La responsabilità del legale è ravvisabile solo in caso di sua imperizia per aver violato o ignorato precise disposizioni di legge.

Cass. civ. Sez. III, Ord., 3 settembre 2019, n. 21982; Pres. Armano; Rel. Gorgoni
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25412-2017 R.G. proposto da:
A. IMMOBILIARE REAL ESTATE S.R.L., già Alexander Argenti S.R.L., in persona
dell’amministratore unico A.S., e CONCORDE S.R.L., in persona dell’amministratore unico I.F.,
rappresentate e difese dall’Avv. Prof. Luigi De Stefano, con domicilio eletto in Roma presso lo
Studio di quest’ultimo, via Crescenzio, n. 91;
– ricorrenti –
contro
EREDI DI G.G.;
– resistenti –
G.C.;
– resistente –
ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A.;
– resistente –
avverso la sentenza n. 3827/17 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 07/06/2017.
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 17 aprile 2019 dal Consigliere Dott.
Marilena Gorgoni.
Svolgimento del processo
Le società Alexander Argenti r.l., Concorde r.l. e Cebes rl., nel 2003, ricevuta dal consorzio GI Aste
individuali, per conto dell’Inpdap, l’offerta di esercitare l’opzione di acquisto degli immobili da esse
condotti in locazione, si rivolgevano a G.G., avvocato, perché valutasse l’opportunità di
intraprendere un’azione legale per conseguire una riduzione del prezzo di opzione in considerazione
delle cattive condizioni degli immobili.
Ottenuto da G.G. il parere che una causa avrebbe avuto buone probabilità di successo, agivano
contro il consorzio GI Aste individuali, l’Inpdap, la SCIP S.R.L. e la Elle Tre S.R.L..
Dopo lo scambio degli atti introduttivi accoglievano il consiglio di G.G. di rinunciare agli atti anche
per non perdere l’opportunità di esercitare l’opzione di acquisto. La rinuncia non veniva accettata
dalla società Elle Tre, sicché, oltre a pagare a G.G. a titolo di parcella Euro 5.810,20, venivano
condannate a corrispondere alla società Elle Tre Euro 12.441,86 ciascuna per le spese di lite.
Le società agivano in giudizio contro G.G. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
derivanti dall’espletamento del mandato professionale conferitogli.
G.G. chiedeva ed otteneva di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice, la quale,
costituitasi in giudizio, deduceva la inoperatività della copertura assicurativa, la mancata denuncia
del sinistro da parte dell’assicurato, l’estraneità del pagamento della parcella al legale dalla garanzia.
Il Tribunale di Roma, prima, con la sentenza n. 9681/2011, e la Corte d’Appello di Roma, investita
del gravame da Alexander Argenti S.R.L. e dalla Concorde S.R.L., anche quali cessionarie del
credito vantato dalla Cebes S.R.L. nei confronti di G.G., poi, con la sentenza oggetto dell’odierna
impugnazione, rigettavano la richiesta risarcitoria, escludendo la responsabilità del professionista,
perché: a) l’individuazione della giurisdizione risultava particolarmente difficile, in considerazione
del fatto che non veniva impugnato un atto amministrativo, ma si contestava solo la determinazione
del prezzo di vendita proposto in una offerta di opzione da un soggetto privato su incarico
dell’Inpdap; b) la società Elle Tre risultava in astratto legittimata passiva e quindi era stata
correttamente chiamata in giudizio quale soggetto tenuto alla manutenzione degli immobili; c) la
condanna al pagamento delle spese sopportate dalla società Elle Tre era stata determinata dalla sua
mancata adesione alla rinuncia al giudizio; d) la entità della condanna avrebbe potuto essere
impugnata dalle società tenute alla rifusione.
La Società A. Immobiliare Real Estate S.R.L., già Alexander Argenti S.R.L., e la Concorde S.R.L.
ricorrono per cassazione avverso detta sentenza, formulando tre motivi.
Nessuna attività difensiva è svolta dai resistenti.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo le società ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt.
2969 e 1218 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Ad avviso delle ricorrenti solo per un grave errore professionale commesso da G.G., la società Elle
Tre Scarl era stata chiamata in giudizio.
Nei confronti di tale società, infatti, non era stata formulata alcuna domanda e l’accertamento della
sua posizione quanto all’esecuzione delle opere necessarie per la messa in sicurezza degli immobili
era stata rinviata in un secondo momento.
La società, costituendosi in giudizio, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva ed
aveva prodotto le procure rilasciatele il 24/06/2002 e il 13/03/2003 dal Raggruppamento
temporaneo di imprese, costituito da Pirelli Real Estate, Agied S.R.L., Immobiliare Confaro, per
gestire, in nome e per conto dell’Inpdap, gli immobili di proprietà della Scip S.R.L., al fine di
dimostrare la propria estraneità ai fatti di causa, stante l’assenza di qualsivoglia sua relazione con le
procedure di dismissione della proprietà Inpdap e l’assenza di obblighi connessi all’esecuzione di
opere.
G.G. non aveva disconosciuto le procure speciali da essa prodotte e non aveva formulato richieste
istruttorie dirette a provarne la legittimatio ad causam. Essendo la titolarità sostanziale della
situazione dedotta in giudizio un elemento costitutivo della domanda oggetto dell’onere probatorio
di parte attrice, il professionista avrebbe dovuto, ad avviso della parte ricorrente, considerarsi
gravemente inadempiente, per non aver dato alcuna dimostrazione delle ragioni della vocatio in ius
del soggetto dichiaratosi non legittimato e per non avere neppure indicato le prove indispensabili
per l’accoglimento della domanda.
La Corte territoriale che, invece, aveva escluso la ricorrenza di un errore da parte dell’avvocato –
dato che il difetto di legittimazione della società Elle Tre, asseritamente fondato dalle società
appellanti sulla qualità di procuratrice speciale rivestita dalla società Elle Tre non poteva essere
verificato, mancando in atti le procure generali speciale da cui desumere gli effettivi poteri della
chiamata e la conoscibilità degli stessi – avrebbe erroneamente attribuito loro, piuttosto che al
soggetto asseritamente inadempiente, l’onere di fornire la prova della legittimazione passiva della
società chiamata, pretendendo che esibisse le procure prodotte in giudizio dal soggetto non
legittimato e atte a consentire la valutazione del giudice.
Le ricorrenti aggiungono che, non avendo mai avuto conoscenza dell’esistenza e del contenuto delle
procure speciali conferite alla società Elle Tre, non avrebbero potuto presentarle in giudizio. A
sostegno esibiscono le comunicazioni scritte circa l’andamento della causa loro inviate da G.G.,
nelle quali non vi era cenno alcuno alla questione della legittimazione passiva della società Elle Tre.
I problemi sarebbero emersi, infatti, solo nel 2005, quando G.G. le mise a parte del fatto che la
società non aveva aderito alla definizione della controversia e che, essendo mancata un’offerta
transattiva da parte loro riguardo alle spese di lite, queste erano state liquidate dal giudice.
2. Con il secondo motivo le società ricorrenti imputano al giudice a quo la violazione dell’art. 112
c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e la conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Asseriscono che il Collegio d’Appello avrebbe erroneamente affermato che la contestazione rivolta
a G.G. era quella di non avere adito il giudice amministrativo, trattandosi di una controversia avente
ad oggetto il prezzo di stima degli immobili locati, in ragione del loro cattivo stato manutentivo,
nell’ambito del procedimento di cartolarizzazione e dismissione del patrimonio pubblico. Invece, le
ricorrenti si sarebbero lamentate del fatto che G.G. avesse chiesto l’annullamento dell’atto di
cessione degli immobili da Inpdap a Scic. 3. Con il terzo ed ultimo motivo le ricorrenti
attribuiscono alla Corte territoriale l’avvenuta violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della
sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 4.
La sentenza gravata non si sarebbe pronunciata sul terzo motivo di appello, con cui avevano
lamentato che G.G. non le avesse dissuase dall’intraprendere un costoso giudizio per poi
sollecitarle, con lettera del maggio 2006, riprodotta per intero nel ricorso, a rinunciare al giudizio e
ad accollarsi non solo le spese della sua parcella, ma anche le spese di lite della società Elle Tre che
non aveva aderito alla loro proposta transattiva.
4. Il ricorso è infondato, per le ragioni appresso illustrate.
4.1. In via preliminare, le società ricorrenti non hanno dimostrato il contenuto della transazione non
accettata dalla società Esse Tre asseritamente consigliata da G.G. né le ragioni della stessa.
Dalla lettera che G.G. aveva inviato loro nel maggio 2006 si acquisisce solo conoscenza della
ricorrenza di un accordo stragiudiziale; il contenuto non è compiutamente indicato: vi è un accenno
alla possibilità di acquisire i locali al prezzo originario di offerta, senza maggiorazione degli
interessi legali, previa rinuncia agli atti di causa; tuttavia, da tale comunicazione, avente dichiarata
finalità di aggiornamento, non è dato percepire alcuna costrizione al raggiungimento di un accordo
(tale non può considerarsi l’indicazione di un termine per addivenire alla stipula notarile dell’atto
traslativo). Si dava solo atto che le controversie che avevano ritardato la materiale acquisizione dei
beni potevano con certezza dirsi superate dall’accordo stragiudiziale confermato dai legali delle
controparti. Non vi è alcun riferimento, invece, alle ragioni che avevano spinto le parti a
raggiungere una soluzione transattiva, superando le reciproche posizioni di contrasto e non vi è
alcuna prova che l’interesse alla prosecuzione del giudizio sia stata determinata dall’andamento della
domanda in corso di causa e non da altre ragioni: considerato l’ampio spettro delle domande
formulate in giudizio da G.G. per loro conto – a) annullare l’operazione di cessione dell’immobile
dall’Inpdap alla Scip in quanto relativa ad un immobile sito in uno stabile a rischio per l’incolumità
pubblica e privata; b) ordinare l’esecuzione delle opere necessarie per la messa in sicurezza
dell’immobile e concedere un nuovo termine per l’esercizio del diritto di opzione, conseguente
all’avvenuta esecuzione dei lavori – non può escludersi, ad esempio, che i convenuti si fossero fatti
carico di eseguire tutte o parte delle opere necessarie.
Il che rappresenta una questione fondamentale nella vicenda in esame, atteso che la parte ricorrente
fonda le proprie censure proprio sulla “necessità” di addivenire ad un accordo transattivo, una volta
emerse le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato atteso o comunque
produttive di effetti dannosi.
4.1.2. La giurisprudenza di legittimità fonda l’obbligo di dissuasione da parte del difensore, invocato
dalle ricorrenti, sulla ricorrenza di una domanda che risulti chiaramente inammissibile per assenza
dei presupposti previsti dalla legge o completamente infondata, giacché il professionista ha
l’obbligo di astenersi dalle cause perse o infondate (Cass. 12/05/2016, n. 9695). Anche ammesso
che il difensore avesse accettato una causa per la quale prevedeva già dall’inizio la soccombenza dei
suoi assistiti, non avrebbe potuto, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si trattava di
una “causa persa”, senza almeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale
comportamento comunque doveroso, allo scopo di non esporre il cliente all’incremento delle spese
iniziali (Cass. 02/07/2010, n. 15717; Cass. 26/07/2010, n. 17506).
Tuttavia, nel caso di specie, tanto il giudice di prime cure quanto la Corte d’Appello, nella sentenza
gravata, hanno escluso che l’avvocato avesse intrapreso un’azione prima facie inammissibile e/o
infondata.
Ciò stando, se pure avesse indotto le società proprie clienti ad addivenire ad un componimento
bonario della lite, avrebbe tenuto un comportamento conforme all’obbligo di tutelare i loro interessi
che rischiavano di essere pregiudicati dalla prosecuzione di una controversia dalla quale poteva
derivare un incremento del pregiudizio iniziale.
4.2. Va rilevato, inoltre, che l’affermazione secondo la quale l’avvocato aveva ottenuto un
preliminare incarico stragiudiziale consistente nella formulazione di un parere in ordine all’utile
esperibilità di un’azione giudiziale non trova riscontro nei fatti di causa (vi è solo l’affermazione
assertiva delle ricorrenti a supporto di tale circostanza) e comunque va considerato che anche
l’eventuale prestazione di natura consulenziale non avrebbe garantito il risultato, ma avrebbe
obbligato il professionista ad offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti
opportuni allo scopo di permettere alle clienti di adottare una consapevole decisione, a seguito di un
ponderato apprezzamento dei rischi e dei vantaggi insiti nella proposizione dell’azione.
Per invocare la responsabilità dell’avvocato sarebbe stato necessario dimostrare che, in applicazione
del parametro della diligenza professionale (art. 1176 c.c., comma 2), nell’adempiere siffatta
obbligazione, egli avesse omesso di prospettare loro tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad
impedire l’utile esperimento dell’azione a causa dell’ignoranza di istituti giuridici elementari e
fondamentali ovvero di incuria ed imperizia, insuscettibili di giustificazione.
Una volta avviato il processo, la responsabilità del legale è ravvisabile solo in caso di sua imperizia
per aver violato o ignorato precise disposizioni di legge ovvero errato nel risolvere questioni
giuridiche prive di margine di opinabilità.
Invece la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità solo se
la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata)
dal giudice di merito ex ante, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le
soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con
riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute
dal legale (Cass. 20/05/2015, n. 10289).
4.3. Dall’esame complessivo della motivazione e da quanto appena osservato si evince
l’inconfigurabilità del vizio di omessa pronuncia lamentato dalle società ricorrenti (con i motivi
numero due e tre), dato che esso è integrato solo dalla mancanza di una decisione da parte del
giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto e va
escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre
statuizioni o qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del
problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. 13/08/2018, n. 20718).
4.3.1. Deve essere rilevato che in entrambi i giudizi di merito era stato negato che G.G. avesse
erroneamente evocato in giudizio la società Elle Tre. La censura di parte ricorrente è che il giudice
del merito abbia, incorrendo in errore, sovrapposto la questione della vocatio in ius con quella della
titolarità sostanziale del rapporto controverso, invertendo l’onere della prova gravante sulla parte
attrice, quindi sul difensore in giudizio, di fornire, a fronte della difesa della convenuta, la prova
della ricorrenza in capo ad essa della legittimazione passiva.
Va richiamata a tal proposito la pronuncia a sezioni unite, n. 2951 del 16/11/2016, con cui questa
Corte ha ribadito la distinzione tra legittimazione attiva e passiva al processo (che implica, sulla
scorta della prospettazione della domanda, la legittimazione ad agire in giudizio a tutela del proprio
diritto e specularmente quella a contraddire in capo a colui che si individui quale titolare della
situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio) e titolarità della posizione soggettiva oggetto
dell’azione e affermato che il problema della titolarità della posizione soggettiva, attiva ma anche
passiva, attiene al merito della decisione, cioè alla fondatezza della domanda, con la conseguenza
che la relativa prova grava, ex art. 2697 c.c., sull’attore. La titolarità del diritto e, per converso, la
titolarità della situazione giuridica soggettiva passiva appartengono alla categoria dei fatti-diritto
che della domanda costituiscono fondamento. Chi agisce in giudizio non può limitarsi ad allegare il
proprio diritto, ma è tenuto a dimostrare di esserne titolare. Il convenuto, qualora non condivida
l’assunto dell’attore in ordine alla titolarità del diritto, può limitarsi a negarla. Tale negazione
costituisce una difesa. Nell’ambito delle difese, genericamente intese come tutte quelle prese di
posizione con cui il convenuto si contrappone alla domanda, vanno individuate e tenute distinte le
eccezioni, con cui il convenuto non si limita a negare i fatti costitutivi del diritto dell’attore, ma
oppone un fatto diverso, fatti modificativi, estintivi ed impeditivi (eccezioni), il cui onere probatorio
è a suo carico. E’ anche possibile, ai fini che qui interessano, che il convenuto non contesti il fatto
costitutivo vantato dall’attore oppure che fornisca una difesa incompatibile con la negazione della
sussistenza della titolarità del diritto in capo all’attore. Nel caso di specie, costituendosi in giudizio,
la società Elle Tre aveva contestato di essere titolare della situazione giuridica soggettiva passiva.
La sua doveva considerarsi, dunque, una mera difesa, la quale implicava che l’attore fornisse la
prova della sua legittimazione passiva.
Va, nondimeno, precisato che fino alla citata pronuncia della Corte di Cassazione a sezioni unite (n.
2951/2016), la giurisprudenza maggioritaria riteneva che la contestazione della legittimazione
passiva integrasse un’eccezione in senso stretto con onere della prova a carico dell’eccipiente.
Ne consegue che nessun errore poteva imputarsi a G.G. per non essersi fatto carico di contestare,
all’epoca dei fatti, le procure speciali prodotte in giudizio dalla società Elle Tre e per non avere
formulato le istanze istruttorie necessarie a provare la sua concreta legittimazione passiva.
4.4. Non corrisponde al vero che la Corte territoriale si sia pronunciata su una domanda – la pretesa
stima degli immobili – da esse ricorrenti non proposta.
L’intento delle attuali ricorrenti era innegabilmente quello di ottenere la riduzione del prezzo di
opzione per l’acquisto degli immobili locati in considerazione delle loro cattive condizioni.
E’ vero che la Corte territoriale ha fatto riferimento alla stima degli immobili locati, questione non
specificamente dedotta in questi termini dalle società appellanti, ma considerando che il giudice non
è necessariamente vincolato alle espressioni letterali utilizzate dalle parti in giudizio, che deve
indagare e considerare il contenuto sostanziale della domanda, che la rideterminazione del prezzo di
opzione implicitamente richiedeva l’accertamento del valore degli immobili locati, è da escludere
che il giudice a quo sia incorso nel vizio imputatogli.
Superata tale obiezione, non risulta che le società ricorrenti abbiano confutato, con la propria
attività deduttiva, che il buon esito del giudizio non sia stato ipotecato da negligenza o imperizia di
G.G., stante che la domanda proposta richiedeva la risoluzione di questioni opinabili.
4.5. Non coglie nel senso neppure l’ulteriore specifico errore imputato a G.G., quello di aver adito il
giudice ordinario anziché quello amministrativo, perché le ricorrenti non hanno fornito la prova che,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non fosse opinabile, nel caso di specie,
quale fosse la giurisdizione. Né può essere del tutto sprovvista di rilievo la circostanza, rilevata
dalla Corte territoriale, che il giudice di prime cure sulla base di una delibazione sommaria non
avesse ritenuto decisiva la eccezione di giurisdizione.
5. Ne consegue il rigetto del ricorso.
6. Non v’è da regolare la liquidazione delle spese del presente giudizio, perchè i resistenti non
hanno svolto attività difensiva.
7. Ricorrono i presupposti per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del
doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Non provvede alla liquidazione delle spese per mancanza di attività difensiva da parte dei resistenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di
Cassazione, il 17 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019