Le SSUU precisano la differenza fra ius sepulchri ordinario e ius sepulchri familiare.

Cassazione SSUU 28 Giugno 2018, n. 17122.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con testamento olografo pubblicato nel 1956 P P lasciava alla moglie, X X, l’usufrutto e ai cugini … e P P
fu … la nuda proprietà di tutti i suoi beni. Col medesimo testamento onerava l’una e gli altri di costruire
un sepolcro su di un lotto di cui egli era concessionario nel comune di ….
Realizzato il sepolcro e consolidatasi alla morte della X, avvenuta nel 1991, la proprietà piena in favore di
.. P e di … P (figlia di P P fu …), sorgeva controversia tra questi ultimi, da un lato, e Y Y Y, dall’altro,
alla quale la X aveva a sua volta legato il sepolcro.
Tale controversia sfociava nel 1995 in una causa che B e CP promuovevano innanzi al Tribunale di Bari
affinché fosse accertata, in tesi, la falsità del testamento olografo di X X, e in subordine, l’Inefficacia del
legato di sepolcro ivi disposto in favore della Y Y, perché la testatrice, in quanto soltanto usufruttuaria dei
beni relitti da P P, non avrebbe potuto disporne mortis causa. Il tutto previa eventuale disapplicazione della
delibera n. 561/93 della giunta municipale di Rutigliano che aveva intestato alla Y Y il lotto cimiteriale.
Quest’ultima, dapprima, e gli eredi di lei, dopo, resistevano in giudizio e, per quanto ancora rileva in questa
sede di legittimità, eccepivano il difetto della giurisdizione ordinaria.
Il Tribunale con sentenza n. 414/12 rigettava la domanda nel merito, senza pronunciarsi espressamente
sulla giurisdizione. Gli attori, affermava, non avendo né ereditato il lotto né costruito il sepolcro a loro
spese, non avevano titolo a contestare il testamento della X e il diritto di lei di disporre del sepolcro stesso.
Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Bari, che in accoglimento del gravame dichiarava in favore
degli eredi P il diritto di superficie sul lotto cimiteriale e quello di proprietà sul sepolcro ivi realizzato.
A base della pronuncia, la circostanza che B P e P P fu B dovevano considerarsi eredi ex re certa del
cugino P P, con la conseguenza che essi avevano ereditato ogni altro diritto di lui, inclusi quelli sul lotto
cimiteriale in concessione e sul sepolcro ivi costruito.
La cassazione di tale sentenza è chiesta da ……eredi di … e, con lui, di Y Y Y, sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso ….
Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre
2016, dall’art. 1- bis, comma 1, lett. f), D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla
L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi dell’art. 1-bis, comma 2, del medesimo
D.L. n. 168/2016), le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo si eccepisce la carenza della giurisdizione ordinaria sub specie di violazione degli
artt. 3, 5 e 21 legge TAR, 7 e 133, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 104/10, in relazione agli artt. 37 e 360, n. 1
c.p.c., 4 e 5 legge n. 2248 del 1865 all. E, 824 c.c. in relazione all’art. 360, nn. 1, 3 e 4 c.p.c., 345 e 102
c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che la lite avrebbe ad oggetto, nella sostanza, la contestazione della legittimità
della concessione rilasciata dal comune di .. a Y Y Y relativamente al lotto cimiteriale che ospita il sepolcro.
Pertanto, essendo il rapporto concessorio non già un semplice presupposto storico, ma l’oggetto principale
del contendere, la causa rientrerebbe nella giurisdizione – o generale di legittimità o esclusiva – del
giudice amministrativo.
1.1. – Il motivo è inammissibile.
L’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in
qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole
durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione
delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione
intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività
e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in
tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne
l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere
eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima
udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza
di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello
sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato
esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può
rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato
esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte
che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni
che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato
quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza
di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della
pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica
stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (S.U. n.
24883/08 e successive tutte conformi).
Nella specie, la decisione di merito di primo grado implicava di necessità logica l’affermazione della giurisdizione
ordinaria, e con essa la necessità, ad evitare il giudicato, di un appello incidentale condizionato
da parte degli odierni ricorrenti, risultati vittoriosi in primo grado. Appello la cui mancata proposizione ha
dunque prodotto il giudicato interno sulla giurisdizione.
2. – Il secondo motivo denuncia il difetto di legittimazione attiva degli P e la violazione degli artt. 457,
565, 583, 587, 588 e 1362 c.c., in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., nonché l’omesso esame d’un
fatto decisivo e discusso dalle parti.
Quanto alla posizione di CP, figlia di P P fu B cugino del de cuius, la rinuncia di suo padre all’eredità non
la costituiva a sua volta chiamata per rappresentazione. Quanto ad B P, si sostiene, l’istituzione d’erede ex
re certa su beni specificamente indicati (a fortiori ritenendo la disposizione testamentaria come legato),
diversi dal sepolcro, non avrebbe determinato in favore di lui l’acquisto anche di quest’ultimo bene, operando
invece l’accrescimento a vantaggio del coniuge del testatore, X X.
2.1. – La censura non ha fondamento.
2.1.1. – Quanto alla posizione di B P (e dunque dei suoi eredi), va osservato che:
a) la institutio ex re certa è compatibile con l’accrescimento. Infatti, questa Corte ha avuto modo di affermare
che in tema di delazione dell’eredità, non ha luogo la successione legittima agli effetti dell’art. 457,
secondo comma, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione
ex re certa, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti
(cfr. Cass. n. 12158/15). Soluzione, quest’ultima, da condividere e riaffermare anche in considerazione
del conforme avviso della dottrina largamente maggioritaria, la quale osserva che la posizione
dell’istituito ex re certa non è diversa da quella dell’erede pro quota, in favore del quale opera senz’altro la
c.d. forza espansiva della delazione testamentaria, che riguarda anche i beni ignorati o sopravvenuti (e
non solo quelli ignorati, come invece suppone parte ricorrente);
b) a maggior ragione ciò vale nel caso di specie, in cui più che la forza espansiva della delazione ereditaria
viene in rilievo il fatto che i due cugini furono istituiti eredi con l’onere (condiviso con la moglie del
de cuius) di costruire la cappella; la quale, indipendentemente da chi l’abbia eretta, è divenuta di proprietà
non dell’usufruttuaria generale, ma dell’unico erede (B P, visto che è pacifico in causa che P P fu B rinunciò
all’eredità), quale proprietario del relativo lotto cimiteriale edificabile.
c) l’usufrutto generale è secondo la dottrina dominante un legato e non un’istituzione di erede (contra
Cass. nn. 13310/02 e 2617/05, la quale ultima è puramente adesiva alla prima), e dunque neppure pro
quota avrebbe potuto determinarsi l’accrescimento in favore della X X.
2.1.2. – È ben vero, poi, che in favore di CP, figlia di P P fu B, il quale a sua volta era soltanto cugino del
de cuius, non opera la successione per rappresentazione (art. 468, primo comma, c.c.).
Tuttavia – e in disparte il limitato (ma non per questo inesistente) interesse dei ricorrenti alla richiesta declaratoria
– la legittimazione attiva di lei si fonda su di un’altra circostanza. È decisivo osservare, infatti,
che la sentenza impugnata ha accertato (o meglio dato incontestatamente per presupposto: v. pag. 2) che
secondo la volontà del testatore la tomba avrebbe ospitato, se i cugini l’avessero voluto, l’intera famiglia
P; il che vale a qualificare il sepolcro come di tipo gentilizio, e non già ereditario.
Ne consegue la piana applicabilità della costante giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale nel sepolcro
ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come
qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel
sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri è
attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del
sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col
fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non
iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità
del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di
sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari
designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della
successione mortis causa (v. nn. 7000/12, 1789/07, 12957/00, 5015/90 e 519/86)
3. – In conclusione il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile ed il secondo va respinto.
4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico solidale delle parti ricorrenti.
5. – Ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato a carico dei ricorrenti, in solido fra
loro, in base all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo e condanna i ricorrenti,
in solido tra loro, alle spese, che liquida in complessivi C 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre
spese generali forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara
la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.