La casa della ex suocera va restituita, se si è acquistata altra abitazione con il nuovo compagno

Cass. civ. Sez. III, Ord., 29 agosto 2019, n. 21785 – Pres. Travaglino, Cons. Rel. Moscarini
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27619-2016 proposto da:
L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE, 149, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO MARIA DE ANGELIS, rappresentata e difesa
dall’avvocato LUCA SBARDELLA;
– ricorrente –
contro
M.B., assistita dall’amministratore di sostegno F.M., domiciliata ex lege in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e
difesa dagli avvocati AURELIO PUGLIESE, MARCO FRANCESCO ANGELETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 528/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata
il 29/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/02/2019 dal
Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. MATERA Marcello che ha chiesto che la Corte di Cassazione respinga il
ricorso di L.F.;
Svolgimento del processo
M.B. presentò ricorso ex art. 447 bis c.p.c. rappresentando di aver concesso in
comodato gratuito al figlio F.M., e alla convivente more uxorio L.F., un appartamento
sito in Trevi di sua proprietà senza alcun termine di durata per soddisfare le esigenze
abitative della famiglia di fatto; che la convivenza era cessata per avere la L. stretto
una relazione con un’altra persona e per aver la medesima acquistato un’altra casa in
comproprietà col nuovo compagno, detenendo l’immobile ricevuto in comodato solo
di notte; che, nel frattempo, ad essa comodante era sopravvenuto un urgente ed
imprevedibile bisogno abitativo. Sulla base di questi presupposti chiese al Tribunale
di Spoleto che ordinasse a L.F. il rilascio dell’immobile.
Il Tribunale di Spoleto, con sentenza del 21/11/2013, rigettò la domanda, ritenendo
insussistenti i presupposti per il rilascio dell’appartamento ad nutum non essendo
venuta meno la destinazione dell’abitazione a casa familiare e non risultando provato
l’urgente ed imprevedibile bisogno della comodante.
La Corte d’Appello di Perugia, adita dalla M., con sentenza n. 582 del 29/10/2015,
per quel che ancora di interesse in questa sede, accolto l’appello, prendendo solo
apparentemente le distanze dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni
Unite (SU n. 13063/04 e 20448/14) secondo la quale il comodato, concesso ad un
nucleo familiare, non è recedibile ad nutum avendo una durata funzionalmente legata
alla permanenza della famiglia pur se in crisi; ha ritenuto che, in mancanza di un
termine, il medesimo debba essere stabilito, in applicazione dei principi di buona fede
nell’esecuzione del contratto, con riguardo al momento in cui la coppia raggiunga una
condizione economica adeguata e sufficiente per provvedere all’abitazione familiare
in modo autonomo, di guisa da potersi configurare il diritto del comodante alla
restituzione ad nutum ex art. 1810 c.c., secondo quanto previsto anche dalla
giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 15877 del 2013). Ciò anche alla luce
dell’uso puramente strumentale, di notte, dell’abitazione da parte della L. che aveva,
nel frattempo, non solo interrotto la convivenza con il figlio della M. ma aveva altresì
acquistato un’altra casa con un nuovo compagno continuando a detenere quella data
in comodato solo strumentalmente di notte, ed in ragione del lungo lasso di tempo
intercorso (17 anni) dall’inizio del comodato. La conclusione dell’impugnata sentenza
è che la comodante avesse diritto alla restituzione dell’immobile senza alcun onere di
giustificazione ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2. In accoglimento dell’appello la
Corte di merito ha condannato la L. al rilascio dell’immobile in favore di M.B.,
compensando integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
Avverso la sentenza L.F. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
M.B. resiste con controricorso, illustrato da memoria. Il P.G. ha depositato proprie
conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 1809 e 1810 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma n. 3, per avere la
Corte d’Appello di Perugia ritenuto che il contratto di comodato intercorrente tra le
parti in causa, pur essendo volto a soddisfare le esigenze della famiglia di fatto,
dovesse essere ascritto al genus del contratto di comodato precario, con la
conseguente possibilità per il comodante di esigere la restituzione del bene ad nutum.
Questa tesi contrasterebbe con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che
esclude, nel caso di comodato concesso per l’abitazione di un nucleo familiare, la
possibilità del recesso ad nutum.
Il motivo è fondato, sebbene ciò non consenta di pervenire ad una decisione di
accoglimento del ricorso perchè la sentenza si basa su più rationes decidendi, alcune
delle quali resistono ai motivi di ricorso.
Il comodato avente finalità di tutela delle esigenze abitative familiari è stato
equiparato al comodato a tempo indeterminato, a condizione che siano tutelate le
superiori esigenze della famiglia anche di fatto (Cass., U, n. 13603 del 217/2004;
Cass., 1, n. 16769 del 2/10/2012; Cass., 3, n. 13592 del 21/6/2011). Questo indirizzo
giurisprudenziale appare nel tempo mitigato dall’esigenza di valutare, fattispecie per
fattispecie, i singoli interessi in effetti in contrasto, ed in alcuni casi il tralatizio
orientamento che vede il collegamento del comodato alle esigenze della famiglia è
stato rivisto alla luce della scomposizione dell’originario nucleo familiare e della
possibilità che se ne crei uno nuovo. In tutti i casi in cui venga meno la destinazione
del comodato ad abitazione familiare per esempio in coincidenza con una crisi
familiare, è stata riconosciuta la possibilità che il medesimo sia risolto ad nutum.
Ora nel caso in esame, per quanto la ratio decidendi, se correlata alla mera
funzionalizzazione del comodato alla tutela delle esigenze familiari, avrebbe potuto
condurre astrattamente all’accoglimento del motivo di ricorso, le caratteristiche
concrete del rapporto quali dedotte in giudizio fanno invece propendere per la
cessazione del comodato in ragione del venir meno della reale destinazione della casa
concessa alla L. per esigenze familiari. E’ pacifico e non contestato in giudizio che la
L. abbia ricreato un nuovo nucleo familiare con altra persona e con questa nuova
persona abbia anche acquistato un nuovo immobile nel quale ha trasferito la propria
casa. E’ altresì incontestato che, mentre nella nuova abitazione si svolge la vita
familiare della L. e della figlia, la vecchia abitazione sia rimasta occupata, a meri fini
strumentali, per evitare cioè una pronuncia di restituzione dell’immobile alla legittima
proprietaria, soltanto di notte. Da quanto esposto deriva che le esigenze connesse
all’uso familiare dell’immobile concesso in comodato sono certamente venute meno
(Cass., U n. 20448 del 29/9/2014), con la conseguente incensurabilità del capo di
sentenza che ha escluso la possibilità che il comodato duri fino al permanere delle
esigenze della famiglia e che ha richiesto al giudice di valutare, sulla base
dell’esecuzione in buona fede del contratto, quale debba essere il termine oltre il
quale la durata del comodato diventa priva di una causa apprezzabile e meritevole di
tutela secondo l’ordinamento giuridico. Nel caso di specie la sentenza ha
correttamente attribuito rilievo decisivo all’avvenuto acquisto di un nuovo immobile
da parte della L. con il nuovo compagno, il che implica logicamente la dissoluzione
del nucleo familiare beneficiario e l’obbligo di restituzione del bene. Dunque,
ancorchè astrattamente il primo motivo dovrebbe ritenersi fondato con assorbimento
del quarto, volto a denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5 avente ad oggetto la valutazione della portata delle
dichiarazioni rese dalla M. sulla durata del contratto, essendo del tutto irrilevante
accertare se la M. avesse o meno confessato la durata “familiare” del contratto
medesimo, il ricorso merita comunque di essere rigettato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2697 e 2727 c.c. per avere il giudice fondato il proprio convincimento su
presunzioni tratte da fatti ignoti per stabilire la fine della convivenza (miglioramento
della condizione economica e capacità di provvedere da sè alle proprie esigenze
abitative), con ciò violando le norme sulle presunzioni.
La ricorrente nega la sussistenza di una valida prova dei fatti affermati in sentenza,
ovvero che fosse stata convenuta la cessazione del comodato al raggiungimento di
una condizione economica adeguata e sufficiente per provvedere in modo autonomo
all’abitazione familiare e che la L. avesse acquistato una nuova casa con altro
compagno, dove di fatto aveva trasferito l’abitazione propria e della figlia,
continuando ad occupare strumentalmente di notte l’appartamento della M..
2.1 Il motivo non è fondato. La ratio decidendi che resiste all’impugnazione è quella
consistente nel presumere, dal fatto noto dell’avvenuto acquisto di un secondo
immobile da parte della L., fatto provato dall’istruttoria, che fossero venute meno le
ragioni di tutela del nucleo familiare connesse al comodato del bene di proprietà M.,
essendo verosimile che l’acquisto in comune da parte della nuova coppia di un bene
immobile da destinare a propria abitazione faccia ragionevolmente presumere
l’intenzione di abitare il nuovo appartamento, determinando la cessazione
dell’esigenza abitativa connessa al comodato. Se a ciò si aggiunge che la vita
quotidiana nella nuova abitazione e l’occupazione strumentale dell’immobile in
comodato erano fatti dedotti dalla M. e non contestati dalla L. in sede di merito e
perfino provati da F.M. sia con la propria testimonianza sia con le ricevute negative
dei consumi della casa data in comodato, di fatto non abitata, se ne desume come
correttamente statuito dall’impugnata sentenza, che il comodato era cessato perchè
era venuta meno la destinazione dell’immobile alle esigenze familiari ai sensi dell’art.
1809 c.c..
Questa ratio decidendi, cui fa in parte riferimento anche il terzo motivo del ricorso
che può ritenersi assorbito (violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto
ed il pronunciato e dello stesso diritto di difesa, per avere la Corte d’Appello di
Perugia fondato il proprio convincimento su allegazioni fattuali non contenute nel
ricorso introduttivo) resiste alle censure e fonda la decisione di rigetto del ricorso.
3.Con il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in merito alla compensazione integrale delle
spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. Il motivo è inammissibile perchè la Corte
territoriale ha dato conto delle motivazioni della compensazione delle spese con
valutazione logicamente motivata ed insindacabile in questa sede. 4.
Conclusivamente il ricorso è rigettato e la ricorrente condannata alle spese del
giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare, in favore della resistente,
le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.300 (oltre Euro 200 per
esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R.
n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 12
febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2019