DONAZIONE INDIRETTA

Di Gianfranco Dosi
I Il contratto di donazione
Come è noto la donazione (diretta) è un contratto con il quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo versa di essa un’ob¬bligazione (art. 769 c.c.). Potrebbe apparire non del tutto pertinente il fatto che le donazioni siano state disciplinate nell’ultimo titolo del libro delle successioni; ed in effetti – trattandosi di contratti – più adeguata ne avrebbe potuto essere la collocazione nell’ambito del diritto delle obbligazioni. Tuttavia la trasmissione della proprietà per spirito di liberalità e quella mortis causa devono essere apparse in sede di codificazione, e sono oggettivamente, unite da una medesima ragione di natura solidaristica resa evidente dalla comune mancanza di onerosità che le caratterizza. Uniformità che è anche resa evidente dalla disciplina fiscale unitaria (imposta sulle successioni sulle donazioni) e dalle interferenze in entrambi i casi con il regime successorio.
Nel sistema giuridico del codice le donazioni, analogamente, alle successioni, sono circondate da una particolare sacralità formale resa visibile, per quanto concerne la donazione (contratto tipico a forma vincolata), dalla forma solenne prescritta dall’art. 782 che impone a pena di nullità la for¬ma dell’atto pubblico e cioè dell’atto redatto con le richieste formalità dal notaio (art. 2699 c.c.).
La legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n. 89) prescrive poi la presenza irrinunciabile di due testimoni all’atto (art. 47).
La donazione ha come presupposto l’arricchimento del beneficiario con corrispondente depaupera¬mento del donante nonché lo spirito di liberalità che costituisce anche la “causa” della donazione.
Non sempre però lo spirito di liberalità comporta necessariamente la qualificazione dell’atto come donazione (tale è il caso – previsto nell’art. 770 secondo comma c.c. – della “liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi” che non costituisce donazione) e non sempre, d’altro lato, una donazione, deve necessariamente farsi con atto pubblico (come avviene per la “donazione di modico valore” prevista nell’art. 783 c.c.).
II Le donazioni indirette (cosiddette liberalità non donative): i casi più frequenti
La problematica che in questa sede si approfondisce concerne i casi in cui una liberalità è realizzata non attraverso il contratto formale di donazione ma attraverso modalità diverse che producono pur sempre l’arricchimento (giustificato) di una persona (cosiddette “liberalità non donative”).
In questi casi – ai quali fa riferimento l’art. 809 del codice civile che parla di “liberalità” che “risul¬tano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769” – si parla di donazione indiretta (soggetta “alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per soprav¬venienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”1) che si configura quindi tutte le volte in cui il donante raggiunge lo scopo di arricchire un’altra persona servendosi di atti che hanno una causa diversa da quella del contratto di donazio¬ne; il mezzo usato può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento.
Benché la donazione indiretta si possa realizzare anche attraverso un unico atto (pagamento del debito altrui, remissione di un debito) molto spesso si tratta di più negozi tra loro collegati (per esempio la compravendita di un bene pagato da un soggetto e intestazione della proprietà ad altro soggetto) come hanno ben messo in luce molte sentenze (Cass. civ. Sez. II, 21 ottobre 2015, n. 21449; Cass. civ. Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3134; Cass. civ. Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 1998, n. 4680). Il meccanismo del collegamento negoziale nella donazione indiretta è stato approfondito molto bene da Cass. civ. Sez. I, 14 di¬cembre 2000, n. 15778 che ha anche focalizzato la differenza in sede di teoria generale tra la donazione indiretta e il negozio indiretto. Nella sentenza in questione si afferma che a differenza del negozio indiretto – che si presenta come un unico negozio volto al conseguimento di un risul¬tato ulteriore che non è normale o tipico del negozio stesso (si fa l’esempio della vendita fiduciaria con previsione dell’obbligo di ritrasferimento del bene) – la donazione indiretta consiste in un complesso procedimento mediante il quale, per mezzo di atti diversi da quelli previsti nell’art. 769 del codice civile, ciascuno dei quali produce l’effetto diretto ad esso connaturato, viene arricchito (in modo indiretto) un soggetto per spirito di liberalità. La donazione indiretta quindi “si concreta nell’elargizione di una liberalità attuata, anziché con il negozio tipico dell’art. 769 del codice civile, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animus donandi del destinatario della libe¬ralità medesima”.
Occorre fare attenzione a non confondere naturalmente il negozio simulato dalla donazione indi¬retta dove l’arricchimento del beneficiario è realmente voluto tra le parti. Le problematiche della donazione indiretta non hanno nulla a che fare con quelle della simulazione (per qualche consi¬derazione in proposito Cass. civ. Sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986 ; Cass. civ. Sez. II, 31 maggio 2013, n. 13861).
Sono svariati gli esempi con cui può verificarsi l’arricchimento (giustificato) di una persona senza ricorrere alla donazione vera e propria.
1) Il contratto a favore di terzo
La liberalità non donativa può essere certamente realizzata con un contratto a favore di terzo , ossia in virtù di un accordo tra disponente – stipulante e promittente con il quale al terzo benefi¬ciario è attribuito un diritto, senza che quest’ultimo paghi alcun corrispettivo e senza prospettiva di vantaggio economico per lo stipulante. Il contratto a favore di terzo può bensì importare una liberalità a favore del medesimo, ma costituendo detta liberalità solo la conseguenza non diretta né principale del negozio giuridico avente una causa diversa, si tratta di una donazione indiretta, la quale, se pure è sottoposta alle norme di carattere sostanziale che regolano le donazioni, non sottostà invece alle norme riguardanti la forma di queste.
2) L’acquisto di un bene immobile effettuato con denaro del genitore ma con intestazio¬ne al figlio
A seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, 5 agosto 1992, n. 9282), la giurisprudenza qualifica l’intestazione di beni a nome altrui come una donazione indiretta del bene: una liberalità nascente da un complesso procedimento, rivolto a fare acquistare al benefi¬ciario la proprietà di un bene, nel quale la dazione del denaro, anche quando fatta dal beneficiante al beneficiario, assume un valore semplicemente strumentale rispetto al conseguimento di quel risultato. Qui il risultato liberale è conseguito attraverso la combinazione di più atti e negozi.
Si tratta di una delle ipotesi più diffuse di donazione indiretta nell’ambito del settore del diritto di famiglia: un genitore – attuando quel collegamento negoziale di cui si è parlato tra due negozi giuridici (acquisto pagato da un soggetto con intestazione ad un terzo) – corrisponde direttamente al venditore il prezzo per un immobile che viene acquistato e intestato al figlio o mette a disposi¬zione del figlio la provvista di denaro per l’acquisto dell’immobile (Cass. civ. Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619; Cass. civ. Sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604; Cass. civ. Sez. VI, 2 set¬tembre 2014, n. 18541; Cass. civ. Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3134; Cass. civ. Sez. II, 25 ottobre 2005, n. 20638; Cass. civ. Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2000, n. 15778; Cass. civ. Sez. II, 22 settembre 2000, n. 12563; Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310; Cass. civ. Sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231; Cass. civ. Sez. II, 22 giugno 1994, n. 5989; Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 1992, n. 13630; Cass. civ. Sez. Unite, 5 agosto 1992, n. 9282). Come si avrà modo di chiarire l’acquisto del bene effettuato con denaro del genitore ma con intestazione al figlio pone il problema della evidenziazione della liberalità indiretta, sia a fini fiscali sia più in generale per gli effetti giuridici indicati nell’art. 809 c.c.
3) Il negozio mixtum cum donatione
Di donazione indiretta si può parlare anche quando le parti di un contratto oneroso fissino un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero un prezzo eccessivamente alto, a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante. In tal caso, infatti, il contratto di compravendita è stipulato dalle parti soltanto per conseguire – appunto, in via indiretta, attraverso il voluto sbilanciamento tra le prestazioni corrispettive – la finalità, diversa ed ulteriore rispetto a quella di scambio, consistente nell’arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che beneficia dell’attribuzione di maggior valore. Si tratta del caso classico del negotium mixtum cum donatione. Il fenomeno è stato approfondito da una mole significativa di decisioni di legittimità (Cass. civ. Sez. II, 17 novembre 2010, n. 23215; Cass. civ. Sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297; Cass. civ. Sez. II, 2 settembre 2009, n. 19099; Cass. civ. Sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955; Cass. civ. Sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337; Cass. civ. Sez. II, 29 settem¬bre 2004, n. 19601; Cass. civ. Sez. III, 9 aprile 2003, n. 5584; Cass. civ. Sez. III, 15 maggio 2001, n. 6711; Cass. civ. Sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642; Cass. civ. Sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11499; Cass. civ. Sez. III, 18 luglio 1991, n. 7969; Cass. civ. Sez. II, 23 febbraio 1991, n. 1931; Cass. civ. Sez. II, 28 novembre 1988, n. 6411) e dalla giurispru¬denza di merito (Trib. Padova Sez. I, 4 maggio 2012; Trib. Bassano del Grappa, 19 ottobre 2011; Trib. Benevento, 4 dicembre 2007; Trib. Napoli, 1 marzo 2002). A dispetto del nome non si tratta di un contratto misto (Cass. civ. Sez. II, 10 febbraio 1997, n. 1214) ma di una donazione indiretta attuata attraverso lo strumento della compravendita. La causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato dai contraenti ha anche la finalità di rag¬giungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore. Se la sproporzione non è voluta o lo scopo di liberalità non fosse condiviso dalle parti (rimanendo confinato nella sfera dei motivi individuali di una parte) non si potrebbe parlare di donazione indiretta e sarebbe utiliz¬zabile il rimedio dell’azione di rescissione. Ove dovesse risultare la prevalenza dell’animus donandi ci si potrebbe trovare in presenza di una donazione tipica o di una donazione remuneratoria (Cass. civ. Sez. I, 29 maggio 1999, n. 5265; Cass. civ. Sez. II, 13 luglio 1995, n. 7666) soggetta alle regole formali di cui all’art. 769 c.c.
4) Attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi
Una donazione indiretta – che verrà approfondita in un prossimo capitolo – potrebbe essere visibile nelle attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi, per esempio nell’acquisto di un immobile in comunione con il partner per quote uguali, pur essendo il prezzo corrisposto solo da uno dei due (Cass. civ. Sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24160; Cass. civ. Sez. II, 25 marzo 2013, n. 7480). Ove si tratti di una donazione indiretta attuata con una compravendita del tutto regolare nessuna possibilità avrebbe il partner disponente di chiedere la restituzione del bene fondandosi – come nella fattispecie esaminata dalla sentenza – sulla asserita nullità della donazione per man¬canza della forma solenne utilizzata. Si vedrà nel capitolo successivo, infatti, che la giurisprudenza ritiene sufficiente per la validità della donazione indiretta la forma tipica dell’atto, nella specie compravendita, con cui la liberalità è realizzata.
5) Cointestazione di conti correnti
Si è ricondotta alla donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora detta somma, all’atto della coin¬testazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario (Cass. civ. Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983; Cass. civ. Sez. I, 22 set¬tembre 2000, n. 12552; Cass. civ. Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499). Anche la cointestazione
di buoni postali fruttiferi, ad esempio operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipatamente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’animus donandi, una dona¬zione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patri¬moniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti (Cass. civ. Sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991).
6) Pagamento del debito altrui
Costituisce anche donazione indiretta il pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore. Anche qui si assiste ad un’operazione che vede il coinvolgi¬mento delle sfere giuridiche di tre soggetti: il solvens, estraneo al rapporto obbligatorio ma autore dell’adempimento, il quale dispone della propria sfera nel senso della liberalità verso il debitore, liberandolo da un’obbligazione; il creditore; ed il debitore, beneficiario della liberalità. Si pensi al caso in cui il genitore ripiani un debito del figlio (adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.) senza richiedere il rimborso dell’importo corrisposto.
7) Il non esercizio di un diritto
Si ha donazione indiretta allorché una persona rinunci ad agire per la riscossione di un credito op¬pure lo rimetta completamente, ovvero rinunci ad un diritto (Cass. civ. Sez. II, 27 luglio 2000, n. 9872; Cass. civ. Sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13117; Cass. civ. 29 maggio 1974, n. 1545). Anche il comportamento di chi non eserciti un diritto al fine di farlo prescrivere può costi¬tuire donazione indiretta. Interessante a tale proposito una decisione che ha ipotizzato di poter desumere l’esistenza di una donazione indiretta dal contegno inerte del convenuto in un giudizio per acquisto per usucapione della proprietà di un bene (Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 2007, n. 12496). In un caso l’accollo del mutuo contratto dalla figlia da parte del padre non è stato ritenuto donazione indiretta ma diretta (Cass. civ. Sez. II, 30 marzo 2006, n. 7507).
8) La designazione del terzo beneficiario nei contratti assicurativi sulla vita
Secondo quanto hanno precisato Cass. civ. Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3263 e Cass. civ. Sez. III, 16 aprile 2015, n. 7683 nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo bene¬ficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza eco¬nomica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Nella giurisprudenza di merito Tribunale Modena Sez. II, 20 ottobre 2014.
9) La rinuncia ad una quota di proprietà o all’usufrutto
Secondo quanto ha avuto modo di precisare Cass. civ. Sez. II, 25 febbraio 2015, n. 3819 costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantag¬giare in via riflessa tutti gli altri comproprietari; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per quest’ultimo.
Secondo Cass. civ. Sez. II, 10 gennaio 2013, n. 482 la rinuncia all’usufrutto, quale negozio unilaterale meramente abdicativo, ha come causa la dismissione del diritto e, poiché il consolida¬mento con la nuda proprietà ne costituisce effetto “ex lege”, non può essere considerata come una donazione, né necessita della forma prescritta dall’art. 782 cod. civ.
Ugualmente secondo Trib. Torre Annunziata Sez. II, 3 marzo 2015 la rinuncia all’usufrutto, se ispirata da animus donandi, è suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario rinunciato, perché, comportando un’e¬stinzione anticipata di tale diritto, si risolve nel conseguimento, da parte di detto dominus, dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza: il controvalore di tali vantaggi è, pertanto, senz’altro passibile di convogliamento nella massa ereditaria di cui all’art. 556 c.c.
10) La cessione gratuita di quote di partecipazione
Può rinvenirsi una donazione indiretta anche nella cessione gratuita della quota di partecipazio¬ne ad una cooperativa edilizia, finalizzata all’assegnazione dell’alloggio in favore del cessionario (Cass. civ. Sez. II, 3 gennaio 2014, n. 56).
III Le differenze tra la donazione (diretta) e la donazione indiretta. I punti fermi di Cass. civ. Sez. Unite, 27 luglio 2017, n. 18725: la donazione “ad esecuzione indiretta”
È importante stabilire se una fattispecie concreta negoziale che ci si trova di fronte rientra nella cate¬goria delle donazioni dirette o di quelle indirette, in quanto le norme che disciplinano la validità dell’u¬na e dell’altra figura negoziale sono diverse: per le donazioni dirette l’art. 782 c.c. prescrive a pena di nullità la forma dell’atto pubblico, mentre per le donazioni indirette la norma in questione non trova applicazione dal momento che l’art. 809 c.c. non richiama tale articolo per le liberalità non donative.
La conseguenza – pacifica, come si dirà più oltre, in giurisprudenza – è che la donazione indiretta è pienamente valida ed efficace anche se non riveste la forma dell’atto pubblico essendo, invece, soltanto necessario il rispetto dei requisiti previsti dalla legge per la validità del negozio attraverso il quale vene realizzata.
Il problema dell’inquadramento di un atto tra le donazioni dirette o quelle indirette si pone so¬prattutto quando la liberalità viene realizzata attraverso un unico atto e in concreto si è posto per esempio in un caso di trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente. Questa triangolazione – cioè que¬sto inserirsi nella vicenda traslativa di un terzo (la banca) – aveva lasciato ipotizzare nella fase di merito che si fosse in presenza di una donazione indiretta.
Chiamate dalla Seconda sezione civile della Cassazione (Cass. civ. Sez. II, 4 gennaio 2017, n. 106) ad affrontare questa fattispecie (appunto un trasferimento finanziario eseguito da una banca su ordine del disponente) le Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, 27 luglio 2017, n. 18725) hanno chiarito che tale trasferimento non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una do¬nazione tipica ad esecuzione indiretta (con la conseguenza che la stabilità dell’attribuzione patri¬moniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiarlo, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore2).
In particolare le Sezioni Unite con questa importante decisione hanno ribadito che la donazione indiretta si realizza: (a) con atti diversi dal contratto (ad esempio, con negozi unilaterali come l’adempimento del terzo o le rinunce abdicative); (b) con contratti (non tra donante e donatario: per esempio un contratto a favore di terzo) rispetto ai quali il beneficiario è terzo; (c) con contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali; (d) con la combinazione di più negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui).
Ciò premesso e inquadrando tra le donazioni dirette l’attribuzione patrimoniale eseguita dalla ban¬ca su ordine del disponente a favore del beneficiario (disponente e beneficiario sono i soggetti del contratto la cui esecuzione avviene per intervento di un terzo, cioè della banca), hanno poi preci¬sato che la configurazione della donazione come un contratto tipico a forma vincolata e sottoposto a regole inderogabili obbliga a fare ricorso al contratto di donazione per realizzare il passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto ad un altro, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che il legislatore consenta il compimento in forme differenti di uno stesso atto, imponendo, però, l’onere della forma solenne soltanto quando le parti abbiano optato per il contratto di donazione.
Si trattava, nel caso concreto, di stabilire se l’operazione attributiva di strumenti finanziari dal patri¬monio del beneficiante in favore di un altro soggetto, compiuta a titolo liberale attraverso una banca chiamata a dare esecuzione all’ordine di trasferimento dei titoli impartito dal titolare con operazioni contabili di addebitamento e di accreditamento, costituisse una donazione tipica, identificata dalla definizione offerta dall’art. 769 cod. civ., o fosse inquadrabile tra le liberalità non donative, ai sensi dell’art. 809 cod. civ. e quindi se la stabilità del trasferimento di ricchezza attuato donandi causa a mezzo banca fosse subordinato all’adozione dello schema formale-causale della donazione.
Le Sezioni Unite affermavano che l’operazione bancaria in adempimento dell’ordine del disponen-te/beneficiante svolge una funzione esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasfe¬rimento di valori da un patrimonio all’altro. Si è di fronte, cioè, non ad una donazione attuata indirettamente in ragione della realizzazione indiretta della causa donandi, ma ad una donazione tipica ad esecuzione indiretta”, da ritenersi, pertanto, soggetta alle norme formali di cui all’art. 769 c.c. e nel caso concreto nulla per mancanza di forma.
In pratica nella donazione in questione l’arricchimento del beneficiario è una conseguenza ulterio¬re che deriva da atti o negozi giuridici che hanno una propria causa e che si aggiunge agli effetti prodotti dallo strumento giuridico utilizzato, senza che debba trarre in inganno il fatto che il tra¬sferimento a favore del donatario venga materialmente posto in essere da un terzo quale soggetto avente la materiale disponibilità del bene di cui è però titolare il disponente. In questo caso il terzo è solo uno strumento per il trasferimento della ricchezza di cui è titolare lo stesso disponente. Da un punto di vista giuridico il trasferimento delle ricchezza si realizza direttamente dal donante al donatario anche se per mezzo di una esecuzione indiretta3.
IV La donazione indiretta come negozio giuridico di protezione e le implicazioni nel diritto di famiglia
La donazione indiretta costituisce un’operazione negoziale che, quando realizzata nell’ambito dei rapporti di famiglia, può essere certamente ricondotta ai negozi giuridici che attuano la protezione di un terzo, per esempio un figlio, o dell’altro coniuge o convivente. Proprio questa è la ragione che ne giustifica un approfondimento all’interno della categoria dei cosiddetti contratti di prote¬zione. Acquistare un bene e intestarlo ad un figlio, effettuare attribuzioni patrimoniali a favore del coniuge o del convivente, cointestare con il proprio partner un conto corrente bancario, pagare un debito altrui, sono tutte operazioni che non hanno di mira la tutela di un proprio interesse ma certamente la tutela dell’interesse altrui. In questo sta, appunto, la caratteristica di quelli che possono essere chiamati negozi giuridici di protezione.
Ebbene, acquisito che le donazioni indirette sono una modalità di arricchimento altrui realizzata con spirito di liberalità attraverso schemi negoziali diversi da quello della donazione, si tratta di verificare i problemi di cui occorre avere consapevolezza nell’uso di questi strumenti negoziali.
Alcune implicazioni sono indicate dalla legge. Così per esempio le donazioni indirette, come quelle dirette, sono revocabili per sopravvenienza di figli o per ingratitudine (art. 809 c.c.). Pertanto l’in¬testazione di un bene a terzi effettuata con denaro del disponente non mette al riparo da questi effetti. L’art. 809 c.c. include le donazioni indirette tra le donazioni oggetto di reintegrazione della quota riservata ai legittimari. Per questo i soggetti tenuti alla collazione in sede ereditaria (art. 737 c.c.) devono – in base a quanti prevede espressamente la disposizione in questione – “conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente” salvo le esenzioni previste (dall’art. 738 c.c. per le donazioni di modico valore e dall’art. 742 c.c. per le spese di mantenimento e di educazione e per le altre ivi indicate).
Al di fuori di queste conseguenze espresse, la prima più tradizionale implicazione nel diritto di famiglia delle donazioni indirette è nell’ambito della comunione legale. L’art. 179 del codice civile nel prevedere che non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge “i beni acquistati dopo il matrimonio per effetto di donazione… quando nell’atto di liberalità … non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione” si riferisce solo alla donazione diretta o anche a quella indiretta? Poiché, come si è visto, l’ipotesi classica della donazione indiretta si ha quando i genitori di uno o dell’altro coniuge acquistano e intestano al figlio un bene immobile del quale corrispondono il prezzo, si pone il problema di verificare se tale bene sia entrato nella comunione o, come per i beni oggetto di donazione diretta, resti bene personale del coniuge.
Altra diffusa implicazione si verifica quando i coniugi abbiano la cointestazione di un rapporto bancario (in genere di conto corrente). In che misura è possibile che la cointestazione che uno dei coniugi abbia inteso effettuare a favore dell’altro realizza una donazione indiretta?
Proprio di tutti questi problemi si parlerà nei prossimi capitoli.
V L’acquisto di un bene immobile effettuato con denaro del genitore ma con intestazione al figlio
a) Se il figlio è coniugato in regime di comunione legale l’immobile entra in comunione o resta bene personale del figlio?
L’art. 179 del codice civile nella parte in cui prevede che non costituiscono beni della comunione ma sono beni personali del coniuge “i beni acquistati dopo il matrimonio per effetto di donazione… quando nell’atto di liberalità … non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione” si riferisce solo alla donazione diretta o anche alla donazione indiretta?
La giurisprudenza ritiene che il bene acquistato da uno solo dei coniugi in regime di comunione dei beni con denaro di un terzo (immobile acquistato e pagato dal padre m intestato al figlio) e pertanto oggetto di donazione indiretta non entra nella comunione legale (Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494; Cass. civ. Sez, I, 15 novembre 1997, n. 11327) non essendovi una ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma di cui all’art. 179 c.c. ed in quanto, soprattutto, l’acquisizione è avvenuta senza il contributo, diretto o indiretto, del coniuge non beneficiario dell’atto (Cass. civ. Sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327; Trib. Milano, 6 novembre 1996).
La sentenza che più ha messo in rilievo in passato i principi in base ai quali la donazione indiretta del bene esclude che quel bene possa appartenere alla comunione legale è certamente Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 1998, n. 4680 che ha esaminato una decisione della Corte d’appello di Napoli (App. Napoli, 19 luglio 1994) la quale aveva escluso che la donazione indiretta potesse rientra¬re nella previsione dell’art. 179 lett. b) codice civile sulla base della considerazione che “l’acquisto del diritto di proprietà da parte del beneficiario costituisce effetto immediato e diretto del contratto di vendita, mentre lo scopo di liberalità risulta estraneo alla causa di tale contratto, con la conse¬guenza che, ove si volesse ricomprendere l’atto di liberalità (indiretta) nell’ambito dei beni per¬sonali del coniuge, si applicherebbe al contratto di vendita la disciplina dettata per la donazione”.
La Cassazione ha ritenuto questo ragionamento sostanzialmente tautologico precisando che “dalla mera descrizione del fenomeno e del meccanismo negoziale con il quale si realizza non può, infatti, discendere automaticamente l’esclusione del bene, oggetto di donazione indiretta, da quelli perso¬nali del coniuge, ai sensi dell’art. 179 lett. b) c.c., occorrendo verificare se, indipendentemente dal rilievo che la proprietà dell’immobile si acquista per effetto della vendita, sia consentito limitare la portata della norma in esame alle sole donazioni regolate dall’art. 769 c.c. In altri termini, il ragionamento seguito dal giudice di merito si risolve nell’affermazione che il bene oggetto di do¬nazione indiretta deve necessariamente essere ricompreso nella comunione legale sol perché non è conseguenza di una donazione tipica (diretta) ed in quanto la forma richiesta è quella dell’atto da cui la donazione indiretta risulta: finisce, cioè, per svilire lo stesso procedimento negoziale per mezzo del quale si attua lo scopo di liberalità, senza neppure dar conto della rilevanza che assu¬me, nella formulazione dell’art. 179 lett. b) c.c., l’uso del termine “liberalità”, con riferimento alla possibilità (legislativamente prevista: art. 809 c.c.) che essa risulti da atti diversi da quelli indicati nell’art. 769 c.c. Invece, se la donazione indiretta consiste nell’elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico dell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che pro-duce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento “animo donandi” del destinatario della liberalità medesima, per negare l’inclusione della donazione indiretta nell’ipotesi prevista dall’art. 179 lett. b) c.c. nessun argomento decisivo può trarsi dalla causa del contratto di vendita, che rappresenta il negozio – mezzo, produttivo dei suoi effetti normali, rispetto al c.d. negozio – fine: la donazione indiretta altro non è che la risul¬tante della combinazione di tale negozi, dalla cui funzione non può ritenersi comunque estranea la finalità di arricchimento senza corrispettivo. Quanto alla tesi, sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il regime della comunione legale dei beni riveste carattere generale e deve trovare, quindi, la massima sfera di operatività, è sufficiente osservare che, come riconosce la stessa Cor¬te napoletana, il legislatore non ha certamente ritenuto siffatto carattere ostativo all’esclusione di determinati beni: il problema, cioè, non consiste nell’interpretazione estensiva o meno della norma contenuta nell’art. 179 lett. b) c.c., ma nell’individuazione della sua effettiva portata e di precise ragioni, anche d’ordine sistematico, che eventualmente possano giustificare l’esclusione della donazione indiretta (o meglio, del bene oggetto di essa) dall’ambito della norma medesima.
La formulazione letterale offre, di per sé, un argomento non secondario per l’equiparazione, ai fini che qui interessano, della donazione indiretta a quelle previste dall’art. 769 codice civile. Di sicuro rilievo, inoltre, è la considerazione che, in mancanza di espressa dichiarazione del donante (al pari di quella del testatore) di voler attribuire alla comunione legale il bene, l’inclusione di questo tra quelli personali trova fondamento nel rispetto della volontà dello stesso disponente e nel carattere strettamente personale dell’attribuzione fatta ad uno solo dei coniugi. In questo senso, infatti, è la dottrina di gran lunga prevalente, la quale ha osservato, sotto il profilo letterale, che l’eccezione prevista nella parte finale della norma si riferisce all’ “atto di liberalità”, ossia a concetto più ampio di quello di donazione in senso stretto, onde sarebbe illogico ritenere che all’eccezione sia attribuito un ambito di applicazione più ampio di quello della regola; sotto il secondo profilo, che, in difetto di specifica volontà del disponente di attribuire il bene alla comunione, l’”animus donandi” non può es¬sere obliterato, presentandosi nella donazione indiretta in modo non diverso dalla donazione diretta.
Sempre dalla dottrina, sollecitata dall’indirizzo di questa Corte in tema di collazione (per il quale cfr. Cass. 1257/94) – conclude la Cassazione – viene un ulteriore contributo: il principio secondo cui oggetto della liberalità indiretta è il bene acquistato e non il denaro versato dal disponente, pone in risalto la sufficienza del collegamento tra elargizione del denaro e acquisto del bene, ossia la finalità di arricchimento del beneficiano, sia pur realizzata con strumento diverso da quello tipico della donazione (diretta).
Si deve ritenere, allora – questa è la conclusione – che non vi sia un’ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell’art. 179 lett. b) codice civile, onde il bene oggetto di essa non deve necessariamente rientrare nella comunione legale (Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 1998, n. 4680).
In seguito hanno ribadito queste tesi nella giurisprudenza (ormai da considerare consolidata sul punto) altre decisioni tra cui Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2000, n. 15778 (secondo cui non costituisce oggetto della comunione legale il bene immobile acquistato da uno dei coniugi, duran¬te il matrimonio, con denaro proveniente da un terzo, in quanto in tale ipotesi si configura una donazione indiretta dell’immobile a favore solo ed esclusivamente del destinatario dell’elargizione della somma di danaro) e, più di recente, Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494; Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; Cass. civ. Sez. II, 9 novembre 2012, n. 19513 che hanno anche precisato opportunamente che in tema di comunione legale dei coniugi, la donazione indiretta rientra nell’esclusione di cui all’art. 179, primo comma, lett. b), codice civile, senza che sia necessaria l’espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall’art. 179, pri¬mo comma, lett. f), né la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell’altro coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, secondo comma, trattandosi di disposizione non richiamate.
Più articolata Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23545 che ha indagato sulla possibilità di inquadrare nella fattispecie della donazione indiretta l’acquisto di un bene effettuato anche con denaro dell’altro coniuge in comunione.
Nella giurisprudenza di merito hanno avuto modo di ribadire gli stessi concetti Trib. Genova Sez. III, 13 ottobre 2005; Trib. Gallarate, 24 novembre 2005; Trib. Salerno Sez. I, 29 giugno 2013.
Diverso è naturalmente il caso in cui il genitore mette a disposizione del figlio il denaro e il figlio acquisti con tale denaro un immobile. A tale proposito Cass. civ. Sez. VI – 2, 24 luglio 2018, n. 19537 ha chiarito che ove la donazione riguardi una somma di denaro impiegata dal donatario per l’acquisto della casa familiare non può ravvisarsi una donazione indiretta dell’intero immobile al donatario tale da escludere la comunione del bene tra i coniugi. Infatti, la somma di denaro donata dal genitore al figlio, coniugato in regime di comunione legale dei beni, non costituisce un’ipotesi di donazione indiretta e l’immobile acquistato con tale denaro entra a far parte del regime di comu¬nione legale dei beni, anche se manca un atto che rivesta la forma richiesta dalla legge per la va¬lidità delle donazioni, e cioè l’atto pubblico stipulato alla presenza di due testimoni. Molto esplicite sul punto erano state anche Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642 e Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2000, n. 15778 secondo cui la donazione diretta del denaro, successivamente impiegato dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma determinazione (caso in cui oggetto della donazione rimane comunque il denaro) va tenuta distinta dalla dazione del denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile, che integra un’ipotesi di donazione indiretta del bene.
b) Può parlarsi di donazione indiretta se il genitore paga solo una parte del prezzo dell’immobile intestato al figlio?
Avviene talvolta nella pratica che il genitore – o comunque il disponente – corrisponda soltanto una parte del prezzo, per esempio, l’acconto in contanti mentre resta a carico del beneficiario il pagamento della parte restante, per esempio le rate di mutuo che si è reso necessario per inte¬grare il prezzo di acquisto.
In tale evenienza è necessario chiedersi se trovano applicazione gli stessi principi fin qui indicati dalla giurisprudenza.
In passato aveva risposto a questo interrogativo Cass. civ. Sez. II, 31 gennaio 2014, n. 2149 precisando che la donazione indiretta dell’immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una di¬versa modalità per attuare l’identico risultato giuridico-economico dell’attribuzione liberale dell’im¬mobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo. Ed a questa conclusione si è adeguata la giurisprudenza di merito (Tribunale Frosinone, 30 marzo 2018).
Recentemente, però, la giurisprudenza ha cambiato orientamento ed ha precisato che si ha do¬nazione indiretta di un bene (nella specie, un immobile) anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l’oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante (Cass. civ. Sez. II, 17 aprile 2019, n. 10759)
c) In ambito successorio oggetto della collazione è l’immobile o la somma di denaro impiegata per l’acquisto?
Poiché i soggetti tenuti alla collazione in sede ereditaria (art. 737 c.c.) devono “conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente” si deve verificare se l’oggetto della collazione in caso di donazioni indirette, sia il denaro utilizzato per l’acquisto o l’immobile donato?
Nella donazione ordinaria c’è coincidenza tra ciò di cui si depaupera il donante e ciò di cui si arric¬chisce il donatario. Nell’ipotesi, invece, di acquisto di un bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto questa coincidenza manca. Il padre che acquista un bene per il figlio si priva del denaro occorrente per acquistarlo mentre il figlio si arricchisce del bene. Questa dissociazione – come si dirà – è al centro del modo diverso di atteggiarsi dell’azione di riduzione e di restituzione in caso di donazioni indirette.
Le Sezioni unite della Cassazione nel 1992 componendo un contrasto in giurisprudenza afferma¬rono il principio che “nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il soggetto medesimo intende in tal modo beneficiare con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e quindi integra donazione indiretta del bene stesso e non del denaro (Cass. civ. Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619). Pertanto in caso di collazione, secondo la previsione dell’art. 737 c.c. il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro donato per il suo acquisto (Cass. civ. Sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604; Cass. civ. Sez. Unite, 5 agosto 1992, n. 9282).
L’imputazione avviene considerando il valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successio¬ne (art. 747 c.c.).
La giurisprudenza, dopo la decisione delle Sezioni Unite del 1992 ha ripetutamente ribadito lo stes¬so principio precisando che nell’ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l’acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del danaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale secondo caso, il colle¬gamento tra l’elargizione del danaro da parte del genitore e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso, e non già del danaro impiegato per il suo acquisto (per esempio Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18541; Cass. civ. Sez. I, 23 maggio 2014, n. 11491; Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496; Cass. civ. Sez. II, 6 novembre 2008, n. 26746; Cass. civ. Sez. II, 24 feb¬braio 2004, n. 3642; Cass. civ. Sez. II, 22 settembre 2000, n. 12563; Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310; Cass. civ. Sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231; Cass. civ. Sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 1994, n. 1257; Cass. civ. Sez. II, 22 giugno 1994, n. 5989 e nella giurisprudenza di merito Trib. Genova, 20 febbraio 2015; Trib. Monza Sez. I, 20 maggio 2009; Trib. Bari, 16 aprile 2008; Trib. Napoli, 20 marzo 2006; Trib. Bologna Sez. II, 7 marzo 2005; Trib. Torino Sez. II, 21 maggio 2004; Trib. Napoli, 19 gennaio 2001; Trib. Firenze, 3 ottobre 2000; Trib. Terni, 29 settembre 1998).
L’impostazione si spiega se si considera che nel caso del denaro corrisposto dal donante al do¬natario allo specifico scopo dell’acquisto del bene o mediante il versamento diretto dell’importo all’alienante o mediante la previsione della destinazione della somma donata al trasferimento immobiliare, c’è un collegamento tra l’elargizione del danaro e l’acquisto del bene da parte del beneficiario. Si deve distinguere, perciò, l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma e distinta de¬terminazione, nel qual caso oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il do¬nante fornisca il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce l’unico specifico fine, se pur mediato, della donazione.
Nel caso, infatti, in cui il denaro sia dato al precipuo scopo dell’acquisto immobiliare e, quindi, o pagato direttamente all’alienante dal disponente, presente alla stipulazione intercorsa tra ac¬quirente e venditore dell’immobile, o pagato dal beneficiario dopo averlo ricevuto dal disponen¬te in esecuzione del complesso procedimento che quest’ultimo ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, con o senza la stipulazione in proprio nome d’un contratto prelimi¬nare con il proprietario dell’immobile, il collegamento tra l’elargizione del denaro da parte del disponente e l’acquisto del bene immobile da parte del beneficiario porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Va escluso, pertanto, che la donazione indiretta dell’immobile debba necessariamente articolarsi in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all’alienante, presenza alla stipulazione, sottoscrizione d’un contratto preliminare in nome proprio), essendo necessario, ma al tempo stesso sufficiente, che sia provato il collegamento tra elargizione del denaro ed acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto stesso (negli stessi termini Trib. Mi¬lano Sez. IV, 15 maggio 2010).
Non ricorre, quindi, la fattispecie quando il danaro costituisca il bene di cui il donante ha inteso beneficiare il donatario e il successivo reimpiego sia rimasto estraneo alla previsione del donante (Cass. civ. Sez. II, 6 novembre 2008, n. 26746).
I medesimi principi in tema di donazione indiretta ha affermato da ultimo anche Cass. civ. Sez. II, 20 maggio 2014, n. 11035 con riguardo all’edificazione, con denaro del genitore, su terreno intestato al figlio (a seguito di precedente donazione indiretta). Il bene donato – hanno ribadito i giudici – può ben essere identificato, non nel denaro, ma nello stesso edificio realizzato, senza che a ciò sia di ostacolo l’operatività dei principi sull’acquisto per accessione, tutte le volte in cui, tenendo conto degli aspetti sostanziali della vicenda negoziale e dello scopo ultimo perseguito dal disponente, l’impiego del denaro a fini edificatori sia compreso nel programma negoziale perse¬guito dal genitore donante.
d) L’azione di riduzione e di restituzione nel caso di donazioni indirette
Si è visto che l’art. 809 del codice civile – rubricato “norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità” – prospetta l’esistenza, accanto alle donazioni vere e proprie (art. 769 c.c.), di liberalità che “risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769” (cosiddette liberalità non donative) che sono espressamente assoggettate da questo articolo alle “norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza dei figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”. Anche l’applicazione delle norme sul¬la revocazione e sulla riduzione è comunque esclusa dal secondo comma dell’art. 809 c.c. per le “liberalità previste dal secondo comma dell’art. 770” e per “quelle che a norma dell’art. 742 non sono soggette a collazione”.
Le donazioni indirette effettuate attraverso il meccanismo dell’intestazione a nome altrui del bene acquistato con denaro del disponente costituiscono dunque liberalità revocabili per ingratitudine e per sopravvenienza di figli e soggette all’azione di riduzione ove abbiano leso la legittima dei successibili necessari.
Si è già detto che ai sensi dell’art. 737 c.c. le donazioni indirette sono soggette a collazione (“i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente…”).
Occorre considerare che a tutela dei legittimari lesi il codice prevede innanzitutto l’azione di ridu¬zione e quella di restituzione, entrambe di natura personale nel senso che sono esercitabili solo nei confronti del beneficiario della liberalità eccedente la disponibile. Solo nel caso di esito infrut¬tuoso dell’azione di restituzione nei confronti del beneficiario della liberalità è anche esercitabile, nei confronti dell’eventuale terzo acquirente, l’azione reale di restituzione dell’immobile (art. 563 c.c. rubricato “Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione” dove si prevede che il legittimario leso “premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti… la restituzione degli immobili”).
Ebbene, questo meccanismo trova applicazione anche in caso di donazione indiretta?
La giurisprudenza ha affermato che l’eventuale azione di riduzione e di restituzione avanzata dagli eredi legittimi nei confronti del beneficiario della donazione non può mai coinvolgere i successivi acquirenti dell’immobile oggetto di donazione indiretta (Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496; Trib. Roma Sez. VIII, 30 maggio 2011) in quanto è connaturato all’azione, nell’ipo¬tesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 codice civile, il principio della quota legittima in natura in quanto l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione. Pertanto mancando il meccani¬smo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazio¬ne indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito.
Ciò significa che in caso di vendita a terzi dell’immobile oggetto della donazione indiretta, a dif¬ferenza di quanto accade per le donazioni dirette che hanno per oggetto l’immobile, i terzi ac¬quirenti non potranno essere coinvolti dalle richieste di restituzione avanzate dagli eredi legittimi del donante. Anche la banca che dovesse concedere un mutuo sull’immobile oggetto di donazione indiretta non dovrà temere l’esercizio dell’azione di riduzione o di restituzione.
La sentenza 11496/2010 sopra riferita è in linea con la costante giurisprudenza dell’ultimo decen¬nio che, con alterne vicende, ha sancito nell’ipotesi di acquisto immobiliare effettuato con denaro del donante, che – come si è prima detto – l’oggetto della liberalità indiretta sia rappresentato dal bene acquisito e non già dal denaro necessario per l’acquisto dello stesso (Cass. civ. Sez. Unite, 5 agosto 1992, n. 9282).
L’affermazione che oggetto della donazione è l’immobile (cioè l’effettivo arricchimento del bene¬ficiario) e non – come si riteneva in passato – il denaro (cioè l’impoverimento del donante) ha notevoli risvolti pratici, a cominciare da quanto si è detto circa il fatto che oggetto della collazione – preliminare alla riduzione – è l’immobile.
La soluzione data dalla sentenza 11496/2010 è ragionevole tenendo conto del fatto che – come si è sopra chiarito e come è stato osservato molto bene in dottrina a commento della sentenza in questione – nelle donazioni indirette manca il nesso di derivazione dal patrimonio del donante a quello del donatario che è alla base del funzionamento del sistema di tutela dei legittimari. Infatti il bene non è mai appartenuto al disponente (a differenza di quanto avviene nelle donazioni ordi¬narie) e l’azione di riduzione non può rendere inefficace la compravendita in quanto all’inefficacia conseguente all’azione di riduzione conseguirebbe che l’immobile dovrebbe tornare a far parte del patrimonio semmai del venditore e non del disponente (che non è mai stato proprietario) mentre all’inefficacia della dazione di denaro conseguirebbe che il legittimario potrebbe soddi¬sfarsi sul denaro rientrato nell’asse ereditario.
Ipotizziamo che il padre corrisponda il prezzo per un immobile che viene intestato al figlio e che costui venda a terzi il bene. Se l’altro figlio – alla morte del padre – intendesse denunciare la lesio¬ne della sua legittima effettuata con la donazione indiretta, con l’azione di riduzione non potrebbe dichiarare inefficace la compravendita ma solo imputare l’equivalente speso per l’acquisto nell’asse ereditario. Per questo stesso motivo sarà solo il denaro acquisito con la vendita del bene dal figlio beneficiato che costituirà il credito del legittimario leso.
Proprio per questo la Cassazione con la decisione 11496/2010, ha stabilito che nel caso di riduzio¬ne di una donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, “non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 cod. civ.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione. Pertanto mancando il meccani¬smo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazio¬ne indiretta deve essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito”.
Ciò comporta anche che l’immobile oggetto di donazione indiretta, in sede di circolazione, non in¬contra più gli ostacoli tipici dei beni di provenienza donativa consistenti nel rischio di una possibile azione reale di restituzione del bene.
La Cassazione quindi ha scelto una soluzione che consente al bene di circolare liberamente anche dopo la donazione indiretta. Il terzo sub-acquirente non è più a rischio mentre il legittimario leso non perderà il suo diritto alla integrità della legittima mantenendo un corrispondente diritto di credito nei confronti del beneficiato dalla donazione indiretta.
e) La disciplina fiscale
L’art. 35, comma 22, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248 (modificato dall’art. 1 comma 48 legge 27 dicembre 2006, n. 296) prescrive che «All’atto della cessione dell’immobile, anche se assoggettata ad Iva, le parti hanno l’obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di paga¬mento del corrispettivo. Con le medesime modalità ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare se si è avvalsa di un mediatore; nell’ipotesi affermativa, ha l’obbligo di dichiarare l’ammontare della spesa sostenuta per la mediazione, le analitiche modalità di pagamento della stessa, con l’indica¬zione del numero di partita Iva o del codice fiscale dell’agente immobiliare. In caso di omessa, in¬completa o mendace indicazione dei predetti dati si applica la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 10.000 e, ai fini dell’imposta di registro, i beni trasferiti sono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell’articolo 52, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».
L’evidenziazione della donazione indiretta nell’atto con cui la si effettua – indicando, anche ai fini della tracciabilità, la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto del bene – è lo strumento principale per non esporre a rischio le conseguenze indicate nell’art. 809 c.c. (revocazione e ridu¬cibilità della donazione) oltre che l’esclusione del bene dalla eventuale comunione legale dell’acqui¬rente. Dall’atto (cosiddetto atto mezzo) sarà chiaro, quindi, che il denaro utilizzato per l’acquisto è fornito non dall’acquirente ma dal disponente. In mancanza di questa indicazione la prova della donazione indiretta, per assicurare quelle conseguenze giuridiche, potrebbe essere molto gravosa.
D’altro lato, come tra breve si dirà, l’evidenziazione serve anche ad evitare che il beneficiario della donazione indiretta venga fatto oggetto di accertamento fiscale per avere effettuato un acquisto non giustificato dal suo livello di reddito.
Vediamo qual è la disciplina fiscale della donazione indiretta.
Con il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito nella legge 24 novembre 2006, n. 286, è stata reintrodotta nel nostro or¬dinamento l’imposta sulle successioni e donazioni che era stata abolita con la legge 18 ottobre 2001, n. 283.
L’imposta colpisce tutti i “trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito oltre che la “costituzione di vincoli di destinazione” con aliquote differenziate: a) per i beni devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente per ciascun beneficiario 1.000.000 di euro: aliquota 4%; b) per i beni devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: aliquota 6%; c) devoluti a favore di altri soggetti: aliquota 8%.
L’imposizione indicata trova applicazione anche per le donazioni indirette.
Infatti, salvo le nuove aliquote (4%, 6% e 8%) – che sono più alte di quelle previste nel testo unico originario (D. Lgs 31 ottobre 1990, n. 346) che erano del 3%, 5% e 7% – la riforma del 2006 ha richiamato in vita, in quanto applicabili, le altre disposizioni previste nel testo unico alla data del 24 ottobre 2001 in cui ne era cessata l’applicazione. Tra queste l’art. 1, comma 4-bis di quel testo unico che riguarda proprio l’estensione della tassazione alle donazioni indirette. La norma così dispone: “Ferma restando l’applicazione dell’imposta alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzio¬nale, o dell’imposta sul valore aggiunto”.
Il che significa come principio generale che l’atto o il negozio con il quale è realizzata o da cui ri¬sulta la liberalità indiretta sconta l’imposta sulle successioni e sulle donazioni con le aliquote sopra indicate, esattamente come la donazione tipica.
Non sempre però l’imposta sulle donazioni è dovuta – ed è questa l’importanza della norma – in quanto per le donazioni indirette realizzate attraverso un negozio di trasferimento soggetto all’imposizione di registro proporzionale ordinaria (e quindi per le donazioni indirette più diffuse, effettuate mediante acquisto di un bene immobile con denaro del disponente ma intestazione ad altro soggetto) non troverà applicazione l’imposta sulle successioni e sulle donazioni ma solo quella prevista per l’atto mezzo utilizzato e cioè per la compravendita. Ed è evidente il motivo: si tratterebbe, in caso contrario, di una doppia imposizione: una sull’atto di compravendita e una sulla donazione indiretta. Il che evidentemente sarebbe del tutto iniquo. L’imposta è quindi assol¬ta mediante la sola imposizione dell’atto mezzo impiegato per realizzare l’intento liberale (dal 1° gennaio 2014 con imposta di registro del 9% o del 2% se prima casa).
Acquisita quindi l’inapplicabilità (ex art. 1, comma 4-bis, testo unico 346/1990) alle donazioni indirette dell’imposta sulle donazioni allorché il negozio mezzo è autonomamente tassato con l’im¬posta di registro proporzionale o con l’iva (per il principio dell’alternatività tra imposta di registro/ iva e imposta sulle donazioni) si deve precisare che l’imposta sulle donazioni non sarà mai dovuta in queste ipotesi, anche se la liberalità indiretta non dovesse risultare evidenziata nell’atto, cioè anche se nell’atto non è indicato che il prezzo è corrisposto da un terzo. Il fisco si “accontenta” co¬munque della sola imposizione ordinaria di registro. In tal caso sarà, però, la prova della liberalità indiretta ai fini dell’applicazione degli istituti richiamati dall’art. 809 c.c. ad essere più complessa, essendo necessario provare in giudizio, in difetto di evidenziazione nell’atto, che la provvista per l’acquisto è stata corrisposta non dall’acquirente ma dal terzo disponente.
Deve essere anche richiamata un’altra norma di rilievo che trova applicazione in tutti i casi in cui la liberalità indiretta non è stata già tassata con l’imposta sulle donazioni o con l’imposta di registro/iva applicata al negozio di compravendita utilizzato. Cioè in tutti i casi in cui di fatto l’imposizione è stata evasa. Si riferisce a queste ipotesi l’art. 56-bis del testo unico 346/1990. Si tratta di un sistema di accertamento e di registrazione volontaria delle liberalità indirette teso a far emergere gli incrementi patrimoniali tassabili, con lo scopo di evitare l’evasione dell’imposta sulle donazioni in caso di liberalità indirette. La norma stabilisce al primo comma che le liberalità non donative (diverse cioè dalle donazioni tipiche) e diverse da quelle già tassate, anche attra¬verso la tassazione dell’atto mezzo, sono accertate e sottoposte ad imposta se ricorrono due condizioni: a) che l’interessato dichiari l’esistenza della liberalità nell’ambito di un procedimento di accertamento di tributi diversi dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni b) se siano di valore superiore ad una certa soglia (la franchigia era nel testo unico del 1990 di 350.000.000 di lire). Secondo il richiamo normativo fatto dall’art. 56-bis del Testo Unico originario, l’aliquota di imposta sarebbe quella massima prevista nel regime precedente alla riforma del 2006 (7%), ma sembra pacifico che debba trovare ovviamente applicazione l’aliquota massima nuova (8%) ed ugualmente le franchigie saranno quelle attuali (a seconda del rapporto che lega il disponente alla persona arricchita).
In pratica la previsione di questo meccanismo serve a consentire al contribuente sotto accerta¬mento fiscale – in caso di liberalità indiretta (che non sia stata già tassata) – di corrispondere l’im¬posta di donazione se “confessa” la liberalità indiretta; in tal caso subendo in chiave sanzionatoria la tassazione massima dell’8% (sempre per il valore superiore alla franchigia).
Per capire il senso di questa norma si deve considerare che un contribuente titolare di una situa¬zione patrimoniale incompatibile con i suoi redditi può legittimamente determinare nell’ammini¬strazione finanziaria il promovimento di un accertamento sintetico.
Il contribuente per vincere la presunzione di aver acquisito quella patrimonialità con redditi oc¬cultati, potrà dichiarare l’esistenza della liberalità indiretta di cui ha beneficiato (Cass. civ. Sez. VI, 17 ottobre 2012, n. 17805) subendo la tassazione della liberalità indiretta sia pure nella misura massima prevista (8%) ma verosimilmente più mite di quella che graverebbe altrimenti sul maggior reddito derivante dall’accertamento sintetico. La dichiarazione può essere resa nel corso dell’attività di verifica o in seguito alla notifica dell’avviso di accertamento sintetico. L’am¬ministrazione finanziaria non ha il potere autonomo di accertare la liberalità indiretta in difetto della dichiarazione confessoria del contribuente il quale quindi può decidere se mandare avanti l’accertamento in materia di imposte sul reddito oppure dichiarare la liberalità indiretta e bloccare così l’accertamento, ma con l’onere di dover corrispondere l’imposta sulla donazione.
Gli atti di liberalità non donativi rientrano pertanto – come le donazioni contrattuali tipiche – nella sfera applicativa dell’imposta sulle donazioni, sempre che la liberalità non sia stata effettuata con un atto mezzo tassato con l’imposta di registro proporzionale.
È opportuno quindi che il professionista, chiamato a redigere atti ai quali si collegano potenziali fenomeni di attribuzione liberale indiretta, renda sempre edotte le parti in ordine alle conseguenze tributarie della evidenziazione o della mancata evidenziazione della liberalità.
VI Quali sono le norme applicabili e i presupposti di validità e come si prova la donazione indiretta?
Pur non essendo espressamente richiamati dall’art. 809 c.c. – che espressamente dichiara ap¬plicabili alle donazioni indirette soltanto le norme sulla revocazione e sull’azione di riduzione – si ritengono applicabili alle donazioni indirette anche altre norme, tra le quali l’art. 4374 e 4385 c.c. in materia di obbligo degli alimenti, essendo comune alle donazioni indirette la ratio dell’obbligo di riconoscenza che è connesso all’individuazione del donatario come soggetto tenuto agli alimenti con precedenza su ogni altro obbligato; l’art. 771 c.c. sul divieto di donazione di beni futuri, l’art. 778 c.c. sul divieto di mandato a donare, le norme sulla incapacità a donare (art. 774 ss c.c.), sull’errore sul motivo (art. 787 c.c.) e sul motivo illecito (art 788 c.c.), l’art. 2901 c.c. sull’azione revocatoria ordinaria e l’art. 64 legge fallimentare in tema di revocatoria fallimentare degli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento (disposizio¬ne non toccata dalla riforma del fallimento del 2005).
Il mancato richiamo nell’art. 809 c.c. alle norme sulla forma dell’atto ha portato la giurisprudenza ad affermare ormai in modo consolidato il principio che per la validità delle donazioni indirette non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (Cass. civ. Sez. II, 15 luglio 2016, n. 14551; Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; Cass. civ. Sez. II, 25 marzo 2013, n. 7480; Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496; Cass. civ. Sez. II, 14 gennaio 2010, n. 468; Cass. civ. Sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297; Cass. civ. Sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955; Cass. civ. Sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337; Cass. civ. Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; Cass. civ. Sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642 e molte altre precedenti).
Nella giurisprudenza di merito Trib. Bari Sez. I, 21 ottobre 2013; App. L’Aquila, 7 giugno 2013; Trib. Pesaro, 28 febbraio 2009; Trib. Torino Sez. II, 21 maggio 2004, Trib. Brescia Sez. I, 24 ottobre 2003; Trib. Catania, 25 marzo 1993).
Pertanto ove la donazione indiretta consista nell’acquisto di un bene immobile con denaro del di¬sponente ma con intestazione ad altro soggetto, sarà sufficiente che vi sia la forma prescritta per l’atto di compravendita (e non l’atto pubblico con due testimoni). Altrettanto nel negotium mixtum cum donatione.
Da quanto si è detto deriva che la donazione indiretta, ove nell’atto non risulti evidenziato il pa¬gamento del prezzo da parte del genitore, si può provare attraverso due elementi. In primo luogo documentando l’atto (con il quale è stata realizzata l’attribuzione patrimoniale) che deve avere, come detto, la forma prescritta per la validità di tale attribuzione e cioè nel caso di compravendita, l’atto scritto ad substantiam (artt. 1325 e 1350 c.c.), che può essere preceduto o meno dal con¬tratto preliminare nel quale il promissario acquirente può dichiarare che il definitivo verrà stipulato per persona da nominare. In secondo luogo provando che la provvista è stata corrisposta dal disponente e non dall’intestatario del bene. L’intento liberale è proprio desumibile dal pagamento effettuato dal disponente a favore del venditore del bene.
In linea generale in ogni caso l’onere probatorio è ripartito nel senso che spetta al soggetto che agisce in giudizio dimostrare la sussistenza, nella fattispecie concreta, degli elementi costitutivi della liberalità, ovvero dell’arricchimento unilaterale non remunerato e dell’animus donandi in
4 Art. 437 (Obbligo del donatario). Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante…
5 Art. 438 (Misura degli alimenti). Gli alimenti… devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario alla vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale. Il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.
capo al disponente, mentre è compito del beneficiario dell’attribuzione dedurre elementi idonei a delineare una diversa giustificazione causale del trasferimento (Tribunale Torino Sez. II, 29 gennaio 2018).
Come ha precisato Cass. civ. Sez. II, 18 luglio 2019, n. 19400 la donazione indiretta è un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa con¬sistente nell’arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore; differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti [artt. 2721 ss c.c.] e simulazione [art. 1417 c.c.] – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo. (Nella fattispecie, la decisione ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l’esistenza di donazioni indirette sulla base di prove presuntive). Gli stessi principi sono stati affermati da Cass. civ. Sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986; Cass. civ. Sez. II, 27 febbraio 2004, n. 4015; Cass. civ. Sez. II, 15 gennaio 2003, n. 502 (secondo cui alla donazione indiretta non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo)
Quindi la prova testimoniale circa la natura di donazione indiretta di un contratto sarà sempre ammissibile; come ammissibile sarà la prova per presunzioni (che ai sensi dell’art. 2729 c.c. non sarebbe ammissibile nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale).
VII La cointestazione di un conto corrente bancario come possibile donazione indiretta
Il secondo comma dell’art. 1298 c.c. stabilisce per il conto cointestato la presunzione di uguaglian¬za delle quote di comproprietà tra i correntisti. Pertanto al prelievo ingiustificato da parte di uno dei cointestatari di una quota maggiore di quella spettantegli per presunzione può legittimamente seguire da parte dell’altro la richiesta di reintegrazione del deposito o di restituzione della metà del saldo attivo. Salvo, sempre, che il conto non sia stato aperto nel solo interesse di un correntista o non sia alimentato soltanto da uno dei correntisti. Provando queste circostanze la presunzione di comproprietà viene vinta (art. 1298 c.c.).
La presunzione di contitolarità potrebbe anche essere vinta – come alcune vicende giudiziarie dimostrano – dando la prova che la cointestazione integra, nei confronti di uno correntista, una donazione indiretta. Anche in tale eventualità la pretesa restitutoria dell’altro correntista potrebbe essere paralizzata. La domanda che ci si pone è quindi la seguente: può un correntista, per esem¬pio uno dei coniugi, provare che l’apertura di un conto corrente cointestato e quindi il deposito della provvista iniziale, ovvero le rimesse successive nel conto, sono state effettuate con spirito di liberalità nei suoi confronti e costituiscono quindi donazioni indirette?
In una vicenda in cui la Corte di appello di Venezia aveva ritenuto che il marito avesse inteso realizzare in favore della moglie – con l’apertura di un conto cointestato a sé e alla moglie stessa – una donazione indiretta del cinquanta per cento delle somme via via versate sul conto stesso, la Cassazione recentemente ha non solo richiamato la nullità della donazione di beni futuri sancita dall’art. 771 c.c. (con riferimento alle rimesse successive all’apertura del conto, ove inquadrate nell’ambito della donazione), ma ha ritenuto che l’animus donandi non poteva essere riconosciuto sulla sola base della cointestazione; viceversa la Corte di merito avrebbe dovuto motivare specifi¬camente sullo spirito di liberalità che assisteva ogni versamento (Cass. civ. Sez. II, 16 gennaio 2014, n. 809).
Più volte la Corte di Cassazione ha, in ogni caso, affermato che la possibilità che costituisca dona¬zione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari può essere qualificato come donazione indi¬retta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (Cass. civ. Sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4682; Cass. civ. Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983).
Sul punto, negli stessi termini, si sono espressi Tribunale Ferrara, 4 aprile 2018; Tribunale Roma Sez. I, 6 giugno 2017; Trib. Vicenza, 5 giugno 2012; Trib. Torino Sez. II, 5 agosto 2008; Trib. Monza, 25 gennaio 2001.
Analogamente si era espressa Cass. civ. Sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552 relativamente alla cointestazione di un contratto di deposito in custodia e amministrazione di titoli al portatore, affermando che da tale cointestazione non discende la comproprietà dei titoli acquistati con denaro appartenente ad uno solo dei cointestatari, tranne che le circostanze del caso concreto rivelino in maniera univoca la volontà delle parti di realizzare una donazione.
Il problema è stato affrontato anche in una articolata decisone di merito (Trib. Mondovì, 15 febbraio 2010) dove si è affermato, sul presupposto che la cointestazione attribuisce un recipro¬co diritto di rendicontazione, che la cointestazione di un conto corrente bancario non costituisce donazione indiretta, se non venga provata l’esistenza della funzione donativa attraverso una di¬smissione dei diritti del correntista sorretta da un intento liberale. Nella vicenda specifica non era stato dimostrata, secondo il tribunale, la rinuncia alle pretese di rendicontazione e di restituzione delle somme prelevate.
In precedenza anche Cass. civ. Sez. I, 1 ottobre 1999, n. 10850 aveva chiarito che la sola cointestazione del contratto di custodia e amministrazione di titoli a coniugi in regime di separa¬zione dei beni non è sufficiente a dimostrare la volontà del coniuge, con il denaro del quale i titoli sono stati acquistati, di disporre della metà dei beni a titolo di liberalità.
Quindi la possibilità che si possa parlare di donazione indiretta, in caso di cointestazione di un conto corrente bancario, non è di per sé esclusa. Occorre però dare la prova che la provvista di denaro sia stata sorretta da un intento di liberalità.
VIII L’acquisto di un immobile cointestato e le ristrutturazioni
Come si è accennato trattando dei diversi esempi di donazione indirette, una donazione indiretta potrebbe essere visibile nelle attribuzioni patrimoniali tra coniugi o conviventi, per esempio nell’ac¬quisto di un immobile in comunione con il partner per quote uguali, pur essendo il prezzo corrisposto solo da uno dei due. In tal caso nessuna possibilità avrebbe il partner disponente di chiedere la resti¬tuzione del bene fondandosi sulla asserita nullità della donazione per mancanza della forma solenne utilizzata. Si è visto infatti che la giurisprudenza ritiene sufficiente per la validità della donazione indiretta la forma tipica dell’atto, nella specie la compravendita, con cui la liberalità è realizzata.
A questi problemi è opportuno dedicare uno spazio specifico.
a) Le spese di acquisto e di ristrutturazione costituiscono un’obbligazione giuridica?
È necessario in via preliminare osservare che le prestazioni contributive (sia obbligatorie che dovute solo moralmente) sono irripetibili6. Il principio di irripetibilità è comune alle obbligazioni contributive (ex art. 143 c.c. o ex art. 1 comma 1 legge 20 maggio 2016, n. 76) e alle obbliga¬zioni naturali (ex art. 2034 c.c.7). Nel primo caso l’irripetibilità discende dal fatto che si tratta di prestazioni dovute. Nel secondo caso discende dalla norma, appunto, l’art. 2034, che la prevede. I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convi¬venza refluiscono, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza. Perciò mantenere in tutto o in parte il proprio coniuge o il proprio partner, ospitarlo nella propria casa, sostenerlo economicamente, compartecipare alle spese del ménage quotidiano, adempiere a obbligazioni contratte insieme, consentirgli di viaggiare e di acquistare beni di consumo, contribuire alle necessità comuni e alle necessità del partner, sono tutti comportamenti dai quali non può mai discendere tra coniugi o tra conviventi more uxorio una successiva pretesa restitutoria.
Ebbene, il principio di irripetibilità riguarda le prestazioni contributive, non quelle che esulano da tale connotazione. In altre parole il presupposto della irripetibilità è nella causa contributionis della prestazione. Una prestazione ha carattere contributivo solo in quanto è esecutiva di un dovere (giuridico o morale) di assistenza materiale reciproca. Non se esorbita da tale connotazione. Se la prestazione contributiva non è riconducibile all’obbligo o al dovere morale di assistenza materiale fa sorgere il diritto a chiederne la restituzione. Il discrimine viene individuato nel rapporto di pro¬porzionalità fra i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare.
Se i mezzi a disposizione della famiglia sono rilevanti la prestazione potrebbe anche avere carat¬tere contributivo. Ha messo bene in luce questo aspetto Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2004, n. 18749 dove si legge che i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli minimi, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale. Nell’enunciare questo principio la Corte di Cassazione ha confer¬mato la sentenza di merito, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofa¬miliare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi dell’art. 143 c.c., il consistente intervento finanziario della moglie – oltre un miliardo di lire – a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune.
Allorché l’attribuzione supera il confine del dovere contributivo (in contesti familiari caratterizzati non certo dalle così ampie disponibilità economiche della vicenda esaminata dalla sopra richiemata Cass. 18749/2004) essa diventa, quindi, ripetibile (salvo che non si ravvisino, come si dirà, altre cause giustificative dell’attribuzione), tanto in separazione dei beni che in comunione legale, dove peraltro fa specifica applicazione del principio di ripetibilità di ciò che esorbita dal dovere contribu¬tivo l’art. 192 c.c. che attribuisce a ciascuno dei coniugi il diritto alla restituzione delle somme pre¬levate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune, ad esempio quelle impiegate per la ristrutturazione di un bene immobile appartenente alla comunione (Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 2005, n. 10896; Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2005, n. 2354).
L’art. 192 c.c. in altre parole, consentendo al coniuge in comunione legale che ha anticipato
6 Cfr la voce PRINCIPIO CONTRIBUTIVO
7 Art. 2034 (Obbligazioni naturali). Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.
somme del proprio patrimonio personale impiegate in spese e investimenti dei beni comuni, di richiederne la restituzione, a maggior ragione porta ad attribuire questo diritto anche al coniuge in separazione dei beni, non potendosi concepire che nell’ambito dei regimi primari possa sussistere una irragionevole differenziazione quanto ai diritti fondamentali di ciascun coniuge.
b) Le spese di acquisto e di ristrutturazione possono costituire un’obbligazione naturale?
La questione è stata esaminata anche dal punto di vista dei diritti di restituzione tra conviventi more uxorio.
Con riferimento ai doveri morali di solidarietà tra conviventi Cass. civ. Sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277 ha molto chiaramente confermato che le attribuzioni patrimoniali del convivente more uxorio alla compagna durante la convivenza costituiscono adempimento di doveri morali e sociali, che trovano la loro regolamentazione nell’art. 2034 del codice civile, che disciplina le obbligazioni naturali, le quali determinano, come effetto, la soluti retentio, ovvero l’impossibilità di ottenere la ripetizione di quanto spontaneamente pagato, a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze nonché proporzionata all’entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens. Nella vicenda che fa da sfondo alla sentenza in questione la Corte d’appello aveva ritenuto che avessero natura indennitaria i periodici versamenti di denaro effettuati da un uomo alla partner, nel corso della convivenza svoltasi per diversi anni in Cina, ove egli si era trasferito per lavoro, al fine di consentirle l’estinzione di una precedente posizione debitoria personale, dopo che la donna aveva sì dato le dimissioni da un’attività ben retribuita in Italia, per seguire il compagno all’estero. Nel cassare la decisione la sentenza della Cassazione ritiene di dover qualificare tali attribuzioni come obbligazioni naturali, ricordando che il discrimine fra l’adempimento dei doveri sociali e mo¬rali, quale può individuarsi in qualsiasi contributo fra conviventi, destinato al ménage quotidiano ovvero espressione della solidarietà fra persone unite da un legame intenso e duraturo, e l’atto di liberalità, va individuato, oltre che nella spontaneità, soprattutto nel rapporto di proporzionalità fra i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare. Orbene, tale requisito, riconosciuto in relazione alle obbligazioni naturali in generale, deve essere ribadito in riferimento all’adempi¬mento di doveri morali e sociali nella convivenza more uxorio.
Perciò la sussistenza di una obbligazione naturale, come ha anche recentemente chiarito Cass. civ. Sez. II, 30 settembre 2016, n. 19578, postula una duplice indagine, finalizzata ad accer¬tare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di propor¬zionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
È evidente che prestazioni economiche esorbitanti da tali doveri (il cui contenuto, cioè, esorbita dal dovere di solidarietà familiare) sono per ciò stesso ripetibili.
Già in passato Cass. civ. Sez. II, 13 marzo 2003, n. 3713 aveva affermato che le prestazioni pa¬trimoniali di uno dei conviventi more uxorio non possono inquadrarsi nello schema dell’obbligazione naturale se hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e non sussiste un rapporto di proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi.
In giurisprudenza di merito sintetizza molto bene il principio generale Trib. Vicenza Sez. I, 23 ottobre 2013 secondo cui un’attribuzione patrimoniale in favore del convivente more uxorio con¬figura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del solvens, non potendo le prestazioni patrimoniali inquadrarsi nello schema dell’obbligazione naturale ove abbia¬no come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e non sussista un rapporto di proporzionalità tra quanto sborsato ed i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dagli stessi soggetti.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Trib. Monza, 18 novembre 1999.
L’esclusione del rapporto di proporzionalità tra l’attribuzione patrimoniale e l’adempimento dei doveri morali e sociali costituisce pacificamente un accertamento di fatto in linea di massima in¬censurabile in sede di legittimità.
Pertanto – e salvo quanto si dirà in ordine alla possibile e plausibile configurazione di una liberalità o di una donazione indiretta – la messa a disposizione di propri capitali per finalità non di consumo quotidiano, per esempio per una ristrutturazione immobiliare o investimenti patrimoniali, non è un comportamento assistito di per sé dalla garanzia dell’irripetibilità, ben potendo la parte che ha messo a disposizione dell’altro questi importi, in difetto di altre “cause” che giustifichino l’irripeti¬bilità, chiederne legittimamente la restituzione.
Assodato quindi che l’intervento economico significativo di uno dei coniugi in spese di acquisto di un immobile comune o di ristrutturazione a vantaggio della proprietà comune esubera dal dovere (giuridico o morale) contributivo, resta anche acclarato che non trova applicazione, da questo punto di vista, il principio di irripetibilità da parte di chi ha sostenuto quelle spese. In tal caso l’ingiustificato arricchimento del coniuge che di tale intervento si è avvantaggiato comporterà il dovere di restituzione in base all’art. 2033 c.c. sull’indebito oggettivo.
c) Le spese di acquisto e di ristrutturazione possono essere inquadrate nell’ambito della donazione indiretta?
Si tratta ora di verificare se l’intervento economico in questione possa avere una causa “donatio¬nis” che escluda l’irripetibilità.
A questa domanda – in una fattispecie in cui il marito aveva acquistato un immobile intestandolo an¬che alla moglie finanziandone in via esclusiva i lavori di ristrutturazione – ha dato una risposta affer¬mativa Cass. civ. Sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24160 sostenendo che l’acquisto da parte del ma¬rito di una casa intestata anche alla moglie e i conferimenti patrimoniali del marito volti a finanziare i relativi lavori di ristrutturazione costituiscono (meglio possono costituire) una donazione indiretta.
L’affermazione – che presenta alcuni elementi di non linearità che verranno richiamati più oltre – va contestualizzata. Si legge infatti nella motivazione della decisione che “Avendo la corte d’ap¬pello escluso che si tratti di una intestazione fiduciaria… nonché avendo escluso l’esistenza di una qualsiasi causa giustificativa di tale attribuzione al di fuori dello scopo di liberalità, implicitamente la sentenza impugnata ha accertato l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accerta¬mento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro sco¬po che quello della liberalità (Cass. n. 4682 del 20188 che si occupa di cointestazione di un conto corrente bancario), collocando l’attività con la quale il marito ha fornito il denaro affinché la moglie divenisse con lui comproprietaria degli immobili nell’ambito della donazione indiretta in quanto esprimente una finalità di liberalità”. Continua così la motivazione: “La giurisprudenza di legitti¬mità è consolidat nel ritenere che il conferimento in denaro effettuato da un coniuge, attraverso il quale l’altro coniuge acquisti un immobile sia riconducibile nell’ambito della donazione indiretta9, come tale perseguente un fine di liberalità e soggetta ai soli obblighi di forma previsti per il nego¬zio attraverso il quale si realizza l’atto di liberalità, e revocabile solo per ingratitudine: v. Cass. n. 3147 del 198010, secondo la quale la donazione indiretta ha la sua causa, cosi come la donazione diretta, nella liberalità, e cioè nella consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario mediante attribuzioni od erogazioni patrimoniali operate nullo iure cogente. Ciò comporta che nell’ipotesi di donazione indiretta – valida anche tra coniugi, essendo da tempo venuto meno il divieto contenuto nell’art. 781 cod. civ. – vanno seguiti, ai fini dell’individuazione della causa e della rilevazione dei suoi vizi, i medesimi principi e criteri che valgono per la donazione diretta” 11.
Tra questi criteri vi è, appunto, quello secondo cui ai fini dell’attribuzione della qualifica di donazione indiretta ad una attribuzione patrimoniale deve essere “verificata l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointe-stazione, altro scopo che quello della liberalità” (cfr la parte di motivazione sopra riportata). Pertan¬to se nella fattispecie al suo esame la Corte ha ritenuto di intravedere gli estremi della donazione indiretta (avendo la Corte d’appello escluso ogni altra “causa” dell’attribuzione) è anche altrettanto vero che spetta al soggetto che agisce in giudizio dimostrare la sussistenza degli elementi sui quali la domanda di restituzione è fondata e quindi la “causa” che sorreggeva l’attribuzione e che con¬sente la ripetibilità, mentre è compito del beneficiario dell’attribuzione dedurre elementi idonei a delineare una giustificazione causale del trasferimento che fonda una asserita irripetibilità.
La sentenza 24160/2018 continua nell’esame dei principi affermati dalla giurisprudenza in ma¬teria di donazione indiretta richiamando altre due sentenze. Precisamente Cass. civ. Sez. II,
8 Cass. civ. Sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4682 citata, per la verità in modo non del tutto pertinente, afferma che “La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario: a condizione, però, che sia veri¬ficata l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità”.
9 Che la giurisprudenza di legittimità sia “consolidata” in tal senso è tutto da dimostrare ed infatti la sentenza non riporta alcun precedente specifico su tale questione.
10 Cass. civ., 13 maggio 1980, n. 3147 non afferma, però, il principio che le attribuzioni di un coniuge vanno considerate una donazione indiretta ma semplicemente che “La donazione indiretta ha la sua causa, così come la donazione diretta, nella liberalità, e cioè nella consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario mediante attribuzioni od erogazioni patrimoniali operate nullo iure cogente. Ciò comporta che nell’ipotesi di do¬nazione indiretta – valida anche tra coniugi, essendo venuto meno il divieto contenuto nell’art. 781 c.c. – vanno seguiti, ai fini dell’individuazione della causa e della rilevazione dei suoi vizi, i medesimi principi e criteri che valgono per la donazione diretta. (Nella specie, l’attore agiva per la restituzione di beni intestati alla moglie, in base alla considerazione che questi, oggetto di donazione indiretta, dovevano essere destinati a vantaggio della famiglia e alla normale convivenza dei coniugi, e i giudici del merito hanno escluso che incombesse alla donataria l’onere di provare lo spirito di liberalità del donante, per poter trattenere i beni in questione nonostante la so¬pravvenuta separazione giudiziale tra i coniugi, ritenendo che, per contro, spettasse al donante dimostrare che la donazione fosse preordinata o subordinata alle pretese finalità, divenute irrealizzabili o frustrate dalla donataria. La Suprema Corte, nel confermare questa decisione, ha enunciato il precisato principio).
11 Precisa la Corte che “nella specie, l’attore agiva per la restituzione di beni intestati alla moglie, in base alla considerazione che questi, oggetto di donazione indiretta, dovevano essere destinati a vantaggio della famiglia e alla normale convivenza dei coniugi, e i giudici del merito hanno escluso che incombesse alla donataria l’onere di provare lo spirito di liberalità del donante, per poter trattenere i beni in questione nonostante la sopravvenuta separazione giudiziale tra i coniugi, ritenendo che, per contro, spettasse al donante dimostrare che la donazione fosse preordinata o subordinata alle pretese finalità divenute irrealizzabili o frustrate dalla donataria. La Corte suprema, nel confermare questa decisione, ha enunciato il precisato principio). I principi sulla donazione indi¬retta sono costanti, ripresi di recente da Cass. n. 3134 del 2012, che ha puntualizzato che se unico è il fine, di liberalità, della donazione indiretta, diverso può essere il mezzo attraverso questa si può esplicare, non limitato al più tipico e ricorrente, ovvero il conferimento dell’intera somma di denaro necessaria per un determinato acquisto, e da Cass. n. 1986 del 2016, che ha puntualizzato che nel caso di acquisto di un immobile da parte di un soggetto, con denaro fornito da un terzo per spirito di liberalità, si configura una donazione indiretta, che si differenzia dalla simulazione giacché l’attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti (da ciò, la sentenza fa discendere che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo”.
29 febbraio 2012, n. 3134 (secondo cui “la donazione indiretta è caratterizzata dal fine per¬seguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, ivi compresi più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si impegni a pagare il relativo prezzo e, essendosene riservata la facoltà nel momento della conclusione del contratto, provveda ad effettuare la dichiarazione di nomina, sostituendo a sé, come destinatario degli effetti negoziali, il beneficiario della liberalità, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso”) e Cass. civ. Sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986 (secondo cui “nel caso di acquisto di un immobile da parte di un soggetto, con denaro fornito da un terzo per spirito di liberalità, si configura una donazione indiretta, che si differenzia dalla simulazione giacché l’attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti ed alla quale, pertanto, non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo”).
In entrambe le sentenze richiamate – riferite all’acquisto di immobili – non viene affermato, però, nulla che imponga la soluzione che l’acquisto costituisca ontologicamete una donazione indiretta, ma soltanto che nelle vicende esaminate la suddetta qualificazione era del tutto plausibile.
Quanto alla circostanza invece in cui uno dei coniugi sopporti da solo le spese di ristrutturazione per la casa comune la sentenza 24160/2018 si chiede “se il coniuge comproprietario che sostiene per intero spese di finitura o relative a migliorie all’interno dell’immobile cointestato, possa ripete¬re dall’altro coniuge la metà di quanto ha pagato ed a quali condizioni”.
La risposta è che “Le considerazioni sopra svolte circa il fine di liberalità e la riconducibilità alla donazione indiretta dell’attività svolta da un coniuge per far acquistare all’altro la proprietà di un immobile, valgono a fortiori in riferimento ai conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal coniuge in costanza di matrimonio e volti a finanziare lavori nell’immobile che ha fatto acqui¬stare in proprietà esclusiva dell’altro coniuge o in regime di comproprietà. La donazione indiretta, in quanto tale, gode di stabilità, in quanto essa non può essere revocata che per ingratitudine…. Deve però rilevarsi che analoga finalità di liberalità in favore del coniuge non può automaticamen¬te attribuirsi ai pagamenti fatti o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà anche dopo la separazione: spetterà quindi al giudice del merito distinguere i pagamenti effettuati e le spese sostenute in costanza di matrimonio e prima che sia intervenuta la separazione personale delle parti e quelli effettuati dal marito successivamente (v. Cass. n.7981 del 201412, che ben delinea la differente situazione pre e post separazione personale affermando che nel regime di separazione non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state espe¬rite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 cod. civ. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione)… Eventuali conferimenti e spese successivi alla separazione, non sussistendo la finalità di liberalità, dovranno essere considerati esclusivamente spese sostenute da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione, e quindi il giudice di merito dovrà valutare se la moglie possa essere condannata a restituirne il 50% al marito facendo applicazione delle regole ordinarie applicabili in materia di comunione ordinaria, secondo le quali (v. Cass. n. 20652 del 2013) “In tema di spese di conservazione della cosa comune, l’art. 1110 cod. civ., escludendo ogni rilievo dell’urgenza o meno dei lavori, stabilisce che il partecipante alla comunione, il qua¬le, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell’amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, a condizione di aver precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l’amministratore, sicché solo in caso di inattività di questi ultimi egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpel¬lati, incombendo comunque su di lui l’onere della prova sia della suddetta inerzia che della ne¬cessità dei lavori”. Il principio è ribadito da Cass. n. 353 del 20131 “L’art. 1110 cod. civ. consente eccezionalmente la ripetibilità delle spese sostenute dal singolo partecipante alla comunione, in caso di trascuranza degli altri, limitatamente a quelle necessarie per la conservazione della cosa, ossia al mantenimento della sua integrità. Ne consegue che restano esclusi dal diritto al rimborso gli oneri occorrenti soltanto per la migliore fruizione della cosa comune, come le spese per l’il¬luminazione dell’immobile, ovvero per l’adempimento di obblighi fiscali, come l’accatastamento del bene”. Il coniuge comproprietario avrà diritto di ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione ed il miglioramento della cosa comune non in ogni caso ed illimitatamente, ma purché abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e purché questi, a fronte di un intervento necessario, sia rimasto inerte”.
In sintesi la sentenza 24160/2018 afferma il principio generale della irripetibilità dei capitali impiegati per spese di acquisto o di ristrutturazione ove sia accertata la loro natura di donazione indiretta e non che tali attribuzioni patrimoniali costituiscano ontologicamente una donazione indiretta (“…Avendo la corte d’appello escluso che si tratti di una intestazione fiduciaria… non¬ché avendo escluso l’esistenza di una qualsiasi causa giustificativa di tale attribuzione al di fuori dello scopo di liberalità, implicitamente la sentenza impugnata ha accertato l’esistenza dell’”animus donandi”…).
12 Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981: La sospensione della prescrizione non opera tra coniugi separati legalmente.

d) I casi di ripetibilità
La prova di una “causa” diversa da quella “contributionis” o “donationis” può essere data in giudi¬zio nei limiti dell’ammissibilità della prova previsti dal codice civile13.
La parte che chiede la restituzione dei capitali impiegati per l’acquisto o per la ristrutturazione può provare per esempio che si trattava di un prestito (mutuo) tra coniugi con riserva quindi di restitu¬zione degli importi da parte dell’altro coniuge; può provare l’esistenza di un accordo di anticipazio¬ne in vista della restituzione al momento della divisione del bene comune; può provare l’impegno dell’altro coniuge alla restituzione al terzo che abbia anticipato i capitali (per esempio al genitore di uno dei coniugi); può provare che al terzo che abbia anticipato i capitali al coniuge utilizzatore fosse stato garantita la restituzione da entrambi i coniugi. Qualunque evento, insomma, idoneo a smentire la causa su cui si fonda l’asserita irripetibilità.
Impedire che questa prova possa essere data significherebbe introdurre una presunzione di irripe¬tibilità che è smentita da tutte le regole previste per il caso di anticipazione da parte di un coniuge dei capitali utilizzati per migliorie sull’immobile comune.
Il principio di ripetibilità delle attribuzioni non aventi natura contributiva costituisce un’applica¬zione del principio generale di ripetibilità delle attribuzioni prive di una causa giustificatrice (art. 2033 c.c.: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha il diritto di ripetere ciò che ha pagato”). E, come si è sopra visto, attribuzioni esorbitanti dal dovere (giuridico o morale) di contribuzione e di assistenza materiale costituiscono senz’altro “pagamenti non dovuti”.
Molto chiare su questi aspetti sono Cass. civ. Sez. III, 22 settembre 2015, n. 18632 e Cass. civ. Sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330 dove si chiarisce che l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro, avvenuta senza giusta causa. In particolare – si legge in quest’ultima sentenza – l’ingiustizia dell’arricchimento da parte nella specie di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro è configurabile in presenza di prestazioni a van¬taggio del primo, che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di con¬vivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza; la mancanza o la ingiustizia della causa non è, invece, invocabile qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità, ovvero dell’adempimento di una obbligazione naturale.
La giurisprudenza aveva anche prima avuto modo di occuparsi espressamente di questo problema in una vicenda in cui il marito con denaro proprio aveva effettuato alcune migliorie ad una casa di proprietà della moglie (Cass. civ. Sez. I, 13 maggio 1989, n. 2199). Nella decisione era stato applicato l’art. 1150 c.c. secondo cui “il possessore, anche se in mala fede, ha diritto al rimborso per le spese fatte per le riparazioni straordinarie”. La sentenza non rimase isolata dal momento che lo stesso principio è stato poi ripreso da Cass. civ. Sez. I, 26 maggio 1995, n. 5866 che ha applicato sempre l’art. 1150 c.c.
Il rimborso delle spese effettuate (art. 1150 c.c.) potrebbe non essere altrettanto vantaggioso quanto la minor somma tra lo speso e il migliorato (art. 985 c.c. sull’usufrutto ritenuto applicabile dalla dottrina) ma è sempre meglio di niente. In realtà nessuna delle due soluzioni è del tutto ap¬pagante, perché l’art. 985 c.c. (richiamato, come detto, dalla dottrina) presuppone che il coniuge non proprietario sia considerato usufruttuario (il che è evidentemente una forzatura) mentre l’art. 1150 c.c. (richiamato dalla giurisprudenza citata) presuppone che il coniuge sia considerato pos¬sessore (mentre, invece, è certamente detentore e non possessore).
In ogni caso il principio è sempre quello che chi si arricchisce di qualcosa che non è “dovuto” deve indennizzare l’autore dell’arricchimento (art. 2041 c.c.14).
13 Art. 2721 (Ammissibilità: limiti di valore)
La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede gli € 2,58.
Tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
Art. 2724 (Eccezioni al divieto della prova testimoniale)
La prova per testimoni è ammessa in ogni caso:
1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato;
2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;
3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
Art. 2725 (Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta)
Quando secondo la legge o la volontà delle parti , un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell’articolo precedente.
La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità.
Art. 2727 (Nozione)
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato.
Art. 2729 (Presunzioni semplici)
Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.
14 Art. 2041 (Azione generale di arricchimento)
Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.
Art. 2042 (Carattere sussidiario dell’azione)
L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi inden¬nizzare del pregiudizio subìto.
DONAZIONE INDIRETTA
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. II, 18 luglio 2019, n. 19400 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La donazione indiretta è un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa consistente nell’arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore; differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che aveva ritenuto l’esistenza di donazioni indirette sulla base di prove presuntive).
Cass. civ. Sez. II, 17 aprile 2019, n. 10759 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Si ha donazione indiretta di un bene (nella specie, un immobile) anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collega¬mento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l’oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante.
Cass. civ. Sez. II, 19 marzo 2019, n. 7681 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei contratti di scambio, la donazione indiretta è configurabile solo a condizione che le parti abbiano volutamen¬te stabilito un corrispettivo di gran lunga inferiore a quello che sarebbe dovuto, con l’intento, desumibile dalla notevole entità della sproporzione tra il valore reale del bene e la misura del corrispettivo, di arricchire la parte acquirente per la parte eccedente quanto pattuito.
Corte d’Appello Catania Sez. II, 8 gennaio 2019 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La donazione indiretta consiste nell’elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipi¬co dell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima.
Cass. civ. Sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24160 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’attività con la quale il marito fornisce il denaro affinché la moglie divenga con lui comproprietaria di un im¬mobile è riconducibile nell’ambito della donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finché dura il matrimonio, i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal donante, volti a finanziare lavori nell’im¬mobile, giacché tali conferimenti hanno la stessa causa della donazione indiretta. Tuttavia, dopo la separazione personale dei coniugi, analoga finalità non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti fatti dal marito o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà, poiché in tale ultimo caso non può ritenersi più sussistente la finalità di liberalità e tali spese dovranno considerarsi sostenute da uno dei comproprietari in regime di comu¬nione, con l’applicazione delle regole ordinarie ad essa relative. Conseguentemente, il coniuge comproprietario potrà ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione ed il miglioramento della cosa comune, purché abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e purché questi, a fronte di un intervento neces¬sario, sia rimasto inerte.
Cass. civ. Sez. VI – 2, 24 luglio 2018, n. 19537 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ove la donazione riguardi una somma di denaro impiegata dal donatario per l’acquisto della casa familiare e ove detto acquisto sia condiviso con il coniuge, il donatario in tal modo dona al coniuge il 50% della proprietà con¬sentendone l’intestazione allo stesso. Non può pertanto ravvisarsi una donazione indiretta dell’intero immobile al donatario tale da escludere la comunione del bene tra i coniugi. (Nella fattispecie, la Corte ha respinto il ricorso proposto dall’ex marito contro la ex moglie al fine di vedersi riconosciuta l’esclusiva proprietà dell’immobile oggetto, a suo dire, di donazione indiretta da parte della madre la quale gli aveva fornito il denaro necessario all’acquisto.)
La somma di denaro donata dal genitore al figlio, coniugato in regime di comunione legale dei beni, non costi¬tuisce un’ipotesi di donazione indiretta e l’immobile acquistato con tale denaro entra a far parte del regime di comunione legale dei beni, anche se manca un atto che rivesta la forma richiesta dalla legge per la validità delle donazioni, e cioè l’atto pubblico stipulato alla presenza di due testimoni.
Tribunale Ferrara, 4 aprile 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’atto di cointestazione con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito-qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi.
Tribunale Frosinone, 30 marzo 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’acquisto di un immobile da parte di una persona con denaro di altra persona integra gli estremi di una dona¬zione indiretta, se il denaro, quale corrispettivo della vendita, viene corrisposto, nella sua interezza, dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene, oppure mediante il versamento diretto dell’importo al venditore.
Tribunale Firenze, 16 marzo 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda volta alla revoca della pretesa donazione indiretta, in conseguenza di grave ingiuria e/o grave pre¬giudizio dolosamente arrecato al proprio patrimonio quale donante, da parte del donatario, non può trovare ac¬coglimento in assenza di una prova adeguata della esistenza di una donazione a ed a fronte di una dichiarazione confessoria delle parti di segno contrario e non revocabile.
Tribunale Trani, 13 marzo 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il negotium mixtum cum donatione costituisce una donazione indiretta attuata attraverso l’utilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo, per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale adottato.
Cass. civ. Sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4682 (Famiglia e Diritto, 2018, 8-9, 745 nota di BONAMINI)
La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario: a condizione, però, che sia veri¬ficata l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
Tribunale Torino Sez. II, 29 gennaio 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di donazione indiretta, l’onere probatorio è ripartito nel senso che spetta al soggetto che agisce in giu¬dizio dimostrare la sussistenza, nella fattispecie concreta, degli elementi costitutivi della liberalità, ovvero dell’ar¬ricchimento unilaterale non remunerato e dell’animus donandi in capo al disponente, mentre è compito del bene¬ficiario dell’attribuzione dedurre elementi idonei a delineare una diversa giustificazione causale del trasferimento.
Trib. Taranto Sez. II, 1 agosto 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Deve escludersi che il contratto di assicurazione sulla vita in favore dell’erede legittimo o testamentario pos¬sa qualificarsi quale donazione indiretta del contraente in favore dei terzi designati. Infatti, la corresponsione dell’indennità in favore del beneficiario, pur se derivante dal contratto stipulato dal contraente assicurato a favore del terzo designato, non determina un corrispondente depauperamento del patrimonio del contraente assicurato e, pertanto, non può ritenersi costituire oggetto di un atto di liberalità ai sensi dell’art. 809 c.c., assoggettabile alle norme sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari. II solo depauperamento che si verifica nel patrimonio del contraente assicurato è costituito dal versamento dei premi assicurativi da lui eseguito in vita e, pertanto, solo le somme versate a tale titolo possono considerarsi oggetto di liberalità indiretta a favore del terzo designato come beneficiario, con conseguente assoggettabilità all’azione di riduzione proposta dagli eredi legittimi.
Cass. civ. Sez. Unite, 27 luglio 2017, n. 18725 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal di¬sponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta. Ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiarlo, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.
La donazione indiretta non si identifica totalmente con la donazione, cioè con il contratto rivolto a realizzare la specifica funzione dell’arricchimento diretto di un soggetto a carico di un altro soggetto, il donante, che nulla ottiene in cambio, in quanto agisce per spirito di liberalità. Si tratta di liberalità che si realizzano: (a) con atti diversi dal contratto (ad esempio, con negozi unilaterali come l’adempimento del terzo o le rinunce abdicative); (b) con contratti (non tra donante e donatario) rispetto ai quali il beneficiario è terzo; (c) con contratti caratte¬rizzati dalla presenza di un nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali; (d) con la combinazione di più negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui). La configurazione della donazione come un con¬tratto tipico a forma vincolata e sottoposto a regole inderogabili obbliga infatti a fare ricorso a questo contratto per realizzare il passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto ad un altro, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che il legislatore consenta il compimento in forme differenti di uno stesso atto, imponendo, però, l’onere della forma solenne soltanto quando le parti abbiano optato per il contratto di donazione.
Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 2017, n. 15954 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il pagamento effettuato in esecuzione di una pattuizione contrattuale successivamente dichiarata nulla è ripetibi¬le, perché non può qualificarsi come adempimento di un’obbligazione naturale in quanto non è possibile rinvenire il presupposto della spontaneità né quello dell’esecuzione di un dovere morale o sociale.
Cass. civ. Sez. VI – 2, 7 giugno 2017, n. 14203 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 785 c.c., la donazione obnuziale, essendo un negozio formale e tipico caratterizzato dall’espres¬sa menzione, nell’atto pubblico, delle finalità dell’attribuzione patrimoniale eseguita da uno degli sposi o da un terzo in riguardo di un futuro, “determinato”, matrimonio, è incompatibile con l’istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il compimento di atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c.; infatti, la precisa connotazione della causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto dell’atto, non può rinvenirsi nell’ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta, ancorché in concreto perseguita, può rilevare solo quale motivo finale degli atti di disposizione patrimoniale fra loro collegati ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente delineato dal legislatore nei suoi requisiti di forma e di sostanza, in vista del particolare regime di perfezionamento, efficacia e caducazione che lo contrad¬distingue dalle altre donazioni.
La donazione obnuziale ha un carattere necessariamente formale, che richiede la specifica indicazione di un determinato matrimonio, in vista del quale la donazione è effettuata, e risulta, pertanto, incompatibile con il meccanismo della donazione indiretta.
Tribunale Roma Sez. I, 6 giugno 2017 (Famiglia e Diritto, 2018, 7, 687 nota di Restuccia)
La possibilità che la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora appartenuta ad uno solo dei cointestatari, possa costituire donazione indiretta è legata all’apprezzamento dell’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che, al momento del¬la cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità. Ciò vale per il denaro giacente sul conto al momento in cui avvenga la cointestazione, mentre nel diverso caso in cui i versamenti da parte di uno dei correntisti siano effettuati successivamente alla cointestazione, la donazione indiretta sarebbe preclusa dal divieto di donazione di beni futuri sancito dall’art. 771 c.c.
Cass. civ. Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente intende in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra – anche ai fini della collazione – donazione indiretta del bene stesso e non del danaro.
Trib. Lucca, 25 marzo 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nella donazione indiretta l’attribuzione gratuita viene attuata con un negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti che lo pongono in essere; in tal caso il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di libe¬ralità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore.
Cass. civ. Sez. II, 4 gennaio 2017, n. 106 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La Seconda Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione, oggetto di contrasto, concernente gli strumenti utilizzabili onde porre in essere una donazione indiretta, ex art. 809 c.c., ed il relativo meccanismo di funzionamento.
Cass. civ. Sez. II, 30 settembre 2016, n. 19578 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La liberalità fatta per riconoscenza nei confronti del beneficiario (cd. donazione rimuneratoria) differisce dall’ob¬bligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., la cui sussistenza postula una duplice indagine, finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adegua¬tezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
Cass. civ. Sez. II, 15 luglio 2016, n. 14551 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per la validità della donazione indiretta, non è necessaria la forma della donazione (atto pubblico a pena di nulli¬tà), bensì quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti. Infatti, l’art. 809 c.c., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione
Cass. civ. Sez. V, 24 giugno 2016, n. 13133 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Alla donazione indiretta effettuata dal padre ai figli di un assegno di circolare dell’ammontare di euro 2.500.000 si applica l’imposta di successione e donazione secondo le franchigie previste dall’art. 56-bis del D.Lgs. n. 346/1990 ratione temporis applicabili.
Cass. civ. Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3263 (Famiglia e Diritto, 2018, 1, 19 nota di Perillo)
Nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta. Ne consegue che è ad essa applicabile l’art. 775 c.c., e se compiuta da incapace naturale è annullabile a prescindere dal pregiudizio che quest’ultimo possa averne risentito. Deve peraltro precisarsi che il donatum originario è costituito dai premi versati all’assicuratore giacché il pagamento del premio ha integrato il c.d. negozio-mezzo (l’assicurazione) utilizzato per conseguire il negozio-fine (la donazione), mentre il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore ha costituito il risultato finale utile dell’operazione per il beneficiario.
Cass. civ. Sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di acquisto di un immobile da parte di un soggetto, con denaro fornito da un terzo per spirito di libe¬ralità, si configura una donazione indiretta, che si differenzia dalla simulazione giacché l’attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti ed alla quale, pertanto, non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Cass. civ. Sez. I, 25 gennaio 2016, n. 1266 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimonia¬le e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza. Ne consegue che, in un tale contesto, l’attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente “more uxorio” assume una siffatta connotazione quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato, benché non possa escludersi che, talvolta, essa trovi giustificazione proprio in quest’ulti¬mo, del quale deve fornirsi prova rigorosa, e la cui configurabilità costituisce valutazione, riservata al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato la natura di obbligazione naturale al contributo lavorativo della donna all’azienda del convivente, in quanto fonte di arricchimento esclusivo dello stesso in luogo di quello dell’intera famiglia cui detto apporto lavorativo era preordinato).
Cass. civ. Sez. II, 21 ottobre 2015, n. 21449 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La donazione indiretta si caratterizza per il fine perseguito e non già per lo strumento negoziale adottato a tal scopo, che dunque può essere costituito da qualunque negozio o da più negozi collegati. Il negozio indiretto, dunque, è il risultato del collegamento tra i due negozi. In particolare, la donazione indiretta consiste nell’elar¬gizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico descritto nell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima.
Cass. civ. Sez. III, 22 settembre 2015, n. 18632 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro, avvenuta senza giusta causa. In particolare, l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro è configurabile in presenza di prestazioni a vantaggio del primo, che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. La mancanza o la ingiustizia della causa non è, invece, invocabile qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità, ovvero dell’adempimento di una obbli¬gazione naturale.
Cass. civ. Sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il con¬ferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro.
Trib. Treviso, 15 giugno 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel cosiddetto “negotium mixtun cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio com¬mutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’ar¬ricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio posto in essere una fattispecie di donazione indiretta.
Cass. civ. Sez. III, 16 aprile 2015, n. 7683 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a titolo di liberalità e costituisce una donazione indiretta; ne consegue che, se compiuta da un incapace naturale, è annul¬labile a prescindere dal pregiudizio che quest’ultimo possa averne risentito.
Trib. Torre Annunziata Sez. II, 3 marzo 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La rinuncia all’usufrutto, se ispirata da animus donandi, è suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario rinunciato, perché, comportando un’estin¬zione anticipata di tale diritto, si risolve nel conseguimento, da parte di detto dominus, dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza: il controvalore di tali vantaggi è, pertanto, senz’altro passibile di convogliamento nella massa ereditaria di cui all’art. 556 c.c.
Cass. civ. Sez. II, 25 febbraio 2015, n. 3819 (Nuova Giur. Civ., 2015, 7-8, 577 nota di MAZZARIOL)
Costituisce donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via ri¬flessa tutti gli altri comproprietari; e poiché per la realizzazione del fine di liberalità viene utilizzato un negozio, la rinunzia alla quota da parte del comunista, diverso dal contratto di donazione, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per quest’ultimo.
La rinuncia abdicativa della quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti, mediante eliminazione dello stato di compressione in cui il diritto di questi ultimi si trovava a causa dell’appartenenza in comunione anche ad un altro soggetto, costituisce donazione indiretta, senza che sia all’uopo necessaria la forma dell’atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione.
La rinuncia alla quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari, costituisce donazione indiretta e come tale non richiede la forma dell’atto pubblico.
Trib. Genova, 20 febbraio 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia successoria, nel caso in cui un soggetto abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile al pro¬prio figlio, deve distinguersi la donazione diretta del danaro, ove l’oggetto della liberalità rimane il denaro, dal caso in cui il denaro sia il mezzo fornito per l’acquisto della casa. In tale ipotesi, il collegamento tra l’elargizione del denaro e l’acquisto dell’immobile porta a ritenere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immo¬bile stesso e non già del denaro impiegato per il suo acquisto.
Tribunale Modena Sez. II, 20 ottobre 2014 (Famiglia e Diritto, 2015, 4, 396 nota di MASTROBERARDINO)
L’assicurazione sulla vita stipulata a beneficio di terzi integra i requisiti della donazione indiretta, laddove non vi siano rapporti pregressi tra assicurato e beneficiario. L’assenza di qualsivoglia legame di carattere economico o sociale tra assicurato e beneficiario è indice di sussistenza dello spirito di liberalità. Ciò viene avvalorato nel caso in cui sia designato, quale beneficiario, un ente dedito a fini assistenziali. Il premio versato dall’assicurato, costituente il diretto impoverimento del donante, fornisce la causa dell’arricchimento del donatario. Per la di¬chiarazione di incapacità naturale del contraente è sufficiente un perturbamento psichico, anche solo transitorio, tale da menomarne gravemente, pur senza escluderle, le facoltà intellettive.
Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’elargizione di una somma di denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto di un immobile da parte del destinatario, che il disponente intenda in tal modo beneficiare, si configura come una liberalità che, in quanto avente ad oggetto l’immobile e non già la somma di denaro, è qualificabile come donazione indiretta, con la conseguenza che, ove il donatario risulti coniugato in regime di comunione legale, il bene non resta as¬soggettato al predetto regime, ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. b), c.c., senza che risulti necessario, a tal fine, che l’attività del donante si articoli in attività tipiche, essendo invece sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo e l’arricchimento del soggetto onorato per spirito di liberalità.
L’elargizione di una somma di denaro finalizzata all’acquisto di un immobile da parte del beneficiario si configura come donazione indiretta, con la conseguenza che, qualora il donatario sia coniugato in regime di comunione legale, il bene acquistato è escluso da detto regime, ai sensi dell’art. 179, lett. b), c.c. Per la validità della do¬nazione indiretta non è richiesta la forma dell’atto pubblico, ma è necessaria la prova dell’effettiva dazione del relativo importo al donatario o direttamente all’alienante.
Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18541 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La dazione di una somma di denaro configura una donazione indiretta d’immobile ove sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto del bene, dovendosi altrimenti ravvisare soltanto una donazione diretta del denaro elargito, per quanto poi successivamente utilizzato in un acquisto immobiliare.
Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distin¬guere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tal caso, il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Cass. civ. Sez. I, 23 maggio 2014, n. 11491 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le donazioni di denaro finalizzate all’acquisto di un bene (nella specie, azioni) costituiscono donazione indiretta di quel bene poiché, in presenza di collegamento tra la messa a disposizione del denaro e il fine specifico dell’acqui¬sto del bene, la compravendita costituisce lo strumento del trasferimento del bene, oggetto dell’arricchimento del patrimonio del destinatario.
Cass. civ. Sez. II, 20 maggio 2014, n. 11035 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, con la sua adesione, la compravendita costituisce stru¬mento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del denaro, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro impiegato per il suo acquisto. Alla base di questa soluzione – convalidata anche dalla giurisprudenza successiva – vi è la sottolinea¬tura che, nel caso del denaro corrisposto dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene o mediante il versamento diretto dell’importo all’alienante o mediante la previsione della destinazione della som¬ma donata al trasferimento immobiliare, c’è un collegamento tra l’elargizione del danaro e l’acquisto del bene da parte del beneficiario. Ha errato la Corte d’appello a ritenere che, mancando la contestualità tra acquisto del terreno ed edificazione che ne è seguita, il principio dell’accessione costituisca un ostacolo alla configurabilità della donazione indiretta dell’edificio, e che sia predicabile, al più, un atto di liberalità con riguardo al pagamento del corrispettivo contrattualmente pagato dal genitore in favore delle figlie già intestatarie, per effetto di do¬nazione indiretta, del terreno. Così decidendo, la Corte territoriale ha risolto il problema dell’identificazione del bene donato prescindendo, non solo da ogni riferimento all’interesse a donare dello stipulante, ma anche dagli aspetti sostanziali della vicenda negoziale, omettendo in particolare di indagare se, con riferimento all’edifica¬zione, lo schema contrattuale utilizzato fosse rivolto a far pervenire alle figlie la proprietà dell’immobile anziché il denaro di cui il genitore stipulante si è privato. A quegli aspetti sostanziali della vicenda negoziale, invece, la Corte avrebbe dovuto avere riguardo, valutando se l’effetto ultimo, voluto dal disponente, non fosse piuttosto l’arricchimento, senza corrispettivo, delle destinatarie dell’acquisto, sicché l’oggetto della donazione fosse l’og¬getto stesso dell’arricchimento, ossia l’immobile acquistato per accessione.
In tema di donazione indiretta, con riguardo alla vicenda dell’edificazione, con denaro del genitore, su terreno intestato a figli (a seguito di precedente donazione indiretta), il bene donato può ben essere identificato, non nel denaro, ma nello stesso edificio realizzato – senza che a ciò sia di ostacolo l’operatività dei principi sull’acquisto per accessione -, tutte le volte in cui, tenendo conto degli aspetti sostanziali della vicenda negoziale (nella specie alternativamente indicata dal giudice del merito come appalto o come contratto a favore di terzi) e dello scopo ultimo perseguito dal disponente, l’impiego del denaro a fini edificatori sia compreso nel programma negoziale perseguito dal genitore donante.
Cass. civ. Sez. II, 31 gennaio 2014, n. 2149 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La donazione indiretta dell’immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l’identico risultato giuridi¬co-economico dell’attribuzione liberale dell’immobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo.
Cass. civ. Sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277 (Famiglia e Diritto, 2014, 10, 888 nota di BORTOLU)
Le attribuzioni patrimoniali del convivente more uxorio alla compagna durante la convivenza costituiscono adempimento di doveri morali e sociali, che trovano la loro regolamentazione nell’art. 2034 del codice civile, che disciplina le obbligazioni naturali, le quali determinano, come effetto, la soluti retentio, ovvero l’impossibilità di ottenere la ripetizione di quanto spontaneamente pagato, a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze nonché proporzionata all’entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens.
Il discrimine fra l’adempimento dei doveri sociali e morali, quale può individuarsi in qualsiasi contributo fra conviventi, destinato al ménage quotidiano ovvero espressione della solidarietà fra persone unite da un legame intenso e duraturo, e l’atto di liberalità, va individuato, oltre che nella spontaneità, soprattutto nel rapporto di proporzionalità fra i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare. Orbene, tale requisito, ricono¬sciuto in relazione alle obbligazioni naturali in generale, deve essere ribadito in riferimento all’adempimento di doveri morali e sociali nella convivenza more uxorio.
Cass. civ. Sez. II, 16 gennaio 2014, n. 809 (Notariato, 2014, 1, 51)
In tema di donazione indiretta, la cointestazione di un conto corrente ad uso esclusivo che, ai sensi dell’art. 1854 c.c., attribuisce agli intestatari la qualità di creditori o di debitori solidali dei saldi del conto fa sì presumere, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, la contitolarità dell’oggetto del contratto ma non è prova definitiva di aver posto in essere con tale atto una donazione indiretta.
La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (art. 1298 c.c., comma 2), ma tale presunzione da luogo soltanto all’inversione dell’o¬nere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.
L’animus donandi non può essere riconosciuto sulla sola base della cointestazione di un conto corrente. Il giudice deve motivare sullo spirito di liberalità che assiste ogni versamento.
Cass. civ. Sez. II, 3 gennaio 2014, n. 56 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La cessione gratuita della quota di partecipazione ad una cooperativa edilizia, finalizzata all’assegnazione dell’al¬loggio in favore del cessionario, integra donazione indiretta dell’immobile, soggetta, in morte del donante, alla collazione ex art. 746 cod. civ., tale quota esprimendo non una semplice aspettativa, ma un vero e proprio cre¬dito all’attribuzione dell’alloggio.
Trib. Genova Sez. III, 30 ottobre 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La convivenza more uxorio, seppure non possa equipararsi matrimonio, sia in merito ai doveri ed agli obblighi scaturenti dal rapporto, sia in merito agli effetti derivanti dalle conseguenze della fine del rapporto, fa sorgere tra i conviventi, doveri di solidarietà di contenuto analogo a quelli stabiliti per i coniugi dall’art. 143 c.c., fonte di un’obbligazione naturale per la quale non è ammessa alcuna forma di ripetizione. Anche per la convivenza more uxorio infatti, la Cassazione ha previsto la gratuità delle prestazioni lavorative rese nell’ambito della famiglia, definendo la convivenza come una vera e propria comunità familiare caratterizzata dalla presunzione di gratuità delle prestazioni rese al suo interno. Al convivente more uxorio è stato così riconosciuto il diritto di succedere nel contratto di locazione purché la convivenza sia stata caratterizzata da serietà e stabilità.
Trib. Vicenza Sez. I, 23 ottobre 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Un’attribuzione patrimoniale in favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del solvens, non potendo le prestazioni patrimoniali inquadrarsi nello schema dell’ob¬bligazione naturale ove abbiano come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e non sussista un rapporto di proporzionalità tra quanto sborsato ed i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dagli stessi soggetti.
Trib. Bari Sez. I, 21 ottobre 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto della proprietà di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad un altro soggetto che il disponente intende in tal modo beneficiare, si verifica una donazione indiretta per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico prevista per la donazione, essendo sufficiente che risultino rispettati i requisiti di forma richiesti per l’atto dal quale la donazione indiretta risulta.
Cass. civ. Sez. III, 21 agosto 2013, n. 19304 (Nuova Giur. Civ., 2014, 94, nota di TAGLIASACCHI)
È valida ed efficace la clausola, apposta ad un contratto di mutuo concluso tra coniugi, mediante la quale la restituzione della somma ricevuta viene sospensivamente condizionata alla separazione personale.
È valido il mutuo tra coniugi nel quale l’obbligo di restituzione sia sottoposto alla condizione sospensiva dell’evento, futuro ed incerto, della separazione personale, non essendovi alcuna norma imperativa che renda tale condizione illecita agli effetti dell’art. 1354, primo comma, cod. civ.
Trib. Salerno Sez. I, 29 giugno 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il bene acquistato da un coniuge separatamente durante il matrimonio costituisce oggetto della comunione le¬gale, ai sensi dell’art. 177, comma l lett. a), c.c., salvo che si tratti di beni personali ricorrendo una delle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 179 c.c.; sono esclusi dalla comunione legale anche i beni acquistati separata¬mente dal coniuge mediante donazione indiretta, per acquisto del bene il cui prezzo sia stato pagato da un terzo.
App. L’Aquila, 7 giugno 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La validità della donazione indiretta non presuppone la forma solenne della donazione, bensì quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti. La previsione normativa di cui all’art. 809 c.c., in¬vero, nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c. che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione, anche perché, essendo la norma da ultimo richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse.
Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 cod. civ., non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione.
In tema di comunione legale dei coniugi, la donazione indiretta rientra nell’esclusione di cui all’art. 179, primo comma, lett. b), cod. civ., senza che sia necessaria l’espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall’art. 179, primo comma, lett. f), cod. civ., né la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell’altro coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, secondo comma, cod. civ., trattandosi di disposizione non richiamate.
Cass. civ. Sez. II, 31 maggio 2013, n. 13861
Nella donazione indiretta il negozio di attribuzione a titolo gratuito è esonerato dalle forme stringenti della dona¬zione tipica ma non sfugge alla necessità di rispettare la forma propria del negozio mezzo che, quanto meno per ciò che riguarda la pretesa compravendita tra fratello – divenuto proprietario per effetto della donazione paterna-e la sorella, non può dirsi osservata, di tal che dell’esistenza e del contenuto di tale contratto si voleva dar prova per testimoni; il coordinamento poi tra i vari negozi, per essere considerato – nella prospettiva unificatrice della causa “in concreto” – espressione di un collegamento negoziale, presuppone che tutti siano voluti per i loro effetti tipici e quindi non può realizzarsi tra negozi simulati e dissimulati, essendo di per sé la simulazione già deputata al perseguimento di scopi estranei a quelli del negozio formalmente posto in essere.
Cass. civ. Sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La cointestazione di buoni postali fruttiferi, nella specie operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipata¬mente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’”animus donandi”, una donazione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti.
Cass. civ. Sez. II, 25 marzo 2013, n. 7480 (Famiglia e Diritto, 2013, 6, 554, nota di OBERTO)
L’attribuzione patrimoniale effettuata dalla convivente more uxorio che, nel corso della relazione paramatrimo¬niale, ha proceduto all’acquisto di un immobile in comunione con il partner per quote uguali, pur avendo sborsato l’intero prezzo per l’acquisto, è qualificabile alla stregua di una donazione indiretta della quota dell’immobile stesso. Tale liberalità è valida malgrado il mancato rispetto delle forme solenni previste per la donazione, inap¬plicabili alla donazione indiretta. Nessuna forma d’invalidità è poi riconducibile al fatto che il denaro impiegato per l’acquisto fosse stato conseguito dalla donna quale provento della sua attività di prostituta, atteso che tale profilo attiene ad una fase pregressa rispetto alla donazione, che è invece frutto dello spirito di liberalità con il quale la donna aveva inteso arricchire il suo convivente.
Trib. Roma Sez. X, 22 febbraio 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Si configura la donazione indiretta qualora il donante raggiunga lo scopo di arricchire un’altra persona servendosi di atti che hanno una causa diversa da quella del contratto di donazione. E così si ha donazione indiretta nel caso di pagamento di un debito altrui, di remissione del debito, ovvero di acquisto di un bene con denaro proveniente da un terzo e corrisposto per l’acquisizione della res da parte del beneficiario. Quando il denaro sia donato come tale, si è in presenza di una donazione diretta avente ad oggetto il denaro medesimo.
Cass. civ. Sez. II, 10 gennaio 2013, n. 482 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La rinuncia all’usufrutto, quale negozio unilaterale meramente abdicativo, ha come causa la dismissione del dirit¬to e, poiché il consolidamento con la nuda proprietà ne costituisce effetto “ex lege”, non può essere considerata come una donazione, né necessita della forma prescritta dall’art. 782 cod. civ.
Cass. civ. Sez. II, 9 novembre 2012, n. 19513 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La dichiarazione di assenso ex art. 179, secondo comma, cod. civ. del coniuge formalmente non acquirente, ma partecipante alla stipula dell’atto di acquisto, relativa all’intestazione personale del bene immobile o mobile registrato all’altro coniuge, può assumere natura ricognitiva e portata confessoria – quale fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte – sebbene esclusivamente di presupposti di fatto già esistenti, laddove sia controversa, tra i coniugi stessi, l’inclusione del medesimo bene nella comunione legale. Analoga efficacia in favore del coniuge formalmente acquirente non può, invece, attribuirsi ad una tale dichiarazione nel diverso giudizio fra i coeredi di colui che l’aveva resa, terzi rispetto al suddetto atto, in cui si discuta della configurabilità del menzionato acquisto come una donazione indiretta di quello stesso bene in favore del coniuge da ultimo indicato, nonché della sussistenza dei presupposti per il suo conferimento nella massa ereditaria del “de cuius”. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come donazione indiretta, conseguentemente assoggettandola a collazione, l’acquisito di un immobile successivamente al matrimonio da parte di uno dei coniugi, in relazione al quale era stato provato il diretto versamento del prezzo all’alienante ad opera dell’altro, negando rilievo alla contraria dichiarazione di quest’ultimo contenuta nell’atto di acquisto).
Cass. civ. Sez. VI, 17 ottobre 2012, n. 17805 (Fisco, 2012, 42, 6771, nota di BORGOGLIO)
L’accertamento fondato sulla spesa patrimoniale può essere confutato dimostrando che il denaro sborsato per la spesa medesima è in realtà stato elargito da terzi. In tal modo, infatti, non vi è alcuna manifestazione di capacità contributiva occultata, in quanto, al massimo, ciò può essere ravvisato in capo al soggetto che ha fornito il de¬naro. Pertanto, nel caso di acquisto di immobile effettuato dal figlio, ove il genitore, comparso in atto, ha di fatto elargito il denaro, si è in presenza di una donazione indiretta non del denaro ma dell’immobile, con tutto ciò che ne può conseguire in merito alla prova contraria sull’accertamento fondato sulla spesa patrimoniale.
Nel caso di acquisto di un bene immobile con denaro proprio del disponente e intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso intende beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro usato per l’acquisto. Detto atto simulato, avente causa gratuita, può costituire prova contraria dell’accertamento effettuato ex art. 38 del D.P.R. n. 600/1973.
Trib. Vicenza, 5 giugno 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La possibilità che l’atto di contestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, costituisca donazione indiretta, ricorre solo quando sia verificata l’esistenza dell’a¬nimus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della con¬testazione, altro scopo che quello di liberalità. E’ da escludere una tale volontà laddove appaia evidente come il de cuius, vivendo da solo ed avviandosi verso la vecchiaia, aveva inteso cointestare i suoi rapporti bancari con le sorelle, al solo scopo di fronteggiare una qualche evenienza negativa che potesse impedirgli di dettare per¬sonalmente disposizioni alla Banca, sentendosi, però, sempre il titolare esclusivo dei rapporti, disponendone a suo piacimento e non preoccupandosi di ottenere il consenso delle cointestatarie prima di ordinare una qualche operazione.
Trib. Padova Sez. I, 4 maggio 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel negotium mixtum cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arric¬chimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, così realizzandosi una donazione indiretta.
Cass. civ. Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3134 (Trust, 2012, 6, 633)
La donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, ivi compresi più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si impegni a pagare il relativo prezzo e, essendosene riservata la facoltà nel momento della conclusione del contratto, provveda ad effettuare la di¬chiarazione di nomina, sostituendo a sé, come destinatario degli effetti negoziali, il beneficiario della liberalità, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Né la configurabilità della donazione indiretta è impedita dalla circostanza che la compravendita sia stata stipulata con riserva della proprietà in favore del venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo, giacché quel che rileva è che lo stipulante abbia pagato, in unica soluzione o a rate, il corrispettivo, oppure abbia messo a disposizione del be¬neficiario i mezzi per il relativo pagamento.
L’intestazione fiduciaria di un bene, frutto della combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti ob¬bligatori a vantaggio del fiduciante, ha luogo solo ove il trasferimento vero e proprio in favore del fiduciario sia limitato dall’obbligo, inter partes, del ritrasferimento al fiduciante o al beneficiario da lui indicato, in ciò espli¬candosi il contenuto del pactum fiduciae. Manca, dunque, nell’istituto qualsiasi intento liberale del fiduciante verso il fiduciario e la posizione di titolarità creata in capo a quest’ultimo è soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante. Qualora, dunque, l’effetto reale non risulta essere accompagnato da alcun patto contenente l’obbligo della persona nominata di modificare la posizione ad essa facente capo a favore dello stipulante o di altro soggetto da costui designato, non può intendersi posto in essere il menzionato negozio. Stante quanto innanzi, la fattispecie dell’acquisito di un’azienda da parte del nominato con denaro del preteso fi¬duciante, stipulante, deve correttamente qualificarsi come donazione indiretta e non come intestazione fiduciaria.
Affinché si verifichi l’intestazione fiduciaria di un bene, che deriva dalla combinazione di effetti reali in capo al fiduciario e di effetti obbligatori a vantaggio del fiduciante, è necessario che il trasferimento in favore del fidu¬ciario sia limitato dall’obbligo, inter partes, del ritrasferimento al fiduciante o al beneficiario da lui indicato, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae, in mancanza del quale non si può ritenere sussistente l’intestazio¬ne fiduciaria del bene, bensì una donazione indiretta.
Trib. Bassano del Grappa, 19 ottobre 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel cosiddetto negotium mixtun cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commu¬tativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arric¬chimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio posto in essere una fattispecie di donazione indiretta. Ne consegue che la compraven¬dita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non integra, di per sé stessa, un negotium mixtum cum donatione, essendo, all’uopo, altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazioni, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’in¬sufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di contropar¬te acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto. Incombe poi alla parte che intenda far valere in giudizio la simulazione relativa nella quale si traduce il negotium mixtum cum donatione, l’onere di provare sia la sussistenza di una sproporzione di significativa entità tra le prestazioni, sia la consapevolezza di essa e la sua volontaria accettazione da parte dell’alienante in quanto indotto al trasferimento del bene a tali condizioni dall’animus donandi nei confronti dell’acquirente. A tal proposito deve rilevarsi come la consulenza tecnica d’ufficio non sia mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed e quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
Trib. Roma Sez. VIII, 30 maggio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’i¬potesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito.
Cass. civ. Sez. II, 17 novembre 2010, n. 23215 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipu¬lato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le presta¬zioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta. Per la validità di tale “negotium” non é necessaria la forma della donazione ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia perché l’art. 809 cod. civ., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione, sia perché, essendo la norma appena richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse.
Trib. Milano Sez. IV, 15 maggio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi in cui una dazione di denaro costituisca il mezzo per lo specifico fine dell’acquisto di un immobile si è in presenza di un’ipotesi di donazione, indiretta del bene immobile, fattispecie la cui configurazione non richiede la necessaria articolazione in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all’alienante, presenza alla stipulazione, sottoscrizione d’un contratto preliminare in nome proprio), necessario e sufficiente al riguardo essendo la prova del collegamento tra elargizione del denaro ed acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto.
Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496 (Famiglia e Diritto, 2011, 4, 348, nota di MARI, RIDELLA)
L’acquisto di un immobile con denaro del disponente e intestazione ad altro soggetto (che il primo intende, in tal modo, beneficiare) integra una donazione indiretta dell’immobile e non del denaro. All’azione di riduzione di liberalità indirette è inapplicabile il principio della quota legittima in natura, cosicché il legittimario leso deve far valere le sue pretese con le modalità tipiche del diritto di credito. Fallito il donatario, la domanda deve essere sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex art. 52 e 93 della legge fallimentare – R.D. n. 267/1942
Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 cod. civ.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex artt. 52 e 93 della legge fallimentare.
Trib. Bologna Sez. III, 14 aprile 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia
La stabilità nel senso di rilievo giuridico della convivenza non può identificarsi solo nella durata temporale, oc¬correndo pure un animus di porre in comune le proprie vite. Questo animus è effettivamente elemento affine rispetto alla comunione spirituale e materiale (art. 143, comma secondo, c.c.) del matrimonio, e giustifica da un lato il profilo del danno patrimoniale quale perdita di chances per un futuro apporto economico – pari a quello anteriore al decesso – del convivente deceduto alla comunità di vita formata dai conviventi stessi, e dall’altro l’equiparazione analogica del danno non patrimoniale alla perdita di congiunto (nel caso, coniuge). Tale animus deve allora dimostrarsi adeguatamente e specificamente.
Trib. Mondovì, 15 febbraio 2010 (Famiglia e Diritto, 2010, 7, 709, nota di CORDIANO)
La cointestazione di un conto corrente bancario, relativa a somme già depositate e originariamente appartenenti ad uno dei cointestatari, non costituisce donazione indiretta, se non venga provata l’esistenza della funzione do¬nativa, nella specie integrata da un atto di rinuncia alle pretese di rendicontazione e di restituzione delle somme prelevate, che indichi una dismissione dei diritti sorretta da un intento liberale.
Cass. civ. Sez. II, 14 gennaio 2010, n. 468
Occorre premettere, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte e ricordato dalla sentenza impugnata, che “per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipi¬co diverso da quello previsto dall’art. 782 c.c. non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’os¬servanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c. nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione”.
Perché possa ravvisarsi una donazione, peraltro, è necessario che chi assume di essere beneficiario della dona¬zione, fornisca la prova della volontà del preteso donante di porre in essere un atto di liberalità. Invero, Orbene, la Corte d’appello, con motivazione immune dai denunciati vizi logici e giuridici, ha escluso la sussistenza, in capo a D.M.C., dell’animus donandi, non ravvisabile in astratto nella delega del titolare di un conto corrente a terzi ad operare sul conto medesimo e sul deposito titoli, ancorché senza obbligo di rendiconto, essendo la de¬lega stata conferita dalla D. M. al ricorrente B.L. in occasione del suo ricovero in ospedale, a distanza di meno di un mese dalla morte; e ciò, ha sottolineato la Corte d’appello, “per l’evidente ragione che non avrebbe più potuto effettuare operazioni bancarie per le sue gravi condizioni di salute”. In tale contesto, la Corte ha altresì ritenuto che la prova, anche presuntiva, che la delega integrasse un atto di liberalità in contrasto con le ultime volontà espresse nel testamento non poteva essere desunta dalla isolata dichiarazione di un teste, resa nel corso del procedimento per sequestro conservativo.
Cass. civ. Sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel negotium mixtum cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi così una donazione indiretta. Per la validità di tale “negotium” non é necessaria la forma della donazione ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia perché l’art. 809 cod. civ., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione, sia perché, essendo la norma appena richiamata volta a tutelare il donante, essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità diverse.
Cass. civ. Sez. II, 2 settembre 2009, n. 19099 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di atti di liberalità, il “negotium mixtum cum donatione” costituisce una donazione indiretta in quanto, attraverso la utilizzazione della compravendita, si realizza il fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo; pertanto, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazio¬ne diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato; poiché, l’art. 809 cod. civ., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione.
Trib. Monza Sez. I, 20 maggio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di donazioni, l’oggetto della liberalità va individuato nel bene effettivamente conseguito al donatario e non, invece, nella depauperazione del donante. Pertanto, nel caso specifico di dazione di denaro operata da un terzo per l’acquisto di un bene immobile, poi effettivamente acquistato, si parla di donazione indiretta dell’im¬mobile compravenduto.
Cass. civ. Sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330 (Famiglia e Diritto, 2009, 12, 1181)
L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va pa¬rametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Trib. Pesaro, 28 febbraio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La forma richiesta per la donazione indiretta è la stessa del negozio – mezzo utilizzato.
Cass. civ. Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983 (Foro It., 2009, 4, 1, 1103)
La possibilità che costituisca donazione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora la predetta somma, all’atto della cointe¬stazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari – può essere qualificato come donazione indiret¬ta solo quando sia verificata l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
La S.C., in una fattispecie nella quale gli eredi di una defunta chiedevano il rimborso alla cointestataria di un libretto di risparmio del 50 per cento della somma portata dal libretto, da quest’ultima incassata per intero, ha enunciato il principio per cui la possibilità che costituisca donazione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari – è legata all’ap¬prezzamento dell’esistenza dell’ “animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
Non si configura una liberalità d’uso, né una donazione indiretta in caso di cointestazione di un libretto banca¬rio su cui erano state in precedenza depositate somme di denaro appartenenti ad uno solo dei cointestatari, allorquando difetti la prova che, all’atto della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità (nella specie, è stata confermata la pronuncia di merito secondo cui la cointestataria non proprietaria del denaro originariamente versato non aveva fornito la dimostrazione di un atto volontario e spontaneo di disposizione patrimoniale in suo favore da parte di chi aveva aperto il libretto, in considerazione dell’assistenza morale e materiale ricevuta).
Cass. civ. Sez. II, 6 novembre 2008, n. 26746 (Fam. Pers. Succ., 2009, 5, 410, nota di MASSELLA DUCCI TERI)
Ai fini della configurabilità della donazione indiretta d’immobile, è necessario che il denaro venga corrisposto dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene o mediante il versamento diretto dell’importo all’alienante o mediante la previsione della destinazione della somma donata al trasferimento immobiliare. Non ricorre, pertanto, tale fattispecie quando il danaro costituisca il bene di cui il donante ha inteso beneficiare il donatario e il successivo reimpiego sia rimasto estraneo alla previsione del donante.
Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23545 (Nuova Giur. Civ., 2009, 4, 1, 355, nota di FAROLFI)
Accertata la natura personale del bene acquistato in regime di comunione da uno dei coniugi con denaro in par¬te proveniente dal patrimonio dell’altro coniuge, è necessario qualificare giuridicamente il titolo della dazione al fine di verificare se sussistano i presupposti dell’obbligo di restituzione della metà del denaro versato a titolo di prezzo, potendo tale fattispecie integrare una donazione diretta del denaro o una donazione indiretta del bene, nel caso di dazione del denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto, oppure un contratto di mutuo.
Trib. Torino Sez. II, 5 agosto 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Costituisce donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di danaro depositata presso un istituto di credito, qualora la detta somma, all’atto della cointestazione risulti essere ap¬partenuta ad uno solo dei contestatari.
Trib. Bari, 16 aprile 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La dazione di somme di denaro da parte della moglie al marito, utilizzate da questo per l’acquisto di un immobile, costituisce valida donazione indiretta. Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso intende in tal modo beneficiare, si verifica una dona¬zione indiretta dell’immobile (non del denaro) per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico prevista per la donazione, ma basta l’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta.
Trib. Benevento, 4 dicembre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per l’esistenza, in favore del proprietario coltivatore diretto del fondo rustico confinante con quello ceduto, del diritto di prelazione e del correlativo diritto di riscatto, per il combinato disposto di cui all’art. 8, comma 1, L. n. 590/1965 e dell’art. 7, comma 2, L. n. 817/1971, è necessario che il trasferimento sia a titolo oneroso, mentre se la compravendita è utilizzata al fine di arricchire il compratore della differenza tra il valore del bene ed il prez¬zo stabilito, è configurarle un negotium mixtum cum donatione, che costituisce donazione indiretta e, pertanto, la predetta disciplina è inapplicabile.
Ass. Milano Sez. I, 10 luglio 2007
Il rapporto di convivenza more uxorio è privo di rilevanza penale ex art. 591 c.p., non potendosi estendere, ad una situazione di fatto non disciplinata dalla legge, l’obbligo di assistenza morale e materiale previsto dall’art. 143 c.c. Riconoscere l’operatività della tutela penale nel caso di violazione degli obblighi morali e di solidarietà fra i conviventi realizzerebbe, infatti, una forma inammissibile di interpretazione analogica in malam partem della norma penale.
Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 2007, n. 12496 (Fam. Pers. Succ., 2008, 8-9, 701, nota di MONTEVERDE)
Al fine di accertare l’esistenza o meno di una donazione indiretta deve sempre verificarsi la sussistenza dello spirito di liberalità, requisito comunque necessario per la configurabilità come donazione indiretta del comporta¬mento processualmente inerte del proprietario di un determinato immobile in relazione alla domanda proposta nei suoi confronti da parte di un terzo di accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà di quello stesso bene.
Cass. civ. Sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955 (Contratti, 2007, 8-9, 753, nota di CERIO)
Nel cosiddetto “negotium mixtun cum donatione” la causa del contratto ha natura onerosa ma il negozio com¬mutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’ar¬ricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore. Pertanto, realizza una donazione indiretta,per la quale è sufficiente la forma prescritta per il tipo di negozio adottato dalle parti e non è necessaria quella prevista per la donazione diretta, il contratto preliminare con cui, allo scopo di arricchire il promissario acquirente, il promittente venditore consapevolmente si obblighi a vendere l’immobile per un prezzo pari al valore catastale).
Cass. civ. Sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337 (Obbl. e Contr., 2006, 12, 1033, nota di GENNARI)
In tema di atti di liberalità, il “negotium mixtum cum donatione” costituisce una donazione indiretta in quanto, attraverso la utilizzazione della compravendita, si realizza il fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo; pertanto, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazio¬ne diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato; poiché, l’art. 809 cod. civ., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione.
Trib. Bologna Sez. IV, 6 giugno 2006 (Obbl. e Contr., 2006, 12, 1037, nota di SCHIAVONE)
Nella delegazione di pagamento, qualora non sussista alcun rapporto obbligatorio tra delegante e delegato, si versa in un’ipotesi di delegazione “allo scoperto”. In tale ipotesi, l’atto solutorio posto in essere dal delegato nei confronti del delegatario si qualifica nei confronti del delegante o come mutuo o come atto di liberalità o come mandato. Se manca un corrispettivo o altro elemento di utilità per il delegato, si tratta di donazione indiretta, in quanto tale revocabile, in caso di fallimento del donante, ai sensi dell’art. 64 legge fallimentare (R.D. n. 267/1942).
Cass. civ. Sez. II, 30 marzo 2006, n. 7507 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché con la donazione indiretta le parti realizzano l’intento di liberalità utilizzando uno schema negoziale aven¬te causa diversa, configura piuttosto una donazione diretta l’accollo interno con cui l’accollante, allo scopo di arricchire la figlia con proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest’ultima a pagare all’Istituto di credito le rate del mutuo bancario dalla medesima contratto, atteso che la liberalità non è un effetto indiretto ma la causa dell’accollo, sicché l’atto – non rivestendo i requisiti di forma prescritti dall’art. 782 cod. civ.- deve ritenersi inidoneo a produrre effetti diversi dalla “soluti retentio” di cui all’art. 2034 cod. civ.
Trib. Napoli, 20 marzo 2006 (Corriere del Merito, 2006, 12, 1392)
La dazione di somme di danaro da parte della moglie al marito, utilizzate da queste per l’acquisto di un immobile, costituisce valida donazione indiretta, sempre che siano rispettate le forme di legge, né rileva l’eventuale suc¬cessiva separazione dei coniugi, perché la causa del negozio, lo spirito di liberalità, va valutato con riferimento al momento della dazione.
Trib. Gallarate, 24 novembre 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Qualora sia stata data prova che l’acquisto di un immobile è avvenuto attraverso esborsi effettuati dai genitori di uno dei coniugi, il bene è qualificabile come bene personale di costui e l’operazione posta in essere dai primi ha natura di donazione indiretta; pertanto, l’immobile deve essere considerato bene escluso dalla comunione legale ai sensi dell’art. 179, lett. b), c.c.
Cass. civ. Sez. II, 25 ottobre 2005, n. 20638 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto; pertanto, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 cod. civ., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro.
Trib. Genova Sez. III, 13 ottobre 2005 (Obbl. e Contr., 2006, 3, 266, nota di SCHIAVONE)
Qualora la donazione di denaro sia finalizzata all’acquisto di un immobile, il quale sia individuato dallo stesso donante, senza alcuna autonoma determinazione da parte del donatario, l’atto si qualifica come donazione in¬diretta dell’immobile. Di conseguenza il relativo bene non rientra nella comunione legale dei coniugi ma è bene personale del coniuge donatario.
Qualora, dalle prove assunte in corso di causa, emerga che l’immobile in contestazione è oggetto di donazione indiretta da parte del de cuius a favore della figlia, lo stesso non cade nella comunione dei beni con l’ex marito della stessa. Infatti, la donazione indiretta deve essere ricompresa, nella previsione di cui all’art. 179 c.c., lett. b).
Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 2005, n. 10896 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi , la norma dell’art. 192, comma 3, c.c. attribuisce a ciascuno di essi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune (ad es., quelle impiegate per la ristrutturazione di bene immobile appartenente alla comunione), e non già alla ripetizione – totale o parziale – del denaro personale e dei proventi dell’attivita’ separata (che cadono nella comunione “de residuo” solamente per la parte non consumata al mo¬mento dello scioglimento) impiegati per l’acquisto di beni costituenti oggetto della comunione legale “ex” art. 177 c.c., primo comma lett. a), rispetto ai quali trova applicazione il principio inderogabile, posto dall’art. 194, comma 1, c.c., secondo cui, in sede di divisione, l’attivo e il passivo sono ripartiti in parti eguali indipenden¬temente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l’acquisto dei beni caduti in comunione.
Trib. Bologna Sez. II, 7 marzo 2005 (Guida al Diritto, 2005, 36, 79)
Nell’ipotesi di donazione di una somma di denaro cui faccia seguito l’acquisto di un immobile da parte del be¬neficiario, occorre distinguere l’ipotesi in cui tale somma venga utilizzata da quest’ultimo in virtù di una propria autonoma determinazione da quella in cui il donante fornisca il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile e questo sia l’unico specifico fine, se pur mediato, della donazione perché ove il denaro venga dato a quel pre¬cipuo scopo il collegamento tra l’elargizione della somma da parte del disponente e l’acquisto del bene da parte del. beneficiario porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dello stesso immobile e non di una donazione del denaro impiegato per il suo acquisto. Né la donazione indiretta di un immobile deve arti¬colarsi in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all’alienante, presenza alla stipula, sottoscrizione di un contratto preliminare in nome proprio) essendo necessario, ma anche sufficiente, che sia provato il collegamento tra l’elargizione del denaro e l’acquisto e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto stesso.
Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2005, n. 2354 (Famiglia e Diritto, 2005, 3, 237 nota di CARBONE)
In sede di divisione del patrimonio comune, il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune, ai sensi dell’art. 192, 3° comma, c.c., non consente la ripetizione del valore degli immobili provenienti dal patrimonio personale di uno dei coniugi e conferiti alla comunione.
In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi , la norma dell’art. 192 c.c., terzo comma, attribuisce a ciascuno dei coniugi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune, non già quello alla ripetizione del valore degli immobili provenienti dal patrimonio personale di uno dei coniugi e conferiti alla comunione, atteso che, per effetto della trasformazio¬ne dei beni personali in beni comuni, detti beni restano immediatamente soggetti alla disciplina della comunione legale, e quindi al principio inderogabile di cui all’art. 194 c.c., primo comma, il quale impone che, in sede di divisione, l’attivo e il passivo siano ripartiti in parti eguali, indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l’acquisto dei beni caduti in comunione.
Cass. civ. Sez. II, 29 settembre 2004, n. 19601 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel cosiddetto negotium mixtum cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio com¬mutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzio¬ne tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio posto in essere una donazione indiretta. Ne consegue che la compravendita ad un prezzo inferiore al valore effettivo non integra, di per sé, un negotium mixtum cum donatione, essendo all’uopo altresì necessaria non solo la sussistenza di una sproporzione tra le prestazioni, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre all’indispensabile consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di controparte acquirente; tali elementi costitutivi del negotium mixtum cum donatione debbono essere provati dalla parte che intenda far valere in giudizio la simulazione relativa quale esso si traduce.
Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2004, n. 18749 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale. (Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale – esclusa la configurabilità, nella specie, di un mutuo endofami¬liare – aveva ritenuto espressione di partecipazione alle esigenze dell’intero nucleo familiare, ai sensi della citata norma codicistica, il consistente intervento finanziario della moglie a titolo di concorso nelle spese relative alla ristrutturazione della casa di villeggiatura di proprietà del marito ma di uso familiare comune).
Trib. Torino, 15 luglio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La forma solenne dell’atto pubblico alla presenza dei testimoni ex art. 782 c.c. e art. 48, comma 1, legge n. 89 del 1913 non è necessaria per la validità della donazione indiretta di bene immobile.
Trib. Torino Sez. II, 21 maggio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso in cui il denaro sia dato al precipuo scopo dell’acquisto immobiliare e, quindi, o pagato direttamente all’alienante dal disponente, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’immobile, o pa¬gato al beneficiario dopo averlo ricevuto dal disponente in esecuzione del complesso procedimento che quest’ul¬timo ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, con o senza la stipulazione in proprio nome di un contratto preliminare con il proprietario dell’immobile, il collegamento tra l’elargizione del denaro da parte del disponente e l’acquisto del bene da parte del beneficiario porta a concludere che si è in presenza di una dona¬zione indiretta dello stesso immobile.
Per la validità della donazione indiretta non è necessaria la forma solenne dell’atto pubblico alla presenza dei testimoni, ai sensi dell’art. 782 c.c. e art. 48, primo comma, L. n. 89/1913 (legge notarile).
Trib. Padova Sez. I, 3 maggio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il pagamento con versamenti diretti all’agenzia o al venditore di una parte del prezzo di acquisto di un immobile, volta ad estinguere (parzialmente) il debito che la promissoria acquirente aveva assunto con la società venditrice per effetto del contratto preliminare di compravendita, costituisce liberalità attuata mediante adempimento del debito altrui ex art. 1180 c.c., ossia una tipica figura di donazione indiretta – il cui oggetto dovrebbe ritenersi il denaro, ma ciò è poco rilevante ai fini della causa – e come tale non soggetta agli oneri di forma del contratto di donazione.
Cass. civ. Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333 (Guida al Diritto, 2004, 15, 60, nota di SACCHETTINI)
La donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento; realizzazione dunque che può venire attuata anche mediante un collegamento tra più negozi, ossia un preliminare e il pagamento del prezzo, procurando in tal modo al destinatario della liberalità il diritto di rendersi intestatario del bene, non essendo necessaria la forma dell’atto pubblico prevista per la donazione, ma bastando l’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta.
La donazione indiretta, realizzata attraverso un collegamento negoziale il cui scopo complessivo è l’attuazione di una liberalità a favore del beneficiario, è soggetta soltanto ai requisiti formali che la legge prescrive per i singoli negozi, e non anche a quelli richiesti per la donazione diretta.
La donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito, che è quello di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, e può essere costituito anche da più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un preliminare di compravendita di un immobile in veste di promissario acquirente, paghi il relativo prezzo e sostituisca a sé, nella stipulazione del definitivo con il promittente venditore, il destinatario della liberalità, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso.
Nella donazione indiretta realizzata attraverso l’acquisto del bene da parte di un soggetto con denaro messo a disposizione da altro soggetto per spirito di libertà, l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti che lo pongono in essere, differenziandosi in tal modo dalla simulazione; tale negozio produce, insieme all’effetto diretto che gli è proprio, anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario della liberalità, sicché non trovano applicazione alla donazione indiretta i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono invece per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Cass. civ. Sez. II, 27 febbraio 2004, n. 4015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nella donazione indiretta realizzata attraverso l’acquisto del bene da parte di un soggetto con denaro messo a disposizione da altro soggetto per spirito di libertà, l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti che lo pongono in essere, differenziandosi in tal modo dalla simulazione; tale negozio produce, insieme all’effetto diretto che gli è proprio, anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario della liberalità, sicché non trovano applicazione alla donazione indiretta i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono invece per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642 (Guida al Diritto, 2004, 16, 51)
Nell’ipotesi di donazione di somma di denaro occorre distinguere l’ipotesi in cui questo sia impiegato successi¬vamente dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma e distinta determinazione, nel qual caso oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisca il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce l’unico specifico fine, se pur mediato, della donazione. Nel caso in cui il denaro sia dato al precipuo scopo dell’acquisto immobiliare e, quindi, o pagato direttamente all’alienante dal disponente, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’immobile, o pagato dal be¬neficiario dopo averlo ricevuto dal disponente in esecuzione del complesso procedimento che quest’ultimo ha inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità, con o senza la stipulazione in proprio nome d’un contratto preliminare con il proprietario dell’immobile, il collegamento tra l’elargizione del denaro da parte del disponente e l’acquisto del bene da parte del beneficiario porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto. Va escluso, pertanto, che la donazione indiretta dell’immobile debba necessariamente articolarsi in attività tipiche da parte del donante, essendo neces-sario, ma al tempo stesso sufficiente, che sia provato il collegamento tra elargizione del denaro e acquisto, cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto stesso.
La donazione diretta del denaro, successivamente impiegato dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma determinazione (caso in cui oggetto della donazione rimane comunque il denaro) va tenuta distinta dalla dazione del denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile, che integra un’ipotesi di donazione indiretta del bene, fattispecie la cui configurazione non richiede peraltro la necessaria articolazione in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all’alienante, presenza alla stipulazione, sottoscrizione d’un contratto preliminare in nome proprio), necessario e sufficiente al riguardo essendo la prova del collegamento tra elargizione del denaro ed acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto. Nel fare applicazione dei suindicati principi, la S.C. ha ritenuto che integri una fattispecie di donazione indiretta dell’immobile, e non già di donazione diretta del denaro impiegato per il suo acquisto, l’ipotesi caratterizzata dalla dazione del denaro con il precipuo scopo dell’acquisto immobiliare, in ragione del ravvisato collegamento tra l’elargizione del denaro da parte del disponente e l’acquisto del bene immobile da parte del beneficiario, indifferente al riguardo reputando che la prestazione in favore dell’alienante venga effet¬tuata direttamente dal disponente (presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’immobi¬le) ovvero dallo stesso beneficiario (dopo aver ricevuto il denaro dal disponente ed in esecuzione del complesso procedimento da quest’ultimo inteso adottare per ottenere il risultato della liberalità), con o senza stipulazione in nome proprio d’un contratto preliminare con il proprietario dell’immobile. Ed ha, d’altro canto, ritenuto al riguardo non indispensabile, bensì solamente utile ad abundatiam, desumere (anche) dall’emissione di assegni non trasferibili tratti direttamente all’ordine del venditore la dimostrazione che oggetto dell’animus donandi ma¬nifestato dal disponente nel caso fossero le quote societarie e non già il denaro, unitamente alla considerazione della concomitanza della relativa dazione sia con l’acquisto di tali quote sia con il separato acquisto di rimanenti quote da parte del coniuge del beneficiario e figlio del disponente (di guisa da consentire agli acquirenti la di¬sponibilità in parti eguali dell’intero capitale sociale, e, a tale stregua, dell’immobile unico cespite societario); la Corte, peraltro, ha ritenuto al riguardo viceversa irrilevante l’accertarsi se il disponente avesse consegnato al beneficiario assegni in bianco ovvero a favore del medesimo intestati, in ragione della raggiunta conclusione che non già il denaro (quale ne fosse la modalità di trasferimento), bensì le quote sociali hanno nel caso costituito l’oggetto della liberalità, la compravendita delle stesse pertanto assumendo mera funzione strumentale per il conseguimento del fine perseguito.
Trib. Brescia Sez. I, 24 ottobre 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Alla donazione indiretta non debbono applicarsi né le norme sulla donazione diretta previste dall’art. 769 c.c. – eccezion fatta per la revocazione e la riduzione di cui all’art. 809 c.c. – né, per quanto concerne la forma, quella prevista dall’art. 782 c.c. dovendosi ritenere che essa si sottrae al requisito dell’atto pubblico rimanendo soggetta alla forma prescritta per il tipo contrattuale effettivamente utilizzato e cioè, ex art. 1350 c.c., alla sola forma scritta.
Cass. civ. Sez. II, 13 marzo 2003, n. 3713 (Giur. It., 2004, 530 nota di DI GREGORIO)
Le prestazioni patrimoniali di uno dei conviventi more uxorio non possono inquadrarsi nello schema dell’obbliga¬zione naturale se hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e non sussiste un rapporto di propor¬zionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi. (Nella specie al convivente more uxorio che aveva realizzato un immobile, a proprie spese e con la propria manodopera, sul fondo appartenente al partner, è stato riconosciuto il diritto all’indennizzo).
Trib. Padova Sez. II, 28 febbraio 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’estinzione ad opera del padre del debito del figlio risultante dal contratto d’appalto sottoscritto da quest’ultimo con l’impresa esecutrice dei lavori, configura adempimento dell’obbligo altrui e determina donazione indiretta della somma. In conseguenza detta donazione, se lede la quota spettante agli altri legittimari costituisce pre¬supposto per l’accoglimento dell’azione di riduzione.
L’estinzione ad opera del padre del debito del figlio risultante dal contratto d’appalto sottoscritto da quest’ultimo con l’impresa esecutrice dei lavori, configura adempimento dell’obbligo altrui e determina donazione indiretta della somma e non dell’immobile. Il progetto edificatorio non risulta, infatti, riferibile ad iniziativa del “de cuius” bensì frutto di scelte e pattuizioni del figlio proprietario del terreno, fissate nella descrizione dei lavori e nel pre¬ventivo contenuti nella convenzione sottoscritta con la ditta esecutrice, sicché l’apporto paterno deve intendersi riferibile sostanzialmente alla sola estinzione del debito avente ad oggetto il corrispettivo dell’appalto e di tale valore si è arricchito il patrimonio del beneficiato.
Cass. civ. Sez. II, 15 gennaio 2003, n. 502 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Mentre con l’interposizione reale colui che acquista il diritto (interposto), in esecuzione di accordi interni con il terzo (interponente), è tenuto ritrasferirgli il diritto, nella donazione indiretta realizzata attraverso la vendita del bene intestato a un soggetto con danaro del disponente per spirito di liberalità l’attribuzione gratuita viene attuata con il negozio oneroso che produce insieme con l’effetto diretto che gli è proprio anche quello indiretto relativo all’arricchimento del destinatario della liberalità sicché non trovano applicazione alla donazione indiretta i limiti di prova testimoniale – in materia di contratti e di simulazione – che valgono invece per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Cass. civ. Sez. II, 24 ottobre 2002, n. 14981 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per donazione remuneratoria deve intendersi l’attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella consape¬volezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale, per compensare i servizi resi o promessi dal donatario. Esattamente, pertanto, il giudice del merito, escluso che nel trasferimento brevi manu di un libret¬to di risparmio con un saldo attivo di oltre cento milioni di lire integri sia pur in parte l’adempimento di obblighi nascenti da un rapporto di lavoro o comunque dipendenti da un dovere giuridico, afferma che deve ravvisarsi la figura prevista dall’articolo 770 del Cc (con conseguente nullità dell’attribuzione per difetto di forma), caratte¬rizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo dell’attribuzione patrimoniale, correlata specifica¬mente a un precedente comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o speciale remunerazione di attività svolta e non piuttosto quella dell’adempimento di un’obbligazione naturale ex articolo 2034 del codice civile.
Trib. Savona, 29 giugno 2002 (Famiglia e Diritto, 2003, 6, 598 nota di FERRANDO)
È valido il contratto con cui i conviventi more uxorio s’impegnano a partecipare alle spese della famiglia di fatto in misura eguale. In base al canone ermeneutico della buona fede, improntato ad un principio di solidarietà contrattuale, esso va tuttavia interpretato in analogia a quanto dispone, nei rapporti tra coniugi, l’art. 143 c.c., cosicché l’obbligo di contribuzione va determinato in relazione alle sostanze ed alle capacità di lavoro professionale e casalingo dei conviventi. Di conseguenza la convivente che abbia contribuito in misura maggiore, a causa delle difficoltà lavorative dell’altro, non può ripetere le maggiori somme destinate alla vita comune.
Trib. Napoli, 1 marzo 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il “negotium mixtum” con donazione integra una donazione indiretta attuata attraverso l’utilizzazione dello sche¬ma di una compravendita a prezzo di favore; in tale caso, l’arricchimento del beneficiario ricorre limitatamente alla differenza tra il valore di mercato del bene e il prezzo pagato, di guisa che nell’azione di riduzione la sussi¬stenza della lesione della quota spettante per legge ai legittimari va valutata nei limiti della liberalità indiretta.
Cass. civ. Sez. III, 15 maggio 2001, n. 6711 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per l’esistenza, a favore del proprietario coltivatore diretto del fondo rustico confinante con quello ceduto, del diritto di prelazione, e del correlato diritto di riscatto, per il combinato disposto di cui agli art. 8, comma 1, l. 26 maggio 1965 n. 590 e 7, comma 2, n. 2, l. 14 agosto 1971 n. 817, è necessario che il trasferimento sia a titolo oneroso, mentre se la compravendita è utilizzata al fine di arricchire il compratore della differenza tra il valore del bene ed il prezzo stabilito, è configurabile un negotium mixtum cum donatione, che costituisce donazione indiretta, e, pertanto, la predetta disciplina è inapplicabile.
Per l’esistenza, a favore del proprietario coltivatore diretto del fondo rustico confinante con quello ceduto, del diritto di prelazione, e del correlato diritto di riscatto, per il combinato disposto di cui agli art. 8, comma 1, l. 26 maggio 1965 n. 590 e 7, comma 2, n. 2, l. 14 agosto 1971 n. 817, è necessario che il trasferimento sia a titolo oneroso, mentre se la compravendita è utilizzata al fine di arricchire il compratore della differenza tra il valore del bene ed il prezzo stabilito, è configurabile un negotium mixtum cum donatione, che costituisce donazione indiretta, e, pertanto, la predetta disciplina è inapplicabile.
Trib. Monza, 25 gennaio 2001 (Nuova Giur. Civ., 2002, I, 46, nota di MORLOTTI)
Il prelevamento, in forza di regolare delega, del denaro depositato sul conto corrente del padre, prima della di lui morte ed in osservanza del suo desiderio di compensare la figlia per l’assistenza che gli ha prestato, deve essere considerato come una donazione indiretta remuneratoria; la somma così acquisita dalla figlia, non può formare oggetto di divisione ereditaria, ma può, però, essere ridotta al fine di integrare la quota di riserva spettante a sua sorella.
Trib. Napoli Sent., 19 gennaio 2001 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di acquisto di un immobile con denaro del disponente ed intestazione al beneficiario, la configurabilità di una donazione indiretta dell’immobile presuppone il collegamento tra elargizione di denaro e acquisto, ossia la finalizzazione dell’elargizione all’acquisto.
Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2000, n. 15778 (Famiglia e Diritto, 2001, 136, nota di CIANCI)
Nella ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l’acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del danaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazio¬ne. In tale secondo caso, il collegamento tra l’elargizione del danaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso, e non già del danaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell’art. 179, lett. b), c.c., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio – mezzo con l’arricchimento di uno dei coniugi per spirito di liberalità. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che fosse ricompreso nel regime di comunione legale l’immobile acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi, in relazione al quale era stato documentalmente provato il diretto versamento di somme alla coopera¬tiva, da parte del genitore di questo, all’atto dell’assegnazione dell’immobile stesso – senza che potesse assu¬mere rilievo la circostanza, risultante dall’atto pubblico di assegnazione, e ritenuta, invece, dai giudici di merito ostativa alla configurabilità di una donazione indiretta, che il restante maggior prezzo dovesse essere versato dall’intestatario del bene mediante accollo della quota di mutuo di pertinenza dell’immobile, avuto riguardo al comprovato versamento, da parte del genitore, delle relative rate).
Nell’ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l’acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del danaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazio¬ne. In tale secondo caso, il collegamento tra l’elargizione del danaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso e non già del danaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale è compreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell’art. 179, lett. b, c.c., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio – mezzo con l’arricchimento di uno dei coniugi per lo spirito di liberalità.
Non costituisce oggetto della comunione legale il bene immobile acquistato da uno dei coniugi, durante il matri¬monio, con denaro proveniente da un terzo, in quanto in tale ipotesi si configura una donazione indiretta dell’im¬mobile a favore solo ed esclusivamente del destinatario dell’elargizione della somma di danaro.
La donazione indiretta del bene immobile non deve necessariamente articolarsi in attività tipiche da parte del donante (pagamento diretto del prezzo all’alienante, presenza alla stipula ed accollo del mutuo, assunzione dell’obbligo di rivalere il figlio di quanto avrebbe pagato), essendo necessario (ma al tempo stesso sufficiente) che venga provato il collegamento tra elargizione del denaro e acquisto, e cioè la finalizzazione della dazione del denaro all’acquisto stesso.
Il bene acquistato da uno solo dei coniugi in regime di comunione legale con denaro di un terzo è oggetto di donazione indiretta e rientra tra i beni personali.
Nell’ipotesi in cui un soggetto (il padre) abbia erogato il denaro occorrente per l’acquisto di un immobile in capo ad un soggetto (il figlio, in comunione legale con il proprio coniuge), si deve distinguere il caso della donazione diretta del denaro, in cui oggetto della liberalità rimane la somma, dal caso in cui il denaro sia stato fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione; in tale secondo caso, il collegamento tra la elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene da parte del figlio porta a concludere che si sia in presenza di una donazione indiretta dell’immobile e non già del denaro impiegato per l’acquisto: ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquistato, dopo il matrimonio, dal figlio è escluso dal regime di comunione legale, ai sensi dell’art. 179 lett. b) c.c., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo necessaria, ma sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il c. d. negozio – mezzo e l’ar¬ricchimento del coniuge onorato per spirito di liberalità
Trib. Firenze, 3 ottobre 2000 (Arch. Civ., 2001, 1268, nota di SANTARSIERE)
Nel caso di acquisto di un immobile, che si intesti ad altro soggetto per liberalità, la vendita costituisce lo stru¬mento per attuare l’arricchimento del destinatario, quale donazione indiretta del bene, il cui valore al tempo dell’apertura della successione formerà oggetto del conferimento in collazione.
Cass. civ. Sez. II, 22 settembre 2000, n. 12563 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto che il disponente intende in tal modo beneficiare, l’atto integra una donazione indiretta del bene stesso costituendo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario.
Cass. civ. Sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552 (Giur. It., 2001, 757, nota di DI MARTINO)
Dalla cointestazione di un contratto di deposito in custodia e amministrazione di titoli al portatore non discende la comproprietà dei titoli acquistati con denaro appartenente ad uno solo dei cointestatari, tranne che le circo¬stanze del caso concreto rivelino in maniera univoca la volontà delle parti di realizzare una donazione.
Cass. civ. Sez. II, 27 luglio 2000, n. 9872 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sopravvenienza dell’”animus donandi” alla realizzazione di un’opera su suolo altrui, può configurare una dona¬zione indiretta a favore del proprietario del suolo lasciando prescrivere il diritto all’indennità ex art. 936, comma 2, c.c. ovvero rinunciando all’indennità.
Cass. civ. Sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642 (Contratti, 2000, 7, 653, nota di RADICE)
Con il negotium mixtum cum donatione le parti, attraverso un contratto tipico oneroso, attuano anche una dona¬zione indiretta; pertanto, non è necessaria la forma solenne prescritta per la donazione diretta, ma è sufficiente la forma propria del negozio oneroso effettivamente utilizzato.
Il negotium mixtum cum donatione costituisce una donazione indiretta attuata attraverso la utilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo, per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato.
Trib. Monza, 18 novembre 1999 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Venuta meno una convivenza “more uxorio” per qualunque causa, non è possibile, sul piano strettamente giuri¬dico, che un partner, ovvero il suo erede, proponga contro l’altro, o contro il suo erede, un’azione di ripetizione dell’indebito per ottenere la restituzione di somme elargite al fine di sopperire a singole necessità del compagno, purché possa riscontrarsi un rapporto di proporzionalità tra le somme esborsate ed i doveri morali e sociali as¬sunti reciprocamente dai conviventi.
Cass. civ. Sez. I, 1 ottobre 1999, n. 10850 (Foro It., 2000, I, 2919)
La sola cointestazione del contratto di custodia e amministrazione di titoli a coniugi in regime di separazione dei beni non è sufficiente a dimostrare la volontà del coniuge, con il denaro del quale i titoli sono stati acquistati, di disporre della metà dei beni a titolo di liberalità.
Cass. civ. Sez. I, 29 maggio 1999, n. 5265 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disciplina del negotium mixtum cum donatione obbedisce al criterio della prevalenza, nel senso che ricorre la donazione remuneratoria (che esige la forma solenne richiesta per le donazioni tipiche) quando risulti la pre¬valenza dell’animus donandi, laddove si avrà invece un negozio a titolo oneroso, che non abbisogna della forma solenne, quando l’attribuzione patrimoniale venga effettuata in funzione di corrispettivo o in adempimento di una obbligazione derivante dalla legge o in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e so¬ciali che si riveli assorbente rispetto all’animus donandi. (Nella specie, la convivente di un soggetto sieropositivo al virus HIV aveva ricevuto da quest’ultimo una somma di danaro prima che la convivenza avesse termine: i giudici di merito, con sentenza confermata dalla S.C., qualificato l’atto come negotium mixtum cum donatione, ne avevano evidenziato la prevalenza dell’aspetto risarcitorio su quello di liberalità, rigettando la richiesta di restituzione del ricorrente).
Cass. civ. Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 c.c., non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’os¬servanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità. (Nella specie trattavasi di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di danaro depositata presso un istituto di credito appartenuta all’atto della cointestazione ad uno solo dei cointestatari).
Trib. Terni, 29 settembre 1998 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso in cui un coniuge paghi al venditore con denaro proprio il prezzo di un immobile che venga però inte¬stato all’altro coniuge, è configurabile una donazione indiretta dell’immobile, essendosi comunque realizzato lo schema della donazione, consistente nell’arricchimento del donatario, con corrispondente depauperamento del donante.
Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente intende in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del danaro.
Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 1998, n. 4680 (Famiglia e Diritto, 1998, 4, 323 nota di GIOIA)
La donazione indiretta consiste nell’elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico dell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è pro¬prio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesi¬ma. Ne deriva che non sussiste un’ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell’art. 179 lett. b) c.c., sicché il bene oggetto di essa non deve necessariamente rientrare nella comunione legale.
Muovendo dalla premessa che, nel caso di specie, si configurava la donazione indiretta dell’immobile, ossia un atto di liberalità attuato, anziché con il contratto tipico previsto dall’art. 769 c.c., mediante un procedimento costituito da più negozi tra loro collegati, la Corte di merito ha escluso che detta donazione potesse rientrare nella previsione dell’art. 179 lett. b) c.c., sulla base della considerazione che l’acquisto del diritto di proprietà da parte del beneficiario costituisce effetto immediato e diretto del contratto di vendita, mentre lo scopo di liberalità risulta estraneo alla causa di tale contratto, con la conseguenza che, ove si volesse ricomprendere l’atto di libe¬ralità (indiretta) nell’ambito dei beni personali del coniuge, si applicherebbe al contratto di vendita la disciplina dettata per la donazione.
Trattasi, all’evidenza, di ragionamento sostanzialmente tautologico: dalla mera descrizione del fenomeno e del meccanismo negoziale con il quale si realizza non può, infatti, discendere automaticamente l’esclusione del bene, oggetto di donazione indiretta, da quelli personali del coniuge, ai sensi dell’art. 179 lett. b) c.c., occorren¬do verificare se, indipendentemente dal rilievo che la proprietà dell’immobile si acquista per effetto della vendita, sia consentito limitare la portata della norma in esame alle sole donazioni regolate dall’art. 769 c.c. In altri ter¬mini, il ragionamento seguito dal giudice di merito si risolve nell’affermazione che il bene oggetto di donazione indiretta deve necessariamente essere ricompreso nella comunione legale sol perché non è conseguenza di una donazione tipica (diretta) ed in quanto la forma richiesta è quella dell’atto da cui la donazione indiretta risulta: finisce, cioé, per svilire lo stesso procedimento negoziale per mezzo del quale si attua lo scopo di liberalità, senza neppure dar conto della rilevanza che assume, nella formulazione dell’art. 179 lett. b) c.c., l’uso del termine “liberalità”, con riferimento alla possibilità (legislativamente prevista: art. 809 c.c.) che essa risulti da atti diversi da quelli indicati nell’art. 769 c.c. Se la donazione indiretta consiste nell’elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico dell’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomi¬tanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento “animo donandi” del destinatario della liberalità medesima (cfr. Cass. 5410/89 e la fondamentale SS.UU. 9282/92), per negare l’inclusione della donazione indiretta nell’ipotesi prevista dall’art. 179 lett. b) c.c. nessun argomento decisivo può trarsi dalla causa del contratto di vendita, che rappresenta il negozio – mezzo, produttivo dei suoi effetti norma¬li, rispetto al c.d. negozio – fine: la donazione indiretta altro non è che la risultante della combinazione di tale negozi, dalla cui funzione non può ritenersi comunque estranea la finalità di arricchimento senza corrispettivo.
Quanto alla tesi, sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il regime della comunione legale dei beni riveste carattere generale e deve trovare, quindi, la massima sfera di operatività, è sufficiente osservare che, come riconosce la stessa Corte napoletana, il legislatore non ha certamente ritenuto siffatto carattere ostativo all’esclusione di determinati beni: il problema, cioè, non consiste nell’interpretazione estensiva o meno della norma contenuta nell’art. 179 lett. b) c.c., ma nell’individuazione della sua effettiva portata e di precise ragioni, anche d’ordine sistematico, che eventualmente possano giustificare l’esclusione della donazione indiretta (o meglio, del bene oggetto di essa) dall’ambito della norma medesima. A ciò si aggiunga che questa Corte, con la recente sentenza n. 11327/97, ha posto in rilievo, sulla scorta di opinione largamente prevalente in dottrina, come la “ratio” della disciplina della comunione sia quella di rendere comuni i beni alla cui acquisizione entrambi i coniugi abbiano contribuito, onde sarebbe iniquo (e, va precisato, contrario allo stesso principio informatore della comunione legale) ricomprendervi le liberalità a favore di uno solo dei coniugi, trattandosi di acquisti per i quali nessun apporto è stato sicuramente dato dall’altro coniuge. E’ stato osservato in dottrina, poi, che un’acri¬tica applicazione del “favor communionis” finirebbe per impedire di concepire una liberalità indiretta a favore di uno solo dei coniugi (in regime di comunione legale), così annullando gli stessi effetti della donazione indiretta, quale procedimento negoziale del tutto legittimo per la realizzazione di scopi ulteriori rispetto a quelli persegui¬bili con una donazione diretta.
Una volta rimosse le ragioni addotte, in via di principio, dalla Corte di merito per non estendere alla donazione indiretta la norma di cui all’art. 179 lett. b) c.c., resta da verificare se sussistano altri ostacoli a ricomprendere tale complesso procedimento (diverso, va detto, dal negozio indiretto, attesa la pluralità degli strumenti giuridici collegati) nell’ambito della disposizione in esame: al quesito si deve dare risposta negativa.
La formulazione letterale offre, di per sé, un argomento non secondario per l’equiparazione, ai fini che qui inte¬ressano, della donazione indiretta a quelle previste dall’art. 769 c.c.: di sicuro rilievo, inoltre, è la considerazione che, in mancanza di espressa dichiarazione del donante (al pari di quella del testatore) di voler attribuire alla comunione legale il bene, l’inclusione di questo tra quelli personali trova fondamento nel rispetto della volontà dello stesso disponente e nel carattere strettamente personale dell’attribuzione fatta ad uno solo dei coniugi. In questo senso, infatti, è la dottrina di gran lunga prevalente, la quale ha osservato, sotto il profilo letterale, che l’eccezione prevista nella parte finale della norma si riferisce all’ “atto di liberalità”, ossia a concetto più ampio di quello di donazione in senso stretto, onde sarebbe illogico ritenere che all’eccezione sia attribuito un ambito di applicazione più ampio di quello della regola; sotto il secondo profilo, che, in difetto di specifica volontà del disponente di attribuire il bene alla comunione, l’ “animus donandi” non può essere obliterato, presentandosi nella donazione indiretta in modo non diverso dalla donazione diretta.
Sempre dalla dottrina, sollecitata dall’indirizzo di questa Corte in tema di collazione (per il quale cfr. Cass. 1257/94), viene un ulteriore contributo: il principio secondo cui oggetto della liberalità indiretta è il bene acqui¬stato e non il denaro versato dal disponente, pone in risalto la sufficienza del collegamento tra elargizione del denaro e acquisto del bene, ossia la finalità di arricchimento del beneficiano, sia pur realizzata con strumento diverso da quello tipico della donazione (diretta).
Non ha decisivo rilievo, inoltre, l’affermazione della sentenza impugnata sul non rispetto, in caso di donazione indiretta, dei paradigmi negoziali indicati nell’art. 179 c.c., tutti improntati, secondo l’assunto della Corte di merito, al soddisfacimento delle esigenze di tutela dei terzi: coglie nel segno, infatti, la critica del ricorrente, quando osserva come sia da dimostrare che i criteri dettati per la qualificazione dei beni come personali offrano assoluta certezza nelle ipotesi diverse da quella contemplata nella lett. b); dovendosi aggiungere che l’assenza di adempimenti formali per l’esclusione dell’oggetto della donazione (indiretta) dalla comunione è frutto di una precisa scelta legislativa, l’art. 179, 2° comma, c.c. avendo previsto l’intervento dell’altro coniuge, al fine di non far ricadere in comunione l’acquisto di un bene immobile o mobile registrato, soltanto per le ipotesi di cui alle lett. c), d) ed f).
Quanto all’impossibilità, in via di principio, di ricomprendere la donazione indiretta nella previsione dell’art. 179 lett. b) c.c., perché la fattispecie acquisitiva sarebbe regolata dalle norme vigenti per il negozio utilizzato (os¬sia la vendita), va rilevato che dall’art. 809 c.c. può sicuramente desumersi che per la validità della donazione indiretta non è necessaria la forma dell’atto pubblico, voluta dall’art. 782 c.c. per la donazione, essendo suffi¬ciente l’osservanza di quella richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta (tra le altre, Cass. 1214/97 e 13630/92), ma non che il legislatore abbia voluto escludere il bene oggetto di donazione indiretta dall’ambito di quelli personali del coniuge sol perché la forma dell’acquisto è quella del negozio – mezzo: ancora una volta, non si può non richiamare l’elaborazione della prevalente dottrina, alla cui stregua non sussistono ragioni per ritenere inapplicabile alla donazione indiretta una serie di norme dettate in tema di donazione, quali gli artt. 776, 777, 779, 786-88, 797-98 (e, più problematicamente, gli artt. 778 e 437, quest’ultimo concernente l’obbligo del donatario agli alimenti).
Non può essere condiviso, infine, l’argomento della non configurabilità per ragioni strutturali, in ordine alla dona¬zione indiretta, della specificazione con la quale il bene venga attribuito alla comunione: al riguardo, il Collegio aderisce pienamente all’affermazione contenuta nella citata sentenza n. 11327/97, secondo cui tale specificazio¬ne non è requisito essenziale per produrre l’effetto previsto dall’art. 179 lett. b) c.c., in quanto il legislatore si è limitato a prevedere la rilevanza della dichiarazione di voler destinare la liberalità alla comunione, allo scopo di escludere il bene donato dall’ambito di quelli personali, e con la precisazione che il procedimento negoziale non impedisce necessariamente l’effettuazione della dichiarazione, sia pure al di fuori di un atto di liberalità (che, come singolo atto, non esiste).
Si deve ritenere, allora, che non vi sia un’ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell’art. 179 lett. b) c.c., onde il bene oggetto di essa non deve necessariamente rientrare nella comunione lega¬le: a tale conclusione questa Corte è pervenuta, sebbene sotto altro profilo, anche con la sentenza n. 7470/97, secondo cui, nel regime della comunione legale fra i coniugi, l’acquisto di un bene personale effettuato da uno di essi per donazione fattogli da un terzo, si sottrae al regime della comunione, a norma dell’art. 179, 1° comma, lett. b) c.c. ancorché la donazione sia dissimulata da una vendita, potendo l’acquirente opporre all’altro coniuge il carattere simulato di quest’ultima.
Cass. civ. Sez. II, 30 dicembre 1997, n. 13117 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La rinuncia all’usufrutto, se ispirata da “animus donandi”, è suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario rinunciato, perché, comportando un’estin¬zione anticipata di tale diritto, si risolve nel conseguimento da parte di detto “dominus” dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza: il controvalore di tali vantaggi è, pertanto, senz’altro passibile di convogliamento nella massa ereditaria di cui all’art. 556 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327 (Foro It., 1999, I, 994)
Il bene acquistato da uno solo dei coniugi in regime di comunione dei beni, con denaro di un terzo, e pertanto oggetto di donazione indiretta, non entra nella comunione legale, ancorché il terzo non abbia dichiarato esplici¬tamente di voler destinare il denaro stesso in favore del solo coniuge acquirente.
Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad un figlio (ancorché coniugato in regime di comunione legale) si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impie¬gato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Il tenore letterale dell’art. 179 lett. b), c.c. che parla di “liberalità” e non di “donazione” non consente di limi¬tarne la portata alle sole liberalità previste dall’art. 769 c.c. Consegue che la peculiare struttura della donazione indiretta non è assolutamente incompatibile con l’applicazione dell’art. 179 lett. b c.c.).
Cass. civ. Sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso intende in tal modo beneficiare, si verifica una donazione indiretta dell’immobile (non del denaro) per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico prevista per la donazione ( art. 782 c.c.), ma basta l’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta.
Cass. civ. Sez. II, 10 febbraio 1997, n. 1214 (Contratti, 1997, 3, 297)
Il negotium mixtum cum donatione non è un contratto innominato, formato da elementi di due schemi negoziali tipici (cosiddetto contratto misto), bensì costituisce una donazione indiretta, attuata attraverso l’utilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo; perciò esso non deve rivestire la forma prevista per il contratto tipico, nel cui schema sono riconducibili gli ele¬menti prevalenti, bensì quella dell’atto effettivamente adottato.
Per la validità di una donazione indiretta è sufficiente l’osservanza delle prescrizioni di forma richieste per l’atto da cui essa risulta, in quanto l’art. 809 c.c., mentre assoggetta le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c. alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni, non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione.
L’art. 782 c.c., che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione diretta onde tutelare il donante, non può essere esteso, a differenza delle norme che tutelano i terzi, alla donazione indiretta perché l’arricchimento non è l’effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo.
Trib. Milano, 6 novembre 1996 (Famiglia e Diritto, 1997, 5, 469, nota di D’ADDA)
La quota di immobile acquistata da un coniuge per donazione indiretta è da qualificarsi come bene personale ai sensi dell’art. 179 lett. b) c.c., e non rientra quindi nel regime di comunione legale dato che l’acquisizione è avvenuta senza il contributo, diretto o indiretto, del coniuge non beneficiario dell’atto.
Trib. Napoli, 17 aprile 1996 (Pluris, Wolters Kluwer Italia
Qualora tra fideiussore e debitore garantito esistano stretti vincoli di parentela, sempre in ipotesi di mancato esercizio dell’azione di regresso, può escludersi alla fideiussione la natura di conferimento qualora la si consideri come donazione indiretta purché vi sia la prova dell’”animus donandi”.
Trib. Napoli, 25 marzo 1996 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Posto che l’”affectio familiaris” e l’”affectio maritalis” possono senz’altro assurgere ad indici sintomatici della volontà di eseguire, mercè l’utilizzazione dello schema negoziale tipico della fideiussione, una donazione indiret¬ta, ne consegue che la qualificazione in termini di conferimento delle garanzie personali gratuite e sistematiche prestate dal coniuge ovvero da uno stretto congiunto, richiede pur sempre l’assolvimento dell’onere della dimo¬strazione, gravante a carico di chi invoca il fallimento del fideiussore coniuge o congiunto, della sostanziale par¬tecipazione di quest’ultimi alla maggior quota di utili conseguiti e corrispondenti, all’apporto di capitale ottenuto grazie alla prestazione di garanzia e prima ancora, la dimostrazione dell’attività di partecipazione del fideiussore, coniuge o congiunto, alla gestione dell’impresa sociale.
Cass. civ. Sez. II, 13 luglio 1995, n. 7666 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disciplina del negotium mixtum cum donatione obbedisce al criterio della prevalenza, nel senso che ricorre la donazione remuneratoria (che esige la forma solenne richiesta per le donazioni tipiche) quando risulti la pre¬valenza dell’animus donandi, laddove si avrà invece un negozio a titolo oneroso, che non abbisogna della forma solenne, quando l’attribuzione patrimoniale venga effettuata in funzione di corrispettivo o in adempimento di una obbligazione derivante dalla legge o in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali che si riveli assorbente rispetto all’animus donandi.
Cass. civ. Sez. I, 26 maggio 1995, n. 5866 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso in cui un coniuge consegni all’altro una somma di denaro e quest’ultimo la utilizzi per opere di migliora¬mento della casa coniugale, di sua proprietà, deve presumersi, in mancanza di prova contraria, che la consegna sia stata effettuata in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. Tuttavia, essendo stata la somma impiegata in modo da comportare anche l’arricchimento esclusivo del coniuge accipiente, questi è tenuto ad indennizzare l’altro del vantaggio conseguito (nella specie, la corte di merito aveva attribuito un’indennità ex art. 1150 c.c.
App. Napoli, 19 luglio 1994 (Giur. di Merito, 1996, 78)
In caso di donazione indiretta di un immobile, da parte del genitore al figlio coniugato in regime di comunione dei beni, l’immobile stesso entra a far parte della comunione legale dei beni, non essendo invocabile l’art. 179 lett. b) c.c. che, riferendosi alla sola donazione, non è applicabile a differenti atti (nel caso di specie compravendita) pur se posti in essere per spirito di liberalità.
Cass. civ. Sez. II, 22 giugno 1994, n. 5989 (Giur. It., 1995, I,1, 1558 nota di MASUCCI)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad altro soggetto che il disponente abbia inteso così beneficiare, il conferimento ai fini della collazione deve avere ad oggetto l’immobile, non già il denaro impiegato per il suo acquisto, trattandosi di donazione indiretta dell’im¬mobile.
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente stesso abbia inteso in tal modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del danaro ma dell’im¬mobile, poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario; conseguentemente il conferimento, ai sensi dell’art. 737 c.c., avrà ad oggetto l’immobile e non il danaro impiegato per l’acquisto, all’uopo considerando il valore acquisito dall’immo¬bile stesso al tempo dell’apertura della successione.
Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 1994, n. 1257 (Foro It., 1995, I, 614, nota di DE LORENZO)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad altro soggetto, che il disponente abbia inteso in tale modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha donazione indiretta non già del denaro ma dell’immobile poiché, secondo la volontà del disponente, alla quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il pa¬trimonio del beneficiario; conseguentemente, il conferimento, ai sensi dell’art. 737 c.c., avrà ad oggetto l’im¬mobile, con il valore acquisito al tempo dell’apertura della successione e non il denaro impiegato per l’acquisto.
Trib. Catania, 25 marzo 1993 (Foro It., 1995, I, 696)
Ai fini della validità di una donazione indiretta è sufficiente la forma propria del singolo negozio scelto per attuare la liberalità atipica (nella specie, è stata ritenuta valida di donazione indiretta effettuata mediante cointestazio¬ne di libretti di deposito bancario e successivi versamenti di somme di denaro su libretti di deposito bancario cointestati).
Deve considerarsi perfezionata una donazione indiretta effettuata mediante versamenti eseguiti su libretti di deposito bancario, e ciò anche in assenza della consegna materiale dei libretti da parte del donante.
Cass. civ. Sez. I, 23 dicembre 1992, n. 13630 (Dir. Famiglia, 1994, 1, 112)
Nel caso in cui una persona paghi al venditore, con denaro proprio, il prezzo di un immobile che risulti acquistato da altri (nella specie, la moglie), si verifica una donazione indiretta dell’immobile (che in tal modo entra a far parte del patrimonio del destinatario della liberalità), per la quale non è necessaria la forma dell’atto pubblico, prescritta dall’art. 782 c. c. per la donazione, ma basta l’osservanza della forma richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta.
Cass. civ. Sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11499 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Con riguardo a compravendita a prezzo di favore, integrante negotium mixtum cum donatione, l’atto di liberalità (indiretta), e, correlativamente, l’arricchimento del beneficiario sono configurabili limitatamente alla differenza fra il valore di mercato del bene ed il suddetto prezzo; ne consegue, in caso di revocazione della liberalità, che solo quella differenza deve essere restituita al venditore-donante.
Cass. civ. Sez. Unite, 5 agosto 1992, n. 9282 (Foro It., 1993, I, 1544, nota di DE LORENZO, FABIANO)
Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il soggetto medesimo intende in tal modo beneficiare con la sua adesione, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, e quindi integra donazione indiretta del bene stesso e non del denaro. Pertanto in caso di collazione, secondo la previsio¬ne dell’art. 737 c.c. il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile non il denaro donato per il suo acquisto.
Cass. civ. Sez. III, 18 luglio 1991, n. 7969 (Giust. Civ., 1992, I, 726)
La vendita di un fondo eseguita a prezzo di favore, ove consegua il previsto e voluto risultato di arricchire il com¬pratore della differenza tra il valore del bene ed il prezzo stabilito configura un negotium mixtum cum donatione, che costituisce donazione indiretta con riferimento alla quale non può essere esercitato il diritto di prelazione agraria.
Cass. civ. Sez. II, 23 febbraio 1991, n. 1931 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel negotium mixtum cum donatione, che deve rivestire la forma non della donazione, m dello schema nego¬ziale effettivamente adottato dalle parti, la causa del contratto è onerosa, ma il negozio commutativo adottato viene dai contraenti posto in essere per raggiungere in via indiretta, attraverso la voluta sproporzione delle pre¬stazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella di scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò venendo il negozio posto in essere a realizzare una donazione indiretta; pertanto la vendita ad un prezzo inferiore a quello effettivo non realizza di per sé un negotium mixtum cum donatione, dovendo la insufficienza del corrispettivo essere devoluta ed orientata al fine di arricchire la controparte avvantaggiata.
Cass. Civ. 13 maggio 1989, n. 2199 (Giust. Civile, 1989, I, 2057, nota di FINOCCHIARO)
Il coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia eseguito a proprie spese migliorie ed ampliamenti dell’immobile dell’altro, in godimento ad entrambi, ha diritto ai rimborsi e alle indennità previste dall’art. 1150 c. c., per il pos¬sessore di buona fede ed applicabile anche al compossessore, mentre non può invocare l’art. 936 c. c. – opere fatte da un terzo con materiali propri – difettando nel compossessore il requisito della terzietà.
Cass. civ. Sez. III, 20 gennaio 1989, n. 285 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nella dazione di una somma di danaro da parte dell’uomo alla donna in occasione della cessazione della loro relazione sentimentale, può ravvisarsi l’adempimento di un’obbligazione naturale, con la conseguenza che la suddetta somma non può essere chiesta in restituzione (soluti retentio), né dedotta in compensazione da parte del solvens.
Cass. civ. Sez. II, 28 novembre 1988, n. 6411 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il negotium mixtum cum donatione, è caratterizzato dal concorso di una causa onerosa con l’animus donandi mediante l’adozione di uno schema negoziale commutativo posto in essere dai contraenti per raggiungere in via indiretta, attraverso la voluta sproporzione delle prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore rispet¬to a quella di scambio, consistente nell’arricchimento, per mero spazio di liberalità, di quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore; tale negozio, pertanto, realizzando una ipotesi di donazione indiretta, non deve rivestire la forma della donazione ma quella dello schema negoziale effettivamente adottato dalle parti.
Cass. civ. Sez. III, 29 novembre 1986, n. 7064 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligazione naturale non è trasmissibile per via di successione mortis causa, perché, non avendo giuridicità prima e fuori dell’adempimento, non ha carattere patrimoniale né fa parte del coacervo di diritti ed obblighi nei quali subentra l’erede, il quale tuttavia può assolvere, alla stregua dei principi etici e sociali, in via originaria ad una sua propria obbligazione naturale, sorta di riflesso, in dipendenza
Cass. civ., 13 maggio 1980, n. 3147 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La donazione indiretta ha la sua causa, così come la donazione diretta, nella liberalità, e cioè nella consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario mediante attribuzioni od erogazioni patrimoniali operate nullo iure cogente. Ciò comporta che nell’ipotesi di donazione indiretta – valida anche tra coniugi, essendo venuto meno il divieto contenuto nell’art. 781 c.c. – vanno seguiti, ai fini dell’individuazione della causa e della rileva¬zione dei suoi vizi, i medesimi principi e criteri che valgono per la donazione diretta. (Nella specie, l’attore agiva per la restituzione di beni intestati alla moglie, in base alla considerazione che questi, oggetto di donazione indiretta, dovevano essere destinati a vantaggio della famiglia e alla normale convivenza dei coniugi, e i giudici del merito hanno escluso che incombesse alla donataria l’onere di provare lo spirito di liberalità del donante, per poter trattenere i beni in questione nonostante la sopravvenuta separazione giudiziale tra i coniugi, ritenendo che, per contro, spettasse al donante dimostrare che la donazione fosse preordinata o subordinata alle pretese finalità, divenute irrealizzabili o frustrate dalla donataria. La Suprema Corte, nel confermare questa decisione, ha enunciato il precisato principio).