L’assegno di divorzio ha finalità assistenziale con la quale può concorrere, in certe ipotesi, quella compensativa

Cass. civ. Sez. I Ordinanza, 7 ottobre 2019, n. 24934
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3555/2016 proposto da:
C.M.G., rappresentato dagli avvocati Daniela Gasparin e Stefania Santilli;
– ricorrente –
contro
Co.Do., rappresentata dall’avvocato Armando Cecatiello;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2892/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 3 luglio 2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2019 da Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.
Svolgimento del processo
CHE:
1.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 3 luglio 2015, rigettando il gravame di C.M.G. avverso la sentenza impugnata, ha confermato la statuizione che imponeva alla ex moglie Co.Do. di contribuire al mantenimento della figlia minore C. (nata nel (OMISSIS)), affidata ad entrambi e collocata prevalentemente presso il padre, mediante il rimborso della metà delle spese straordinarie, e la statuizione che imponeva al C. di pagare alla ex moglie l’assegno divorzile nella misura di Euro 680,00 mensili.
2.- La Corte, con riguardo al contributo di mantenimento della figlia – che il C. aveva chiesto di rivedere, ponendo a carico della ex moglie l’obbligo di versare un importo fisso periodicamente – ha motivato, evidenziando lo squilibrio delle condizioni reddituali dei coniugi e il fatto che egli potesse provvedervi autonomamente; ha argomentato poi che la funzione all’assegno divorzile è di consentire all’ex coniuge di conservare il tenore di vita matrimoniale, risultando giustificata la statuizione del tribunale, tenuto conto della disparità economica tra gli ex coniugi: la situazione reddituale della Co. non era migliorata rispetto a quella goduta in costanza di matrimonio (percepiva una retribuzione di Euro 2000,00 mensili da lavoro impiegatizio, aveva acquistato un appartamento con i ricavi della vendita della casa coniugale in comproprietà con l’ex marito e con un mutuo, era titolare di assegno di mantenimento ottenuto in sede di separazione consensuale); il C. invece traeva dal suo lavoro autonomo di consulenza un reddito più alto (Euro 105294,00 nell’anno 2013), aveva acquistato anch’egli un appartamento, locato a terzi, con i ricavi della vendita della casa coniugale, godeva di un rilevante patrimonio immobiliare, seppure in parte di origine ereditaria, e dei vantaggi economici derivanti dall’unione con un compagno, dipendente dell’Alitalia; inoltre, durante il periodo di separazione, aveva concordato e pagato sia il contributo per la figlia (di circa Euro 600,00), quando abitava con la madre, sia l’assegno alla ex moglie, senza chiederne la revisione.
3.- Avverso questa sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione e una memoria fuori termine (di cui non si può tenere conto), cui si è opposta la Co. con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

CHE:
1.- Con il primo motivo il C. denuncia violazione e falsa applicazione degliartt. 147 c.c.e ss.. e art. 337 ter c.c., per avere in sostanza assolto la Co. dall’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, divenuta maggiorenne in corso di causa, avendo ignorato i parametri normativi per la determinazione del suddetto contributo, erroneamente valutato i redditi degli ex coniugi e trascurato che egli conviveva con la ragazza e provvedeva da solo al suo mantenimento.
1.1.- Il motivo è fondato.
La Corte, ponendo a carico della Co. l’obbligo di provvedere al solo rimborso della metà delle spese straordinarie occorrenti per la figlia, in ragione della “situazione di evidenziato squilibrio tra le situazioni delle parti” e del fatto che il C. “ben (potesse…) con le sue disponibilità provvedere al mantenimento della figlia”, ha in effetti ignorato i parametri normativi riguardanti il mantenimento dei figli minori, di cui all’art. 337 ter c.c., comma 4, utilmente riferibili nei limiti della compatibilità anche ai figli maggiorenni, tra i quali vengono in considerazione le “attuali esigenze del figlio”, “le risorse economiche di entrambi i genitori” e “i tempi di permanenza presso ciascun genitore”. In particolare, ha omesso di considerare che la figlia conviveva con il C., il quale sosteneva gran parte dell’onere di mantenimento della stessa, nè ha considerato che ogni genitore è tenuto al mantenimento dei figli, anche maggiorenni, nei limiti delle proprie disponibilità, non essendo consentito ad uno di essi di essere totalmente o parzialmente esonerato sol perché l’altro genitore goda di migliori condizioni reddituali. La Corte, di conseguenza, ha falsamente applicato i pertinenti parametri normativi in materia, omettendo di accertare i fatti considerati dalla legge come condizionanti l’attribuzione patrimoniale di cui si discute.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dellaL. n. 898 del 1970,artt.4,5e10e art. 2697 c.c., per avere posto a suo carico il pagamento dell’assegno divorzile, all’esito di una erronea valutazione del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, omettendo di valutare l’adeguatezza dei redditi della ex moglie (tra l’altro stimati al netto, al contrario dei propri redditi stimati al lordo), che erano certamente sufficienti a garantirle un tenore di vita autonomo e dignitoso, senza considerare la provenienza ereditaria del patrimonio immobiliare e che la figlia era quasi interamente a suo carico.
2.1.- Il motivo è fondato nei termini che si diranno.
2.2.- laL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6, contiene un parametro – la disponibilità di “mezzi adeguati” o “comunque (l’impossibilità di) procurarseli per ragioni oggettive” – e alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente: le condizioni e i redditi dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, tutti da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.
2.3.- La nozione di adeguatezza dei mezzi è stata intesa dalla giurisprudenza tradizionale come finalizzata alla conservazione (tendenziale) del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, all’esito, in sostanza, del cosiddetto confronto reddituale tra i coniugi al momento della decisione (a partire da Cass. SU n. 11490 e 11492 del 1990).
Sono note le numerose e fondate critiche al suddetto parametro che hanno indotto la giurisprudenza a sostituirlo con quello, intrinsecamente inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, di indipendenza economica, intesa come possibilità di vita dignitosa (Cass. n. 11504 del 2017): la Corte ha precisato che “per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità” (Cass. n. 3015 del 2018).
2.4.- Il Collegio ritiene che questo esito interpretativo non sia stato sovvertito dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, ma solo in parte corretto, e che quindi si debba ribadire, con le precisazioni che si faranno di seguito.
2.5.- Le Sezioni Unite hanno confermato che: a) il parametro (della conservazione) del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro sistema; b) l’onere di provare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente l’assegno, mentre in passato si poneva l’onere di provare l’insussistenza delle relative condizioni a carico del coniuge potenzialmente obbligato; c) l’assegno svolge una finalità (anche o principalmente) assistenziale.
Per altro verso, le Sezioni Unite hanno: a) evidenziato l’ulteriore e concorrente finalità compensativa o perequativa dell’assegno, nei casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato – che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte concordate di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune (da ultimo, Cass. n. 10781 e 10782 del 2019, n. 6386 del 2019); b) le Sezioni Unite non hanno condiviso la rigida distinzione tra criteri di attribuzione (an debeatur) e di quantificazione (quantum debeatur) dell’assegno, in tal modo innovando rispetto al precedente orientamento consolidato, con l’effetto che per l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, devono applicarsi i criteri equiordinati di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
2.6.- Ad avviso del Collegio, risulta confermata la imprescindibile finalità assistenziale dell’assegno, con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa.
È sufficiente constatare che in tutti i casi in cui l’assegno non sia riconosciuto, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la ricordata funzione compensativa, è perché il coniuge richiedente, evidentemente, si trova in condizioni di “autosufficienza economica” (cfr. Cass. n. 6386 del 2019). L’esistenza di un obbligo di pagamento dell’assegno implica un perdurante legame di dipendenza (economica) tra gli ex coniugi che non c’è quando detto obbligo non sussista, cioè quando (e proprio perché) entrambi sono “indipendenti economicamente”.
È opportuno precisare che l’assegno non è comunque dovuto qualora entrambi i coniugi non abbiano mezzi propri adeguati per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali.
2.7.- La funzione assistenziale dell’assegno, come si è detto, può anche concorrere con (o essere assorbita dalla) funzione compensativa-perequativa, a determinate condizioni, entrambe costituenti espressione della solidarietà post-coniugale valorizzata dalle Sezioni Unite.
Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.
La suddetta valutazione, da operare con riferimento ai criteri indicati dalla norma (art. 5, comma 6), tra i quali la durata del matrimonio, deve tenere conto delle predette esigenze che integrano il parametro dell’adeguatezza, con effetti sul piano anche della quantificazione dell’assegno in concreto.
2.8.- Nell’ambito di questo accertamento, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.
Il mero dato della differenza reddituale tra i coniugi è coessenziale alla ricostituzione del tenore di vita matrimoniale, che è però estranea alle finalità dell’assegno nel mutato contesto.
L’attribuzione e la quantificazione dello stesso non sono variabili dipendenti soltanto dall’alto (o dal più alto) livello reddituale di uno degli ex coniugi, non trovando alcuna giustificazione l’idea che quest’ultimo sia comunque tenuto a corrispondere all’altro tutto quanto sia per lui “sostenibile” o “sopportabile”, quasi ad evocare un prelievo forzoso in misura proporzionale ai suoi redditi.
Un esito interpretativo di questo genere si risolverebbe in una imposizione patrimoniale priva di causa, che sarebbe arduo giustificare in nome della solidarietà post-coniugale.
2.9.- Non varrebbe evocare, in senso contrario, l’esigenza (che si assume inerente all’assegno divorzile) “riequilibratrice” delle condizioni reddituali degli ex coniugi, la quale non trova una specifica conferma come funzione autonoma dell’istituto nel testo della norma (art. 5, comma 6, cit.). La suddetta esigenza era coerente, piuttosto, nella diversa prospettiva della conservazione del tenore di vita matrimoniale, rispetto alla quale il riequilibrio dei redditi costituiva l’esito finale di quel confronto reddituale che costituiva il fulcro di ogni valutazione in ordine alla attribuzione e quantificazione dell’assegno.
E tuttavia, una volta superata la suddetta prospettiva, il (parziale) riequilibrio dei redditi altro non è che l’effetto pratico dell’imposizione patrimoniale realizzata con l’attribuzione dell’assegno alle condizioni date (non indipendenza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale).
3.- Nella specie, la ratio decidendi esposta a fondamento della decisione, con la quale la Corte di merito ha attribuito e quantificato l’assegno divorzile in favore della Co., si basa sull’affermata esigenza di fare conservare a quest’ultima il tenore di vita matrimoniale, all’esito del mero confronto reddituale che ha evidenziato il divario tra le condizioni economiche delle parti.
Detta ratio contrasta, tuttavia, con i ricordati principi che regolano la materia, essendo l’assegno divorzile previsto dalla legge per consentire al coniuge richiedente più debole di soddisfare le esigenze di vita autonoma e dignitosa che, dopo le Sezioni Unite del 2018, devono tenere conto anche delle aspettative professionali sacrificate, in base ad accordo con l’altro coniuge, per avere dato un particolare e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge.
4.- In conclusione, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di merito per un nuovo esame, alla luce dei principi indicati, e per provvedere sulle spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019