Il mancato pagamento dei compensi esonera l’avvocato dal trascrivere il verbale di separazione

Cass. civ. Sez. III, 15 novembre 2017, n. 26973
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ORDINANZA
sul ricorso 26025-2015 proposto da:
M.G.P., elettivamente domiciliato VIA T. D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO LONGO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN PAOLO MANNO difensore di sè medesimo;
– ricorrente –
contro
C.P.;
– intimata –
Nonché da:
C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27, presso lo studio dell’avvocato BEATRICE AURELI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA MORELLI giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
M.G.P.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 710/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 27/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/10/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Genova con sentenza 5.11.2012 riconosceva la concorrente responsabilità dell’avv. M.G.P. e della cliente C.P., rispettivamente nella misura del 40% e del 60%, nella produzione del danno patrimoniale da quest’ultima subito per la mancata trascrizione da parte del legale, cui era seguita l’ingiustificata inerzia della C., del verbale omologato in data 13.2.2004 di separazione consensuale dei coniugi – con il quale era stata disposta la cessione a titolo gratuito, a favore della moglie, della quota del 50% della proprietà dell’immobile adibito a casa familiare -, essendo stata iscritta sull’immobile, nel dicembre 2004, ipoteca da parte di GEST LINE per l’importo di Euro 172.767,80 oltre accessori. Il Tribunale condannava pertanto il M. al risarcimento del danno che quantificava, in misura proporzionale alla responsabilità accertata, in Euro 22.211,80 oltre accessori, con riferimento al valore commerciale della quota di proprietà trasferita.
La Corte d’appello di Genova, con sentenza 27.5.2015 n. 710, rigettava l’appello principale del M. e l’appello incidentale della C., rilevando che dalla istruttoria risultava comprovato il conferimento al legale dell’incarico di trascrizione del verbale di separazione (avendo suggerito lo stesso legale di simulare la separazione personale dei coniugi, con vendita della quota proprietaria, onde sottrarre l’immobile all’azione esecutiva dei creditori del marito), la omessa anticipazione da parte della C. delle spese per eseguire la trascrizione e la conoscenza di quest’ultima – avuto riguardo alla lettera trasmessale in data 13.9.2004 – della intenzione manifestata dal legale di non procedere ad ulteriore esecuzione dell’incarico in difetto del saldo dei compensi maturati. Riteneva il Giudice di appello che il legittimo esercizio della eccezione ex art. 1460 c.c. da parte del legale non consentiva comunque a questi di pregiudicare gli interessi dei clienti e che il danno patrimoniale non poteva identificarsi nell’importo del credito ipotecario, dovendo invece essere liquidato tenendo in conto sia il rischio attuale e serio di un’azione revocatoria dell’atto di trasferimento della quota proprietaria – non risultando comprovato il titolo oneroso della cessione -, sia del concorso causale attribuito alla C. che non si era attivata tempestivamente per provvedere autonomamente alla trascrizione del verbale di separazione.
La sentenza di appello, notificata in data 21.7.2015, è stata impugnata con ricorso principale dal M. con cinque motivi, illustrati da memoria.
Resiste la C. con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Motivi della decisione
1-p. Esame dei motivi del ricorso principale, proposto dall’avv. M.G.P..
Con il primo ed il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere omesso i Giudici di appello di rilevare: a) che la condizione n. 3 inserita nel ricorso per separazione – nella quale si faceva carico alla C. dell’onere di trascrizione del verbale – doveva ritenersi operante anche se non riportata nel verbale di separazione omologato, né poteva essere ritenuta – come affermato dal primo Giudice – mera clausola di stile, sicché doveva ritenersi comprovato il mancato conferimento al legale anche dell’incarico della trascrizione del verbale di separazione; b) che il difensore non è onerato dal compiere oltre agli atti del mandato difensivo anche ulteriori attività materiali, e nella specie il legale era stato incaricato di assistere i coniugi soltanto ai fini della separazione personale.
Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto non rispondono ai requisiti prescritti per la deduzione del vizio di legittimità contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La nuova formulazione del testo normativo, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito il n. 5 del comma 1, dell’art. 360 c.p.c. (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), ha, infatti, limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado, per vizio di motivazione, alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e dunque l’ammissibilità del motivo risulta condizionata: 1- alla individuazione di un “fatto storico” – ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, ritualmente accertato mediante verifica probatoria – che abbia costituito oggetto di discussione in contraddittorio tra le parti; 2- alla incidenza di tale fatto su uno o più degli elementi costitutivi della fattispecie normativa disciplinatrice del diritto controverso, rivestendo quindi carattere di “decisività” ai fini della decisione di merito; 3- all’omesso esame” di tale fatto da parte del Giudice di merito, inteso come mancata rilevazione ed apprezzamento del dato probatorio tale da tradursi in una carenza argomentativa inficiante la relazione di dipendenza logica tra le premesse in fatto e la soluzione in diritto adottata dal Giudice, che deve essere evidenziata dallo stesso testo motivazionale, rendendo per conseguenza l’argomentazione priva del pur minimo significato giustificativo della decisione e dunque affetta da invalidità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
Orbene i fatti indicati dal ricorrente altro non sono che quelle stesse prove documentali sulle quali – e non soltanto su esse, essendo state valutate dalla Corte territoriale anche le prove orali – il Giudice di appello ha fondato il proprio convincimento sulla esistenza dell’incarico professionale esteso anche alla trascrizione dell’atto dispositivo della proprietà immobiliare e rispetto alle quali, pertanto, non sussiste evidentemente alcuna omissione da parte del giudicante (del tutto irrilevante è il richiamo, contenuto nel ricorso, al precedente Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1605 del 03/02/2012, secondo cui “tra gli obblighi di fornire i mezzi per ottenere il risultato voluto dai clienti di un avvocato non rientra come inderogabile quello di depositare materialmente la nota di trascrizione di una domanda giudiziale, specie se, come nel caso in esame, sia lo stesso cliente ad esonerare il professionista dal farlo”, atteso che diversamente dalla fattispecie oggetto del precedente richiamato, nel presente giudizio la Corte territoriale non ha affatto ritenuta “inderogabile” l’attività di trascrizione, ma ha ritenuto invece provato il conferimento di tale specifico incarico da parte dei clienti).
In sostanza il ricorrente viene a richiedere a questa Corte una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, che esula del tutto dai limiti del sindacato di legittimità.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostiene il ricorrente la illegittimità della statuizione della Corte territoriale secondo cui il mancato pagamento dell’onorario consentiva la legale di recedere dal mandato ma non anche di arrecare pregiudizio agli interessi del cliente, in quanto ciò avrebbe implicato per il legale l’assunzione dell’ulteriore e gravoso onere, estraneo al contratto d’opera, di anticipare le spese della trascrizione dell’atto dispositivo della proprietà.
Il motivo è fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che il mancato pagamento dei “compensi” non esonerava il legale, che non avesse inteso recedere dall’incarico, ad operarsi affinché il cliente non incorresse in decadenze, preclusioni o altre situazioni pregiudizievoli, configurandosi quindi una responsabilità grave per avere l’avv. M. omesso ingiustificatamente di trascrivere il titolo.
Orbene, se correlata alla eccezione ex art. 1460 c.c. formulata dal M., la statuizione impugnata non distingue se, in presenza della facoltà del professionista di recedere unilateralmente dal rapporto (art. 2237 c.c., comma 2), debba intendersi esclusa la applicabilità del rimedio ex art. 1460 c.c., accordato alla parte non inadempiente, di sospendere la esecuzione della prestazione corrispettiva in difetto dell’adempimento dell’altra parte, ovvero se, invece, detta eccezione possa essere opposta dal professionista, ma nell’osservanza dei limiti indicati.
Osserva il Collegio che l’art. 2237 c.c., commi 2 e 3, disciplina le condizioni e le modalità dell’esercizio del diritto di recesso del prestatore dal contratto d’opera intellettuale, subordinando il legittimo esercizio del diritto ad una “giusta causa” ed imponendo, comunque, al prestatore d’opera di “evitare pregiudizio al cliente”.
La disposizione del terzo comma rinviene la sua “ratio” nel generale obbligo di buona fede, espressione del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost., che informa i rapporti tra i contraenti dal momento in cui vengono socialmente in contatto nella fase delle trattative fino alla fase patologica del rapporto, e nel quale trovano fondamento i “doveri di protezione” che accedono alla modalità di attuazione del rapporto, sicché il legittimo esercizio dei diritti che nascono dal contratto o dalle norme integrative del contenuto contrattuale, non esonera la parte dal salvaguardare gli interessi e le utilità dell’altro contraente, nella misura in cui tale l’attività richiesta non si risolva nell’aggravio di un consistente onere o sacrificio (analoga previsione è prevista anche nel rapporto di mandato: art. 1727 c.c., comma 2, in caso di rinunzia del mandatario).
La disposizione non può ritenersi ostativa alla applicazione del rimedio sospensivo di cui all’art. 1460 c.c., che bene può trovare ingresso tutte le volte in cui la esecuzione della prestazione inadempiuta sia ancora possibile ed il professionista non intenda far valere una giusta causa di recesso (la esperibilità nell’ambito del rapporto d’opera intellettuale della “exceptio inadimpleti seu non rite adimpleti contractus”, ha trovato accoglimento nella giurisprudenza di legittimità: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 3958 del 13/12/1969 – con specifico riferimento al contratto d’opera intellettuale avente ad oggetto l’espletamento di attività giudiziale o stragiudiziale dell’avvocato -; id. Sez. L, Sentenza n. 5775 del 11/06/1999; id. Sez. L, Sentenza n. 14702 del 25/06/2007; id. Sez. 2, Sentenza n. 11304 del 05/07/2012 e Sez. 2 -, Sentenza n. 25894 del 15/12/2016 – che esaminano l’ipotesi della eccezione ex art. 1460 c.c. formulata dal cliente nei confronti del procuratore ad litem -), tanto più considerando che, nel caso di specie, la esecuzione della prestazione “sospesa” avrebbe implicato l’onere per l’avvocato della anticipazione delle spese di trascrizione dell’atto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (art. 2760 c.c.) e dunque l’assunzione di un aggravio economico, eccedente il normale sacrificio richiesto ai sensi dell’art. 1375 c.c., peraltro escluso dalla disciplina del tipo legale del contratto d’opera intellettuale. L’art. 2234 c.c. dispone, infatti, che “Il cliente, salva diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso”, e non risulta dagli atti, né emerge dalla sentenza impugnata, che le pareti abbiano disposto alcuna pattuizione in deroga. La norma da ultimo richiamata individua un “obbligo di collaborazione” che grava sul cliente al fine di mettere la controparte in grado di dare inizio all’opera e proseguirla, rispondendo alla finalità di mitigare la regola della post-numerazione, in virtù della quale il diritto al compenso ed al rimborso delle spese matura solo a seguito dell’effettuazione di una prestazione tecnicamente idonea a conseguire il risultato cui è destinata (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 24046 del 10/11/2006).
Orbene se il richiamato principio della buona fede nella esecuzione del contratto non può non riferirsi anche alle modalità di esercizio dei diritti e delle eccezioni di diritto sostanziale che nascono dal contratto, e dunque anche alla eccezione di cui all’art. 1460 c.c., tuttavia il limite nel quale l’eccipiente deve preservare l’utilità della controparte, non può, evidentemente, coincidere salvo i casi che verranno di seguito indicati – con l’obbligo di eseguire la medesima prestazione sospesa, diversamente venendo ad essere annichilito lo stesso rimedio contrattuale previsto dall’art. 1460 c.c.. Analogamente alla modalità di esercizio del recesso, prescritta dall’art. 2237 c.c., comma 3, l’onere di cautela e salvaguardia dell’interesse altrui richiesto a colui che esercita il diritto deve, infatti, individuarsi nel compimento di quelle attività che appaiono idonee a conservare alla controparte la possibilità di conseguire in altro modo la soddisfazione dell’interesse o del risultato perseguito, e che normalmente si risolvono nella tempestiva informativa della volontà di recedere dal rapporto ovvero nella tempestiva contestazione dell’altrui inadempimento e della volontà di avvalersi del rimedio sospensivo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 22353 del 03/11/2010 secondo cui, ai fini della esclusione della buona fede nella eccezione di inadempimento, assume rilevante importanza la circostanza che la giustificazione del rifiuto sia stata resa nota alla controparte solo in occasione del giudizio e non in occasione dell’attività posta in essere allo scopo di conseguire l’esecuzione spontanea del contratto), così da consentire all’altra parte di adottare le opzioni e le iniziative ritenute più opportune per non pregiudicare il proprio interesse.
Alla stregua di tale principio deve, quindi, essere verificata la statuizione della Corte territoriale secondo cui il professionista “utendo juribus” non può, comunque, agire in pregiudizio della controparte, così da farla incorrere in decadenze o in preclusioni o ancora precludendole il conseguimento del risultato utile, dovendo osservarsi al proposito che tale affermazione, tuttavia, non ha astratta valenza assoluta, nel senso di dover ritenere che, verificatisi gli eventi predetti, sussiste sempre e comunque la violazione del dovere di buona fede, ed il professionista receduto o che ha opposto la eccezione ex art. 1460 c.c. deve intendersi sempre e comunque responsabile delle conseguenze dannose.
Al fine di verificare quale sia il limite posto all’obbligo della buona fede, occorre, invece, rapportare la esigenza di provvedere per evitare il pregiudizio alla controparte, alla situazione concreta determinata dalla condotta delle parti contraenti.
Sarà pertanto contrario a buona fede un comportamento del professionista che, nella imminente scadenza di un termine di decadenza, ometta di compiere l’atto richiesto dall’incarico professionale, allegando il recesso o l’inadempimento della controparte e sospendendo la esecuzione della prestazione, così arrecando un pregiudizio irreparabile al proprio cliente: copiosa la giurisprudenza di legittimità in materia di espletamento del mandato ad litem, che afferma al riguardo come l’art. 85 cod. proc. civ., in guisa diversa dalla disciplina della procura al compimento di atti di diritto sostanziale (che consente a chi ha conferito i poteri di revocarli od a chi li ha ricevuti dismetterli, con efficacia immediata), prevede che, né la revoca né la rinuncia privano – di per sé – il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, occorrendo a tal fine che si aggiunga il fatto della intervenuta sostituzione del legale revocato o dimissionario (Corte cass. sez. 1, sentenza n. 10643 del 29/10/1997), il quale ha il dovere di svolgere con diligenza il mandato professionale sino al momento della sua sostituzione con altro procuratore, con la conseguenza che sue eventuali negligenze o dimenticanze si verificano e consumano nell’ambito del rapporto professionale con il cliente (Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 3326 del 29/05/1982).
Risponderà invece al principio di buone fede l’esercizio dei diritti e dei rimedi contrattuali esperiti dal professionista – al di fuori dei casi in cui sia richiesto il compimento di atti “urgenti” – qualora l’altra parte risulti tempestivamente avvertita dell’esercizio del diritto di recesso o della eccezione “inadimpleti contractus”, e ciò nonostante mantenga una condotta ingiustificatamente inerte (nel caso della eccezione ex art. 1460 c.c.: non offrendo di adempiere la controprestazione, nè assumendo iniziative dirette a contestare il proprio inadempimento ovvero a risolvere il contratto; nel caso di recesso ex art. 2237 c.c., comma 2: omettendo di attivarsi nella ricerca di un nuovo professionista cui affidare la prosecuzione dell’incarico, ovvero, ove possibile, assumendo personalmente la iniziativa del compimento degli ulteriori atti oggetto dell’incarico dismesso dal professionista): in tal caso il pregiudizio eventualmente subito dal cliente non può evidentemente ascriversi a violazione del dovere di buona fede cui è tenuto il prestatore d’opera intellettuale per non aver eseguito la necessaria prestazione contrattuale, in quanto l’insorgere della situazione di “urgenza” è imputabile in via esclusiva alla negligente condotta tenuta dalla controparte, e non vale a ripristinare un obbligo di salvaguardia che deve ritenersi compiutamente assolto dal professionista che ha messo in mora, in tempo utile, il cliente.
Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:
“in materia di contratto d’opera intellettuale, avente ad oggetto l’assistenza legale nel procedimento di separazione consensuale dei coniugi comprensiva anche della trascrizione nei RR.II. del verbale omologato contenente la disposizione del trasferimento ad uno dei coniugi di una quota proprietaria dell’immobile adibito a casa familiare, è legittimamente esperibile da entrambe le parti il rimedio contrattuale della eccezione ex art. 1460 c.c., ed il professionista può avvalersi della eccezione anche nel caso in cui – non derogando il contratto all’obbligo del cliente di fornire anticipatamente la provvista necessaria alle spese ex art. 2234 c.c. – il cliente non abbia anticipato le spese necessarie ad eseguire la trascrizione, purché la sospensione della prestazione non venga attuata in modo tale da determinare al cliente un pregiudizio irreparabile, essendo comunque tenuto il professionista – in virtù del principio di buona fede – a salvaguardare l’interesse o l’utilità dell’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio, dovendo averso riguardo a tal fine anche alla tempestività con la quale il professionista ha contestato l’inadempimento alla controparte, in modo da metterla in grado di assumere le iniziative opportune a risolvere la situazione di stallo in cui versa il rapporto ed a conservare la utilità perseguita con l’attuazione del contratto”.
Tanto premesso, emerge dalla stessa sentenza di appello – e non costituisce fatto contestato – che nei sei mesi trascorsi dalla omologa del verbale di separazione personale, più volte sollecitato dai coniugi a provvedere alla trascrizione del verbale di separazione omologato, l’avv. M. comunicò, con lettera in data 15.9.2004, che non avrebbe svolto alcuna attività suppletiva fino a quando i clienti non avessero saldati gli onorari, “precisando che non intendeva neppure anticipare le spese vive di trascrizione” (sentenza impugnata, in motiv. pag. 11), in tal modo contestando il mancato adempimento delle prestazioni dovute dai clienti – anche con riferimento alla anticipazione delle spese ex art. 2234 c.c. – e manifestando la propria intenzione di sospendere l’ulteriore attività professionale. Risulta ancora che la iscrizione ipotecaria sull’immobile è stata richiesta da GEST LINE il successivo dicembre 2004.
Tali i fatti accertati in giudizio, il Giudice di appello avrebbe dovuto verificare se la “exceptio inadimpleti contractus” fosse stata esercitata legittimamente dall’avvocato, in relazione agli obblighi di salvaguardia che allo stesso incombevano per il dovere di esecuzione del contratto d’opera intellettuale secondo buona fede, risultando pertanto errata in diritto la statuizione impugnata che, da un lato, esclude che il mancato pagamento dell’onorario potesse legittimare l’avvocato a non adempiere alla trascrizione – omettendo peraltro di verificare la compatibilità dell’obbligo di salvaguardia con l’assunzione dell’aggravio economico della anticipazione delle spese di trascrizione, non dovuta dal legale atteso il disposto dell’art. 2234 c.c. -, ritenendo “se mai” consentito soltanto il recesso dall’incarico, non tenendo conto che il rimedio ex art. 1460 c.c. trova applicazione anche nel rapporto d’opera intellettuale; dall’altro omette del tutto la verifica in concreto della legittimità della eccezione ex art. 1460 c.c. opposta dal legale, in relazione alle modalità con le quali tale eccezione risulta esercitata, in relazione alla rappresentazione delle conseguenze della sospensione della ulteriore attività di trascrizione ed alla effettiva possibilità della C. di assumere le iniziative necessarie a provvedere altrimenti alla trascrizione dell’atto dispositivo della proprietà.
La critica mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata coglie, pertanto, nel segno censurando la statuizione che perviene alla errata affermazione in diritto secondo cui la eccezione ex art. 1460 c.c. obbligava, comunque, il professionista a dare corso alla trascrizione del verbale di separazione omologato ed a sostenere, anticipandole, le spese necessarie.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio, occorrendo tuttavia egualmente procedere anche all’esame dei motivi quarto e quinto del ricorso principale che investono statuizioni della sentenza di appello “dipendenti” dall’esito del nuovo giudizio che la Corte territoriale, quale giudice del rinvio, è chiamata a compiere in ordine alla eccezione di inadempimento, sicchè per economia processuale è necessario verificare la legittimità delle altre statuizioni impugnate risultando ciò utile nel caso in cui il Giudice del rinvio si risolva ad accertare la illegittimità della condotta del legale.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1227 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe fatto errata applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1 accertando il concorso causale nella produzione del danno da parte della C., mentre avrebbe dovuto escludere del tutto il risarcimento del danno, trovando nella specie applicazione l’art. 1227 c.c., comma 2 in quanto era nella piena disponibilità della C. provvedere alla trascrizione del verbale.
Il motivo è inammissibile ed infondato.
E’ inammissibile, in quanto l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, – che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore (o il danneggiato) avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza – integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta da congrua motivazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20283 del 14/10/2004; id. Sez. 2, Sentenza n. 18352 del 13/09/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 15231 del 05/07/2007) e dunque non poteva essere censurata attraverso il vizio di errore nell’attività di giudizio, ma deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti consentiti dalla norma riformata.
E’ infondato venendo a confondere i diversi piani del nesso di causalità disciplinati dalla norma. Ed infatti, in tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (art. 1227 c.c., comma 1) va distinta, anche sul piano processuale, da quella (disciplinata dal comma 2, medesimo art.) che prevede il verificarsi del (solo) aggravamento del danno prodotto dal comportamento dello stesso danneggiato che non abbia, peraltro, contribuito in alcun modo alla sua causazione, poichè, nel primo caso, il giudice deve proporsi d’ufficio l’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato (sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, di quegli), mentre la seconda situazione costituisce oggetto di eccezione in senso stretto (in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede).
Orbene il “danno” si è determinato a seguito della iscrizione ipotecaria eseguita a favore di GEST LINE, dunque fino a tale momento il pregiudizio era solo potenziale, perdurando – secondo la ricostruzione del Giudice di merito – la condotta omissiva colpevole del professionista, con essa concorrendo la ingiustificata inerzia della C., protrattasi dopo la conoscenza della intenzione del legale di non provvedere alla trascrizione dell’atto, in mancanza di saldo onorari e di provvista delle spese.
Ne segue che in relazione al presupposto di fatto, come accertato dalla Corte d’appello, è corretto l’inquadramento giuridico della condotta della C. nello schema dell’art. 1227 c.c., comma 1 quale fatto causalmente concorrente nella produzione del danno conseguenza.
Con il quinto motivo il ricorrente impugna la sentenza di appello per “omesso esame di fatto decisivo” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe considerato che il danno patito dalla C. era da ritenere inesistente in quanto meramente ipotetico e futuro, non avendo la stessa neppure allegato che GEST LINE avesse intrapreso l’azione esecutiva, e neppure che, a causa della ipoteca, non era stata in grado di alienare l’immobile a terzi o ancora che non aveva potuto ottenere credito in conseguenza della prelazione ipotecaria sull’immobile.
La censura, volta – come emerge dalla esposizione del motivo – a criticare la carenza del minimo costituzionale richiesto per la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, deve ritenersi fondata.
Il Giudice di appello ha ritenuto attuale il danno subito dalla C., in quanto nel febbraio 2006 era deceduto il coniuge alienante, ed avendo la C. “rinunciato alla eredità”, la stessa era stata “impossibilitata a recuperare la quota di proprietà del marito” (sentenza appello, pag. 14).
L’argomento svolto della Corte d’appello non appare coerente alla situazione descritta, non essendo dato spiegare come la ipoteca sull’immobile possa incidere causalmente sulla rinuncia della C. alla eredità del coniuge (e quindi all’acquisto della intera proprietà dell’immobile), riconducibile piuttosto alla volontaria scelta della chiamata alla eredità di non subentrare in una esposizione debitoria maggiore – rispetto all’importo del credito ipotecario – in considerazione della generale situazione di insolvenza del marito.
Come afferma la giurisprudenza di questa Corte l’omessa trascrizione dell’atto di acquisto della proprietà incide sulla inopponibilità della anteriorità dell’atto nei confronti dei terzi successivi trascriventi diritti sull’immobili. Tuttavia tale inopponibilità – determinata nella specie nei confronti del creditore ipotecario GEST LINE – è potenzialmente suscettiva di arrecare un pregiudizio che deve essere pur sempre valutato in relazione alla situazione eventualmente più vantaggiosa – in cui si sarebbe trovato il cliente qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3657 del 14/02/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 18244 del 26/08/2014).
Orbene la motivazione del Giudice di appello non fornisce alcuna indicazione delle ragioni per cui la iscrizione ipotecaria abbia prodotto un danno patrimoniale risarcibile, e dunque la statuizione impugnata deve essere cassata.
2.p. Esame dei motivi del ricorso incidentale proposto da C.P..
Primo motivo: omesso esame fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente sostiene che la Corte d’appello, dopo aver descritto in rassegna i motivi di gravame proposti dalla C. ha poi omesso di pronunciare sul motivo con il quale si deduceva che il danno dovesse quantificarsi in relazione all’importo del credito ipotecario e dunque alla somma necessaria per disporre la cancellazione della ipoteca.
Il motivo se inteso a contestare una nullità processuale per omessa pronuncia su un motivo di gravame, è inammissibile in quanto neppure viene trascritto l’atto di appello con il relativo motivo, e comunque viene indicato un parametro del sindacato di legittimità (inerente l’errore di fatto) estraneo al vizio di attività processuale.
In ogni caso il motivo è inammissibile anche in relazione al vizio denunciato, in quanto difetta del tutto il “fatto storico” la cui considerazione sarebbe stata omessa dal Giudice di appello, tenuto conto che la sentenza impugnata ha esaminato i fatti allegati dalla C., escludendo la rilevanza del pagamento di oltre Euro 100.000,00 allegato dalla C. e che la stessa avrebbe sostenuto per evitare una pregressa azione esecutiva dei creditori del marito, in quanto non sussisteva alcuna prova che la cessione della quota proprietaria dell’immobile operata nel verbale di separazione costituisse una attribuzione a titolo oneroso in quanto compensativa del predetto esborso. Del tutto nuova e priva di riscontro (in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) è poi l’affermazione secondo cui il valore del danno sarebbe stato calcolato non in base ai prezzi correnti di mercato ma sulla scorta di una stima determinata in altra procedura esecutiva.
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La ricorrente incidentale, allegando che la cessione della proprietà immobiliare era da ritenersi a titolo oneroso in quanto compensativa di precedenti esborsi dalla stessa sostenuti a favore del marito, contesta la misura percentuale di riduzione del “quantum” risarcibile determinata dal Giudice di merito in quanto sussisteva una elevata probabilità che l’atto di acquisto della quota di proprietà dell’immobile potesse essere revocato ex art. 2901 c.c. dal creditore ipotecario.
Trattasi di “questio facti” preclusa al sindacato di legittimità surrettiziamente prospettata dalla ricorrente incidentale come “error juris”, peraltro già oggetto di esame nel merito da parte della Corte territoriale che ha escluso la prova documentale del nesso sinallagmatico tra le prestazioni.
Per il resto la censura richiede un riesame di tutte le risultanze probatorie (concernenti il concorso causale nella produzione del danno; la conoscenza del rifiuto opposto dal legale a proseguire l’incarico; la mancanza di prova della somministrazione al legale delle spese di trascrizione) precluso in sede di legittimità.
In conclusione il ricorso principale deve essere accolto, quanto al terzo e quinto motivo, dichiarati inammissibili gli altri; il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che attenendosi al principio di diritto enunciato, procederà a nuovo esame ed a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo e quinto motivo di ricorso principale, dichiara inammissibili il primo, secondo e quarto motivo di ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.