Notifica della sentenza: gli effetti si producono anche per il notificante dalla data in cui la notifica viene eseguita al destinatario

Cassazione Sez. Un. Civili, 04 Marzo 2019, n. 6278. Est. Lombardo.
FATTI DI CAUSA
1. – B.F. esercitò l’azione di manutenzione nei confronti di M.F., proprietario di un fondo posto a confine con quello dell’attore, chiedendo che al convenuto fosse inibita la costruzione di un muro a distanza illegale dal confine e che venisse ordinata la demolizione delle opere già edificate.
Con sentenza n. 2694 del 2006, il Tribunale di Salerno, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannò il convenuto a ridurre a un’altezza non superiore ai tre metri – come prescritto dall’art. 878 c.c. – il muro eretto a confine con la proprietà del ricorrente, nel tratto individuato dal C.T.U.
2. – L’attore notificò al convenuto la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 285 c.p.c., ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione; e, successivamente, propose appello avverso detta decisione, lamentando che il Tribunale non aveva accolto la sua richiesta di ordinare anche la demolizione del terrapieno artificialmente creato dal M. sul proprio fondo a distanza non legale.
Costituendosi nel giudizio di appello, il M. eccepì, tra l’altro, la tardività dell’atto di gravame, in quanto notificato (in data 23/10/2006) oltre il termine di giorni trenta di cui all’art. 325 c.p.c., decorrente – a suo dire – dal 19/9/2006, data nella quale l’attore aveva consegnato all’ufficiale giudiziario la sentenza di primo grado ai fini della notifica ex art. 285 c.p.c..
3. – Con sentenza n. 512 del 2013, la Corte di Appello di Salerno rigettò l’eccezione di inammissibilità del gravame e accolse l’impugnazione, riformando la sentenza di primo grado nei termini sollecitati dall’appellante.
Per quanto rileva nel presente giudizio di legittimità, la Corte territoriale ritenne tempestivo l’appello dell’attore sul rilievo che il principio secondo il quale la notificazione della sentenza determina il decorso del termine breve per l’impugnazione anche per il notificante (c.d. efficacia bilaterale della notificazione della sentenza) deve essere inteso nel senso che la decorrenza del termine a carico del predetto inizia soltanto dal momento in cui la notificazione si è perfezionata nei riguardi del destinatario, non potendo in materia operare la regola della scissione soggettiva degli effetti della notificazione.
4. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso M.F. sulla base di un unico motivo.
Il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata e la violazione degli artt. 149, 170, 325 e 326 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il termine breve per l’impugnazione decorra per la parte notificante dal momento del perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario, piuttosto che dal momento della consegna della copia della sentenza all’ufficiale giudiziario notificatore. Tale conclusione si porrebbe in patente contrasto sia col principio per cui il termine decorre dal momento in cui si ha conoscenza legale del provvedimento da impugnare, sia col principio fissato dall’art. 149 c.p.c., secondo cui la notifica si perfeziona per il notificante con la consegna del plico all’ufficiale giudiziario.
Ha resistito con controricorso B.F..
5. – All’esito dell’udienza pubblica del 22 febbraio 2018, la Seconda Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 10507 del 3 maggio 2018, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto sincronico nella giurisprudenza di legittimità sulla questione di diritto sottoposta col ricorso.
In particolare, l’ordinanza interlocutoria ha sottolineato come, nella giurisprudenza della Corte, esistano due contrapposti orientamenti in ordine alla individuazione – per il notificante – del dies a quo del termine breve per impugnare:
– un primo orientamento, di cui è espressione la sentenza n. 883 del 2014, individua il dies a quo del termine breve nel momento in cui il notificante consegna all’ufficiale giudiziario la sentenza o l’atto di impugnazione da notificare, essendo detta consegna un fatto idoneo a provare in modo certo, e con data certa, la conoscenza della sentenza da parte dell’impugnante, in applicazione analogica del principio di cui all’art. 2704 c.c., comma 1, ultimo periodo;
– un secondo orientamento, nel quale si iscrive la sentenza n. 9258 del 2015, afferma invece che la bilateralità degli effetti della notifica della sentenza per il notificante e per il destinatario implica contestualità degli effetti e, quindi, decorrenza del termine breve dalla medesima data.
Secondo il Collegio rimettente, i due orientamenti sono insuscettibili di essere ricondotti ad unità e, in via di principio, entrambi sostenibili.
Il riferimento alla “notificazione” da parte dell’art. 326 c.p.c., ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, potrebbe essere correlato sia al principio della “presunzione di conoscenza” della sentenza che incombe su tutte le parti coinvolte nel procedimento di notifica, sia al principio, di creazione dottrinale, dell’effetto bilaterale della notifica che presuppone, invece, il completamento del procedimento di notificazione. Il Collegio rimettente chiede perciò alle Sezioni Unite di verificare quale dei due principi (quello della “presunzione di conoscenza” della sentenza da impugnare o quello della “bilateralità sincronica” degli effetti della notificazione della sentenza) garantisca meglio coerenza e razionalità del sistema normativo.
6. – Il Primo Presidente ha disposto, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, che sulla questione la Corte pronunci a Sezioni Unite.
7. – Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione
1. – Le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere la seguente questione di diritto: se, in tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine di impugnazione di cui al precedente art. 325 decorra, per il notificante, dalla data di consegna della sentenza all’ufficiale giudiziario ovvero dalla data di perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario.
Ai fini della soluzione di tale questione appare opportuno svolgere alcune essenziali premesse volte a illustrare l’attuale configurazione codicistica del termine “breve” per impugnare, sotto i profili ontologico e funzionale.
2. – Il codificatore processuale del 1940, accanto a talune fattispecie particolari in cui ha stabilito termini di impugnazione “mobili”, la cui decorrenza è ancorata a un momento non prestabilito (così per la revocazione straordinaria ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6, e dell’art. 397 c.p.c.; nonchè per l’opposizione di terzo revocatoria di cui all’art. 404 c.p.c., comma 2) oppure alla data di comunicazione della sentenza (così per il regolamento di competenza ai sensi dell’art. 47 c.p.c., comma 2; e per l’impugnazione del pubblico ministero ai sensi dell’art. 72 c.p.c.), ha previsto poi in via generale, per tutte le altre impugnazioni, due termini per impugnare: un termine c.d. “breve” (artt. 325 e 326 c.p.c.), che costituisce eredità del codice previgente, la cui decorrenza è rimessa alla iniziativa delle parti; ed uno c.d. “lungo” (art. 327 c.p.c.), la cui decorrenza è invece indipendente dalla iniziativa dei contendenti.
La previsione di un termine di impugnazione indipendente dalla iniziativa delle parti costituisce espressione della visione pubblicistica del fenomeno processuale che ha ispirato il vigente codice; essa manifesta l’interesse dello Stato a non lasciare indefinitivamente pendenti le cause e ad assicurare – piuttosto – la sollecita formazione del giudicato e, con esso, la certezza dei rapporti giuridici.
Il termine lungo di impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c., decorre dalla venuta ad esistenza giuridica della sentenza, che si ha con la sua pubblicazione mediante il deposito nella cancelleria (art. 133 c.p.c.), giacchè tale adempimento rende la sentenza conoscibile dalle parti, che ne hanno dunque conoscenza legale, essendo loro onere informarsi tempestivamente della decisione che le riguarda, mediante l’uso della ordinaria diligenza, dovuta in rebus suis.
Il termine lungo in questione (di durata annuale, secondo l’originario testo dell’art. 327 c.p.c.) decorre dalla pubblicazione della sentenza indipendentemente dal rispetto, da parte della cancelleria, degli obblighi di comunicazione alle parti (da ultimo, Cass., Sez. 5, 08/03/2017, n. 5946; v. anche Corte Cost., sent. n. 297 del 2008, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 327 c.p.c., comma 1, in riferimento all’art. 24 Cost.; nonchè Corte Cost., sent. n. 584 del 1990) e vale anche nei confronti delle parti contumaci, qualora non ricorrano le condizioni ostative di cui all’art. 327 c.p.c., comma 2, (Cass., Sez. Un., 05/02/1999, n. 26). Esso opera, peraltro, anche per le impugnazioni in cui il dies a quo venga fatto normalmente decorrere dalla comunicazione del provvedimento ove questa sia mancata (come avviene nei casi di regolamento di competenza, di appello ex art. 702 quater, avverso l’ordinanza decisoria che ha definito il procedimento sommario o di ricorso per cassazione per saltum nel caso di cui all’art. 348 ter c.p.c.).
L’esigenza pubblicistica di accelerazione della formazione del giudicato, posta a fondamento della previsione codicistica di un termine lungo di impugnazione automaticamente decorrente – nei confronti di tutte le parti – per il mero fatto della pubblicazione della sentenza, trova ora nuovo fondamento nel principio costituzionale della “ragionevole durata” del processo di cui all’art. 111 Cost. (come modificato dalla Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) ed è stata una delle ragioni ispiratrici della riforma del rito civile introdotta dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. Questa, da un lato, ha modificato l’art. 327 c.p.c., dimidiando l’originario termine lungo annuale di impugnazione, e, dall’altro, ha previsto, in seno al “procedimento sommario di cognizione”, la decorrenza “officiosa” (svincolata, cioè, da un’attività notificatoria su impulso di parte) del termine breve per proporre appello (trenta giorni) dalla comunicazione a cura della cancelleria dell’ordinanza decisoria (art. 702 quater), che, ove non appellata entro detto termine, passa in giudicato. Con l’introduzione dell’art. 348-ter (ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134) è stata poi prevista anche la decorrenza officiosa del termine breve (sessanta giorni) per proporre ricorso per cassazione, dipendente – analogamente a quanto previsto dall’art. 702 quater, dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi del precedente art. 348 bis c.p.c..
3. – E tuttavia, accanto alla previsione di un termine lungo di impugnazione o, in talune ipotesi, di termini brevi decorrenti officiosamente, permane – nel sistema processuale – il tradizionale istituto, di natura privatistica, della notificazione della sentenza a cura della parte interessata, ai fini della decorrenza di un termine “breve” (artt. 325 e 326 c.p.c.).
Si tratta di un istituto che attribuisce alla parte un vero e proprio “diritto potestativo” di natura processuale, cui corrisponde una soggezione dell’altra parte.
Attraverso la notificazione della sentenza, infatti, la parte ha il potere di operare un mutamento della situazione giuridica dell’altra parte (che diviene soggetto passivo dell’attività processuale altrui), assoggettandola – secondo una sua scelta di convenienza – ad un termine di impugnazione più breve di quello altrimenti previsto.
In particolare, la parte ha il potere, mediante la notificazione della sentenza eseguita nelle forme prescritte dagli artt. 170 e 285 c.p.c., di circoscrivere, in funzione sollecitatoria e acceleratoria, l’esercizio del potere di impugnazione dell’altra parte (destinataria della notifica) entro il termine breve previsto dall’art. 325 c.p.c..
Tale accelerazione del termine per impugnare è condizionata al fatto che la notificazione della sentenza sia effettuata al “procuratore costituito” della controparte, secondo la previsione degli artt. 285 e 170 c.p.c.; ovverosia ad un soggetto professionalmente qualificato in grado di assumere, nel minor tempo concesso dall’art. 325 c.p.c., le più opportune decisioni in ordine all’eventuale esercizio del potere impugnazione. E ciò spiega perchè la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia assimilato, alla notifica della sentenza al procuratore costituito, la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito, ma non – invece – la notifica della sentenza eseguita alla parte personalmente, ritenendo tale ultima notifica inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione (Cass. 13/08/2015, n. 16804; Cass. 1/06/2010, n. 13428; Sez. L, 27/04/2010, n. 10026; Cass., Sez. L, 27/01/2001, n. 1152).
Vale la pena di osservare come la decorrenza del termine breve non sia correlata alla conoscenza legale della sentenza, già esistente per il mero fatto della sua pubblicazione, nè alla conoscenza effettiva della stessa, quale può essere derivata dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria o dalla richiesta di copia effettuata dalla parte o dalla notificazione della sentenza ai fini esecutivi nei modi stabiliti dall’art. 479 c.p.c., (cfr. Cass., Sez. Un., 09/06/2006, n. 13431).
La decorrenza del termine breve, invece, è ricondotta dalla legge al sollecito indirizzato da una parte all’altra per una decisione rapida cioè entro il termine breve previsto dalla legge – in ordine all’eventuale esercizio del potere di impugnare; sollecito, come si è ricordato, veicolabile solo mediante il paradigma procedimentale tipico previsto dalla legge, quale unico modulo in grado di garantire il diritto di difesa ai fini impugnatori: la notificazione della sentenza al “procuratore costituito”, ai sensi degli artt. 285, 326 e 170 c.p.c., (Cass., Sez. Un. 13 giugno 2011, n. 12898).
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, concordi sul punto, la notificazione della sentenza eseguita ai sensi dell’art. 285 c.p.c., ha “efficacia bilaterale”, nel senso che il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., decorre non solo nei confronti del destinatario della notificazione, ma anche nei confronti del notificante (ovviamente nel caso in cui sia soccombente su un capo della sentenza), il quale pertanto subisce gli effetti dell’attività sollecitatoria che ha imposto all’altra parte (Cass., Sez. Un., 19/11/2007, n. 23829; Sez. 2, 12/06/2007, n. 13732; da ultimo, Sez. 3, 06/03/2018, n. 5177).
4. – Svolte le superiori premesse sui profili ontologico e funzionale che, nell’attuale diritto positivo, connotano il termine “breve” per impugnare, può passarsi all’esame della questione di diritto, come sopra compendiata (paragrafo 1.), in relazione alla quale è stato invocato un intervento nomofilattico risolutivo da parte di queste Sezioni Unite.
In sostanza, viene chiesto a questo Consesso di stabilire se il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione – enucleato dalla giurisprudenza costituzionale e recepito dal legislatore – operi anche con riferimento alla notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione; e se, quindi, la notifica della sentenza eseguita ex art. 285 c.p.c., abbia efficacia bilaterale “sincronica”, nel senso che il termine di impugnazione decorra da un unico momento sia per il notificante che per il destinatario della notifica, ovvero “diacronica”, nel senso che il termine di impugnazione decorra da momenti diversi.
Il Collegio ritiene che, nella soggetta materia, non possa trovare applicazione il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione e che vada di contro affermata l’efficacia bilaterale “sincronica” della notifica della sentenza e la “unicità” (o “comunanza”) del termine per impugnare, nel senso che quest’ultimo decorre per entrambe le parti dalla medesima data.
Diversi argomenti inducono a tale conclusione.
4.1. – In primo luogo, il tenore letterale della principale norma di riferimento.
Infatti, l’art. 326 c.p.c., comma 1, collega la decorrenza del termine breve di impugnazione alla “notificazione della sentenza”, ossia all’evento della notificazione considerato oggettivamente, senza distinguere tra la posizione del notificante e quella del destinatario della notifica.
In particolare, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, la citata disposizione normativa richiede che il procedimento notificatorio si sia perfezionato nel suo complesso (cfr. Cass., Sez. 3, 17/12/2004, n. 23501). E poichè il momento perfezionativo del procedimento in questione va individuato nella consegna dell’atto notificando al destinatario o a chi sia abilitato a riceverlo (cfr. Cass., Sez. Un., 19/04/2013, n. 9535; Sez. Un., 06/11/2014, n. 23675), prima del compimento di tale attività non si ha notificazione e, dunque, non può decorrere il termine per impugnare, neppure per il notificante.
4.2. – La decorrenza unica del termine di impugnazione – tanto per la parte che effettua la notifica della sentenza, quanto per quella che la riceve – trova poi ulteriore fondamento nella impossibilità di applicare, in questo particolare ambito della materia notificatoria, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione enucleato dalla Corte costituzionale, che – com’è noto – con la sentenza n. 477 del 2002, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, “nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario”.
Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto palesemente irragionevole, oltre che lesiva del diritto di difesa, l’esposizione del notificante incolpevole al rischio di decadenze per gli eventuali ritardi dell’ufficiale giudiziario o per i possibili disservizi postali; conseguentemente, ha escluso che un effetto di decadenza possa discendere per il notificante dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile a soggetti da lui diversi (l’ufficiale giudiziario o l’agente postale) e, quindi, del tutto estranea alla sua sfera di disponibilità. Ha affermato, perciò, che gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al compimento delle sole attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario; restando fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con conseguente decorrenza solo da quella data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo.
Sebbene la pronuncia della Consulta fosse riferita espressamente soltanto alle notificazioni eseguite a mezzo posta ai sensi dell’art. 149 c.p.c., (disposizione sulla quale è poi intervenuto il legislatore con la L. 28 dicembre 2015, n. 263, aggiungendovi un comma che ha recepito il dettato della richiamata pronuncia), successivi interventi del giudice delle leggi hanno affermato la portata generale del suddetto principio e la sua applicazione ad ogni fattispecie di notificazione (cfr. Corte Cost., sent. n. 28 del 2004, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 139 e 148 c.p.c.; ord. n. 97 del 2004, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c.).
Orbene, l’introduzione, nel sistema processuale, del principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione ha trovato la sua ratio nella esigenza di tutelare il soggetto notificante e di sottrarlo al rischio di decadenze da facoltà processuali, a lui non imputabili. Il principio in parola, perciò, presuppone logicamente la previsione di un termine perentorio a carico del notificante per l’esercizio di poteri processuali e la necessità di evitare che egli possa incorrere in decadenza qualora, entro il detto termine, abbia posto in essere tutte le attività che gli competono (cfr. Cass., Sez. Un., 13/01/2005, n. 458; più recentemente, Sez. Un., 19/04/2013, n. 9535; Sez. Un., 06/11/2014, n. 23675).
Questa ratio non può evidentemente operare con riferimento alla notificazione della sentenza su iniziativa della parte. Infatti, nel momento in cui provvede alla notificazione della sentenza, allo scopo di far decorrere il termine breve di impugnazione, la parte non è soggetta al termine breve di impugnazione; vi sarà soggetta solo dopo che il procedimento di notificazione potrà dirsi perfezionato.
Il perfezionamento della notifica rileva, quindi, non già per verificare il rispetto di un termine perentorio pendente, ma per far decorrere un termine dapprima inesistente.
In altre parole, la notificazione della sentenza serve al notificante non per evitare decadenze processuali, ma per abbreviare il tempo della formazione del giudicato.
E allora, se si facesse operare il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, la parte notificante non solo non ne trarrebbe un effetto favorevole (nel senso che non eviterebbe alcuna decadenza), ma – addirittura – ne subirebbe un pregiudizio, perchè per essa il termine breve decorrerebbe e, di riflesso, maturerebbe prima rispetto a quanto in proposito previsto per il destinatario della notifica.
Evidente sarebbe il sovvertimento del principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione. Concepito a tutela e a favore del notificante, in quanto finalizzato a salvaguardarlo da decadenze incolpevoli, il principio in parola si trasformerebbe, per una sorta di bizzarra eterogenesi dei fini, in un congegno a svantaggio e a carico del notificante medesimo e inteso a creare nuove decadenze al di fuori dei casi previsti dalla legge.
E’ per tale ragione, d’altra parte, che questa Suprema Corte ha più volte affermato come debba escludersi che il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione possa comportare, per il notificante, l’anticipazione del dies a quo del termine di costituzione dell’attore, trattandosi di effetto a lui pregiudizievole (ex multis, Cass. Sez. 3, 29/01/2016, n. 1662; Cass., Sez. 1, 21/05/2007, n. 11783).
4.3. – Utili argomenti non possono poi trarsi dalla pronuncia di questa Corte, Sez. 3, 17/01/2014, n. 883, secondo cui il dies a quo del termine breve per impugnare decorrerebbe per il notificante dalla data in cui egli consegna l’atto (la sentenza o l’equipollente atto di impugnazione) all’ufficiale giudiziario, in quanto tale consegna costituirebbe – in applicazione analogica dell’art. 2704 c.c., comma 1, ultimo periodo, – un fatto che stabilisce in modo certo la conoscenza della sentenza.
Innanzitutto, come dinanzi detto, la decorrenza del termine breve di impugnazione trova la sua ragion d’essere non nell’acquisizione della conoscenza della sentenza, essendo quest’ultima già legalmente nota alle parti per il semplice fatto della sua pubblicazione, ma nel sollecito indirizzato da una parte all’altra per una più rapida decisione in ordine all’eventuale esercizio del potere di impugnare. Non può quindi farsi discendere dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario la conoscenza della sentenza, già legalmente nota alle parti.
Non sussistono, d’altra parte, i presupposti per procedere all’applicazione analogica dell’art. 2704 c.c., comma 1, ultimo periodo.
Manca, in primo luogo, la lacuna normativa che legittima il ricorso all’analogia, perchè la materia dei termini di impugnazione è compiutamente disciplinata dalle disposizioni codicistiche ed ogni possibile fattispecie trova in esse regolamentazione, anche grazie alla interpretazione logico-sistematica e a quella estensiva.
Difetta poi la eadem ratio legis necessaria a legittimare il ricorso alla analogia: l’art. 2704 c.c., opera, infatti, nel campo dei rapporti giuridici sostanziali e regola la materia della opponibilità ai terzi della data della scrittura privata non autenticata; mentre il decorso del termine per impugnare attiene al rapporto processuale e non riguarda i soggetti terzi, ma le parti del giudizio.
Peraltro, ove si aderisse alla tesi affermata dal citato arresto giurisprudenziale, si introdurrebbe una decadenza da un diritto processuale ricavata in via analogica, come tale di per sè incompatibile con il principio di tassatività che informa la disciplina dei termini perentori.
L’applicazione analogica dell’art. 2704 c.c., comma 1, ultimo periodo, non è quindi consentita in questa materia e non può costituire un argomento valido a sostegno della tesi secondo cui il termine breve di impugnazione decorrerebbe, per il notificante, dalla consegna della notificanda sentenza all’ufficiale giudiziario.
4.4. – Infine, va osservato come una diversificazione della decorrenza del termine breve per impugnare, tra notificante e destinatario della notificazione della sentenza, condurrebbe ad un assetto irrazionale del sistema delle impugnazioni.
L’unicità del decorso del termine di impugnazione tutela l’equilibrio e la parità processuale fra le parti; e garantisce, inoltre, la certezza dei rapporti giuridici, in quanto il giudicato si forma contemporaneamente nei confronti di tutte le parti.
Al contrario, la diversità del decorso del termine di impugnazione determinerebbe una sorta di disparità di trattamento nei confronti del notificante. Infatti, il notificante – ove parzialmente soccombente vedrebbe decorrere il proprio termine breve per impugnare prima della decorrenza del medesimo termine per il destinatario della notifica e prima ancora di avere la possibilità di verificare se tale notifica si sia perfezionata. Ne deriverebbe una grave disarmonia sistematica, priva di ragioni ordinamentali giustificative (così Cass., Sez. Un. 13 giugno 2011, n. 12898).
5. – In definitiva, per le ragioni di cui sopra, la Corte ritiene di dover enunciare, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto:
“In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325, decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perchè interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti”.
6. – Alla stregua dell’affermato principio di diritto, il ricorso va rigettato.
La complessità della questione giuridica sottoposta col ricorso giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
7. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2019.