Nulli per illiceità della causa gli accordi di separazione volti ad escludere assegno divorzile

Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 6 settembre 2019, n. 22401; Pres. Scaldaferri; Rel. Acierno
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27006-2017 proposto da:
P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EDY GUERRINI;
– ricorrente –
contro
A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato OBERDAN IACCONI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1497/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il
23/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/05/2019 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha posto a carico di P.P.,
ex coniuge divorziato di A.A., la somma di 200 Euro mensili a titolo di assegno divorzile.
A sostegno della decisione ha rilevato che il tribunale, ritenuta la esaustività degli accordi assunti in
sede di separazione consensuale – consistenti nel versamento di 200 milioni di lire alla A. – aveva
tenuto in considerazione tali accordi al fine di escludere, unitamente alla percezione della pensione
d’invalidità, lo stato di bisogno della ricorrente.
Il giudice di secondo grado, al contrario, ha ritenuto, che tali accordi, per la parte in cui escludevano
per il futuro di poter richiedere emolumenti in sede di divorzio, dovevano ritenersi nulli per illiceità
della causa e che la corresponsione di una tantum può avvenire soltanto in sede di giudizio di
divorzio. Nella specie, applicando il criterio assistenziale così come declinato nella pronuncia n.
11504 del 2017, doveva riconoscersi alla A. un assegno pari a 200 Euro mensili in quanto la stessa è
risultata priva di autosufficienza economica, inidonea al lavoro e affetta da serie psicopatologie
oltre che priva di una stabile abitazione. La pensione infine è risultata di ammontare esiguo.
Avverso la pronuncia ha proposto ricorso per cassazione P.P. affidato a due motivi. Ha resistito con
controricorso la A..
Nel primo ha dedotto la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, per avere la Corte d’Appello non
considerato che le somme già corrisposte unite alla pensione d’invalidità portavano ad escludere la
situazione di non autosufficienza economica.
La censura è inammissibile perché mira a contestare la valutazione svolta in fatto sulla condizione
di non autosufficienza economica della controricorrente.
Nel secondo motivo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata perché non è stato
preventivamente accertato se alla controricorrente fosse stato nominato un amministratore di
sostegno, ciò che avrebbe escluso la validità della sottoscrizione del ricorso introduttivo del
giudizio.
La censura confusamente prospettata appare del tutto nuova e conseguentemente inammissibile.
In conclusione il ricorso è inammissibile. Deve essere applicato il principio della soccombenza in
relazione alle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese
processuali in favore della parte controricorrente da liquidarsi in Euro 1100 per compensi, Euro 100
per esborsi oltre accessori di legge.
Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quarter.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019