La cessione di immobile in cambio delle prestazioni di cura, assistenza, vitto ed alloggio da parte della cessionaria rappresenta vitalizio assistenziale avente natura aleatoria

Cass. civ. Sez. VI – 2, 22 gennaio 2018, n. 1467
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16184/2016 proposto da:
C.A., CA.AN., C.S., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMILIANO SPITALERI in virtù di procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
C.G., CA.GA.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 1867/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 14/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/10/2017 dai Consigliere Dott.
MAURO CRISCUOLO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte d’Appello di Catania con la sentenza n. 1867 del 14 dicembre 2015 rigettava l’appello proposto da Ca.An., C.S., Ca.Ga., C.A. e C.R. nei confronti della sorella C.G., avverso la sentenza del Tribunale di Catania che aveva rigettato la domanda di nullità del contratto di vitalizio del 6 marzo 2002 con il quale la defunta P.O. aveva ceduto all’appellata un appartamento in (OMISSIS), in cambio delle prestazioni di cura, assistenza, vitto ed alloggio da parte della cessionaria.
I giudici di appello rilevavano che risultava infondata la deduzione di parte appellante secondo cui il contratto era privo di alea al momento della stipula, dovendosi ritenere che le complessive difese dell’appellata fossero volte anche a contestare l’affermazione contraria degli attori.
Nel caso di specie risultava che la vitaliziata al momento della conclusione del contratto non era affetta da particolari malattie che ne facessero presagire la prossima scomparsa, come confermato anche dal fatto che era poi deceduta cinque anni dopo.
Non era invero prevedibile la durata della vita della cedente, così che ben poteva individuarsi l’alea necessaria per la validità del vitalizio.
Una volta disattesa la domanda di nullità del contratto, doveva quindi escludersi che si fosse venuta a creare una comunione ereditaria sul bene, ormai già fuoriuscito dal patrimonio della de cuius alla data della sua morte, dovendo quindi essere rigettata la domanda di divisione.
Quanto invece alla domanda di rendiconto, la Corte distrettuale riteneva che la stessa era stata formulata in maniera generica, mancando la stessa allegazione del titolo in base al quale la convenuta avrebbe gestito i beni materni.
C.A., An., S. e R. hanno proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza.
Le intimate non hanno svolto difese in questa fase.
Preliminarmente occorre rilevare che ancorché a pag. 5 del ricorso risultino individuati 6 motivi di ricorso, in base alle lettere da A) ad F), lo sviluppo argomentativo dell’atto in questione consente di individuarne solo tre, di cui due (quello concernente il rigetto della domanda di scioglimento della comunione e quello relativo al carico delle spese di lite) formulati chiaramente in via conseguenziale all’auspicato accoglimento del primo motivo che invece verte sul rigetto della domanda di nullità del vitalizio assistenziale.
Ed, infatti, il fulcro delle doglianze di parte ricorrente è rappresentato proprio dalla affermazione della erroneità, sotto vari profili, della decisione di rigetto della domanda in questione.
In primo luogo si sottolinea l’illogicità della motivazione della Corte d’Appello nella parte in cui non ha ritenuto che vi fosse stata una non contestazione da parte della convenuta in merito all’affermazione degli attori in punto di assenza di alea.
Successivamente, dopo aver sostanzialmente ritenuto corretta la qualificazione del contratto quale vitalizio assistenziale, si deduce che la decisione gravata non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali elaborati in merito a tale figura contrattuale, pervenendo all’affermazione circa la natura aleatoria del contratto, senza nemmeno avvalersi dell’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe permesso di riscontrare in maniera obiettiva la presenza o meno di una equivalenza tra le prestazioni a carico delle parti.
Il motivo è infondato.
Quanto all’apprezzamento della condotta processuale della convenuta, la doglianza, oltre a far richiamo alla nozione di motivazione illogica che riecheggia l’ormai abrogata formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si risolve in una non consentita contestazione del potere del giudice di merito di interpretazione delle difese della convenuta, dovendosi escludere che sia connotata da illogicità la lettura offerta dalla Corte di appello, secondo cui il tenore della comparsa di risposta, lungi dal voler confermare l’assenza di alea, era volta piuttosto a ribadire che dal contratto erano scaturite delle ben precise obbligazioni a carico della cessionaria del bene, sebbene la durata e l’entità delle prestazioni fossero legate alla variabile aleatoria rappresentata dalla sopravvivenza della alienante.
Per quanto invece attiene alla valutazione in merito all’esistenza dell’alea, reputa il Collegio che la decisione abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto elaborati sul punto da questa Corte.
Anche di recente (cfr. Cass. n. 15904/2016) si è riconosciuta l’ammissibilità del contratto atipico di vitalizio improprio o assistenziale che si differenzia dalla donazione per l’elemento dell’aleatorietà, essendo caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale circa la durata di vita del beneficiario e il conseguente rapporto tra valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato e valore del cespite patrimoniale cedutogli in corrispettivo, sicché solo l’originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da “modus”.
In tal senso è stato poi ribadito che (Cass. n. 22009/2016) l’alea contrattuale appare correlata non solo alla durata della vita del beneficiario ma anche alla variabilità e discontinuità delle prestazioni suddette, suscettibili di modificarsi secondo i bisogni (anche in relazione all’età ed alla salute del beneficiario), sicché il giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione, deve essere compiuto con riferimento al momento di conclusione del contratto nonché al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza all’epoca esistenti in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (conf. ex multis Cass. n. 15848/2011).
Con specifico riferimento a tale valutazione hanno avuto modo di pronunciarsi anche le Sezioni Unite con la sentenza n. 6532/1994, citata anche dalla difesa dei ricorrenti, nella quale si è affermato che l’indicata comparazione e l’indagine circa l’incertezza dell’alea rappresentano apprezzamenti di fatto, incensurabili in sede di legittimità se congruamente motivati.
Trattasi di affermazioni maturate nella previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove era dato censurare il ragionamento del giudice di merito per insufficienza ovvero contraddittorietà della motivazione, laddove oggi, alla luce della novella del 2012, è da escludersi che la valutazione compiuta in sentenza possa esser sindacata semplicemente allegando la non corretta valutazione di elementi di fatto invece presi in considerazione dal giudice di merito.
Ciò chiarito, la decisione gravata, con un evidente apprezzamento in fatto, come tale insuscettibile di sindacato in questa sede, ha rilevato che la de cuius al momento della stipula del contratto non era affetta da alcuna particolare patologia (non apparendo a tal fine rilevante una frattura del femore avvenuta circa un anno prima, alla quale era conseguita la completa guarigione), sicché, proprio avendo riguardo alle aspettative di vita, alle quali fanno riferimento gli stessi ricorrenti come indice primario per la valutazione della ricorrenza dell’alea, non era dato prevedere un’immediata dipartita dell’alienante (fattore questo che ha invece in altri casi indotto la giurisprudenza a concludere per la nullità del contratto di vitalizio per assenza di alea).
Peraltro, secondo l’apprezzamento in fatto della decisione impugnata, l’età avanzata della P., se non faceva presagire una morte imminente, tuttavia prospettava un indubbio fattore di rischio collegato alla necessità di un impegno maggiore da parte della figlia, potendo ipotizzarsi l’insorgenza di malattie tipiche dell’anzianità, con la necessità di dover sostenere rilevanti oneri economici per far fronte agli impegni assunti in contratto.
Il ricorso, che peraltro appare carente del requisito della specificità, laddove pur richiamando il contenuto di alcuni elaborati peritali, omette di riprodurne, sia pure per sintesi il contenuto, in violazione di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, appare evidentemente volto a sollecitare un diverso apprezzamento in fatto ad opera di questa Corte, in violazione dei limiti posti al sindacato di legittimità, e quindi non può trovare accoglimento, soprattutto in presenza di una valutazione del giudice di merito connotata da intrinseca logicità e coerenza.
Il rigetto del primo motivo volto specificamente a contestare il rigetto della domanda di nullità del contratto di vitalizio, determina poi l’infondatezza degli altri due motivi, come detto, avanzati logicamente in via conseguenziale all’accoglimento del primo motivo, restando esclusa, quanto al secondo, l’insorgenza di una comunione ereditaria.
La conferma del rigetto delle domande attoree dà altresì contezza della corretta applicazione del principio della soccombenza in punto di spese di lite.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte delle intimate.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.