UNA TANTUM DIVORZILE
Di Gianfranco Dosi
I Le caratteristiche strutturali e funzionali dell’una tantum divorzile
Il testo originario della legge 1° dicembre 1970, n. 898 sul divorzio già contemplava la possibilità, su accordo delle parti (non quindi su iniziativa d’ufficio del giudice), che l’assegno divorzile potesse essere corrisposto non con la consueta modalità di somministrazione periodica ma in un’unica so¬luzione L’art. 5 della legge prevedeva, infatti, nell’ultima parte del quinto comma che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione”.
Se si rileggono i primi commentari del divorzio ci si avvede come la previsione nella legge sul divorzio del 1970 di questa forma di corresponsione dell’assegno di mantenimento post-matrimo¬niale costituiva certamente una grande novità. Era la prima volta che il legislatore individuava una modalità così poco tradizionale di corresponsione del mantenimento, per di più all’interno di una normativa che all’epoca era oggettivamente nel nostro Paese del tutto rivoluzionaria. Si consideri che la grande riforma che modernizzava in Italia il diritto di famiglia veniva approvata soltanto cinque anni più tardi, nel 1975.
Con la legge 6 marzo 1987, n. 74 l’una tantum fu riformulata in un apposito comma 8 dell’art. 5 dove si confermava che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione” ma si aggiungeva “ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.
Diventava quindi rilevante – a seguito di queste modifiche – il giudizio di equità del tribunale, senza il quale la decisione dei coniugi, sia pure espressione della loro autonomia negoziale patrimonia¬le, non può avere l’efficacia che la legge le attribuisce e veniva introdotta, come conseguenza di questa forma alternativa di corresponsione del mantenimento divorzile, la preclusione a proporre qualsiasi successiva domanda di contenuto economico (per questo nella prassi si parla spesso, ma con un termine sgradevole, di “liquidazione”) e perciò l’accordo tra i coniugi si riferisce anche alla intangibilità della loro determinazione. Per riferirsi a questa conseguenza le parti in genere dichiarano nel loro accordo che la corresponsione è effettuata “a definizione di ogni questione pa¬trimoniale derivante dalla pregressa vita matrimoniale” clausola che tuttavia è superflua se, come è necessario, le parti indicano nell’accordo che la corresponsione è effettuata ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio.
L’espressione una tantum divorzile è legata alla caratteristica di unicità della prestazione di mante¬nimento (che viene corrisposta, appunto, una volte per tutte). La causa ha natura onerosa essendo evidente che con l’una tantum si assolve all’obbligo di mantenimento che, ove non fosse dovuto, renderebbe ingiustificata la corresponsione. Le parti cioè assolvono non ad un desiderio di arricchi¬mento dell’altro (pur sempre legittimo anche in sede divorzile) ma ad un obbligo di contribuzione sostituendo all’assegno la corresponsione una tantum.
L’accordo dei coniugi relativo alla corresponsione in un’unica soluzione del mantenimento divor¬zile può sopravvenire nel corso del procedimento di divorzio ponendovi fine, come è dimostrato dalla sede normativa della prescrizione e cioè l’ottavo comma dell’art. 5 della legge sul divorzio che si riferisce alla fase decisionale del procedimento (con conclusioni congiunte, quindi) ma, naturalmente, come qualsiasi diverso accordo sull’assetto post-matrimoniale, può essere anche e soprattutto contenuto nell’atto introduttivo redatto congiuntamente dai coniugi (analogamente a quanto avviene per la separazione consensuale), secondo quanto previsto nell’art. 4 che si riferisce al divorzio a domanda congiunta (che nella prassi costituisce ormai di fatto la sede privilegiata degli accordi di divorzio e quindi anche dell’accordo sulla corresponsione in unica soluzione del mantenimento divorzile).
La valutazione circa l’equità dell’accordo va effettuata sempre dal tribunale. Questa constatazione è oggi pacifica; non lo era evidentemente in passato se App. Bari, 19 ottobre 1999 aveva do¬vuto affermare che “la valutazione di equità, imposta per il caso di accordo dei coniugi in ordine alla corresponsione dell’assegno in unica soluzione va effettuata anche nel procedimento divorzile introdotto su domanda congiunta”.
L’una tantum quindi non costituisce da un punto di vista funzionale una banale modalità di abbre¬viazione del procedimento, ma soprattutto una esaltazione della negozialità e dell’autonomia rico¬nosciuta ai coniugi. Ed infatti la giurisprudenza ha sempre giustamente sottolineato e valorizzato il carattere dispositivo dell’attribuzione una tantum per comporta la sottoposizione dell’accordo alle regole del contratto anziché a quelle dell’assegno divorzile sempre modificabile. E questo a pre¬scindere dall’inquadramento negoziale dell’una tantum più nell’area della datio in solutum ovvero della novazione oggettiva (assolvimento dell’obbligo di mantenimento mediante una prestazione diversa da quella dell’obbligazione originaria consistente nella somministrazione periodica dell’as¬segno), che a quella del contratto atipico.
L’individuazione dell’importo una tantum sfugge alle regole della capitalizzazione dell’assegno pe¬riodico cioè non consiste di per sé nella sua capitalizzazione. L’accordo – sia pure condizionato al controllo di equità da parte del tribunale – ha carattere prettamente aleatorio, come è reso molto evidente dal fatto che nessuno è in grado di dire se la corresponsione una tantum possa conside¬rarsi in termini puramente economici conveniente o meno. Il giudizio di convenienza economica, infatti, dipende dalle circostanze del caso concreto e dall’età delle parti. E soprattutto dipende dalla valutazione sulla convenienza o meno della rinuncia agli altri diritti economici post divorzili, considerata la perdita – come si è detto – del diritto a richiedere modifiche dell’importo del man¬tenimento e la perdita degli altri diritti economici post-divorzili. Da questo punto di vista lo stesso controllo di equità da parte del tribunale si risolve in una vera e propria operazione di difficile se non impossibile plausibilità.
Consegue a quanto fin qui detto – e a quanto si dirà più avanti – che la valutazione sulla congruità economica di questa modalità di definizione degli aspetti connessi al mantenimento coniugale non è una valutazione che può farsi affrettatamente o superficialmente, involgendo al contrario que¬stioni e diritti fondamentali della persona che vanno accuratamente spiegati e compresi trattandosi di conseguenze legali sulle quali le parti non hanno successivamente all’accordo alcun ulteriore unilaterale potere dispositivo e modificativo.
II La corresponsione in unica soluzione del mantenimento divorzile mediante attribuzione patrimoniale o trasferimento immobiliare
È assolutamente pacifico anche in giurisprudenza che la corresponsione una tantum del manteni¬mento divorzile possa essere realizzata anche attraverso una attribuzione di tipo patrimoniale o attraverso un trasferimento di diritti immobiliari, per esempio la cessione di una quota di un bene ovvero di tutto il bene o la costituzione di un diritto reale limitato. La causa di questa attribuzione è sempre l’assolvimento dell’obbligo di mantenimento – e quindi la natura di questa attribuzione, effettuata (come è necessario precisare sempre) ex art. 5 comma 8 della legge sul divorzio, è onerosa – altrimenti saremmo in presenza di una attribuzione senza causa o al più con una causa donationis.
Nella giurisprudenza di legittimità si può richiamare Cass. civ. Sez. I, 5 settembre 2003, n. 12939 la quale, confermando la sentenza di merito che, in accoglimento della domanda degli eredi dell’ex coniuge defunto e beneficiario della alienazione, aveva disposto con sentenza il tra¬sferimento in loro favore del diritto di proprietà sull’immobile oggetto dell’accordo divorzile, ha precisato che “l’’accordo con il quale le parti, nel giudizio di divorzio, convengono la correspon¬sione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, mediante trasferimento in favore del coniuge beneficiario del diritto di proprietà su di un immobile, configura un negozio di natura transattiva ed aleatoria la cui efficacia è subordinata all’approvazione da parte del tribunale”.
Nella giurisprudenza di merito App. Firenze Sez. I, 2 marzo 2009 si è affermato che la sentenza di divorzio (nella specie su ricorso congiunto dei coniugi) può senz’altro contenere, tra le clausole di cui il tribunale prende atto, quella per cui uno dei coniugi cede all’altro una quota di immobile comune, in quanto in un ambito di generale sistemazione dei rapporti dipendenti dal matrimonio, non può essere interdetto all’autonomia negoziale di inserire nel ricorso congiunto per divorzio an¬che quel profilo che, senza richiedere una attività processuale che sarebbe ulteriore rispetto al rito prescelto (come sarebbe, ad esempio, una domanda di divisione), consenta di realizzare compiu¬tamente il regolamento di interessi che concluda la fase della vita coniugale (conseguentemente, in accoglimento dell’appello proposto da entrambi i coniugi, la Corte ha inserito, tra le clausole di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche quella con cui la moglie trasferiva al marito la quota di metà di una porzione di abitazione: clausola che il giudice di primo grado aveva invece ri¬tenuto non potersi inserire assumendo che il trasferimento di diritti reali non si poteva configurare, nel caso di specie, come pagamento in unica soluzione dell’assegno divorzile). Evidentemente nel¬la decisione – che concerne una attribuzione da parte della moglie al marito – la Corte ha escluso che la causa del trasferimento fosse una compravendita e ha richiamato come causa dell’accordo divorzile quella della sistemazione dell’assetto post-matrimoniale cui fa riferimento l’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio.
In App. Napoli Sez. I, 3 aprile 2006 si legge che ex art. 5 della Legge n. 898/1970 è conferita ai coniugi la facoltà di sostituire all’assegno periodico di divorzio l’attribuzione di una somma forfe¬taria, o di un bene, o di una altra utilità, così regolando in modo definitivo ed esaustivo i rapporti patrimoniali. Difatti, sulla scorta del disposto richiamato, l’impegno al trasferimento costituisce un negozio di natura transattiva ed aleatoria, rispetto al quale è irrilevante la diversa situazione dei coniugi e che comporta l’applicazione non più delle regole dettate in tema di divorzio bensì quel¬le disciplinanti i rapporti contrattuali (Nel caso di specie le parti avevano chiesto che l’obbligo di corresponsione periodica avvenisse in una unica soluzione, mediante il trasferimento di una quota pari ad un terzo dell’usufrutto di un immobile).
Il fatto che la corresponsione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione possa legittimamente av¬venire mediante trasferimento della proprietà o di un altro diritto reale in favore dell’avente diritto è stata affermata più volte (Trib. Bologna, 12 aprile 1994; Trib. Cosenza, 13 aprile 1991; Trib. Verona, 12 novembre 1987; Trib. Genova, 7 ottobre 1985).
III La prestazione oggetto dell’una tantum può essere effettuata prima del divorzio?
In un caso in cui la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto la richiesta di modifica di un assegno escludendo che tra i coniugi vi fosse stata una corresponsione una tantum dell’assegno di divorzio in virtù di una precedente operazione di trasferimento immobiliare, Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15064 ha ribadito il principio secondo cui ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio stesso deve ritenersi nullo ma ha precisato che è consentito, invece, che le parti, in sede di divorzio, dichiarino espressamente che, in virtù di una pregressa operazione (ad es. trasferimento immobiliare) tra di esse, l’assegno di divorzio sia già stato corrisposto una tantum con conseguen¬te richiesta al giudice di decidere in conformità. In assenza di tale inequivoca richiesta è inibito al giudice di determinare l’assegno riconoscendone l’avvenuta corresponsione in unica soluzione”.
Del tutto diversa è l’ipotesi (verificatasi nel caso deciso) in cui le parti abbiano già regolato i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti non neces¬sariamente comporta la corresponsione di un assegno una tantum potendo le parti avere regolato diversamente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l’accordo è valido per l’attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due parti possano giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell’altra.
IV Può essere corrisposto in unica soluzione l’assegno di separazione?
La caratteristica di definitività e di irreversibile tacitazione delle rispettive pretese attribuita all’as¬segno una tantum divorzile non è estensibile alla separazione – ostandovi non solo l’assenza di una norma specifica che lo preveda ma anche la natura di non definitività in sé della condizione di separazione – ancorché il mantenimento possa in tale sede essere certamente attribuito in un’uni¬ca soluzione, anche sotto forma di trasferimento di un diritto reale.
L’autonomia negoziale trova ampio spazio anche in sede di separazione e pertanto i coniugi posso¬no certamente convenire che l’assolvimento dell’obbligazione di mantenimento coniugale avvenga mediante una prestazione monetaria una tantum o una determinata attribuzione patrimoniale ovvero un trasferimento di diritti reali. Tuttavia secondo l’orientamento largamente consolidato in giurisprudenza (con il disaccordo di buona parte della dottrina) non possono però estendere a tale accordo le conseguenze di definitività previste per l’una tantum divorzile. Quindi l’accordo dei coniugi in sede di separazione sulla corresponsione del mantenimento in un’unica soluzione o mediante un trasferimento patrimoniale, ancorché qualificato “a definitiva sistemazione di ogni reciproca pretesa derivante dal matrimonio”, non potrà inibire nuove domande economiche e non potrà impedire che il giudice accolga una domanda di attribuzione dell’assegno divorzile o di revi¬sione delle condizioni economiche pattuite.
La questione è stata affrontata in passato da Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 2006, n. 5302 la qua¬le, dando per presupposto il diritto delle parti a concordare tra di loro in sede di separazione un mantenimento in unica soluzione, aveva espressamente affermato che quell’accordo non avrebbe mai potuto considerarsi dotato del carattere di definitività analogo a quello previsto in sede di¬vorzile dalla legge. Si legge nella sentenza che gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici una volta per tutte sono nulli avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo con la conseguenza che “la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a conte¬nuto economico – non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio”.
Nella medesima prospettiva Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2014, n. 2948 ha recentemente ribadito – in conformità ad una giurisprudenza sul punto assolutamente consolidata – che la deter¬minazione dell’assegno divorzile è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi. Conseguentemente, anche se negli accordi di separazione è stato pattuito che nessun assegno venga versato dal marito per il mantenimento della moglie, è comunque il giudice a dover procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso stile di vita coniugale, e decidere poi sull’eventuale diniego o sull’eventuale rico¬noscimento al coniuge debole dell’assegno divorzile.
I principi sono stati ribaditi anche da Cass. civ. Sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2224.
Pertanto in via conclusiva deve affermarsi che i coniugi sono liberi di concordare in sede di separa¬zione l’assetto economico post-coniugale anche attraverso modalità diverse dalla corresponsione dell’assegno di separazione – come nella vicenda sopra descritta in cui l’accordo prevedeva reci¬proche (in altri casi unilaterali) rimesse patrimoniali anche molto consistenti, ed anche (come ef¬fetto di quelle attribuzioni) rinunciando all’assegno di separazione – ma non possono validamente attribuire a quell’accordo natura di definitività, analoga a quella che la legge sul divorzio prevede come conseguenza della corresponsione del mantenimento divorzile in unica soluzione. Ove lo facessero, il giudice del divorzio potrebbe sempre ritenere non vincolante quell’accordo.
V Le domande di natura economica inibite dalla corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile
Poiché la decisione di corrispondere il mantenimento divorzile in un’unica soluzione ha l’effetto di inibire per il futuro la proposizione di ogni “successiva domanda di contenuto economico” è opportuno verificare a quali domande di contenuto economico il legislatore abbia inteso riferirsi.
Non essendo ipotizzabili domande di alimenti tra persone che non sono più “coniugi” (art. 433 c.c) è evidente che la legge si riferisce in primo luogo alle domande connesse al mantenimento divorzi¬le (in particolare alle domande di revisione ex art. 9, primo comma della legge sul divorzio che nel¬lo specifico sarebbero domande non tanto di revisione ma di attribuzione di un assegno periodico) che sono pertanto certamente inibite dalla corresponsione in un’unica soluzione del mantenimento divorzile, anche se sopraggiunga una condizione di bisogno di uno dei coniugi (Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7365).
Espressamente, poi, l’art. 9-bis della legge sul divorzio (nel testo introdotto dalla legge di riforma del 1987) esclude che un “assegno a carico dell’eredità” possa spettare “se gli obblighi patrimoniali previsti nell’art. 5 sono stati soddisfatti in un’unica soluzione”. Anche il beneficio post-divorzile di un “assegno a carico dell’eredità” dunque è escluso espressamente dalla legge in caso di una tantum. D’altro lato l’art. 9-bis subordina l’assegno periodico a carico dell’eredità al fatto che al beneficiario sia stato “riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell’art. 5” e pertanto già questa indicazione – essendo l’una tantum una modalità diversa dalla somministrazione periodica – avrebbe potuto essere sufficiente per portare all’esclusione di questo beneficio post-divorzile.
Una espressione analoga è utilizzata nell’art. 12-bis sul diritto alla quota di trattamento di fine rapporto che costituisce un diritto post-divorzile solo nel caso in cui il beneficiario “sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5”. Qui non si parla di “corresponsione periodica” ma solo di “assegno periodico”. Tuttavia è pacifico che anche il beneficio post-divorzile della quota di TFR sia comunque esclusa dalla corresponsione una tantum del mantenimento divorzile.
L’orientamento della giurisprudenza è molto chiaro sul punto: se viene corrisposta l’una tantum ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio ovvero viene effettuato un trasferimento di ric¬chezza ai sensi della stessa norma, il beneficiario perde la possibilità di avanzare in futuro qualsiasi pretesa su diritti di contenuto economico.
Il principio generale è stato espresso molto efficacemente da Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7365 in cui si afferma che la corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patri¬moniale con la conseguenza che nessun ulteriore prestazione, oltre quella già ricevuta, può essere legittimamente invocata. Dopo tale liquidazione – si legge in motivazione – non sopravvive un rapporto da cui possano scaturire nuovi ulteriori obblighi; in quanto l’aspettativa ad un assegno è stata esaurita attraverso l’una tantum, ed è venuto meno a seguito del divorzio ogni rapporto di natura personale fra i coniugi, potenziale fonte di altre pretese anche economiche.
Successivamente gli stessi principi generali sono stati ripetuti da Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2001, n. 126 dove si ribadisce che se si procede ad una liquidazione in unica soluzione di quanto compete al coniuge più debole, dopo tale liquidazione non sopravvive un rapporto da cui possano scaturire nuovi ulteriori obblighi; in quanto l’aspettativa ad un assegno è stata esaurita attraverso l’una tantum, ed è venuto meno – a seguito del divorzio ogni rapporto di natura personale fra i coniugi – potenziale fonte di altre pretese anche economiche;
Rimane da verificare se la stessa conclusione (espressa a livello di principio generale dalle senten¬ze sopra citate che si riferiscono a domande ex art. 9 della legge sul divorzio di attribuzione di un assegno dopo l’una tantum) possa valere anche per il diritto alla pensione di reversibilità (art. 9, commi 2 e 3 della legge sul divorzio).
Una autorevole decisione, che in passato si era specificamente occupata del diritto alla pensione di reversibilità dopo il divorzio in punto di ripartizione della pensione tra coniuge superstite ed ex coniuge (Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2000, n. 8113), aveva in motivazione osservato che il diritto alla reversibilità “ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’as¬segno di divorzio, e quindi tale diritto compete soltanto nel caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio stesso, le parti abbiano convenuto di non regolarli mediante corresponsione di un capitale, una tantum, ma sotto forma di erogazione periodica”.
Dello stesso avviso erano state poi Cass. civ. Sez. lavoro, 18 luglio 2002, n. 10458 e nella giurisprudenza di merito App. Perugia, 14 marzo 1996 e App. Genova, 1 febbraio 1995 che avevano affermato l’esclusione del diritto alla reversibilità in seguito corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione. Sono testualmente riportate nella motivazione di questi provvedimen¬ti le argomentazioni sopra riferite della decisione della cassazione del 2000, aggiungendosi che “la ratio di una tale conclusione appare evidente, sol che si consideri che, nel momento in cui il tribunale – nel pronunciare la sentenza di divorzio, ritenga equa la corresponsione, in una unica soluzione, della somma concordemente proposta, in luogo dell’assegno periodico, a titolo di trasfe¬rimento patrimoniale al più debole che ne abbia diritto, del suo equivalente capitalizzato – emette un giudizio di definitiva composizione della questione, atteso l’accertato presupposto che la solu¬zione prescelta sia idonea ad assicurare, anche per il futuro, la provvista, in favore del beneficiario del trasferimento del capitale, dei mezzi adeguati al suo sostentamento”.
Nonostante la chiarezza di queste argomentazioni due sentenze successive hanno aderito all’orien-tamento secondo cui gli accordi divorzili una tantum non precluderebbero l’accesso dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità. In sostanza questo orientamento si fonda sulla differente natura delle attribuzioni divorzili (che hanno carattere assistenziale) rispetto alla reversibilità (che ha natura pre-videnziale) aderendo all’interpretazione che, come si dirà più oltre, per le stesse ragioni vorrebbe ri-condurre la corresponsione in unica soluzione al medesimo regime tributario dell’assegno periodico.
In tema di divorzio – ha precisato la prima di queste sentenze (Cass. civ. sez. I, 28 maggio 2010, n. 13108) – l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sul¬la casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5. comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribu¬zioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico – assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
Il caso esaminato è il seguente. Alla morte avvenuta nel dicembre del 2002 di un avvocato (spo¬satosi qualche mese prima di morire, dopo aver ottenuto il divorzio), l’inps aveva cominciato a corrispondere alla moglie superstite la pensione di reversibilità. L’ex moglie dell’avvocato (il cui matrimonio era durato più di 20 anni) chiese anche lei di beneficiare della pensione di reversibilità. Il tribunale suddivise la pensione attribuendo alla moglie superstite il 10% e all’ex moglie il 90% sulla base dei rispettivi periodi di durata del matrimonio. La moglie superstite propose appello sul presupposto che alla data del decesso l’ex coniuge era titolare nei confronti del defunto di un credito rateizzato e di un diritto di usufrutto attribuitole dall’avvocato al momento del divorzio “a titolo di corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio”. La Corte d’appello rigettò l’impugnazione e la donna ricorreva per cassazione denunciando l’erroneità dell’applicazione della legge. Non si trattava di un assegno – sosteneva – ma di un usufrutto attribuito in funzione di una tantum divorzile e quindi non poteva dare luogo ad un diritto alla pensione di reversibilità.
La Cassazione – contro ogni previsione – dopo aver premesso che quell’accordo era stato negozia¬to ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio (quindi non ci sono dubbi sull’inquadramento del trasferimento di ricchezza), anziché aderire all’interpretazione pacifica secondo cui tale inqua¬dramento esclude ogni diritto alla pensione di reversibilità, afferma testualmente che “l’accordo era idoneo a creare la titolarità dell’assegno ai fini e per gli effetti di cui alla richiamata legge 898 del 1970 art. 9 comma 2 ed era incontestabilmente valido, alla stregua del principio della ricon¬duzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, e sottoposte alla verifica del tribunale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristica assistenziale dell’istituto, utilità sia consistenti in una attribu¬zione una tantum sia in una erogazione periodica ed in tal caso anche se eccedenti la durata della vita dell’obbligato”.
L’altra sentenza – a firma dello stesso relatore – conclude nello stesso modo ed enuncia lo stesso principio (Cass. civ. 12 novembre 2003, n. 17018) fondandolo molto esplicitamente sulla na¬tura previdenziale della pensione a fronte della natura assistenziale dell’assegno.
Sono emersi pertanto due orientamenti. Per quello espresso in giurisprudenza nelle decisioni sopra esaminate del 2000 e del 2002 l’una tantum esclude qualsiasi diritto successivo di natura eco¬nomica ivi compreso il diritto alla pensione di reversibilità. Per l’orientamento seguito dalle due decisioni del 2003 e del 2010 sopra riportate, invece, l’indicazione di qualsiasi prestazione, anche se contenuta nell’accordo divorzile ex art. 5 comma 8 della legge 898/70 ed anche se eccedente la vita dell’onerato, è di fatto equiparabile ad un assegno (“soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge”) e pertanto – ove l’ex coniuge non sia passato a nuove nozze – concorre a determinare il diritto alla reversibilità o a quota di essa se in concorso con un coniuge superstite.
L’orientamento maggioritario che esclude il diritto alla reversibilità allorché vi sia stata correspon¬sione in un’unica soluzione del mantenimento divorzile è seguito dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria (Cass. civ. Sez. lavoro, 3 luglio 2012, n. 11088; Cass. civ. Sez. VI, 18 giugno 2012, n. 11022; Cass. civ. Sez. lavoro, 8 marzo 2012, n. 3635) oltre che da quella contabile (Corte dei Conti, sez. III, 14 dicembre 2006, n. 467). Si afferma che “la corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patrimoniale, nei confronti dell’altro coniuge, attesa la cessazione (per effetto del divorzio) di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi: con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione, oltre quella già ricevuta, può essere legittimamente invocata, neppure per il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge assegnatario, o comunque in ragione della sopravvenienza di quei giustificati motivi cui l’art. 9 subordina l’ammissibilità dell’i¬stanza di revisione.
La questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite da Cass. civ. Sez. I Ord., 10 maggio 2017, n. 11453.
Le Sezioni Unite l’hanno risolta nel senso dell’inammissibilità di qualsiasi domanda ivi compresa quella relativa alla pensione di reversibilità (Cass. civ. Sez. Unite, 24 set¬tembre 2018, n. 22434) affermando che ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della legge sul divorzio, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolari¬tà astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
L’orientamento quindi della giurisprudenza è quello che esclude il diritto alla pensione di rever¬sibilità nel caso in cui il mantenimento divorzile sia stato assicurato una volta per tutte da una corresponsione di qualsiasi tipo in unica soluzione.
Naturalmente il principio per cui la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, a contenuto patrimoniale o meno, nei confronti dell’altro coniuge, non trova applicazione con riferimento all’assegno di mantenimento per i figli minori (Cass. civ. Sez. VI, 13 giugno 2014, n. 13424).
VI L’una tantum divorzile può essere corrisposta ratealmente?
Proprio la decisione da ultimo riportata (Cass. civ. Sez. lavoro, 8 marzo 2012, n. 3635) aveva ad oggetto una prestazione in unica soluzione rateizzata.
Nella giurisprudenza di merito alcune decisioni hanno ritenuto senz’altro ammissibile la rateizza¬zione dell’una tantum. Così App. Torino, 15 gennaio 1998 ha ritenuto che “la corresponsione di una somma una tantum invece dell’assegno divorzile mensile, pur pattuita con pagamento in più rate anziché in unica soluzione (nella specie, assegno di lire quarantadue milioni in tre rate ravvi¬cinate), si distingue dal regime caratterizzato dal versamento mensile dell’assegno e pertanto non consente adeguamenti successivi, neppure ove siano richiesti quando non si sia ancora completato il versamento rateale della somma come sopra concordata giacché il versamento della somma una tantum si ricollega a una transazione novativa d’ogni precedente pretesa, e a transazione adem¬piuta il titolo azionabile dal creditore è esclusivamente detta transazione”.
Altre decisioni hanno espresso un’opinione diversa. Così Trib. Verona, 30 giugno 2000 ha inve¬ce ritenuto che “il tribunale in sede di pronuncia di divorzio non può recepire l’accordo dei coniugi per la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione quando la somma concordata (nella specie, lire 16.800.000) sia frazionata in molteplici rate mensili di esiguo importo (nella specie, lire 200.000 mensili senza interessi e rivalutazione), giacché siffatta modalità di versamento contrasta con la funzione dell’istituto che, precludendo al beneficiario ogni ulteriore diritto di contenuto pa¬trimoniale, mira tuttavia a garantirgli con immediatezza un congruo capitale”.
Certamente il frazionamento dell’una tantum in molteplici rate (per esempio mensili) potreb¬be apparire problematico in quanto finisce per riprodurre sostanzialmente la stessa situazione dell’assegno ma pur sempre si tratterebbe di una prestazione destinata a concludersi con la cor¬responsione dell’ultima rata e non vi sono ragioni per escludere che le parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale possano pertanto prevedere la rateizzazione. D’altro lato non sempre una parte potrebbe disporre di un importo capitale sufficiente per effettuare il pagamento della corresponsione in un solo momento. E’ questa la ragione per la quale per esempio in alcuni ordi¬namenti stranieri la corresponsione di una somma di denaro a titolo di mantenimento può essere determinata in rate mensili.
Non vi sono ragioni per escludere quindi l’ammissibilità del pagamento rateale dell’una tantum divorzile. Una tale modalità di pagamento avrà quindi le stesse conseguenze giuridiche e tributarie dell’una tantum corrisposta in un solo momento.
VII Una tantum e negoziazione assistita
Come si è detto il comma 8 dell’art. 5 della legge sul divorzio, nel testo modificato nel 1987, pre¬vede con riferimento all’assegno divorzile una tantum che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione” aggiungendo, però, “ove questa sia ritenuta equa dal tribunale…”.
Il Decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novem¬bre 2014, n. 162 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile) all’art. 6 prevede che una convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimo¬nio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita è trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando non ravvisa irregolarità comunica il nulla osta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il pubblico ministero lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All’accordo autorizzato si applica il comma 3.
Il terzo comma aggiunge che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Successivamente l’avvocato è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all›ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell›accordo munito delle certificazioni di cui all›articolo 5.
Nessuna limitazione è contenuta nella legge in ordine alla materia oggetto dell’accordo, con la conseguenza che le parti possono raggiungere anche accordi contenenti la previsione di un asse¬gno in un’unica soluzione o contenenti la cessione di diritti reali ovvero l’impegno alla cessione di diritti reali.
In tal caso – non essendo previsto che l’accordo debba essere trasmesso in tribunale ma solo al Procuratore della repubblica per l’autorizzazione (in presenza di figli) o per il visto (se non vi sono figli)- è piuttosto evidente che l’accordo sarà valido anche senza il giudizio di equità del tribunale. Si può sostenere, quindi, che la normativa sulla negoziazione ha abrogato il giudizio di equità.
Nell’art. 12 del decreto convertito in legge si prevede che i coniugi senza figli (minori o maggio¬renni non autosufficienti) comuni possono anche raggiungere accordi di separazione o divorzio direttamente davanti al Sindaco del Comune di residenza di uno di loro o del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, con l’assistenza facoltativa di un avvocato.
Secondo ilo terzo comma dell’art. 12 l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale.
L’espressione è stata interpretata dal Consiglio di Stato nel senso che il divieto dei patti di tra¬sferimento patrimoniale deve intendersi limitato ai soli accordi traslativi della proprietà o di altro diritto reale su un bene determinato o di altri diritti mediante la previsione di un assegno una tantum. Viceversa sono ammissibili accordi raggiunti tra le parti che contengano l’obbligo di paga¬mento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico (Cons. Stato Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4478).
VIII Il trattamento fiscale dell’una tantum divorzile
Il regime tributario dell’assegno divorzile (e di separazione) è contenuto nel DPR 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni (Testo unico delle imposte dirette), dove all’art. 3 (base imponibile) si prevede che l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato. Aggiunge poi il medesimo articolo 3 che sono esclusi dalla base imponibile tra l’altro gli assegni periodici destinati “al mantenimento dei figli” spettanti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risultano da prov¬vedimenti dell’autorità giudiziaria. All’esclusione dell’imposta per i soli assegni per i figli consegue che l’assegno coniugale o divorzile costituisce quindi base imponibile, va dichiarato ed è soggetto all’imposta. L’assegno di separazione o divorzile è pertanto trattato come un reddito assimilato a quello da lavoro dipendente.
L’art. 10 (oneri deducibili) consente la deduzione dal reddito (e quindi l’imposizione tributaria solo del reddito residuo) di oneri tassativamente indicati. In particolare prevede che “dal reddito com¬plessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concor¬rono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente…c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
In base a queste disposizioni il coniuge che riceve il mantenimento (per sé e non quello per i figli) deve dichiararlo come reddito e corrispondere la relativa imposta. Il coniuge, invece, che eroga il mantenimento (per il coniuge e non per i figli) può farne oggetto di deduzione.
La questione che si pone con riguardo alla corresponsione del mantenimento in un’unica soluzione è se tale corresponsione sia assoggettata alle stesse regole dell’assegno periodico, condividendone anche in fondo la stessa natura, oppure se possa considerarsi un capitale che non va né dichiarato da chi lo riceve, né, parallelamente dedotto da chi lo corrisponde.
Un primo orientamento, basandosi sulla medesima natura della prestazione destinata al mante¬nimento sia nel caso dell’assegno periodico che in quello della corresponsione in unica soluzione, non ha ritenuto che debbano esservi trattamenti fiscali differenziati. Pertanto in questa prospet¬tiva anche l’una tantum sarebbe tassabile e dovrebbe perciò essere indicata tra i redditi nella dichiarazione fiscale. E di converso il soggetto che la corrisponde potrebbe inserirla nella propria dichiarazione tra gli oneri deducibili.
Secondo un diverso orientamento che è da considerare oggi assolutamente prevalente, poiché l’art. 3 del testo unico sulle imposte dirette si riferisce espressamente agli assegni periodici assi¬milandoli ai redditi va esclusa l’equiparazione del trattamento fiscale. Pertanto in questa diversa prospettiva l’una tantum non costituisce un reddito da dichiarare e il soggetto che lo corrisponde non lo può dedurre dai propri redditi, anche in virtù del principio di tassatività degli oneri deducibi¬li. In altre parole il legislatore avrebbe dovuto espressamente indicare la deducibilità dell’assegno corrisposto in unica soluzione e quindi anche la sua tassabilità (e perciò l’inclusione tra i redditi del beneficiario dell’assegno).
Hanno aderito a questo orientamento Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 1999, n. 11437 che ha affermato in modo esplicito che l’’assegno di divorzio, corrisposto in unica soluzione, ha caratte¬re risarcitorio-assistenziale (in questo stesso senso Commiss. Trib. Lazio – Roma Sez. I, 19 novembre 2012, n. 528) e si configura come attribuzione patrimoniale una tantum; pertanto, non è qualificabile come reddito e non è, di conseguenza, tassabile ai fini dell’Irpef (si legge nella sentenza che “per risolvere la predetta questione non rileva tanto indagare su similitudini e diffe¬renze civilistiche – natura e funzione – dell’istituto della liquidazione dell’assegno rispetto a quello, di più frequente applicazione, della sua somministrazione periodica, quanto piuttosto accertare la natura reddituale della relativa corresponsione con prevalente riferimento alla legislazione ed ai principi tributari”); Cass. civ. Sez. V, 22 novembre 2002, n. 16462 secondo cui è ammessa la deducibilità dall’imponibile ai fini irpef soltanto dell’assegno periodico corrisposto al coniuge mentre non è consentita la deduzione della somma corrisposta in unica soluzione in sostituzione dell’assegno periodico (“tale differente trattamento – afferma nella sentenza la Corte – non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva in quanto, come affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 383 del 2001, costituisce legittima esplicazione della discrezionalità legislativa in relazione a due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore); Cass. civ. Sez. V, 6 novembre 2006, n. 23659 che ha ribadito che “l’assegno di divorzio corrisposto in unica soluzione su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 mar¬zo 1987, n. 74, mentre non è qualificabile reddito imponibile ai fini IRPEF per l’accipiens, non è neanche deducibile dal reddito dell’ex coniuge che lo corrisponde all’altro, secondo un differente trattamento rispetto all’assegno periodico che è riconducibile alla discrezionalità legislativa, e che non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio della capacità contributiva.
Il differente trattamento tributario non è stato ritenuto incostituzionale da Corte cost. 6 di¬cembre 2001, n. 383 (di fronte alla quale il problema venne portato dalla stessa Cassazione, evidentemente consapevole della necessità di un pronunciamento della Corte costituzionale, con ordinanza del 18 settembre 2000, n. 795) ebbe a dichiarare manifestamente infondata la questio¬ne di legittimità costituzionale della disciplina fiscale nella parte in cui non prevede che, in caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’importo dell’assegno corrisposto in unica soluzione all’ex coniuge sia deducibile dal reddito imponibile ai fini dell’irpef (secondo la Corte “la deducibilità o meno di oneri e spese dal reddito imponibile del contribuente non è gene¬rale ed illimitata, spettando al legislatore la sua individuazione in considerazione del necessario collegamento con la produzione del reddito, con il gettito generale dei tributi e con l’esigenza di adottare le opportune misure atte ad evitare le evasioni di imposta , secondo scelte che in que¬sta materia appartengono alla discrezionalità legislativa, col solo limite del rispetto del generale principio di ragionevolezza”) e da Corte cost. 29 marzo 2007, n. 113 che anche ha dichiarato manifestamente infondata, la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, com¬ma 1, lett. c), del TUIR – D.P.R. n. 917/1986, laddove non prevede la deducibilità dell’assegno divorzile corrisposto in un’unica soluzione ma solamente la deducibilità dell’assegno corrisposto periodicamente, in quanto le suddette forme di adempimento hanno connotazioni giuridiche e di fatto diverse, poiché mentre l’assegno periodico è determinato dal giudice in base ai parametri indicati dal comma 6 dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, con possibilità di revisione, in aumento o in diminuzione, invece l’assegno versato una tantum non corrisponde necessaria¬mente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, ma è liberamente concordato dalle parti al fine di fissare un definitivo e complessivo assetto degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi tale da precludere ogni successiva domanda di contenuto economico.
Non è in controtendenza, rispetto alla soluzione interpretativa ormai consolidata sopra riferita quanto deciso da Cass. civ. Sez. VI, 24 febbraio 2014, n. 4402 nella cui massimazione si legge che “è deducibile dal reddito imponibile del contribuente la somma corrisposta al coniuge separato in unica soluzione in base ad un accordo transattivo avente ad oggetto i pregressi assegni periodici di mantenimento, non corrisposti alle scadenze prescritte come risultanti dalla sentenza di sepa¬razione”. Infatti in questa vicenda la Commissione tributaria fondato la propria decisione sull’af¬fermazione sulla interpretazione dell’accordo concluso dagli ex coniugi secondo cui il versamento effettuato dal contribuente in favore della ex moglie aveva ad oggetto non la liquidazione una tantum in unica soluzione, bensì l’adempimento di un’obbligazione specifica, l’assegno periodico di mantenimento non corrisposto alle prescritte scadenze.
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre 2018, n. 22434 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970 (Divorzio), nel testo modificato dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessa legge n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4764 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è possibile considerare in via interpretativa che la domanda di corresponsione dell’assegno divorzile una tantum sia implicita sulla scorta di quanto concordato in sede di separazione consensuale, laddove in sede di di¬vorzio non sia stata puntualmente verificata da parte del giudice la sussistenza dei presupposti di legge in merito all’accordo previsto dall’art. 5, comma 8, legge n. 898/1970.
La domanda di assegno divorzile una tantum non può desumersi, implicitamente, dal richiamo a quanto concor¬dato dagli stessi coniugi in sede di separazione consensuale.
Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11453 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Si rileva la sussistenza di un contrasto tra le sezioni in ordine al diritto alla pensione di reversibilità (od ad una quota di essa) in capo al coniuge divorziato in caso di decesso dell’altro coniuge nell’ipotesi in cui sia stata stabi¬lita la corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno di divorzio pertanto ha disposto il rinvio della questione alle Sezioni Unite.
Cass. civ. Sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2224 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 5, comma 8°, L. 1° dicembre 1970, n. 898, a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna succes¬siva domanda a contenuto economico, non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, in quanto l’accordo sulla corresponsione una tantum richiede sempre una verifica di natura giudiziale. Di tali accordi non può, per¬tanto, tenersi conto non solo quando limitino o escludano il diritto del coniuge economicamente più debole, ma anche quando soddisfino dette esigenze, poiché una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico – patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 c.c. Pertan¬to, di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione – specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio – potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio. La disposizione dell’articolo 5, ottavo comma, della legge n. 898/70 nel testo di cui alla legge n. 74/1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico – , non è applicabile al di fuori del giudi¬zio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati “secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.
Cons. Stato Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4478 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La previsione normativa contenuta nell’art. 12, comma 3°, D.L. n. 132 del 2014, consente all’Ufficiale dello stato civile di ricevere accordi raggiunti tra le parti che contengano l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di contributo al mantenimento a seguito di separazione consensuale, sia di assegno divorzile nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del ma¬trimonio. Una diversa interpretazione precluderebbe alle parti di modificare gli accordi economici raggiunti di seguito ad una separazione o a una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, vietando loro di operare anche un miglioramento delle condizioni economiche a favore della c.d. parte debole, limitando l’operatività del dettato normativo ai soli accordi modificativi dello status delle parti, con esclusione di ogni pattuizione economica.
Il divieto dei patti di trasferimento patrimoniale, contenuto nell’art. 12, comma 3°, D.L. n. 132 del 2014 deve intendersi limitato ai soli accordi traslativi della proprietà o di altro diritto reale su un bene determinato o di altri diritti mediante la previsione di un assegno una tantum.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 7 luglio 2016, n. 7813 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ nulla in quanto illegittima, la circolare 24 aprile 2015, n. 6, del Ministero degli Interni che dava ai sindaci indicazioni su come interpretare l’art. 12 della recente legge n. 162 del 2014 sulla deiurisdictio a proposito delle separazioni e dei divorzi “celebrati” davanti agli stessi sindaci affermando che: “Non rientra… nel divieto della norma la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile)”. La suddetta norma, ricomprende, invece, ogni ipotesi di trasferimento patrimoniale, intendendosi per tale il trasferimento avente ad oggetto beni ben individuati o una somma di denaro. Infatti sia che si tratti di uno o più beni ben individuati sia che si tratti di somme di denaro, in ogni caso si determina un accrescimento patrimoniale nel soggetto in favore del quale il trasferimento viene eseguito.Esso piò avvenire una tantum, in un’unica soluzione, o mensilmente o comunque periodicamente, e tuttavia la modalità stabilita non vale a modificare la natura dell’operazione, che rimane sempre quella di trasferimento patrimoniale.
Cass. civ. Sez. lavoro, 5 maggio 2016, n. 9054 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di trattamento economico a favore del coniuge divorziato, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, in caso di morte dell’ex coniuge, occorre distinguere tra l’ipotesi di attribuzione di un assegno di¬vorzile, che costituisce il presupposto necessario per il riconoscimento della pensione di reversibilità, e quella, alternativa, costituita dalla mera erogazione di una somma, anche rateizzata, ovvero dal trasferimento di un al¬tro bene o diritto, il cui conferimento preclude il riconoscimento, per il futuro, di una nuova domanda a contenuto economico, dovendosi ritenere che la suddetta corresponsione una tantum sia idonea a definire stabilmente i rapporti economici tra le parti e tale da determinare un miglioramento della situazione del beneficiario, incom¬patibile con ulteriori prestazioni aggiuntive, ivi compresi i trattamenti pensionistici.
Comm. trib. regionale Lombardia Milano Sez. XXVII, 8 giugno 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è deducibile l’assegno divorzile erogato in un unico importo una tantum, neppure quando sussista il paga¬mento rateale. (Nel caso di specie il contribuente risultava destinatario di un ruolo per l’anno d’imposta 2008. L’ente impositore, a seguito di attività liquidatoria, aveva correttamente ricuperato a tassazione l’importo dell’as¬segno divorzile erogato all’ex coniuge, in quanto trattavasi di un unico importo erogato una tantum, ancorché il pagamento fosse avvenuto ratealmente).
Cass. civ. Sez. VI, 13 giugno 2014, n. 13424 (Famiglia e Diritto, 2014, 8-9, 838)
Il principio per cui la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, a contenuto patrimoniale o meno, nei confronti dell’altro coniuge, non trova applicazione con riferimento all’assegno di mantenimento per i figli minori.
La corresponsione dell’assegno divorzile che avvenga, su accordo delle parti, in un’unica soluzione ed anche in previsione delle esigenze di mantenimento di un minore, non pregiudica la possibilità di richiedere, ex art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, la modifica delle condizioni economiche del divorzio qualora esse, per fatti intervenuti successivamente alla relativa sentenza, si rivelino inidonee a soddisfare le esigenze predette, avendo il minore un interesse, distinto e preminente rispetto a quello dei genitori, a vedersi assicurato sino al raggiungimento dell’indipendenza economica un contributo al mantenimento idoneo al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita.
Cass. civ. Sez. VI, 24 febbraio 2014, n. 4402 (Corriere Trib., 2014, 18, 1427 nota di BUSICO)
E’ deducibile dal reddito imponibile del contribuente la somma corrisposta al coniuge separato in unica soluzione in base ad un accordo transattivo avente ad oggetto i pregressi assegni periodici di mantenimento, non corrispo¬sti alle scadenze prescritte come risultanti dalla sentenza di separazione (nella specie la somma non era stata qualificata una tantum ma accordo per l’estinzione di un debito di mantenimento pregresso)
Commiss. Trib. Lazio – Roma Sez. I, 19 novembre 2012, n. 528 (Dir. e Prat. Trib., 2013, 6, 1001 nota di LANTERI)
L’assegno di divorzio, corrisposto in unica soluzione, ha carattere risarcitorio-assistenziale e si configura come attribuzione patrimoniale una tantum; pertanto, non è qualificabile come reddito e, quindi, né è tassabile ai fini dell’irpef per l’”accipiens”, né rientra tra gli oneri deducibili dal reddito per il “solvens”.
Cass. civ. Sez. I, 10 febbraio 2014, n. 2948 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione dell’assegno divorzile, giusto l’art. 5 della legge n. 898/70, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi. Conseguentemente, anche se negli accordi di se¬parazione è stato pattuito che nessun assegno venga versato dal marito per il mantenimento della moglie, è comunque il giudice a dover procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso stile di vita coniugale, e decidere poi sull’eventuale diniego o sull’eventuale riconoscimento al coniuge debole dell’assegno divorzile.
Commiss. Trib. Reg. Lazio, Sez. I, 19 novembre 2012, n. 528 (Dir. e Prat. Trib., 2013, 6, 1001, nota di LANTERI)
L’assegno di divorzio, corrisposto in unica soluzione, ha carattere risarcitorio-assistenziale e si configura come attribuzione patrimoniale una tantum; pertanto, non è qualificabile come reddito e, quindi, né è tassabile ai fini dell’irpef per l’”accipiens”, né rientra tra gli oneri deducibili dal reddito per il “solvens”.
Cass. civ. Sez. lavoro, 3 luglio 2012, n. 11088 (Fam. Pers. Succ., 2012, 10, 705)
La corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile ex art. 5, 8° comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Divorzio) osta alla corresponsione della pensione di reversibilità, all’esito del decesso dell’ex coniuge divorziato.
Cass. civ. Sez. VI, 28 giugno 2012, n. 11022 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio giusta il quale la deducibilità dell’assegno al coniuge separato e divorziato è accordata soltanto alle corresponsioni periodiche e non a quella effettuata in unica soluzione.
Cass. civ. Sez. lavoro, 8 marzo 2012, n. 3635 (Famiglia e Diritto, 2012, 6, 620)
La corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, a contenuto patrimoniale o meno, nei confronti dell’altro coniuge, attesa la cessazione, per effetto del divorzio e della suddetta erogazione “una tantum”, di qualsiasi rapporto fra gli stessi, con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può es¬sere richiesta, neppure per il peggioramento delle condizioni economiche dell’assegnatario o, comunque, per la sopravvenienza dei giustificati motivi cui è subordinata l’ammissibilità della domanda di revisione del medesimo assegno periodico.
La ratio delle disposizioni mostra che ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità deve farsi una di¬stinzione tra l’assegno che è condizione necessaria affinché alla morte del coniuge divorziato possa riconoscersi la suddetta pensione all’altro coniuge vivente, da una parte, e la mera corresponsione di una somma anche se ra¬teizzata o trasferimento di altro bene o diritto (come ad esempio la proprietà di un immobile) dall’altra – in ragione del quale non può essere più riconosciuta per il futuro alcuna successiva domanda di contenuto economico. Even¬tualità quest’ultima che trova la sua giustificazione nella considerazione di una capacità della suddetta correspon¬sione (o del menzionato trasferimento), reputata – a seguito di un controllo e di una valutazione globale di tutte le circostanze di cui alla cit. L. n. 898, art. 5, comma 6, da parte di un organo giudiziario – tale da determinare un miglioramento della sua situazione economica incompatibile con il riconoscimento della pensione di reversibilità.
In altri termini il discrimine tra le due diverse situazioni, che hanno opposte ricadute su versante del riconosci¬mento della pensione di reversibilità per il coniuge, può quindi basarsi sulla corresponsione di un assegno, che va di volta in volta cadenzato e parametro nel tempo con forme di adeguamento automatico e che può esso solo legittimare successive domande di contenuto economico, sì da potersi affermare – seppure con una certa approssimazione sul versante giuridico – che la corresponsione di ogni assegno, capace di legittimare la pretesa della pensione in oggetto, trova il suo fondamento e la sua giustificazione nella situazione economica in cui versa il beneficiario dell’assegno stesso.
Per concludere, alla luce di quanto sinora detto non può – in considerazione della sua natura e della funzione- in¬cludersi nella nozione dell’assegno ora enunciato – al di là del nomen iuris che le parti hanno inteso ad esso dare nelle loro pattuizioni- ogni corresponsione di somme o di altre utilità nascenti da una unica fonte negoziale, la cui funzione sia quella di sistemare definitivamente i rapporti economici relativi tra i coniugi divorziati, sicché corol¬lario dell’iter argomentativo sinora seguito è che nel caso di specie il versamento della somma di L. 200.000.000 come importo “omnicomprensivo” delle pretese economiche della S., seppure corrisposto nella misura di L. 40.000.000 ogni sei mesi, può essere considerato equivalente a quei negozi di natura transattiva o aleatoria, la cui efficacia i giudici di legittimità hanno già ritenuto essere subordinata all’approvazione del Tribunale e come tali non assoggettabili alla regolamentazione prevista per l’assegno periodico di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5 (in argomento cfr. Cass. 5 settembre 2003 n. 12939).
Cass. civ. Sez. I, 28 maggio 2010, n. 13108 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex co¬niuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
App. Firenze Sez. I, 2 marzo 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In ipotesi di sentenza di divorzio su ricorso congiunto dei coniugi, ben può essere inserita, tra le clausole di cui il Tribunale prende atto, quella per cui uno dei coniugi cede all’altro una quota di immobile comune; ed invero, da un lato detta attribuzione non è priva di causa, in quanto, a fronte del trasferimento di diritti reali, è stato previsto un prezzo, ritenuto congruo; d’altro lato, in un ambito di generale sistemazione dei rapporti dipendenti dal matrimonio, non può essere interdetto all’autonomia negoziale di inserire nel ricorso congiunto per divorzio anche quel profilo che, senza richiedere una attività processuale che sarebbe ulteriore rispetto al rito prescelto (come sarebbe, ad esempio, una domanda di divisione), consenta di realizzare compiutamente il regolamento di interessi che concluda la fase della vita coniugale (conseguentemente, in accoglimento dell’appello proposto da entrambi i coniugi, la Corte ha inserito, tra le clausole di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche quella con cui, a definizione di ogni questione patrimoniale, la moglie trasferiva al marito la quota di metà di una porzione di abitazione: clausola che il giudice di primo grado aveva invece ritenuto non potersi inserire assumendo che il trasferimento di diritti reali non si poteva configurare, nel caso di specie, come pagamento in unica soluzione dell’assegno divorzile).
Corte cost. 29 marzo 2007, n. 113 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, lett. c), del TUIR – D.P.R. n. 917/1986, laddove non prevede la deducibilità dell’assegno divorzile corrisposto in un’unica soluzione ma solamente la deducibilità dell’assegno corrisposto periodicamen¬te, in quanto le suddette forme di adempimento hanno connotazioni giuridiche e di fatto diverse, poiché mentre l’assegno periodico è determinato dal giudice in base ai parametri indicati dal comma 6 dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, con possibilità di revisione, in aumento o in diminuzione, invece l’assegno versato una tantum non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, ma è liberamente concordato dalle parti al fine di fissare un definitivo e complessivo assetto degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi tale da precludere ogni successiva domanda di contenuto economico.
C. Conti Sez. III, 14 dicembre 2006, n. 467 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La reversibilità del trattamento di quiescenza non spetta in favore del coniuge divorziato che, in luogo dell’asse¬gno divorzile periodico, abbia ottenuto la corresponsione in unica soluzione di una somma una tantum.
Cass. civ. Sez. V, 6 novembre 2006, n. 23659 (Famiglia e Diritto, 2007, 4, 335, nota di SALVATI)
L’assegno di divorzio corrisposto in unica soluzione su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, mentre non è qualificabile reddito imponibile ai fini IRPEF per “l’accipiens”, non è neanche deducibile dal reddito dell’ex coniuge che lo cor¬risponde all’altro, secondo un differente trattamento rispetto all’assegno periodico che è riconducibile alla discre¬zionalità legislativa, e che non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio della capacità contributiva.
Dal reddito complessivo è deducibile, ai fini Irpef, solo l’assegno periodico corrisposto al coniuge in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ed a condizione che risulti da provvedimento dell’Autorità giudiziaria. Diversamente, non è consentita la deducibilità della somma corrisposta in un’unica solu¬zione in sostituzione dell’assegno periodico. Tale differente regime, così come chiarito dalla Corte Costituzionale, è giustificato in quanto legittima esplicazione della discrezionalità legislativa. Infatti, questa scelta legislativa non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva, in considerazione della diversità delle due forme di adempimento, una soggetta alle variazioni temporali ed alla successione delle leggi nel tempo e l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore.
App. Napoli Sez. I, 3 aprile 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ex art. 5 della L. n. 898/1970 è conferita ai coniugi la facoltà di sostituire all’assegno periodico di divorzio l’attri¬buzione di una somma forfetaria, o di un bene, o di una altra utilità, così regolando in modo definitivo ed esau¬stivo i rapporti patrimoniali. Difatti, sulla scorta del disposto richiamato, l’impegno al trasferimento costituisce un negozio di natura transattiva ed aleatoria, rispetto al quale è irrilevante la diversa situazione dei coniugi e che comporta l’applicazione non più delle regole dettate in tema di divorzio bensì quelle disciplinanti i rapporti contrattuali (Nel caso di specie le parti avevano chiesto che l’obbligo di corresponsione periodica avvenisse in una unica soluzione, mediante il trasferimento di una quota pari ad un terzo dell’usufrutto di un immobile).
Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 2006, n. 5302 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all’assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizione dell’art. 5, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 – a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico – , non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati “secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 2003, n. 17018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di pensione di reversibilità da ripartire tra il coniuge superstite e l’ex coniuge superstite, tutte le volte in cui, per decisione del tribunale o per accordo dei divorziandi, sia stata determinata una forma di assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell’obbligato, deve, cionondimeno, ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarità di assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898 del 1970, legge per l’accesso alla pensione di reversibilità o, in concorso con il superstite, alla sua ripartizione, tale permanente erogazione non rilevando in alcun modo sull’”an debeatur” del credito all’intero o alla sua quota, ma soltanto sulla misura della quota (e cioè in una sede nella quale ben possono avere la giusta considerazione i rilievi afferenti alla permanen¬te percezione dei ratei dello statuito assegno da parte del coniuge divorziato).
Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2003, n. 15064 (Arch. Civ., 2004, 1335)
Ogni patto stipulato in epoca antecedente al divorzio volto a predeterminare il contenuto dei rapporti patrimoniali del divorzio stesso deve ritenersi nullo; è consentito, invece, che le parti, in sede di divorzio, dichiarino espres¬samente che, in virtù di una pregressa operazione (ad es. trasferimento immobiliare) tra di esse, l’assegno di divorzio sia già stato corrisposto una tantum con conseguente richiesta il giudice di stabilire conformemente l’assegno medesimo, ma in assenza di tale inequivoca richiesta è inibito al giudice di determinare l’assegno riconoscendone l’avvenuta corresponsione in unica soluzione. Del tutto diversa è l’ipotesi in cui le parti abbiano già regolalo i propri rapporti patrimoniali e nessuna delle due richieda un assegno (tale regolamento, infatti non necessariamente comporta la corresponsione di un assegno una tantum potendo le parti avere regolato diversa¬mente i propri rapporti patrimoniali e riconosciuto, sulla base di ciò, la sussistenza di una situazione di equilibrio tra le rispettive condizioni economiche con conseguente non necessità della corresponsione di alcun assegno), nel qual caso l’accordo è valido per l’attualità, ma non esclude che successivi mutamenti della situazione patri¬moniale di una delle due parti possa giustificare la richiesta di corresponsione di un assegno a carico dell’altra. (Nella fattispecie la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, escluso che i coniugi avessero dichiarato l’avvenuta corresponsione una tantum dell’assegno di divorzio in virtù di una precedente operazione di trasfe¬rimento immobiliare, aveva proceduto alla determinazione dell’assegno medesimo su richiesta di modifica delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio presentata da uno degli ex coniugi).
Cass. civ. Sez. I, 5 settembre 2003, n. 12939 (Famiglia e Diritto, 2004, 196)
L’accordo con il quale le parti, nel giudizio di divorzio, convengono la corresponsione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, mediante trasferimento in favore del coniuge beneficiario del diritto di proprietà su di un immobile, configura un negozio di natura transattiva ed aleatoria, la cui efficacia è subordinata all’approvazio¬ne da parte del tribunale, con la conseguenza che, passata in giudicato la sentenza di divorzio, le vicende che possono influire sulla disciplina dell’assegno periodico di divorzio non incidono su detto negozio, cosicché il diritto di proprietà oggetto di cessione resta acquisito definitivamente al patrimonio dell’ex coniuge beneficiario dell’alienazione e, pertanto, in caso di decesso di quest’ultimo, il diritto si trasferisce agli eredi. (Nella specie, la Suprema Corte, in virtù di siffatto principio di diritto, ha confermato la sentenza di merito che, in accoglimento della domanda degli eredi dell’ex coniuge defunto e beneficiario della alienazione, aveva disposto con sentenza il trasferimento in loro favore del diritto di proprietà sull’immobile oggetto dell’accordo de quo).
Cass. civ. Sez. V, 22 novembre 2002, n. 16462 (Dir. e Prat. Trib., 2003, 2, 501)
È ammessa la deducibilità dall’imponibile ai fini irpef soltanto dell’assegno periodico corrisposto al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e nella misura in cui risulta da provvedimento dell’Autorità giudiziaria [art. 10, 1° comma, lett. g) del D.P.R. n. 597 del 1973, al pari dell’art. 10, 1° comma, lett. e) del D.P.R. n. 917 del 1986], mentre non è consentita la deduzione della somma corrisposta in unica soluzione in sostituzione dell’assegno periodico. Tale differente trattamento non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva in quanto -come affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 383 del 2001 – costituisce legittima esplicazione della discrezionalità legislativa in relazione a due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore.
L’assegno di divorzio corrisposto in un’unica soluzione ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 e succ. mod., non è deducibile dal reddito dell’ ex) coniuge che lo corrisponde all’altro.
Cass. civ. Sez. lavoro, 18 luglio 2002, n. 10458 (Famiglia e Diritto, 2002, 6, 647)
In presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divor¬ziato ad una quota del trattamento di reversibilità (art. 9, comma 3, dell’art. 9, legge n. 898 del 1970 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987) dell’ex coniuge deceduto, costituisce non soltanto un diritto avente natura e funzione di prosecuzione del precedente assegno di divorzio, ma un autonomo diritto (avente natura previdenziale al pari di quel diritto che si configura invece – ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit. – allorché manchi un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità) al trattamento di reversibilità, che l’ordinamento gli attribuisce, condizionandolo alla mancanza di passaggio a nuove nozze da parte dello stesso ed alla titolarità dell’assegno di cui all’art. 5 della citata legge n. 898 del 1970, e cioè dell’assegno la cui somministrazione fosse stata disposta, con la sentenza di divorzio, sul presupposto della mancanza di mezzi di mantenimento adeguati o della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Pertanto, in tale ipotesi, la pensione di reversibilità ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’assegno di divorzio (come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 419 del 1999), con la conseguenza che il relativo diritto compete solo nei casi in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio, le parti non abbiano convenuto la corresponsione di un capitale una tantum. Così interpretata, la pre-visione normativa di cui agli art. 9, comma 3, e 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 manifestamente non si pone in contrasto con l’art. 3 della costituzione.
Corte cost. 6 dicembre 2001, n. 383 (Corriere Giur., 2002, 1, 122)
È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10,comma 1,lett. g), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui non prevede che, in caso di scio¬glimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’importo dell’assegno corrisposto in unica soluzione all’ex coniuge sia deducibile dal reddito imponibile ai fini dell’IRPEF.
Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2001, n. 126 (Famiglia e Diritto, 2001, 2, 128, nota di CARBONE)
La corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge benefi¬ciario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patrimoniale e non, nei confronti dell’altro coniuge, attesa la ces¬sazione, per effetto del divorzio, di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi, con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può essere legittimamente invocata dal coniuge assegnatario, in base al disposto dell’art. 5, comma 8, della legge n. 898 del 1970, neanche per la sopravvenienza di quei giustificati motivi cui l’art. 9 della stessa legge subordina l’ammissibilità della istanza di revisione dell’assegno corrisposto periodicamente. Peraltro, la corresponsione in unica soluzione dell’assegno è, a sua volta, assoggettata a determinati presupposti, previsti dal citato comma 8 dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, la cui sussistenza è oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, impugnabile con i mezzi ordinari, pena la formazione del giudicato sul punto, con conseguente preclusione della proposizione di successive domande di contenuto economico nei confronti dell’ex coniuge.
Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2000, n. 8113 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato, il giudice deve necessariamente tener conto del preponderante elemento temporale della durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali con il coniuge deceduto, cioè del dato numerico rappresentato dalla rigida proporzione tra i relativi periodi di tali rapporti, senza che, tuttavia, l’applicazione di siffatto criterio implichi la mancata considerazione, in funzione di mera emenda o correzione del risultato conseguito, vuoi degli altri criteri di riferimento utilizzabili nella liquidazione dell’assegno di divorzio, afferenti alle condizioni economiche delle parti interessate ed alle fi¬nalità assistenziali di quest’ultimo, vuoi dell’ammontare del predetto assegno goduto dall’ex coniuge al momento della morte del titolare diretto della pensione.
Il diritto alla pensione di reversibilità da parte dell’ex coniuge non inerisce semplicemente a tale qualità ma ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità “attuale” dell’assegno di divorzio, e quindi tale diritto compete soltanto nel caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici al momento del divorzio stesso, le parti abbiano convenuto di non regolarli mediante corresponsione di un capitale, una tantum, ma sotto forma di erogazione periodica.
Trib. Verona, 30 giugno 2000 (Giur. di Merito, 2000, 1153, nota di LAGOMARSINO)
Il tribunale in sede di pronuncia di divorzio non può recepire l’accordo dei coniugi per la corresponsione dell’as¬segno divorzile in unica soluzione quando la somma concordata (nella specie, lire 16.800.000) sia frazionata in molteplici rate mensili di esiguo importo (nella specie, lire 200.000 mensili senza interessi e rivalutazione), giacché siffatta modalità di versamento contrasta con la funzione dell’istituto che, precludendo al beneficiario ogni ulteriore diritto di contenuto patrimoniale, mira tuttavia a garantirgli con immediatezza un congruo capitale.
App. Bari, 19 ottobre 1999 (Famiglia e Diritto, 2000, 261, nota di DE MARZO)
La valutazione di equità, imposta per il caso di accordo dei coniugi in ordine alla corresponsione dell’assegno in unica soluzione va effettuata anche nel procedimento divorzile introdotto su domanda congiunta.
Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 1999, n. 11437 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’assegno di divorzio, corrisposto in unica soluzione, ha carattere risarcitorio-assistenziale e si configura come attribuzione patrimoniale una tantum; pertanto, non è qualificabile come reddito e non è, di conseguenza, tas¬sabile ai fini dell’Irpef.
Cass. civ. Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7365 (Famiglia e Diritto, 1998, 6, 567)
La corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge bene¬ficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patrimoniale e non, nei confronti dell’altro coniuge, attesa la cessazione (per effetto del divorzio) di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi, con la conseguenza che nessun ulteriore prestazione, oltre quella già ricevuta, può essere legittimamente invocata (nella specie, per l’asserito peggioramento delle condizioni di salute, impeditive della prosecuzione della attività lavorativa di decoratrice floreale) dal coniuge assegnatario, giusto disposto dell’art. 5, comma 8, della n. 898 del 1970, senza che, di questa norma, possa legittimamente revocarsi in dubbio la costituzionalità in relazione agli art. 2, 3, 29 e 38 della Carta fondamentale.
App. Torino, 15 gennaio 1998 (Giur. di Merito, 2000, 1153, nota di LAGOMARSINO)
La corresponsione d’una somma “una tantum” invece dell’assegno divorzile mensile, pur pattuita con pagamento in più rate anziché in unica soluzione (nella specie, assegno di lire quarantadue milioni in tre rate ravvicinate), si di¬stingue dal regime caratterizzato dal versamento mensile dell’assegno e pertanto non consente adeguamenti suc¬cessivi, neppure ove siano richiesti quando non si sia ancora completato il versamento rateale della somma come sopra concordata giacché il versamento della somma “una tantum” si ricollega a una transazione novativa d’ogni precedente pretesa, e a transazione adempiuta il titolo azionabile dal creditore è esclusivamente detta transazione.
App. Perugia, 14 marzo 1996 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La modificazione dell’accordo dei coniugi volto alla liquidazione in unica soluzione dell’assegno divorzile non può avvenire neppure in relazione a fatti totalmente nuovi e non prevedibili quali le mutate condizioni di salute di un coniuge che rendano difficoltosa la prosecuzione dell’attività lavorativa.
App. Genova, 1 febbraio 1995 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È incompatibile la corresponsione dell’assegno in unica soluzione con il diritto alla pensione di reversibilità, perché non vi è equivalenza tra pagamento una tantum e soluzione periodica dell’assegno divorzile.
Trib. Bologna, 12 aprile 1994 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La corresponsione dell’assegno divorzile può legittimamente avvenire in un’ unica soluzione mediante trasferi¬mento in favore dell’avente diritto della proprietà di un bene determinato purché sussista un espresso accordo dei coniugi in tal senso ex art. 5, comma 8 legge n. 898 del 197.
Trib. Cosenza, 13 aprile 1991 (Dir. Famiglia, 1991, 1047)
La corresponsione dell’assegno di divorzio può legittimamente avvenire, in unica soluzione, mediante il trasferi¬mento in favore dell’avente diritto della proprietà di un bene determinato.
Trib. Verona, 12 novembre 1987 (Giur. di Merito, 1989, 38 nota di MANERA)
L’assegno di divorzio, che per accordo delle parti è corrisposto in unica soluzione ai sensi dell’art. 5, 4° comma, legge n. 898 del 1970, può consistere nel trasferimento della proprietà o di altro diritto reale.
Il tribunale, adìto dai coniugi ai sensi dell’art. 3 n. 2, lett. b), l. n. 898/1970, come modificato dalla novella n. 74/1987, ai fini della pronuncia del divorzio, e chiamato a ratificare la volontà delle parti di realizzare la cor-responsione in unica soluzione dell’assegno divorzile mediante il trasferimento, in favore di una di esse, di un diritto reale su di un bene immobile determinato, deve farsi carico, alla stessa stregua di un pubblico ufficiale rogante, del rispetto degli adempimenti di cui alla legge sul condono edilizio ( l. n. 47/1985), per cui i coniugi devono allegare la documentazione prevista dall’art. 40 della legge predetta.
Trib. Genova, 7 ottobre 1985 (Dir. Famiglia, 1985, 1022)
Poiché, ai sensi dell’art. 5, 4° comma, l. n. 898/1970, la corresponsione dell’assegno di divorzio può avvenire, su accordo delle parti, in un’unica soluzione, essa può avere luogo mediante trasferimento in favore del coniuge avente diritto all’assegno della proprietà o di altro diritto reale su beni determinati.