Adozione anche nel caso di situazione familiare compromessa e dannosa per il minore

Cass. civ. Sez. I, Ord.,17 luglio 2019, n. 19154 – Pres. Giancola, Rel. Iofrida.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8597/2018 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Montebello n. 109, presso lo studio dell’avvocato
Serafino Pasquale, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
L.R., nella qualità di tutore dei minori A.C. e A.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Prof. Bocchini
Fernando, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
A.R., Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli – Sezione Minorenni, Pubblico
Ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale dei Minorenni di Napoli;
– intimati –
avverso la sentenza n. 25/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/06/2019 dal cons. IOFRIDA
GIULIA.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 25/2018, depositata in data 6/2/2018, ha confermato la
decisione di primo grado, che aveva dichiarato l’adottabilità dei minori A.C. e A.M., nati, a
(OMISSIS), rispettivamente il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), da una relazione di fatto tra A.R. e
L.R., nell’ambito di un procedimento avviato dall’ufficio del Procuratore della Repubblica del
Tribunale per i Minorenni di Napoli, sul rilievo dell’incapacità dei genitori di prendersi cura dei
minori, presuntivamente abbandonati dalla madre sin dal (OMISSIS) e solo precariamente accuditi
da una zia paterna.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, come già rilevato dai giudici di primo grado,
la madre aveva lasciato, nel settembre 2015, la casa familiare, per seguire un nuovo compagno
(essendo peraltro il nuovo nucleo famigliare in condizioni economiche del tutto modeste, non
svolgendo attività lavorativa nè la M. nè il nuovo convivente), con il quale aveva avuto una
bambina, disinteressandosi completamente dei primi due figli, senza mai far loro visita o contattarli
per telefono, avendoli affidati ad una zia paterna, del tutto inadeguata, considerate le condizioni in
cui i minori erano stati trovati, mentre il padre, invalido civile al 75% per psicosi depressiva
cronica, schizofrenia e sindrome maniacale atipica, non si era neppure opposto all’adozione (e la zia
paterna, a sua volta madre di due gemelli in tenera età e badante del fratello R., non si era resa
disponibile all’affidamento dei minori); la madre si era sempre sottratta ai suoi doveri, tanto che,
benchè sollecitata dalle strutture pubbliche, si era rifiutata anche di sottoscrivere la richiesta di
percorsi terapeutici e di sostegno scolastico nell’interesse dei minori; i minori, nel 2016, erano stati
collocati in comunità e, mentre al loro ingresso si presentavano in pessime condizioni igieniche,
avevano via via acquisito un’autonomia personale, interiorizzato regole comportamentali, migliorato
la verbalizzazione (uno dei minori, C., era stato finalmente curato da un’infezione da streptococco
da cui era affetto da tempo; l’altro minore M. veniva curato da una pitiriasi amiantocea, presente da
più di otto mesi); non vi erano parenti entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi
con i minori. Ad avviso della Corte di merito, la richiesta dell’appellante di prova testimoniale era
inammissibile, perchè nuova e comunque genericamente articolata, e quella di consulenza tecnica si
rivelava superflua e fonte di un inutile allungamento del giudizio.
Avverso la suddetta pronuncia, M.A. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei
confronti di L.R., in qualità di tutore dei minori C. e A.M. (che resiste con controricorso) e di A.R.
(che non svolge attività difensiva). E’ stata depositata dalla ricorrente, fuori termine, memoria.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dei principi
fondamentali della L. n. 184 del 1983, stante l’insussistenza dei presupposti per la dichiarazione
dello stato di adottabilità dei due minori, denunciando l’insussistenza dello stato di abbandono degli
stessi, essendosi essa allontanata solo per il periodo in cui aveva partorito la terza figlia, affidando i
minori ad una zia paterna, dato che il padre non era in grado di occuparsi di loro, nonchè il
pregiudizio all’interesse dei minori derivante dal collocamento degli stessi in una casa famiglia
prima ed in un nuovo nucleo famigliare poi, e la piena idoneità genitoriale di essa madre. Con il
secondo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 147
c.c., avendo la Corte d’appello travisato l’effettiva situazione di fatto, stante l’insussistenza di una
situazione di abbandono dei minori; con il terzo ed il quarto motivo, si lamenta poi l’omesso esame,
ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato sempre dalla reale situazione emersa dalle
dichiarazioni rese dalla M., al fine di contestare l’affermata dismissione del ruolo materno, in difetto
oltretutto di alcun approfondimento istruttorio.
2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.
Questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità
di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di
recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con
riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di
assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione
con il minore, ancorchè con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi
territoriali (Cass. n. 14436/2017).
Il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente
più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, ragione
questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a
rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del
tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili
con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione
dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).
Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare
le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di
sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la “situazione di abbandono” sia
in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli
intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo
psico-fisico, cosicchè la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un
più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. 7115/2011).
Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile
legata all’attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai
principi elaborati dalla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H.
contro Italia), è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può
rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: “In tema di adozione del minore, il giudice, nella
valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di
adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato
su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della
positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”.
Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono,
svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni
significative di comportamenti e di assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori
biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184 del
1983, art. 8, dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine,
così come indicato nella L. n. 184 del 1983, art. 1, (Cass. 22934/2017).
In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla
giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa
rigorosamente il perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della
condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da
condizioni di emarginazione socio economica (disponendo l’art. 1 che siano intraprese iniziative di
sostegno nel tempo della famiglia di origine), fondata su un giudizio d’impossibilità morale o
materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con
le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o
a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza Cedu
Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti
patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. 7193 del 2016).
Da ultimo, questa Corte ha chiarito che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione
d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma
anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un
armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo
vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle
sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di
accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (Cass.4097/2018; conf. Cass. 26624/2018, in
ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori,
che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la
possibilità di un successivo abbandono).
Ora, la Corte d’Appello ha esaminato la capacità genitoriale della madre (e del padre, in ordine alla
quale non vi è contestazione, trattandosi di persona affetta da grave invalidità civile, che non si è
opposta all’adozione dei figli) ed ha formulato un giudizio negativo sulla capacità della stessa di
recupero del rapporto genitoriale, sulla base di una serie di elementi comportamentali emersi da una
complessa istruttoria (essenzialmente con acquisizione delle relazioni dei Servizi Sociali
territorialmente competenti, riportanti anche le dichiarazioni rese in sede di ascolto dai minori e dai
genitori).
Emerge dagli atti che la sign.ra M. si è disinteressata, a partire dal settembre 2015, dei figli,
affidandoli ad una zia paterna – rivelatasi del tutto inadeguata -, per andare a vivere con il nuovo
compagno, da cui ha avuto una terza figlia.
Emerge altresì che i minori sono stati trovati al momento dell’ingresso nella casa-famiglia in
pessime condizioni igieniche e con gravi difficoltà di linguaggio, segno inequivoco di un inidoneo
sviluppo psico-fisico.
Non rileva la semplice volontà della madre di prendersi cura dei figli, in assenza di adeguati
riscontri. Questa Corte ha di recente affermato che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la
situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri
genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e
irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in
relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di
sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei
genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (nella specie, questa Corte,
confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la persistenza di una situazione di abbandono, a
fronte di un impegno solo enunciato dai genitori di rimuovere le problematiche esistenziali e di
mutare lo stile di vita).
La sentenza di appello sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità della madre,
sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, spiegando dunque per quale
ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più
grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva; risulta dunque effettuato un
corretto giudizio prognostico volto a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle
capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed
abitative, sia a quelle psichiche (Cass. 7559/2018).
Quanto poi alle carenze istruttorie, la Corte di merito ha motivatamente respinto la richiesta di
consulenza tecnica, formulata dalla madre, relativa alla valutazione della sua personalità e capacità
educativa nei confronti dei minori, ritenendola superflua al fine di contrastare gli elementi ed i dati
oggettivi, nonchè le valutazioni dei servizi sociali, organi dell’Amministrazione che hanno avuto
contatti sia con i minori che con i suoi genitori (cfr. Cass. 6138/2015).
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Ricorrono gusti motivi, considerate tutte le peculiarità della controversia, per compensare
integralmente tra le parti le spese processuali.
Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente
compensate tra le parti.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati
identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019