraddittorietà e l’illogicità della
motivazione con riferimento al disconoscimento della circostanza aggravante della
premeditazione”.
Ha, al riguardo, evidenziato che proprio la “lunga meditazione di una reazione” con il “tornare e
ritornare sull’idea fissa e ricorrente”, evocata nella sentenza impugnata, rappresenta l’essenza
dell’aggravante della premeditazione e la dimostrazione di un fermo e costante radicamento nella
psiche dell’imputato e per un tempo consistente del proposito criminoso; che, inoltre, doveva
escludersi una concreta incompatibilità tra l’aggravante della premeditazione e il disturbo
diagnosticato all’imputato, come si evinceva dal passaggio motivazionale della sentenza in cui si
afferma che “la condizione psicopatologica in cui versava l’imputato era una condizione delirante
nella quale può accadere che il soggetto perda momentaneamente i contatti con la realtà che lo
circonda”; che i riferimenti contenuti nella sentenza in relazione alle dichiarazioni rese dalla moglie
dell’imputato, alle conclusioni peritali in merito all’esclusione del vizio totale di mente, alle
artificiose dichiarazioni del C. sulla reale dinamica dei fatti, volte a depistare le indagini
nell’immediatezza, erano tutte circostanze dalle quali emergeva come il proposito criminoso fosse
stato meditato nel tempo e il suo radicamento rimasto fermo e costante.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha denunciato “contraddittorietà e illogicità della
motivazione con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio e alle coordinate
normative dettate dagli artt. 132 e 133 c.p.”.
Secondo il ricorrente nell’iter logico – argomentativo della sentenza impugnata relativo al
trattamento sanzionatorio il giudicante ha omesso di considerare il tempo, il luogo e ogni altra
modalità dell’azione, così come pure la capacità a delinquere per come desumibile dal contegno
dell’imputato susseguente al reato (il C. la mattina del (OMISSIS) aveva cercato ossessivamente la
vittima, invano, sul luogo di lavoro, per poi rintracciarla sotto casa e ucciderla con numerosi colpi
di pistola, esplodendo l’ultimo colpo dinnanzi ai familiari della vittima e, quindi, fuggire;
successivamente la condotta dell’imputato era stata connotata da una volontà di alterare la reale
verificazione dei fatti.
Conseguentemente, sempre secondo il ricorrente, era stata inflitta “una pena non adeguata ai
parametri previsti dall’art. 133 c.p. che si colloca a ridosso del minimo edittale”.
3. In data 10 settembre 2019, l’avvocata Francesca Sassano, nella qualità di difensore di fiducia e
procuratore speciale delle costituite parti civili, ha depositato memoria, con la quale ha svolto una
serie di argomentazioni a sostegno della fondatezza del ricorso proposto dal Procuratore della
Repubblica di Potenza.
4. Dopo un preliminare rinvio, è stata disposta la trattazione scritta del processo per l’udienza
odierna, ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, conv. con modificazioni in L. 24 aprile
2020, n. 27.
Quindi, il Procuratore generale di questa Corte, Dott. Pinelli Mario, ha concluso per iscritto
chiedendo il rigetto del ricorso; in data 11 giugno 2020, sono pervenute le conclusioni del difensore
delle parti civili, con allegata nota spese, e il successivo 17 giugno quelle dei difensori
dell’imputato, avvocati Paolo Carbone e Donatello Cimadoro, che hanno chiesto che il ricorso
venga dichiarato inammissibile.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e,
comunque, manifestamente infondati.
E, in vero, la sentenza impugnata è conforme alle risultanze peritali e ai principi di diritto più volte
affermati da questa Corte sia in tema di incompatibilità tra vizio parziale di mente e aggravante
della premeditazione, sia in tema di trattamento sanzionatorio.
2. Quanto al primo motivo di ricorso – con il quale si è dedotto, la “contraddittorietà e l’illogicità
della motivazione con riferimento al disconoscimento della circostanza aggravante della
premeditazione” – giova evidenziare che il difetto di motivazione valutabile in cassazione può
consistere solo in una mancanza o in una manifesta illogicità della motivazione stessa; il che
significa che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del
giudice e che non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di
una diversa e, per il ricorrente, più adeguata, valutazione delle risultanze procedimentali.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti
a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto,
attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il
provvedimento.
3. Ebbene, non sembra che le argomentazioni della sentenza impugnata, in precedenza riportate e
alle quali ci si richiama al fine di evitare inutili ripetizioni, possano dirsi manifestamente illogiche.
La decisione impugnata, infatti, con motivazione esente da vizi logici, ha tenuto conto delle
conclusioni peritali, che avevano evidenziato come il C., “affetto da disturbo delirante di gelosia e
persecutorio con pregresso disturbo depressivo maggiore”, aveva sviluppato “un delirio di gelosia
che si era già manifestato con la prima moglie, anche se in forma meno strutturata, ma sempre in
relazione alla vittima” e che “da ultimo, al delirio di gelosia si è aggiunto un delirio di veneficio”,
sicchè, al momento del fatto, l’imputato era completamente ossessionato.
Ha, altresì, messo in evidenza che tale manifestazione morbosa di gelosia era incentrata sull’idea
che la moglie avesse una relazione con la vittima e che attorno a questa idea ossessiva si fossero
sviluppate vistose distorsioni della realtà che si erano spinte fino a indurre il C. a “coltivare un
delirio che, facendogli perdere i contatti col reale, lo induceva a liberarsi del rivale”.
E sulla base di tali evenienze, ha congruamente ritenuto che il processo volitivo caratterizzante
l’aggravante della premeditazione fosse stato concretamente influenzato dagli evidenziati aspetti
patologici correlati alla formazione e alla persistenza della volontà criminosa.
4. Tale argomentare è, a giudizio del Collegio, perfettamente conforme ai principi di diritto fissati
da questa Corte in tema di incompatibilità tra il vizio parziale di mente e l’aggravante in parola.
Più specificatamente, è stato affermato che “nell’ipotesi di accertato grave disturbo della personalità,
funzionalmente collegato all’agire e tale da incidere, facendola scemare grandemente, sulla capacità
di volere, l’accertamento della circostanza aggravante della premeditazione richiede un approfondito
esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza
del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati
alla formazione od alla persistenza della volontà criminosa” (Cass. Sez. 1, n. 17606 del 08/03/2016,
Rv. 267714; conformi, tra le tante, Cass. Sez. 1 n. 25608 del 21/05/2013, Rv. 255917, secondo cui
“la premeditazione può risultare incompatibile con il vizio parziale di mente nella sola ipotesi in cui
consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il
proposito coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella
determinata infermità”; Cass. Sez. 1, n. 9015 del 04/02/2009, Rv. 242878).
5. A fronte di ciò, le censure del ricorrente, in buona sostanza, riproducono profili già
adeguatamente vagliati dal giudice di merito con corretta e adeguata motivazione, e le stesse
finiscono con il prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee
al sindacato di legittimità.
6. Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso è inammissibile perchè afferente al trattamento
sanzionatorio benchè sorretto da sufficiente e non illogico argomentare.
E invero, il giudice di merito, nel procedere alla determinazione della pena base per l’omicidio
(peraltro, individuata in misura quasi pari al massimo edittale di anni ventiquattro di reclusione), ha
preso in considerazione i criteri tutti di cui all’art. 133 c.p., in particolare le modalità del fatto,
definito “efferato”, che lo hanno indotto anche a ritenere il C. non meritevole della concessione
delle circostanze attenuanti generiche.
Anche con riguardo a tale aspetto, quindi, il ricorso è meramente confutativo.
7. Nulla deve essere disposto in favore delle costituite parti civili, essendo stato il ricorso proposto
dalla parte pubblica.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020