La moglie che si licenzia volontariamente e non si occupa dei figli non ha elementi per richiedere l’assegno divorzile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1
ordinanza 7 giugno – 18 ottobre 2019, n. 26594
Presidente Genovese
Relatore Bisogni
Rilevato che
1. Nel giudizio per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio il tribunale di
Verbania ha affidato al sig. Se. Mu. i due figli e imposto un contributo di 200 Euro mensili alla De
Vi. per il mantenimento dei figli, mentre ha posto a carico del sig. Mu. un assegno divorzile mensile
di pari importo.
2. La Corte di appello di Torino ha accolto l’appello del sig. Mu. e ha revocato l’assegno divorzile
mentre ha respinto l’appello incidentale della sig.ra De Vi. inteso a ottenere un aumento
dell’assegno divorzile da 200 a 350 Euro mensili e l’affidamento condiviso dei figli, dichiarando di
essere disposta ad accogliere presso la propria residenza i figli An. e Lu. che all’epoca della
decisione avevano (omissis) e (omissis) anni. Ha rilevato la Corte di appello che il sig. Mu.,
maresciallo dei CC, percepisce uno stipendio netto annuo di 37.000 Euro mentre la De Vi.
percepiva dalla sua attività di commessa in un supermercato circa 10.000 Euro annui sino a quando
ha deciso di trasferirsi da Verbania in Calabria, presso i suoi genitori, dove è rimasta priva di
occupazione lavorativa. La Corte di appello ha quindi riscontrato un atteggiamento dismissivo nei
confronti dei figli da parte della De Vi. che non li ha visti dal 2014 e non ha mai contribuito al loro
mantenimento. Ha rilevato inoltre che la stessa è ancora in giovane età e ha dimostrato di avere
piena capacità lavorativa e ha ritenuto che pertanto uno stato di bisogno che giustifichi il contributo
al mantenimento da parte dell’ex coniuge non sussista perché, semmai esistente, esso è stato causato
da una precisa volontà della sig.ra De Vi. che ben avrebbe potuto continuare a svolgere la sua
attività lavorativa ed eventualmente cercarne nel frattempo una più redditizia o consona alle sue
esigenze personali.
3. Ricorre per cassazione la sig.ra Fi. De Vi. che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.
5 c. 6 L. div. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea valutazione dei presupposti per la revoca
dell’assegno divorzile.
4. Propone controricorso il sig. Se. Mu..
Ritenuto che
5. Il ricorso è infondato. Sebbene la Corte di Appello faccia riferimento alla sentenza n. 11504 del
2017 di questa Corte, che ha ribadito la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno di
divorzio e la sua giustificazione al fine di garantire esclusivamente l’autosufficienza economica al
coniuge che non è in grado di procurarsela con la propria capacità lavorativa e/o patrimoniale, deve
ritenersi che anche alla luce della giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite del 2018 (Cass. civ.
S.U. n. 18287 dell’11 luglio 2018) la decisione appare fondata perché le S.U. hanno ribadito anche
esse che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi
una funzione assistenziale, ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma
6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge
istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Inoltre secondo la pronuncia delle
SS.UU. la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore
all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al
riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla
formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi e in particolare al
riconoscimento delle aspettative professionali sacrificate per dedicarsi alla cura della famiglia.
6. Nella specie la Corte di appello ha rilevato che l’impossibilità, semmai esistente, di procurarsi i
mezzi adeguati di cui all’art. 5 citato non dipende da incapacità lavorativa o da fattori esterni alla
volontà del coniuge richiedente l’assegno ma dalla libera scelta della sig.ra De Vi. che ha deciso di
abbandonare l’occupazione lavorativa che le assicurava un reddito fisso. Né la Corte di appello ha
potuto riscontrare, in base alle deduzioni difensive e probatorie della odierna ricorrente, un
particolare contributo alla formazione del patrimonio familiare e alla cura della famiglia ovvero un
sacrificio delle sue aspettative lavorative in funzione delle esigenze familiari. Di qui la decisione di
revocare l’assegno divorzile che deve ritenersi conforme all’art. 5 della legge n. 898/1970 come
interpretato dalla recente giurisprudenza delle Sezioni Unite.
7. Il ricorso per cassazione va pertanto respinto con compensazione delle spese del giudizio di
cassazione in considerazione dei recenti mutamenti della giurisprudenza in materia di assegno
divorzile. Al rigetto del ricorso consegue l’attestazione dell’applicabilità dell’art. 13 del D.P.R. n.
115/2002 come specificato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di
pubblicazione della presente sentenza siano omesse le generalità e le indicazioni identificative delle
parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002