Per lo stato di adottabilità occorre la valutazione sull’attualità del pregiudizio concreto

Cass. civ. Sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26302
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21716/2017 proposto da:
M.G., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Milan’ Gerardo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Lo.Ra., nella qualità di tutore e difensore dei minori L.R. e E.A.N., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Mombelli Silvia Maria, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
E.A.K., L.M., Procura Generale presso la Corte di Appello di Brescia;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1072/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 12/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza n. 1072/2017, respingendo il gravame proposto da M.G., ha confermato la sentenza del Tribunale per i minorenni di declaratoria dello stato di adottabilità dei minori E.A.N., nato nel (OMISSIS), e L.R., nata nel (OMISSIS), rappresentati in giudizio dal tutore Avv.to Lo..
In particolare, la Corte d’appello ha confermato lo stato di abbandono dei due minori, rilevando che il padre del N. era stato condannato per cessione di sostanze stupefacenti ed aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, risultando irreperibile dall’apertura del procedimento, mentre il padre della R. aveva lasciato l’Italia quando la bambina aveva otto mesi, senza più rivederla, essendosi trasferito in (OMISSIS), ove era stato arrestato, e che la madre dei due minori aveva, nel (OMISSIS), lasciato l’Italia dove viveva con i due minori, senza comunicare nulla (a suo dire per recarsi in (OMISSIS), ove il marito l’aveva “picchiata e sequestrata” fino al (OMISSIS)), cosicché i minori erano stati inseriti in una famiglia affidataria, con un netto miglioramento delle loro condizioni psichiche e fisiche.
La Corte d’appello ha poi evidenziato che la G., sottoposta (a seguito di una prima pronuncia del 2013 del Tribunale, nella quale non si era dichiarato lo stato di adottabilità del minore N.) ad un programma di sostegno al recupero della capacità genitoriale, non aveva dimostrato tale recupero, tenendo un atteggiamento poco collaborativo ed aggressivo (emergendo, da relazione clinica dell’agosto 2015, “impulsività, discontinuità emotiva con difficoltà di gestione della rabbia, immaturità affettivo relazionale”), cosicché per i minori, i quali non hanno rapporti con la madre dal settembre 2015 (a prescindere se per sua volontà o perché “costretta”), risulta di maggiore pregiudizio “attendere l’esito di una sperimentazione volta al recupero della suddetta capacità, di cui non si conoscono i tempi ed il cui esito, considerato i precedenti, non presenta prognosi favorevole”.
Avverso la suddetta sentenza, la G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di Lo.Ra., tutore dei minori E.A.N. e L.R. (che resiste con controricorso). La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.La ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, exart. 360 n. 5 c.p.c., di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’impedimento per la stessa, dopo la partenza per il (OMISSIS), nel settembre 2015 (perché contattata dal marito, che le aveva fatto credere che un altro figlio, A., fosse in pericolo di vita), di rientrare in Italia per causa di forza maggiore, essendo stata tenuta “in sequestro” dal marito.
2. La censura è infondata, in quanto la Corte d’appello ha esaminato il fatto storico, ritenendolo ininfluente ai fini del decidere, a fronte della valutazione del preminente interesse dei minori, i quali dal settembre 2015 non avevano, in ogni caso, avuto rapporti con la madre, inserendosi nella famiglia affidataria con evidente miglioramento della loro situazione psicofisica.
Non ricorre pertanto il vizio di omesso esame ai sensidell’art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione.
3. La ricorrente, con il secondo motivo, lamenta la nullità della sentenza, exart. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dellaL. n. 184 del 1983,artt.1,8,12e15, art.3della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo, della Convenzione di Strasburgo del 1996, della Carte dei diritti fondamentali della UE del 2000, essendo stato violato il preminente interesse del minore di “crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” ed avendo la Corte distrettuale omesso di verificare il recupero della capacità genitoriale della madre al momento della decisione, avendo utilizzato relazioni dei Servizi Sociali risalenti al 2014 ed al 2015.
4. Risulta, anzitutto, inammissibile la doglianza espressa nella seconda parte del motivo, con la quale la ricorrente lamenta un vizio procedurale del giudizio di primo grado, per mancata obbligatoria audizione dei genitori, senza chiarire se la censura, di cui non vi è traccia nella sentenza della Corte d’appello qui impugnata, fosse stata sollevata in appello.
5. Nella restante parte, la censura è infondata.
In generale, questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).
Il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dallaL. n. 184 del 1983,art.1, ragione questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).
Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai principi elaborati d’alla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H. contro Italia), è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: “In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”.
Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nellaL. n. 184 del 1983,art.8, dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, così come indicato nellaL. n. 184 del 1983,art.1(Cass. 22934/2017).
In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica (disponendo l’art. 1 che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di origine), fondata su un giudizio d’impossibilità morale o materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza Cedu Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. 7193 del 2016).
Da ultimo, questa Corte ha chiarito che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (Cass.4097/2018; conf. Cass. 26624/2018, in ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori, che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la possibilità di un successivo abbandono).
Ora, la Corte d’appello ha ritenuto di escludere, sotto l’aspetto prognostico, l’eventualità di un superamento dello stato di abbandono (anche nei confronti degli altri parenti, “che si sono disinteressati dei minori”), in tempi compatibili con l’interesse dei minori (in particolare, di vivere in uno stabile contesto famigliare), e ciò ha fatto non soltanto sulla base di relazioni dei servizi sociali risalenti al 2014 ed al 2015, come lamentato in ricorso, ma anche sulla base del complessivo comportamento tenuto dalla madre, nel corso degli anni 2016 (successivamente alla cessazione dell’asserita, e non dimostrata obiettivamente, situazione di prigionia della G.) e 2017 (successivamente al ritorno, dunque, in Italia della stessa), evidenziando il fatto che la G. non abbia assunto, neppure dopo il suo rientro in Italia, alcuna valida iniziativa per riprendere idonei rapporti genitoriali con i figli minori N. e R. e che la stessa si è, di conseguenza, disinteressata di tali figli, ininterrottamente dal settembre 2015, in un quadro di attitudini genitoriali già gravemente carenti, riscontrate negli anni 2013-2014 e 2015. Per contro, i minori, dal settembre 2015 risultano essere stati inseriti in famiglia affidataria, con netto miglioramento, anche, del loro sviluppo psicofisico.
La Corte d’Appello non ha dunque violato laL. n. 184 del 1983, gli artt. 1 e 8, nell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme sopra delineato, avendo esaminato la capacità genitoriale della madre ed avendo formulato un giudizio radicalmente negativo sulla volontà della stessa di recupero del rapporto genitoriale, sulla base di un contesto pregresso di fattori impeditivi e dell’insuccesso del programma di sostegno alla genitorialità (interrotto dalla ricorrente a causa della partenza per il (OMISSIS), al fine di accudire altro figlio).
6. Deve infine essere dichiarata inammissibile, in quanto proposta tardivamente e solo nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., la doglianza relativa alla mancata audizione dell’affidatario.
7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza (non valendo il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 74, comma 2, ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte, risultata vittoriosa, in quanto “gli onorari e le spese”, di cui si fa carico lo Stato, sono esclusivamente quelli dovuti al difensore della parte ammessa al beneficio: Cass. n. 10053/2012; Cass. 8388/2017), ma vanno poste a favore dello Stato (essendo il controricorrente tutore dei due minori pure ammesso al gratuito patrocinio), ai sensi del D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 115, art. 133, secondo cui, in caso di ammissione della parte vittoriosa al patrocinio a spese dello Stato, la condanna alle spese della parte soccombente va fatta in favore dello Stato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, inclusi Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Dispone che il pagamento di detti importi sia eseguito a favore dello Stato.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater, si dà atto che il processo risulta esente.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018