Per l’adozione dei provvedimenti riguardo ai figli, il giudice dispone di poteri istruttori officiosi indipendenti dall’iniziativa delle parti ed in deroga alle regole sull’onere della prova

Cass. civ. Sez. VI – 1, 18 ottobre 2019, n. 26593
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
S.S., elettivamente domiciliata in Roma, via Panama 86, presso l’avv. Andrea Melucco, dal quale è rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso per cassazione, con richiesta di invio delle comunicazioni relative al processo presso la p.e.c. andrea.melucco.avvocato.pe.it e al fax n. 06/99334898;
– ricorrente –
nei confronti di:
A.V., rappr.to e difeso dall’avv.to Riccardo Capparelli, riccardosergiocapparelli.ordineavvocatroma.org, e dall’avv.ta Pinuccia Calcaterra (fax 06739738115; qiuseppacaicaterradettapinuccia.ordineavvocatiroma.orq) ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Germanico 101 come da procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3781/17 della Corte di appello di Roma emessa il 10.5.2017 e depositata il 7.6.2017 R.G. n. 4445/15;
sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons. Bisogni Giacinto.
Svolgimento del processo
CHE:
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza 963/2015, ha dichiarato la separazione dei coniugi S.S. e A.V. e disposto l’affido condiviso dei due figli minori con collocamento presso la madre cui ha assegnato la casa familiare. Ha respinto la domanda di addebito proposta dalla sig.ra S.. Ha imposto al sig. A. un assegno mensile per il mantenimento dei due figli di 2.000 Euro e un assegno di mantenimento in favore della sig.ra S. di 1.500 Euro.
2. La Corte di appello Roma ha rigettato l’appello di S.S. ritenendo congrua, anche in relazione ai redditi di entrambi i coniugi (il sig. A. è dirigente d’azienda e percepisce stipendi di oltre 130 mila Euro netti annui, la sig.ra S. è insegnante precaria presso il (OMISSIS)), la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli che la S. ha chiesto di elevare a 3.000 Euro mensili con la modifica del regime delle spese straordinarie che ha chiesto di porre esclusivamente a carico del sig. A. e non nella misura dell’80%.
3. Propone ricorso per cassazione S.S. affidato a un solo motivo, illustrato con memoria difensiva, con il quale deduce la violazione degliartt. 115 e 116 c.p.c.in relazione alla valutazione della prova dei redditi personali della ricorrente.
4. Si difende con controricorso e deposita memoria difensiva A.V..
Motivi della decisione
CHE:
5. Il ricorso è inammissibile per una serie di motivi. In primo luogo non è diretto a contrastare la effettiva ragione della decisione impugnata che è stata quella di ritenere adeguata alle esigenze dei figli minori dei coniugi S. e A. l’entità dell’assegno. Sotto questo profilo va rilevata la conformità della decisione alla giurisprudenza di legittimità che in materia di assegno di mantenimento del figlio minore afferma che, in seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazionel’art. 147 c.c.che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (Cass. civ. sez. VI-1 n. 21273 del 18 settembre 2013). La commisurazione dell’assegno alle risorse economiche dei genitori va intesa nel senso di realizzare il principio generale di cuiall’art. 148 c.c., secondo cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo (Cass. civ., sez. I, n. 23630 del 6 novembre 2009) applicando tale commisurazione al principio della adeguatezza del mantenimento al soddisfacimento delle effettive esigenze del figlio. Alla luce di questi criteri la decisione della Corte distrettuale risulta esaustivamente motivata e non contestata dalla ricorrente.
6. La ricorrente rivolge infatti la sua impugnazione esclusivamente avverso l’affermazione della Corte di appello secondo cui la sig.ra S. “nell’attualità, sulla base dei riscontri forniti dalla controparte all’udienza del 19 gennaio 2017, risulta prestare attività di lavoro quale docente di economia e diritto presso il liceo scientifico (OMISSIS) in Roma, circostanza che la parte non aveva rappresentato in giudizio e il cui corrispettivo economico non risulta pertanto noto”. La ricorrente impugna tale affermazione per violazione degliartt. 115, 116 e 214 c.p.c.in relazioneall’art. 360 c.p.c., n. 4, ma non chiarisce adeguatamente, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. I n. 24298 del 29 novembre 2016) e per quale motivo l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di appello pone in essere una violazione delle norme invocate. Il riferimentoall’art. 360 c.p.c., n. 4, e la contestazione sull’efficacia probatoria del documento depositato dalla controparte all’udienza del 19 gennaio 2017 non valgono a rendere specifica l’impugnazione e a cogliere la ratio della decisione impugnata. Infatti in primo luogo la Corte di appello non ha fatto riferimento al documento in questione e invece ha riscontrato che la sig.ra S. ha una qualificazione professionale: è avvocato. Ha prestato la propria attività lavorativa, con introiti netti pacificamente documentati per gli anni dal 2006 al 2008. Ha cessato tale attività nel 2009, quando è nato il suo secondo figlio, dato che la società in quell’epoca aveva trasferito la propria sede in Pomezia determinando l’impossibilità per la sig.ra S. di continuare a prestare la propria attività lavorativa compatibilmente con i compiti di cura familiare resi più assorbenti dalla nascita del secondogenito. Infine ha dato atto dello svolgimento dell’attività di docente svolta all’attualità senza rilevare nulla circa la stabilità di tale attività e circa il reddito che la sig.ra S. ne ritrae. Il riferimento ai riscontri forniti dalla controparte all’udienza del 19 gennaio 2017 va quindi inteso come validazione della deduzione, non contestata dalla odierna ricorrente, della esistenza in atto dell’attività di docente, in quanto espressione di una sua capacità lavorativa attuale rispetto alla quale non è stata peraltro ritenuta decisiva la prova della stabilità del rapporto di lavoro e del reddito che ne deriva. La ricorrente non ha dedotto rispetto a tale valutazione compiuta dalla Corte di appello una specifica contestazione idonea a sostanziare il vizio denunciato di nullità della sentenza o del procedimento. Va ribadito a questo riguardo che la tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti, ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga alle regole generali sull’onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti. Nella specie pertanto l’acquisizione agli atti del documento contestato, da cui risulta esclusivamente e genericamente la prestazione dell’attività di docente, ha costituito un mero esercizio del potere di libera valutazione del giudice del merito – in un procedimento attinente alla tutela dell’interesse dei minori – di un documento che ha fornito un semplice riscontro alla deduzione della capacità lavorativa in atto che la ricorrente non ha contestato neanche in questo giudizio. La Corte di appello ha ritenuto rilevante, ma non evidentemente in via esclusiva tale acquisizione, e ha ritenuto superflua l’acquisizione di una ulteriore indagine sull’entità del reddito che la sig.ra S. possa ritrarre dalla sua attuale capacità lavorativa ritenendo comunque congrua la misura dell’assegno di mantenimento e del contributo alle spese straordinarie già riconosciuto in primo grado. La contestazione mossa dalla ricorrente all’acquisizione e alla valutazione della prova non risulta pertanto aderente al contenuto della motivazione della decisione impugnata e alla specificità del procedimento in cui è stata emessa.
7. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e la attestazione dell’applicabilità delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 3.100, di cui Euro 200 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1bis.
Dispone che in caso di pubblicazione della presente sentenza siano omesse le generalità e le indicazioni identificative delle parti, a norma delD.Lgs. n. 196del 1003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019