Funzione dell’assegno di divorzio. Cancellato definitivamente l’orientamento sull’autosufficienza economica della prima sezione civile.

Corte Suprema di cassazione
Sezioni Unite
Sentenza n. 18287 del 11/07/2018
FATTI DI CAUSA
Il matrimonio concordatario tra le parti è stato celebrato nel 1978. La
separazione personale consensuale reca la data del 18/4/2007. Le parti,
in questa sede, hanno raggiunto un accordo fondato sul riequilibrio dei
loro patrimonio che non prevedeva la corresponsione di alcun assegno
da parte di un coniuge il favore dell’altro.
1. La cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata pronunciata
con sentenza parziale del Tribunale di Reggio Emilia il 9/3/2012. Con
sentenza definitiva il Tribunale ha posto a carico dell’ex marito la
somma di E 4000 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della ex
moglie.
2. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, ha negato il
diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio
condannandola alla ripetizione delle somme ricevute a tale titolo
specifico.
3.1.A sostegno della decisione assunta, la Corte ha applicato
l’orientamento espresso nella pronuncia di questa Corte n. 11504 del
2017 secondo il quale il fondamento dell’attribuzione dell’assegno
divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell’avente
diritto. Nel merito ha escluso che la parte appellata fosse in tale
condizione, in quanto titolare e percettrice di uno stipendio
decisamente superiore alla media nonché di un patrimonio mobiliare
ed immobiliare molto cospicuo. Ha, pertanto, precisato che
l’attribuzione dell’assegno di divorzio si era fondata sull’orientamento,
superato da quello più recente cui era stata prestata adesione, fondato
sul criterio del tenore di vita, peraltro potenziale, goduto dal
richiedente, nel corso dell’unione coniugale, da valutarsi alla stregua
delle capacità patrimoniali ed economiche delle parti. Nella specie pur
essendovi un’evidente sperequazione delle predette capacità
economiche e patrimoniali in favore dell’ex marito, l’agiatezza della ex
moglie aveva condotto ad escludere la ricorrenza dei requisiti
attributivi dell’assegno, dovendosene escludere il difetto di
autosufficienza economica.
4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione con
richiesta, accolta con provvedimento del 30 ottobre 2017, di
rimessione del ricorso alle Sezioni Unite. Ha resistito
con controricorso La parte ricorrente ha depositato
memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 5 I. n.
898 del 1970 e successive modificazioni per le seguenti ragioni:
5.1 il criterio dell’indipendenza od autosufficienza economica non
trova alcun riscontro nel testo della norma che detta i criteri per
l’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Inoltre, non
risulta chiaro quali siano i parametri al quale ancorarlo tra le diverse
alternative proponibili, ovvero l’indice medio delle retribuzioni degli
operai ed impiegati; la pensione sociale; un reddito medio rapportato
alla classe economico sociale di appartenenza dei coniugi e alle
possibilità dell’obbligato. Nell’ultima ipotesi, peraltro, il tenore di vita
verrebbe ripreso in considerazione perché i mezzi adeguati non
potrebbero che essere rapportati alla condizione sociale ed economica
delle parti in causa e ai loro redditi;
5.2 la lettura logico sistematica dell’art. 5, c.6 I.n. 898 del 1970 e
successive modificazioni conduce al ripristino del criterio del tenore di vita,
tenuto conto che il c.9 dell’art. 5, prevede espressamente la possibilità per
il Tribunale, in caso di contestazioni, di disporre indagini sull’effettivo
tenore di vita. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 del
2015 ha ritenuto del tutto legittimo tale criterio, allora costantemente
seguito dalla giurisprudenza;
5.3 l’applicazione del criterio dell’autosufficienza economica è foriero di
gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga durata
ove il coniuge più debole che abbia rinunciato alle proprie aspettative
professionali per assolvere agli impegni familiari improvvisamente deve
mutare radicalmente la propria conduzione di vita;
5.4 il richiamo, contenuto nella sentenza n. 11504 del 2017, all’art.337
septies cod. civ. che fissa il criterio dell’indipendenza economica ai fini
del riconoscimento del diritto ad un contributo per il mantenimento dei
figli maggiorenni non autosufficienti non risulta condivisibile in quanto
le condizioni soggettive rispettivamente dell’ex coniuge e del figlio
maggiorenne non autosufficiente non sono comparabili: il figlio
maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi
nelle condizioni di essere economicamente indipendente e l’obbligo di
mantenimento è definito temporalmente in funzione del
raggiungimento dell’obiettivo; il coniuge, specie se non più giovane,
che abbia rinunciato, per scelta condivisa anche dall’altro, ad essere
economicamente indipendente o abbia ridotto le proprie aspettative
professionali per l’impegno familiare si può trovare, in virtù
dell’applicazione del criterio dell’indipendenza economica, in una
situazione di irreversibile grave disparità. Infine, l’obbligo di
mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente perdura fino
a quando non sia raggiunto un livello di indipendenza adeguato al
percorso di studi e professionale seguito, mentre all’esito del divorzio
per il coniuge che abbia le caratteristiche soggettive sopra delineate,
la condizione deteriore in cui versa non ha alcuna possibilità di essere
emendata, essendo fondata su una sperequazione reddituale e
patrimoniale non più colmabile. Tale è la condizione della ricorrente
rispetto al livello economico-patrimoniale molto più elevato dell’ex
marito.
5.5 II nuovo orientamento lede il principio della solidarietà post
matrimoniale, sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto
alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento
di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno. Il criterio adottato
porta ad una lettura sostanzialmente abrogativa dell’art. 5.
6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2033 cod.
civ. con riferimento alla condanna alla ripetizione di quanto
indebitamente versato. La statuizione della sentenza d’appello non è
idonea a configurare un indebito oggettivo perché dispone per
l’avvenire. Inoltre vige, nella specie, il principio dell’irripetibilità,
impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni assistenziali, del
tutto disatteso nella specie.
7.L’esame della questione rimessa alle Sezioni Unite richiede l’illustrazione
preliminare del quadro legislativo interno di riferimento, anche sotto il
profilo diacronico, dal momento che le modifiche medio tempore intervenute hanno notevolmente influenzato gli orientamenti
della giurisprudenza anche di legittimità.
8. IL QUADRO LEGISLATIVO INTERNO
8.1.// testo originario dell’art. 5, c.6, della I. 1.12.1970 n. 898 e gli
orientamenti giurisprudenziali relativi..
Il testo originario dell’art. 5, c.6 della I. n. 898 del 1970 aveva il seguente
contenuto:
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle
condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione,
l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro
periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai
propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto
del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su
accordo delle parti la corresponsione puo’ avvenire in una unica
soluzione. L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge,
al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro
titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia
assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
La lettura della norma, già nella sua formulazione originaria, poteva
dare luogo ad interpretazioni diverse. Valorizzando la distinzione di
significato tra l’espressione “il Tribunale dispone” con la quale si
apriva l’elencazione dei criteri di cui si doveva “tenere conto” ai fini
del diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio e l’incipit della
seconda parte della norma “nella determinazione di tale assegno il
giudice tiene conto” emergeva, sul piano testuale una distinzione tra
criteri attributivi (le condizioni economiche dei coniugi – profilo
assistenziale; le ragioni della decisione – profilo risarcitorio) e
determinativi (contributo personale ed economico dato da ciascuno dei
coniugi – profilo compensativo).
La dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte avevano,
tuttavia, ritenuto che l’assegno di divorzio, alla luce dell’art. 5 , c.6 I. n.898
del 1970 avesse una natura mista senza alcuna diversificazione e
graduazione tra i criteri attributivi e determinativi.
In particolare le Sezioni Unite, poco dopo l’entrata in vigore della
norma affermarono che l’assegno previsto dall’art 5 della legge 1
dicembre 1970 n 898, aveva natura composita “in relazione ai criteri
che il giudice per legge deve applicare quando è chiamato a
pronunciarsi sulla richiesta di corresponsione: assistenziale in senso
lato, con riferimento al criterio che fa leva sulle condizioni economiche
dei coniugi; risarcitoria in senso ampio, con riguardo al criterio che
concerne le ragioni della decisione; compensativa, per quanto attiene
al criterio del contributo personale ed economico dato da ciascun
coniuge alla condizione della famiglia ed alla formazione del patrimonio
di entrambi. Il giudice, che pur deve applicare tali criteri nei confronti
di entrambi i coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha ampio
potere discrezionale, soprattutto in ordine alla quantificazione dell’
assegno (S.U. 1194 del 1974; conf. 1633 del 1975).
La coesistenza dei criteri, come espresso efficacemente nella
massima, ne evidenziava la equiordinazione e costituiva una
prescrizione di primario rilievo per la valutazione che doveva essere
svolta dal giudice di merito al quale veniva riconosciuto un ampio
potere discrezionale nella determinazione nell’ammontare
dell’assegno ma non gli era consentito di considerare recessivo, in astratto
ed in linea generale, un criterio rispetto ad un altro, salvo che il rilievo
concreto di alcuno di essi non fosse marginale od insussistente. Nella
giurisprudenza immediatamente successiva, la formulazione generale del
principio venne puntualizzata in relazione aciascun parametro. In particolare la Corte escluse che l’assegno potesse avere carattere alimentare proprio in relazione allo scioglimento definitivo del vincolo di parentela, dal momento che tale tipologia di
obbligazioni postulava la permanenza del vincolo stesso e non la sua
cessazione (Cass. 256 del 1975). Venne sottolineato come il fulcro
dell’accertamento da svolgere, in questa prima fase storica di
applicazione dell’art. 5, c.6 della I. n. 898 del 1970, dovesse incentrarsi
sulla natura e misura dell’indebolimento della complessiva sfera
economico-patrimoniale del coniuge richiedente l’assegno in relazione
a tutti i fattori che possano concorrere a determinare questa
sperequazione, quali l’età, la salute, l’esclusivo svolgimento di attività
domestiche all’interno del nucleo familiare, il contributo fornito al
consolidamento del patrimonio familiare e dell’altro coniuge etc. (Cass.
835 del 1975). Gli orientamenti furono certamente influenzati dal
contesto socio economico nel quale la legge n. 898 del 1970 si è
innestata, in quanto caratterizzato da un modello coniugale formato su
ruoli endofamiliari distinti ed eziologicamente condizionanti la posizione
economico patrimoniale di ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento
dell’unione matrimoniale. Il rilievo paritario attribuito a tutti i parametri
venne condizionato dalla vis espansiva del principio di parità ed
uguaglianza tra i coniugi così come innovativamente consacrato e reso
effettivo dalla riforma del diritto di famiglia.
Il criterio assistenziale, in particolare, assume, già in questa prima
fase di applicazione dell’art. 5, c.6 della I. n. 898 del 1970, una funzione
perequativa della condizione di “squilibrio ingiusto” (Cass. 660 del
1977) che può determinarsi in relazione alla situazione economicopatrimoniale
degli ex coniugi, a causa dello scioglimento del vincolo, in
particolare quando la disparità di condizioni si giustifica in funzione di
scelte endofamiliari comuni che hanno prodotto una netta
diversificazione di ruoli tra i due coniugi così da escludere o da ridurre
considerevolmente l’impegno verso la costruzione di un livello reddituale individuale autonomo adeguato a quello familiare. Risultava
evidente, pertanto, già negli orientamenti degli anni 70 che il profilo
strettamente assistenziale si contaminava con quello compensativo,
soprattutto in relazione alla durata del matrimonio, così da dar luogo
all’inizio degli anni 80 a principi ancora più decisamente ispirati
all’esigenza di ristabilire “un certo equilibrio nella posizione dei coniugi
dopo lo scioglimento del matrimonio” (Cass. 496 del 1980) da
realizzarsi assumendo il parametro relativo alle condizioni economiche
dei coniugi non come criterio esclusivo o prevalente ma come elemento
di giudizio da porsi in relazione con gli altri concorrenti, in
considerazione delle complessive condizioni di vita garantite nel corso
dell’unione coniugale e delle aspettative che tali condizioni potevano
indurre (Cass. 496 del 1980).
La funzione dell’assegno di divorzio si caratterizza, sempre più, negli
anni 80, sotto il vigore del testo originario dell’art. 5, c.6 della I. n.
898 del 1970 come strumento perequativo della situazione di squilibrio
economico patrimoniale che si sia determinata a vantaggio di un ex
coniuge ed in pregiudizio dell’altro. A questo fine i tre criteri contenuti
nella norma operano come “presupposti di attribuzione” (Cass. 5714
del 1988) dell’assegno stesso. All’interno di questo orientamento, la
funzione dell’assegno si risolve in uno strumento volto ad intervenire
su una situazione di squilibrio “ingiusto” non in senso astratto, ovvero
fondato sulla mera comparazione quantitativa delle sfere economicopatrimoniali
o delle capacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto,
ponendo in luce la correlazione tra la situazione economico
patrimoniale fotografata al momento dello scioglimento del vincolo ed
i ruoli svolti dagli ex coniugi all’interno della relazione coniugale. Al
riguardo sempre più frequentemente entrava nella valutazione
complessiva e paritaria dei criteri ex art. 5 c. 6 il rilievo dell’apporto
personale al soddisfacimento delle esigenze domestiche di uno solo dei
coniugi (Cass. 3390 del 1985) ed, in particolare, l’effetto negativo sull’acquisizione di esperienze lavorative e
professionali che può determinare un impegno versato essenzialmente
nell’ambito domestico e familiare (Cass. 3520 del 1983), tanto da far
affermare che, anche in relazione all’età, il giudice del merito avrebbe
dovuto accertare se fosse in concreto possibile per l’ex coniuge
richiedente l’assegno essere competitivo sul mercato del lavoro senza
dover svolgere attività lavorative troppo usuranti od inadeguate rispetto
al profilo complessivo della persona, (Cass. 3520 del 1983).
Da questi orientamenti emerge I’ incidenza del principio costituzionale
della parità sostanziale tra i coniugi, così come declinato nell’art. 29
Cost. nella valutazione in concreto dei criteri, ed in particolare di
quello assistenziale e compensativo, sempre meno scindibili nel
giudizio complessivo relativo al diritto all’assegno. L’interconnessione
tra i due parametri viene precisata dall’affermazione contenuta nella
pronuncia n. 6719 del 1987, secondo la quale la funzione dell’assegno
di divorzio non è remunerativa ma compensativa, essendo preordinata
all’obiettivo del “giusto mantenimento” in relazione, non solo
all’apporto del coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare,
ma anche alla formazione del patrimonio comune ed in particolare al
rafforzamento della sfera economico patrimoniale dell’altro coniuge.
Deve essere sottolineato come l’applicazione equilibrata dei tre
criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, sia stata ritenuta
adeguata alla varietà delle situazioni concrete ed idonea a far
emergere l’effettiva situazione di squilibrio (od equilibrio) conseguente
alle scelte ed all’andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto
delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause,
con particolare riferimento a quelle maturate in corso di matrimonio,
che hanno concorso a determinarle.
I principi giurisprudenziali illustrati, tuttavia, furono sottoposti a
revisione critica dalla dottrina, in particolare per l’eccessiva
discrezionalità rimessa ai giudici di merito che l’equiordinazione dei
criteri aveva determinato. Si lamentava l’assenza di un fondamento
unitario e coerente nella composizione mista dei parametri di
attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Si sottolineava
come l’an ed il quantum dell’assegno fossero stati tendenzialmente
stabiliti del tutto discrezionalmente e l’applicazione dei criteri, proprio
in quanto composita, fosse stata utilizzata per giustificare ex post la
decisione, invece che dettarne le coordinate. Inoltre, vennero poste in
luce le profonde mutazioni nella società civile, l’affermazione del
principio di autoresponsabilità ed autodeterminazione, da ritenere
determinanti anche nelle scelte relazionali, oltre che l’evoluzione del
ruolo femminile all’interno della famiglia e nella società. Si gettavano le
basi, pur sottolineandosi la funzione complessivamente perequativa
dell’assegno di divorzio, per la riforma della norma.
8.2. L’intervento della I. 6.3.1987 e la modifica dell’art. 5 c.6 della I.
n. 898 del 1970; l’interpretazione del nuovo testo nella giurisprudenza
di legittimità.
In questo rinnovato contesto, è stato modificato l’art. 5 comma 6 dall’art.
10 della I. n. 74 del 1987, nel modo che segue:
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni
dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed
economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito
di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla
durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di
somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando
quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non puo’ procurarseli
per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con
riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso
di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. Su
accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione
ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere
proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al
presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni
documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e
comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi,
sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche
della polizia tributaria)). L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa
se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro
titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia
assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
Il confronto testuale con la formulazione originaria della norma pone
immediatamente in luce alcune differenze:
a) il rilievo dell’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex
coniugi, fondato sull’obbligo di deposito dei documenti fiscali delle parti e
sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice in precedenza non
esistenti in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni economico
patrimoniali delle parti, nella fase conclusiva della relazione matrimoniale;
b) l’accorpamento di tutti gli indicatori che compongono
rispettivamente il criterio assistenziale (“le condizioni dei coniugi” ed “il
reddito di entrambi”), quello compensativo (“il contributo personale ed
economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”) e quello
risarcitorio (“le ragioni della decisione”) nella prima parte della norma,
come fattori di cui si deve “tenere conto” nel disporre sull’assegno di
divorzio;
c) la condizione (che costituisce l’innovazione più significativa, perché
assente nella precedente formulazione della norma) dell’insussistenza
di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive,
in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.
La rigida bipartizione tra criteri attributivi e determinativi, sorta per
delineare più specificamente e rigorosamente i parametri sulla base dei
quali disporre l’an ed il quantum dell’assegno di divorzio, e la ricerca
del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi al di fuori
degli indicatori contenuti nell’art. 5, c.6, novellato, raggruppati nella
prima parte della stesso, non costituisce una conseguenza necessaria
della nuova formulazione della norma. In primo luogo, come nella
versione originaria, il legislatore impone di “tenere conto” dei fattori
che compongono i tre criteri, fornendone, rispetto alla formulazione
antevigente un’elencazione completa. In secondo luogo nella norma
s’introducono, al fine di sottolineare il rilievo indefettibile dell’indagine,
poteri istruttori officiosi in capo al giudice del merito in ordine
all’accertamento delle condizioni economico-patrimoniali di entrambe
le parti, tanto da imporre l’obbligo di produrre la documentazione
fiscale fin dagli atti introduttivi del giudizio. Proprio in virtù delle due
nuove caratteristiche di questa fase istruttoria (previsione ex lege di
produzione della documentazione fiscale e poteri officiosi d’indagine),
deve ritenersi che essa costituisca, per tutte le controversie nelle quali
si discuta dell’assegno di divorzio, un accertamento ineludibile rivolto
ad entrambe le parti, con la conseguenza che la conoscenza
comparativa di tali condizioni costituisce, secondo quanto risulta
dall’esame testuale della norma, pregiudiziale a qualsiasi successiva
indagine sui presupposti dell’assegno. In terzo luogo, il dato testuale dal quale è scaturita
l’opzione interpretativa della netta bipartizione tra an e quantum e
della individuazione del parametro dell’adeguatezza dei mezzi al di
fuori degli indicatori contenuti nella norma, non presenta l’univocità
che gli orientamenti, ancorché contrapposti, in ordine al metro di
valutazione dell’adeguatezza dei mezzi, hanno voluto ravvisarvi. La
norma stabilisce, nell’ultima parte del primo periodo, che l’obbligo per
un coniuge di “somministrare periodicamente a favore dell’altro un
assegno (di divorzio n.d.r.)” sorge quando il richiedente non ha mezzi
adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive, ma il periodo si
apre con la prescrizione espressa e completa dei criteri di cui il giudice
deve tenere conto, valutandone il peso in relazione alla durata del
matrimonio quando dispone sull’assegno di divorzio.
Al fine di comprendere le ragioni dell’affermazione dell’opzione
ermeneutica che ha dato luogo al contrasto di orientamenti su cui si
fonda l’intervento delle S.U., deve rilevarsi che il dibattito che ha
accompagnato la nascita della novella legislativa, si era incentrato su
una netta contrapposizione di posizioni. Da un lato si sosteneva la
necessità di ancorare il diritto all’assegno di divorzio esclusivamente
all’accertamento di una condizione di non autosufficienza economica,
variamente declinata come autonomia od indipendenza economica, od
anche capacità idonea a consentire un livello di vita dignitoso, dall’altro
si poneva in luce come la comparazione delle condizioni economico patrimoniali
delle parti non potesse dirsi esclusa dall’accertamento
rimesso al giudice di merito, essendo una delle novità introdotte dalla
novella proprio l’attribuzione di poteri istruttori officiosi all’organo
giudicante, oltre al rilievo, del tutto attuale, della sostanziale
marginalizzazione degli indici contenuti nella prima parte della norma,
ove l’accertamento fosse esclusivamente incentrato sulla condizione
economico patrimoniale del creditore. Le S.U. con la sentenza n.11490
del 1990 hanno ritenuto centrali questi ultimi profili, dando vita ad un orientamento, rimasto fermo per un
trentennio, fino al mutamento determinato dalla sentenza n. 11504 del
2017. Nella sentenza del 1990 hanno affermato che l’assegno ha
carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto
per la sua concessione deve essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei
mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi,
comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa
disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio. E’ stato però chiarito che non è necessario
l’accertamento di uno stato di bisogno, assumendo rilievo, invece,
l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle
precedenti condizioni economiche, le quali devono essere
tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. I criteri
indicati nella prima parte della norma hanno funzione esclusivamente
determinativa dell’assegno, da attribuirsi, tuttavia, sulla base
dell’esclusivo parametro dell’inadeguatezza dei mezzi. Ove sussista
tale presupposto, la liquidazione in concreto deve essere effettuata in
base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla
legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo
personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed
alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito
di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della
pronuncia di divorzio.
A questo consolidato orientamento si è di recente contrapposto quello
affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che, pur condividendo la
premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio
attributivo e determinativo, ha individuato come parametro
dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, la non autosufficienza
economica dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito del positivo
accertamento di tale presupposto possano essere esaminati in funzione ampliativa del quantum i criteri determinativi
dell’assegno indicati nella prima parte della norma.
Entrambe le sentenze si sono richiamate ai lavori preparatori della
nuova legge. In particolare, la recente sentenza n.11504 del 2017 ha
valorizzato un passaggio contenuto nella relazione accompagnatoria
della novella, dal quale poteva desumersi che l’intentio legis fosse
quella di limitare l’accertamento sull’an debeatur alle condizioni
economico-patrimoniali del creditore-richiedente l’assegno, ma si deve
obiettare a questa argomentazione, per un verso, l’intrinseca ambiguità
dell’intentio legis e dall’altro che il testo della norma, come ricordato
nella sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, ha subito un significativo
mutamento rispetto a quello predisposto dalla Commissione Giustizia
del Senato, nel quale l’adeguatezza dei mezzi era correlata al
conseguimento di un dignitoso mantenimento, disancorato da quello
goduto in costanza di matrimonio.
8.2.1. L’interpretazione dell’art. 5, c.6, novellato, nella giurisprudenza di
legittimità.
La lettura del nuovo testo dell’art. 5,c.6 della I. n. 898 del 1970 non
offre indicazioni applicative univoche, in ordine all’esatta
determinazione del sintagma “mezzi adeguati” non essendo
espressamente precisato quale sia il parametro di riferimento cui
ancorare il giudizio di adeguatezza.
Questa indeterminatezza ha dato luogo a due orientamenti
contrapposti, ancorché entrambi fondati sull’esigenza di limitare la
discrezionalità dei giudici di merito, ai quali era lasciata la
comparazione, la selezione e, in concreto la graduazione della
rilevanza dei tre criteri (assistenziale, compensativo e risarcitorio)
contenuti nella norma. In particolare, sia l’orientamento della
sentenza n. 1652 del 1990, che legava l’adeguatezza dei mezzi al
conseguimento di un’esistenza libera e dignitosa, intesa come
autonomia ed indipendenza economica da valutarsi prescindendo dalle condizioni di vita matrimoniale e senza un accertamento
comparativo della situazione economico-patrimoniale delle parti al
momento dello scioglimento del vincolo, sia l’orientamento opposto
(Cass. 1322 del 1989 e 2799 del 1990) fatto proprio dalla sentenza
delle S.U. 11540 del 1990, secondo il quale l’inadegliatezza dei mezzi
deve riconoscersi quando il richiedente non abbia mezzi adeguati per
conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
rapporto coniugale, partono da un postulato ermeneutico comune
dell’art. 5,c.6 novellato. Entrambi gli orientamenti, forti anche di
sostegno dottrinale, ritengono che la norma imponga una distinzione
tra il criterio attributivo dell’assegno, di natura assistenziale, e gli altri,
meramente determinativi. Il legislatore, avendo condizionato l’obbligo
di somministrare periodicamente (od in un’unica soluzione) l’assegno
di divorzio all’accertamento sull’inadeguatezza dei mezzi e
sull’impossibilità oggettiva di procurarli, avrebbe inteso separare
nettamente il piano assistenziale da quello compensativo e risa
rcitorio.
A questa premessa unitaria si aggiunge, l’ulteriore profilo comune
costituito dal rinvenimento del parametro
dell’adeguatezza/inadeguatezza al di fuori degli indicatori contenuti nella
norma. Entrambi i parametri, il tenore di vita matrimoniale (specie se
potenziale) e l’autonomia od indipendenza economica (anche nella nuova
versione dell’autosufficienza economica, introdotta dalla sentenza n.
11504 del 2017) sono esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto di
collegamento con l’effettività della relazione matrimoniale. Tale
collegamento diventa meramente eventuale ove si assuma come
parametro l’autosufficienza economica ma può perdere di rilievo anche
con l’ancoraggio al tenore di vita ove questo criterio venga assunto
esclusivamente sulla base della comparazione delle condizioni economicopatrimoniali
delle parti e, dunque valutando la potenzialità e non l’effettività delle condizioni di vita
matrimoniale.
Le due parti della norma sono state interpretate in modo dicotomico
pur essendo legate da un nesso di dipendenza logica testuale che ne
impone un esame esegetico unitario. Il giudice dispone sull’assegno di
divorzio in relazione all’inadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione
avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma.
La scissione tra le due parti della norma e quella conseguente tra i
criteri attributivi e determinativi, può condurre ad escludere nella
prevalenza dei casi, l’esame degli indicatori la cui valutazione è imposta
dall’art. 5 c.6. oltre che dal contesto costituzionale e convenzionale di
riferimento nel quale deve essere inquadrato il diritto all’assegno di
divorzio quando ne ricorrano le condizioni.
9.L’ESAME COMPARATIVO DEI DUE ORIENTAMENTI.
Esaminati gli aspetti che accomunano i due orientamenti occorre
rilevarne le ragioni di forte contrapposizione che li
contraddistinguono.
Preliminarmente è necessario evidenziare che l’orientamento fissato
nella sentenza n. 11490 del 1990, è stato costantemente seguito dalla
giurisprudenza di legittimità e di merito, ancorché con adattamenti
determinati dalle esigenze concrete che di volta in volta si sono
prospettate. In particolare, I’ astrattezza del criterio del tenore di vita,
anche solo potenzialmente, tenuto durante la relazione matrimoniale
è stata temperata tanto in funzione della durata del rapporto,
(Cass.7295 del 2013; 6164 del 2015), per cui la estrema limitatezza
temporale della relazione coniugale può determinare l’azzeramento del
diritto all’assegno, quanto in funzione della creazione di un nuovo
nucleo relazionale, caratterizzato dalla convivenza e dalla condivisione
della vita quotidiana (cd. famiglia di fatto), essendo tale circostanza
ritenuta, (Cass. 6455 del 2015; 2466 del 2016) fattore definitivamente impeditivo del riconoscimento del diritto
dell’assegno.
Tuttavia, nonostante i criteri determinativi possano, in concreto,
incidere sull’entità dell’assegno, come fattori limitativi, deve
condividersi il duplice rilievo critico che viene mosso al parametro del
tenore di vita goduto o fruibile nel corso della relazione coniugale. Il
primo rilievo riguarda l’assoluta preminenza della comparazione delle
condizioni economico-patrimoniali dei coniugi nel giudizio sul diritto
all’assegno. Questa valutazione, ove costituisca il fattore
determinante l’an debeatur dell’assegno, non può sottrarsi a forti
rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente in
tutte quelle situazioni in cui egli possa godere comunque non solo di
una posizione economica autonoma ma anche di una condizione di
particolare agiatezza oppure quando non abbia significativamente
contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale
dell’altro ex coniuge. I criteri determinativi, ed in particolare quello
relativo all’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello
svolgimento della complessa attività endofamiliare, cui il Collegio
ritiene di attribuire primaria e peculiare importanza, risultano
marginalizzati, con conseguente ingiustificata sottovalutazione
dell’autoresponsabilità. Tale aspetto costituisce, invece, uno dei
cardini delle scelte individuali e relazionali, sia nelle situazioni
analoghe a quella sopradescritta, sia nelle situazioni opposte,
caratterizzate da condizioni economico-patrimoniali che presentino
uno squilibrio nella valutazione comparativa, nelle quali la situazione
di disparità economico-patrimoniale, riscontrabile alla fine del
rapporto, sia il frutto esclusivo o prevalente delle scelte adottate dai
coniugi in ordine ai ruoli ed al contributo di ciascuno alla vita familiare.
In questa peculiare situazione, peraltro molto frequente, il criterio
compensativo non può essere esclusivamente un fattore di
moderazione, dovendosene tenere conto al pari degli altri elementi alla luce dell’inquadramento costituzionale delle ragioni giustificative del
diritto all’assegno di divorzio, così come fattori quali la salute o l’età in
relazione alle capacità lavorativo-professionali e di produzione di
reddito. Gli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, c.6 della I.
n. 898 del 1978 hanno un contenuto perequativo-compensativo che la
preminenza assoluta della comparazione quantitativa tra le condizioni
economico-patrimoniali degli ex coniugi rischia di offuscare. Tuttavia, il
rischio di trascurare del tutto i predetti indicatori, è ancora più incisivo
alla luce dell’opposto orientamento, già preesistente e consacrato nella
sentenza n. 1564 del 1990 ma, di recente, riaffermato, ed arricchito di
rilievi critici e di nuovi elementi di valutazione giuridici e metagiuridici,
con la sentenza n. 11504 del 2017.
La ragione di fondo, espressa nella motivazione di quest’ultima
pronuncia che ha dato luogo alla modifica del consolidato orientamento
giurisprudenziale in ordine al criterio attributivo dell’assegno di divorzio,
risiede nell’indicata inattualità del precedente orientamento e nella sua
inadeguatezza rispetto ad una mutata valorizzazione delle scelte
personali e delle loro conseguenze sotto il profilo dell’autoresponsabilità,
da valutarsi nel contesto costituzionale all’interno del quale tali scelte e
la loro protezione giuridica si collocano.
L’opzione di fondo della pronuncia coglie un elemento di rilievo ma ne
trascura altri. L’autodeterminazione individuale e la libertà di scegliere
il percorso da imprimere alla propria esistenza costituisce certamente
un valore assiologico portante nel sistema dei diritti della persona, ma
è necessario che la declinazione di questo profilo dinamico
dell’autodeterminazione sia effettiva ovvero non sia sconnessa
dall’altro profilo fondante, quello della dignità personale, atteso che la
libertà di scegliere e di determinarsi è eziologicamente condizionata
dalla possibilità concreta di esercitare questo diritto. Per questa ragione, i diritti inviolabili della persona sono vivificati nella
nostra Costituzione dal principio di effettività che permea l’art. 3 Cost.
Alla luce di tale specifico richiamo, devono essere posti in rilievo alcuni
elementi che anche il legislatore, nella composita indicazione di fattori
incidenti sull’assegno di divorzio ha inteso valorizzare. In primo luogo
deve sottolinearsi che con la cessazione dell’unione matrimoniale si
realizza, nella prevalenza delle situazioni concrete, un depauperamento
di entrambi gli ex coniugi e si crea uno squilibrio economicopatrimoniale
conseguente a tale determinazione.
I ruoli all’interno della relazione matrimoniale costituiscono un fattore,
molto di frequente, decisivo nella definizione dei singoli profili
economico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto di scelte comuni
fondate sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità di entrambi i
coniugi all’inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale.
Inoltre, non può trascurarsi, per la ricchezza ed univocità dei riscontri
statistici al riguardo, la perdurante situazione di oggettivo squilibrio di
genere nell’accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall’età.
La valutazione svolta nella sentenza n. 11504 del 2017 è rilevante ma
incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interrelazionali
che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo
scioglimento del vincolo.
Lo stesso limite dell’incompletezza si deve rilevare in ordine alla ratio
posta a sostegno del criterio attributivo dell’assegno di divorzio,
individuato nella carenza di autosufficienza economica della parte
richiedente. Solo questo parametro viene ritenuto coerente con i
principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità che permeano la
solidarietà post coniugale, su cui, in via esclusiva, si rinviene il
fondamento dell’assegno. Il sostegno costituzionale della ratio
solidaristica viene desunto dall’art. 2 e dall’art. 23 Cost. La garanzia
costituzionale della riserva di legge in ordine al prelievo fiscale ed ad ogni forma di obbligo tributario anche inteso in senso lato, risulta del
tutto estraneo al contesto giuridico-costituzionale all’interno del quale
deve collocarsi la cd. solidarietà post coniugale, riguardando
esclusivamente la relazione tra il cittadino-contribuente e l’autorità
statuale o pubblica in senso ampio. Essa tuttavia costituisce la premessa
coerente del contenuto riduttivo che nella pronuncia si attribuisce al
principio di autodeterminazione ed autoresponsabilità, ancorché
formalmente ancorati all’art. 2 Cost. Della norma costituzionale viene,
tuttavia, azzerata la parte, di primaria importanza, che colloca il
principio di autodeterminazione all’interno delle formazioni sociali nelle
quali si sviluppa la personalità dell’individuo.
La giurisprudenza costituzionale ha, del resto, ancorato proprio all’art.
2 Cost. ed alla dignità costituzionale che assume la modalità relazionale
nello sviluppo della personalità umana, il fondamento costituzionale
delle unioni e delle convivenze di fatto (Corte Cost. n. 404 del 1988;
559 del 1989) estendendo ad esse, strumenti di tutela propri dell’unione
matrimoniale (diritto a succedere nella titolarità del rapporto di
locazione etc.) mediante un processo di adeguamento incrementato
dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 12278 del 2011;
9178 del 2018). Lo stesso fondamento costituzionale è stato
riconosciuto alle unioni omoaffettive (Corte Cost. n. 138 del 2010; Cass.
2184 del 2012) prima dell’entrata in vigore della I. n. 76 del 2016. La
liberta di scelta e l’autoresponsabilità, che della libertà è una delle
principali manifestazioni, costituiscono il fondamento costituzionale
dell’unione matrimoniale, una delle formazioni sociali che la
Costituzione riconosce come modello relazionale-familiare preesistente
e tipizzato. Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost.,
può essere attuato e reso effettivo soltanto all’interno di una relazione
governata da scelte che sono frutto di determinazioni assunte
liberamente dai coniugi in particolare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita
familiare. L’uguaglianza si coniuga indissolubilmente con
l’autodeterminazione e determina la peculiarità della relazione
coniugale così come declinata nell’art. 143 cod.civ., norma che ne
costituisce la perfetta declinazione.
L’autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche unilaterale di
sciogliersi dal vincolo ma preesiste a tale determinazione e connota tutta
la relazione ed, in particolare la definizione e la condivisione dei ruoli
endofamiliari. Ugualmente l’autoresponsabilità costituisce il cardine
dell’intera relazione matrimoniale, su di essa fondandosi l’obbligo reciproco
di assistenza e di collaborazione nella conduzione della vita familiare così
come tratteggiati nell’art. 143 cod. civ.
Nella sentenza n. 11504 del 2017, invece, lo scioglimento del vincolo
coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita
successiva e quella anteriore. L’autodeterminazione e
l’autoresponsabilità costituiscono la giustificazione di questa radicale
cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui, limitati
effetti, della cessata relazione coniugale. La previsione legislativa
relativa all’assegno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge,
viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in
relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio.
All’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica
strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad
una condizione di mancanza di autonomia economica, da valutare in
considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto
svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il
presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali. Si deve
osservare, tuttavia, che questa impostazione, pur
condivisibile nella parte in cui coglie la potenzialità
deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette di
considerare che i principi di autodeterminazione ed auto responsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in
matrimonio ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti conseguenti
al suo scioglimento così come definiti nell’art. 5 c.6 I n. 898 del 1970,
hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la
definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della
rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 cod. civ. La conduzione della
vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si
collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed
economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata
del vincolo, anche irreversibile. Alla reversibilità della scelta relativa al
legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata
duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera
economico patrimoniale dell’ ex coniuge al momento della cessazione
dell’unione matrimoniale.
Il legislatore è stato largamente consapevole del forte
condizionamento che il modello di relazione matrimoniale prescelto
dai coniugi può determinare sulla loro condizione economicopatrimoniale
successiva allo scioglimento. Per questa ragione ha
imposto al giudice di “tenere conto” di una serie d’indicatori che
sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di auto
responsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva
comunione di vita. Queste declinazioni del modello costituzionale
dell’unione coniugale, incentrata sulla pari dignità dei ruoli che i
coniugi hanno svolto nella relazione matrimoniale, non possono
entrare in via esclusivamente eventuale nella valutazione che il giudice
deve effettuare quando dispone sull’assegno di divorzio. La relazione
coniugale è orientata fin dall’inizio dai principi di libertà ed
autoresponsabilità ed il legislatore ha inteso valorizzare la funzione
conformativa di questi principi nel regime giuridico dell’unione
matrimoniale anche in relazione agli effetti che possono conseguire
dopo lo scioglimento del vincolo, senza incidere sulla efficacia solutoria di tale determinazione, volta al riacquisto dello stato libero ma
anche senza azzerare l’esperienza della relazione coniugale alla quale si dà
forte rilevanza nella norma che prefigura gli effetti di natura economica
che conseguono al divorzio.
L’immanenza del principio di autoresponsabilità risulta cristallizzata
nei criteri fissati nell’incipit dell’art. 5, comma 6, individuati dal
legislatore nelle condizioni dei coniugi, nelle ragioni della decisione,
nel contributo personale ed economico dato da ciascuno alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o
di quello comune, nel reddito di entrambi, nella durata del matrimonio
e, di conseguenza non può essere mai tenuta fuori dall’accertamento
del diritto alla corresponsione di un assegno divorzile.
Nell’orientamento affermato dalle S.U. n. 11490 del 1990, la
comparazione delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi
conduceva sia pure in modo riflesso a tenere conto dei criteri
determinativi, ma in funzione esclusivamente limitativa dell’astratta
quantificazione dell’assegno fondata sul parametro del tenore di vita.
Nell’orientamento più recente, tali ultimi criteri, ed in particolare quello,
direttamente conseguente dal principio costituzionale della pari dignità
dei coniugi, relativo al contributo dato da ciascuno di essi nella
conduzione della vita familiare e nella formazione del patrimonio comune
e di ciascuno, diventano meramente eventuali prospettandosi
sostanzialmente una lettura dell’art. 5, c.6 abrogatrice della prima parte,
in quanto l’opzione ermeneutica prescelta è fondata sul rilievo
nettamente preminente se non esclusivo del criterio attributivo
dell’assegno.
10. LA SOLUZIONE INTERPRETATIVA ADOTTATA
Le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla
rappresentazione simbolica del legame matrimoniale e sulla disciplina
giuridica dell’istituto, sia per l’attribuzione a ciascuno dei coniugi del diritto unilaterale di sciogliersi dal vincolo sia per la natura di scelta
libera e responsabile che caratterizza la decisione di unirsi in
matrimonio, hanno determinato l’esigenza di valutare criticamente il
criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella sentenza delle S.U.
n. 11490 del 1990, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite
di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge
richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex
coniuge, ed a quello connesso della deresponsabilizzazione
conseguente all’adozione di un criterio fondato solo sulla comparazione
delle condizioni economico-patrimoniale delle parti. Rimangono fermi,
tuttavia, i rilevi formulati alla soluzione radicalmente opposta proposta
da Cass.11504 del 2017.
Al fine d’indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia
dell’esigenza riequilibratrice posta a base dell’orientamento proposto
dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità
di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio
anche in relazione agli standards europei, questa Corte ritiene di dover
abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi
dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, c.6,
più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come
già evidenziato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.
Giova premettere che l’inclusione dell’art.29 Cost. nell’orizzonte in cui
deve collocarsi l’interpretazione dell’art. 5, c.6, deriva anche dalla
sentenza della Corte Cost. n. 11 del 2015, sollecitata proprio in sede di
denunzia d’illegittimità costituzionale del criterio attributivo dell’assegno
di divorzio costituito dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Questo richiamo diretto al modello costituzionale del matrimonio, fondato
sui principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta,
reversibilità della decisione ed autoresponsabilità sono stati tenuti in primaria considerazione dal legislatore in sede di definizione degli
effetti economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo.
L’art. 5 c. 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione
assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di
divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli
per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia,
carattere intrinsecamente relativo ed impone una valutazione
comparativa che entrambi gli orientamenti illustrati traggono al di fuori
degli indicatori contenuti nell’incipit della norma, così relegando ad una
funzione residuale proprio le caratteristiche dell’assegno di divorzio
fondate sui principi di libertà, autoresponsabilità e pari dignità
desumibili dai parametri costituzionali sopra illustrati e dalla
declinazione di essi effettuata dall’art. 143 cod. civ.
L’intrinseca relatività del criterio dell’adeguatezza dei mezzi e l’esigenza
di pervenire ad un giudizio comparativo desumibile proprio dalla scelta
legislativa, non casuale, di questo peculiare parametro inducono ad
un’esegesi dell’art. 5, c.6, diversa da quella degli orientamenti passati.
Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma
conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei
mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in
primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da
accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti
espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale
verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori
contenuti nella prima parte dell’art. 5, c.6, al fine di accertare se
l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale
degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente
dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in
costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali
e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante
endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza
nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del
patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che
delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla
conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del
coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro.
Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017,
in funzione della valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno
degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della
funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il
principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto,
impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed
all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente
ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.
L’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente
ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da
determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex
coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che
conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è
impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha
l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio
economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle
determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata
del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa
radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale
conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali
e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato
esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal
conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune
e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione
dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di
procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte
dell’art. 5.c.6, prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice
dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base
del diritto.
Il giudizio di adeguatezza impone una valutazione composita e
comparativa che trova nella prima parte della norma i parametri certi
sui quali ancorarsi. La situazione economico-patrimoniale del richiedente
costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza che, tuttavia,
non va assunta come una premessa meramente fenomenica ed
oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta, dovendo
accertarsi se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle
caratteristiche della unione matrimoniale così come descritti nella prima
parte dell’art. 5.c. 6, i quali, infine, assumono rilievo direttamente
proporzionale alla durata del matrimonio. Solo mediante una puntuale
ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri
l’incidenza della relazione matrimoniale sulla condizione attuale, la
valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fondata sul
principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine
costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi. (artt. 2,3, 29 Cost.).
Il parametro dell’adeguatezza contiene in sé una funzione
equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare. Il rilievo del profilo
perequativo non si fonda su alcuna suggestione criptoindissolubilista
(l’espressione è stata usata nell’ordinanza di rimessione alla Corte
Costituzionale che ha dato luogo alla sentenza n. 11 del 2015), ma
esclusivamente sul rilievo che tale principio assume nella norma
regolativa dell’assegno. La piena ed incondizionata reversibilità del
vincolo coniugale non esclude il rilievo pregnante che questa scelta,
unita alle determinazioni comuni assunte in ordine alla conduzione della vita familiare, può imprimere sulla costruzione del profilo
personale ed economico-patrimoniale dei singoli coniugi, non
potendosi trascurare che l’impegno all’interno della famiglia può
condurre all’esclusione o limitazione di quello diretto alla costruzione di
un percorso professionale-reddituale.
Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si
compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende
direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di
solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che,
partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali
dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di
un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza,
secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale
adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare,
in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed
economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata
del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha,
pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta
possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico
derivante dall’assunzione di un impegno
diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è i
di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato
ricollocamento sul mercato del lavoro.
L’eliminazione della rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri
determinativi dell’assegno di divorzio e la conseguente inclusione,
nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori
contenuti nell’art. 5.c. 6 in posizione equiordinata, consente, in
conclusione, senza togliere rilevanza alla comparazione della
situazione economico-patrimoniale delle parti, di escludere i rischi
d’ingiustificato arricchimento derivanti dalla adozione di tale
valutazione comparativa in via prevalente ed esclusiva,ma nello stesso tempo assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto
frequenti, caratterizzate da una sensibile disparità di condizioni economicopatrimoniali
ancorché non dettate dalla radicale mancanza di
autosufficienza economica ma piuttosto da un dislivello reddituale
conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella
conduzione della vita familiare.
11. IL QUADRO COMPARATISTICO EUROPEO ED EXTRAEUROPEO
La soluzione prospettata è largamente coerente con il quadro della
legislazione dei paesi dell’Unione europea. Il confronto, pur non
essendo la materia né di competenza dell’Unione Europea né oggetto
di diversa disciplina convenzionale, non può essere eluso, in
considerazione della natura dei diritti in gioco e della composizione del
principio solidaristico ad essi sottesi. La comparazione con alcuni
ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco)
evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativocompensativa
attribuita all’assegno di divorzio correlata alla previsione
della temporaneità dell’obbligo in quanto prevalentemente finalizzato
a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo
scioglimento del vincolo. Possono, tuttavia, porsi in luce alcuni principi
comuni, posti in luce dai lavori svolti dalla Commissione Europea del
diritto di famiglia (C.E.F.L.), sorta al fine di armonizzare i principi che
regolano il diritto di famiglia in considerazione della competenza del
diritto dell’Unione Europea in ordine alla giurisdizione, al
riconoscimento ed alla circolazione delle decisioni in materia di
scioglimento dell’unione coniugale e responsabilità genitoriale. Si è
riscontrata, in particolare, la tendenziale eliminazione del divorzio per
colpa che, anche all’interno del nostro ordinamento, trova riscontro
nella progressiva riduzione dell’importanza del cd. criterio risarcitorio
fin dall’accertamento dell’addebito in sede di separazione; la natura
consensuale del divorzio e la preminenza del principio di
autoresponsabilità anche in sede di regolazione dell’assegno le cui caratteristiche sono da cogliere
nell’ancoraggio ad un criterio perequativo-assistenziale in funzione di
riequilibrio della posizione dell’ex coniuge più svantaggiato (sistema
francese); nel favor verso un sistema di riequilibrio economicopatrimoniale
realizzato con la ripartizione pregressa delle risorse e del
patrimonio familiare cui consegue l’eccezionalità dell’assegno di
divorzio (sistema tedesco) ed infine nella temporaneità della
disposizione, in quanto finalizzata alla ricomposizione di un quadro di
parità economico patrimoniale.
Sia le linee di tendenza comuni che le differenze di regime giuridico sono
ispirate dal medesimo obiettivo della pari dignità degli ex coniugi. In
questa priorità si coglie l’esclusivo elemento di continuità tra i postulati
costituzionali dell’unione matrimoniali e la finalità dell’assegno di
divorzio.
La conferma della centralità del principio di uguaglianza effettiva tra i
coniugi anche alla luce dell’esame comparatistico delle legislazioni di
paesi occidentali trova riscontro effettivo nel VII Protocollo addizionale
alla Convenzione Europea dei Diritti Umani, nell’art. 5. Nella norma
viene stabilito che: “I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di
responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i
loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo
scioglimento. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare
le misure necessarie nell’interesse dei figli”.
Il principio è un’evoluzione di quanto già contenuto nell’art. 16 della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata il 10 dicembre
1948. Nell’articolo è indicato che uomini e donne hanno eguali diritti
riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo
scioglimento.
Emerge, in conclusione, corrispondenza tra la collocazione
dell’assegno di divorzio nell’alveo degli artt. 2,3, 29 Cost. con
la conseguente preminenza della funzione perequativa ad esso attribuibile ed il quadro europeo e convenzionale di riferimento. Gli
elementi che appaiono in contrasto con tale quadro, ovvero
l’eccezionalità del ricorso all’assegno e la temporaneità dello stesso
non scalfiscono la comune provenienza dal principio di parità effettiva.
In particolare la mancanza di temporaneità trova puntuale correttivo
nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della
sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti mentre il
riconoscimento dell’assegno per importi poco elevati ed in unzione
perequativa riguarda una percentuale molto modesta delle controversie
in tema di divorzio. L’attenzione deve rivolgersi, al fine di rendere
effettiva la funzione perequativa dell’assegno al rigoroso accertamento
probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale
conseguente allo scioglimento del vincolo, dovendo trovare
giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte
dell’art. 5 c.6 ed in particolare nel contributo fornito dal richiedente alla
conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione
del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge. Di tale
contributo la parte richiedente deve fornire la prova con ogni mezzo
anche mediante presunzioni. Del superamento della disparità
determinata dalle cause sopraindicate, la parte che chiede la riduzione
o la eliminazione dell’assegno posto originariamente a suo carico, deve
fornire la prova contraria. La sostanziale assenza di preclusioni, salvo
l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione, rende
reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine
all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della
cd. cripto indissolubilità.
12. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Si ritiene utile, prima di procedere alla decisione riguardante il primo
motivo di ricorso, fornire un quadro sintetico conclusivo dei principi relativi alla individuazione dei criteri sulla base dei quali può essere
riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio.
Si deve premettere una considerazione di carattere fattuale. La
determinazione e l’attuazione della scelta di sciogliere l’unione
matrimoniale, determinano un deterioramento complessivo nelle
condizioni di vita del coniuge meno dotato di capacità reddituali,
economiche e patrimoniali proprie.
Il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l’esistenza e
l’entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante l’obbligo della
produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il
potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice,
nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco.
All’esito di tale preliminare e doveroso accertamento può venire già in
evidenza il profilo strettamente assistenziale dell’assegno, qualora una
sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da
lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative
caratterizzate da una sperequazione nella condizione economicopatrimoniale
delle parti, di entità variabile.
In entrambe le ipotesi, in caso di domanda di assegno da parte dell’ex
coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve
essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo
l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni
oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli
indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5.c.6, in quanto rivelatori
della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio
relativistico e comparativo di adeguatezza. Pertanto, esclusa la
separazione e la graduazione nel rilievo e nella valutazione dei criteri
attributivi e determinativi, l’adeguatezza assume un contenuto
prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a
quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto
oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti. Solo così viene in luce, in particolare, il valore
assiologico, ampiamente sottolineato dalla dottrina, del principio di pari
dignità che è alla base del principio solidaristico anche in relazione agli
illustrati principi CEDU, dovendo procedersi all’effettiva valutazione del
contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla
formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo
economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle
potenzialità future. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è
frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della
comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione
all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 cod. civ. Tali decisioni
costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e
dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex art. 2 e 29 Cost.
la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.
Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio che debba
essere prescelto un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e
molteplicità dei modelli familiari attuali. Se si assume come punto di
partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale
dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli,
questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del
richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente
individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione
coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno
squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo
familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non
cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità
di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve,
pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione
effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in
particolare in chiave perequativa-compensativa. Il criterio attributivo
e quello determinativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cd. criterio assistenzialecompensativo.
L’elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a
quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una
situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta
a mancare. Il nuovo testo dell’art. 5 non preclude la formulazione di
un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative
reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da
ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione
del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. L’adeguatezza dei
mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro
mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che
si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che,
sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per
una sola parte. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo
e criteri determinativi dell’assegno di divorzio non determina, infine,
un incremento ingiustificato della discrezionalità del giudice di merito,
perché tale superamento non comporta la facoltà di fondare il
riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti
nell’incipit dell’art. 5 c. 6 essendone necessaria una valutazione
integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata
sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali
alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di
disparità. Inoltre è necessario procedere ad un accertamento
probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati
sulla sperequazione determinatasi, ed, infine, la funzione equilibratrice
dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del
tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e
del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla
realizzazione della situazione comparativa attuale.
In conclusione, alla pluralità di modelli familiari consegue una
molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del
vincolo. Il criterio individuato proprio per la sua natura composita ha
l’elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a
differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle
caratteristiche di generalità ed astrattezza variamente criticate in
dottrina.
13. ACCOGLIMENTO DEL PRIMO MOTIVO E PRINCIPIO DI DIRITTO. Alla
luce delle considerazioni svolte, deve essere accolto il primo motivo di
ricorso. La sentenza impugnata si è fondata esclusivamente sul criterio
dell’autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine
l’accertamento dell’eventuale incidenza degli indicatori concorrenti
contenuti nell’art. 5 c.6 della I. n. 898 del 1970 ed in particolare quello
relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzione della vita
familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e
personale dell’altro ex coniuge. Al riguardo nel ricorso alle pagine 14 e
15 viene sottolineato l’omesso esame di tale criterio, unitamente a tutti
quelli non riconducibili al profilo
strettamente assistenziale dell’autosufficienza economica.
Limitatamente a tale specifica violazione dell’art. 5.c. 6, pertanto, il motivo
deve essere accolto essendo necessario integrare alla luce delle allegazioni
fattuali della parte ricorrente ed in relazione alla comparazione della
situazione economico patrimoniale delle parti e della intervenuta
suddivisione del patrimonio familiare, se possa riconoscersi il diritto
all’assegno diverso in funzione specificamente perequativo-compensativa,
così come prospettato in ricorso. L’accoglimento del primo motivo
determina l’assorbimento del secondo. Alla cassazione della sentenza
impugnata consegue il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà
attenersi al seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’art. 5 c.6 della I. n. 898 del 1970, dopo le modifiche
introdotte con la I. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di
divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura
compensativa e perequativa, richiede l’accertamento
dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di
procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di
cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui
si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed
in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni
economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo
fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla
formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex
coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente
diritto”.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione.
Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia
anche per le spese processuali del presente giudizio alla Corte d’Appello
di Bologna in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 aprile 2018
Il Presidente
(Dr. Giovanni Mammone)
Il giudice est.
(Dnssa Maria Acierno)