Per l’esclusione dalla comunione valgono solo le cause indicate dall’art. 179 c.c.

Corte di Cassazione 14 novembre 2018 n. 29342
V.G., in data 2.1.1982, contraeva matrimonio con C.M.T., adottando il regime patrimoniale della
comunione dei beni. La casa coniugale era rappresentata da un’unità abitativa sita in (omissis), già di
proprietà per la quota di metà della moglie e per la restante metà del fratello della medesima, C.G. . In
costanza di matrimonio, con atto notarile in data 5.7.1996, C.M.T., acquistava dal fratello G. la restante
quota, dichiarando in atto che l’acquisto avveniva ai sensi della lett. f) dell’art. 179 c.c.; a V.G. era
richiesto di partecipare all’atto, essendogli rappresentato dalla moglie che la sua partecipazione era
necessaria in quanto coniuge e, in tale sede, egli confermava la dichiarazione resa dalla moglie. Il
corrispettivo dell’acquisto, pur dichiarato in atto in Lire 115.000.000, era in realtà di Lire 400.000.000,
somma versata all’alienante.
Con atto di citazione, notificato in data 20.9.2011, dinanzi al Tribunale di Lecco, V.G. conveniva in giudizio
la moglie C.M.T., assumendo che la quota di metà della casa coniugale – formalmente intestata alla
moglie in forza dell’atto di acquisto del 5.7.1996 – fosse in realtà in comunione, in ragione della disciplina
legale degli acquisti compiuti dai coniugi in costanza di matrimonio, in base al regime patrimoniale di
comunione legale. L’attore chiedeva il relativo accertamento, oltre alla divisione e, in via subordinata, per
l’ipotesi in cui la proprietà della casa fosse ritenuta in via esclusiva della moglie, chiedeva che la stessa
fosse dichiarata tenuta a rimborsare alla comunione il denaro prelevato dalla stessa per l’acquisto, con
condanna all’esito della divisione al versamento in favore del marito della metà della somma.
C.M.T. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree, evidenziando che il marito,
intervenuto personalmente all’atto pubblico, aveva prestato il suo assenso, ai sensi dell’art. 179, comma
2, lett. f) c.c., riconoscendo che l’immobile era acquistato dalla moglie quale bene personale.
Esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione ed espletato l’interrogatorio formale della C., con
sentenza n. 781/2013, depositata il 29.8.2013, il Tribunale di Lecco rigettava la domanda di caduta in
comunione sulla quota di metà della casa, condannando il V. alle spese di lite.
Avverso detta sentenza proponeva appello V.G. sotto un duplice profilo: che la dichiarazione resa dallo
stesso non potesse avere natura confessoria per non avere la moglie affermato un fatto, ma per essersi
limitata al richiamo di una norma di legge che, oltretutto, prevede due fattispecie alternative; e che, ove
si riconoscesse natura confessoria alla propria dichiarazione, quella della moglie era di per sé insufficiente
per carenza della specifica indicazione dei beni utilizzati per l’acquisto.
Con sentenza n. 3378/2014, depositata il 24.9.2014, la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello,
condannando l’appellante alle spese del grado.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione V.G. sulla base di due motivi; resiste C.M.T. con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “Falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c.: falsa applicazione dell’art. 179, comma 1, lett. f), e comma 2, c.c. (sotto il profilo
della carenza di natura confessoria della dichiarazione dell’altro coniuge partecipante all’atto)”, là dove
erroneamente la Corte di merito, con la sentenza impugnata: ha ritenuto l’immobile non incluso nella
comunione in quanto il marito aveva partecipato all’atto di acquisto da parte della moglie; ha affermato
che quanto trasferito era escluso dalla comunione ai sensi dell’art. 179 lett. f) c.c., poiché il marito aveva
confermato nell’atto quanto dichiarato dalla moglie; ha evidenziato la natura confessoria della
dichiarazione resa dal marito (richiamando Cass. sez. un. n. 22755 del 2009), superabile dalla revoca
della confessione stragiudiziale, ammissibile, ex art. 2732 c.c., solo per errore di fatto o violenza; ha
rilevato che, in ogni caso, non sarebbe necessaria l’indicazione specifica dei beni utilizzati per l’acquisto
preteso solitario e la prova che gli stessi siano personali, essendo sufficiente che il coniuge acquirente
dichiari che lo siano e che l’altro coniuge, che interviene all’atto, possa non esprimersi.
1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “Falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c.: falsa applicazione dell’art. 179, comma 1, lett. f), c.c. (sotto il profilo della
necessità di indicazione specifica dei beni personali ai quali si è fatto ricorso per l’acquisto preteso
solitario), poiché la Corte di merito non ha preso in esame la seconda questione, secondo cui la
dichiarazione della moglie sarebbe carente dell’indicazione dei beni personali ai quali sarebbe ricorsa per
l’acquisto, limitandosi ad affermare che il richiamo contenuto nel rogito alla specifica norma dell’art. 179
lett. f) c.c. configura dichiarazione resa dal coniuge acquirente (confermata dall’altro coniuge) idonea a
determinare gli effetti indicati dall’art. 179, co. 2 c.c..
2. – Il primo motivo è fondato.
2.1. – Preliminarmente va evidenziato che la Corte di merito ha riconosciuto l’errore in cui era incorso il
Giudice di primo grado nella ricostruzione dei fatti, nella parte in cui affermava che nell’atto notarile fosse
contenuta la dichiarazione attribuita al V., che “quanto trasferito era bene personale”, mentre tale
dichiarazione era stata resa dalla parte alienante.
2.2. – Ciò chiarito, dal tenore della affermazione contenuta nell’atto notarile (e testualmente riportata) –
secondo la quale “la signora C.M.T. dichiara di essere coniugata in regime di comunione legale dei beni,
ma che il presente acquisto è escluso dalla comunione legale ai sensi dell’art. 179 lett. f) codice civile,
come ad ogni effetto conferma il coniuge signor V.G. ” – i giudici di merito hanno ritenuto che tale
conferma avesse natura confessoria (lasciando spazio alla sua revoca solo per errore o violenza, non
dedotti).
Va, viceversa, rilevato che la dichiarazione resa dalla C. nel contesto dell’atto notarile non può dirsi che
avesse ad oggetto un fatto storico, richiamandosi con essa le mere conseguenze giuridiche della
applicazione di una norma di legge; per cui anche la relativa conferma da parte del V. non era riferita ad
un fatto (non assumendo dunque valenza confessoria).
2.3. – La natura giuridica e i limiti di efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente, partecipe
all’atto di compravendita, sono stati chiariti da Cass., sez. un. n. 22755 del 2009, secondo cui essa si
atteggia diversamente a seconda che la personalità del bene dipenda dal pagamento del prezzo con i
proventi del trasferimento di beni personali, o alternativamente dalla destinazione del bene all’esercizio
della professione dell’acquirente. Solo nel primo caso la dichiarazione del coniuge non acquirente assume
natura ricognitiva della natura personale e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti.
Laddove nel secondo – che è quello pertinente anche nella presente fattispecie – esprime la mera
condivisione dell’intento altrui. Ne consegue che la successiva azione di accertamento della comunione
legale sul bene acquistato, mentre è condizionata, nella prima ipotesi, dal regime di prova legale della
confessione stragiudiziale, superabile nei limiti di cui all’art. 2732 c.c., per errore di fatto o violenza, nella
seconda implica solo la prova dell’effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine
sulla sincerità dell’intento manifestato (Cass. n. 1523 del 2012).
In linea con siffatto orientamento, in analoga fattispecie, questa Corte ha affermato che, nel caso di
acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale,
la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179 cod. civ., comma 2, si
pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione (in tal
steso anche Cass. n. 18114 del 2011): occorrendo, a tal fine (come allora, anche nella odierna
fattispecie), non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene –
richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura – ma anche l’effettiva
sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179 c.c.,
comma 1, lett. c), d) ed f). Con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere
fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale
accertamento dalla circostanza che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi
(Cass. sez. un. n. 22755 del 2009). Né si può assegnare alla dichiarazione del coniuge comparente,
verbalizzata nell’atto pubblico di compravendita, valore di confessione di un fatto storico, come tale,
revocabile successivamente solo per errore di fatto o violenza (art. 2732 cod. civ.). (Cass. n. 18114 del
2010).
2.4. – Tali principi sono stati confermati, anche di recente, precisandosi che, in caso di comunione legale
tra i coniugi, il bene acquistato dai medesimi, insieme o separatamente, durante il matrimonio,
costituisce, in via automatica, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), c.c., oggetto della comunione tra
loro e diventa, quindi, in via diretta, bene comune ai due coniugi, anche se destinato a bisogni estranei a
quelli della famiglia ed il corrispettivo sia pagato, in via esclusiva o prevalente, con i proventi dell’attività
separata di uno dei coniugi, a meno che non si tratta del denaro ricavato dall’alienazione di beni personali
(e sempre che, in quest’ultimo caso, l’acquirente dichiari espressamente la provenienza del denaro: art.
179, lett. f, c.c.) ovvero si tratta di un bene di uso strettamente personale di ciascun coniuge (art. 179,
lett. c, c.c.) ovvero che serve all’esercizio della professione del coniuge (art. 179, lett. d, c.c.), ed, in caso
di acquisto di beni immobili (o di beni mobili registrati), tale esclusione risulti dall’atto di acquisto ed il
coniuge non acquirente partecipi alla relativa stipulazione (art. 179, comma 2, c.c., con espresso
riferimento ai casi previsti dall’art. 179, lett. c, d, f cit.). La dichiarazione resa nell’atto dal coniuge non
acquirente, ai sensi dell’art. 179, comma 2, c.c., in ordine alla natura personale del bene, si pone,
peraltro, come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione,
occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del
bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche
l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art.
179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c. (Cass. n. 11668 del 2018).
Pertanto – contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, secondo la quale, per l’esclusione
della caduta in comunione del bene acquistato da un coniuge in regime di comunione dei beni “deve
ritenersi sufficiente la sua partecipazione alla conclusione del contratto, accompagnata dalla mancata
opposizione alla dichiarazione di esclusione resa dall’altro coniuge ed inserita nell’atto” (sentenza
impugnata, pag. 6) – la dichiarazione concorde del ricorrente nell’atto notarile non può considerarsi
idonea a determinare in sé l’esclusione della comunione dell’acquisto fatto dalla controricorrente,
caratterizzata come è dal solo richiamo alle conseguenze giuridiche dell’atto.
3. – Il primo motivo di ricorso va accolto, con assorbimento del secondo motivo; la sentenza impugnata
va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, altra sezione, anche in ordine alla liquidazione delle
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in
relazione alle censure accolte, e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Milano, altra sezione, che
provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.