TRASCRIZIONE di Gianfranco Dosi

I Trascrizione e pubblicità
Il sistema della “pubblicità” dei fatti giuridici è lo strumento che l’ordinamento appresta per rendere certi nei confronti dei terzi gli avvenimenti giuridici. A carico delle parti di un rapporto giuridico la legge pone l’obbligo di eseguire determinati oneri che producono l’effetto di dare pubblicità al rapporto giuridico. I mezzi di pubblicità legale sono predisposti, perciò, per rendere facilmente conoscibili determinati fatti o atti giuridici, dando agli interessati la possibilità oggettiva di venirne a conoscenza, in modo da assicurare la certezza dei rapporti giuridici.
L’ordinamento giuridico, tuttavia, non attribuisce una identica funzione a tutti i tipi esistenti di pubblicità dei fatti giuridici individuando effetti diversi in relazione ai quali si parla tradizionalmente di pubblicità notizia, di pubblicità dichiarativa e di pubblicità costitutiva volendo riferirsi con queste tre espressioni a diverse funzioni di tutela assolta dalla pubblicità.
Così, accanto alla funzione generica di informare – comune ai tre diversi tipi di pubblicità – la pubblicità ha in molti casi la funzione di dare conoscenza legale dei fatti per i quali è prevista, in modo tale che una volta effettuata la pubblicità nelle forme di legge, il fatto si considera conosciuto e nessuno può legittimamente ignorarlo, quand’anche non ne avesse avuto effettiva conoscenza (pubblicità notizia). Si tratta in questo caso della funzione più ovvia della pubblicità posta a tutela delle certezza dei rapporti giuridici. La pubblicità notizia si limita, perciò, a dare notizia di deter¬minati fatti, senza che la sua omissione impedisca ai medesimi di produrre i loro effetti giuridici o ne determini l’invalidità.
La trascrizione (degli atti di stato civile) è, appunto, uno dei mezzi più importanti di pubblicità noti¬zia previsti dalla legge. Ne sono altri esempi le pubblicazioni matrimoniali (art. 93) e l’annotazione a margine dell’atto di nascita di provvedimenti sullo status.
In tutti questi casi l’atto pubblicizzato nel modo previsto ha piena validità senza che il terzo possa dichiarare di non averne avuto conoscenza. Ove l’atto non fosse pubblicizzato ha ugualmente va¬lore ma sarà l’interessato che deve dimostrare che il terzo ne era comunque a conoscenza.
In altri casi (trascrizione immobiliare, annotazione delle convenzioni matrimoniali, registrazione dei contratti di convivenza, registro delle imprese) la funzione della pubblicità è quella, cosiddet¬ta dichiarativa, di rendere opponibili determinati fatti solo se sono fatti oggetto di pubblicità. In queste ipotesi, quindi, lo strumento giuridico pubblicitario predisposto dall’ordinamento non ha lo scopo generico di assicurare la conoscibilità legale dell’atto (che quindi è sempre opponibile a tutti), ma proprio la sua opponibilità (cioè la possibilità di farlo valere nei confronti di determinati terzi). Il mancato assolvimento della pubblicità rende perciò l’atto inopponibile (nei confronti dei terzi o di taluni terzi), pur restando valido ed efficace. L’omissione della pubblicizzazione dell’atto, pertanto, in questi casi impedisce che il fatto possa produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi.
In altre ipotesi ancora (il più noto dei quali è l’iscrizione di ipoteca) la funzione della pubblicità è quella, chiamata costitutiva, di garantire l’esistenza in sé dell’atto, nel senso che senza l’osservan¬za della forma di pubblicità voluta dalla legge l’atto non produce effetti. Qui la pubblicità è requisito necessario affinché la fattispecie si perfezioni, sicché in sua mancanza l’atto è privo di validità e non produce effetti nei confronti di chiunque (quindi né tra le parti del negozio giuridico, né verso i terzi). Essa è, dunque, un vero e proprio obbligo ai fini dell’efficacia e della validità dell’atto.
La distinzione nelle tre forme tradizionali di pubblicità notizia, pubblicità dichiarativa e pubblicità costitutiva è quindi sostanzialmente una distinzione degli effetti, che conseguono alla sua omissione. La mancanza della pubblicità notizia (per esempio determinata dall’assenza o dal ritardo dell’annotazione del divorzio nell’atto di matrimonio) non rende certo l’interessato ancora legato da vincolo matrimoniale e ove di tale omissione un terzo dovesse aver approfittato, consente all’interessato di provare che il terzo ne era comunque a conoscenza. La mancanza degli adempimenti di pubblicità dichiarativa (per esempio l’omissione della annotazione del fondo patri¬moniale) rende l’atto inopponibile ai terzi. La mancanza di pubblicità costitutiva non fa acquistare alcuna rilevanza all’atto realizzato senza l’adempimento prescritto.
II Le formalità di formazione gli atti di stato civile
a) Iscrizioni, trascrizioni e annotazioni
L’ordinamento di stato civile (DPR 3 novembre 2000, n. 396) attribuisce all’art. 5 all’ufficiale di stato civile la funzione primaria di formare tutti gli atti concernenti lo stato civile (cittadinanza, nascita, matrimonio, morte, unione civile), nonché quella di archiviarli, conservarli, aggiornarli, rilasciarne copie e verificare le dichiarazioni delle parti.2
La formazione e la redazione degli atti di stato civile avviene obbligatoriamente (art. 12 DPR 396/2000) secondo modalità e formule stabilite con decreto del Ministero (attualmente il decreto che contiene tutte le formule è il decreto del 5 aprile 2002 e successive modificazioni). Gli atti di nascita, di morte, di matrimonio e di unione civile, sono formati in genere nel Comune in cui tali fatti accadono ma se il Comune in cui l’atto è formato è diverso da quello di residenza degli interessati, gli atti devono essere comunicati dall’ufficiale di stato civile che li forma all’ufficiale di stato civile del Comune di residenza degli interessati (art. 12 DPR 396/2000).
La redazione degli atti di stato civile (nel Comune o comunque relativi ai soggetti residenti avviene principalmente attraverso tre diverse formalità.
Il primo tipo di formalità è l’iscrizione dell’atto cioè in sostanza e prevalentemente la registrazio¬ne che l’ufficiale di stato civile fa dell’atto che avviene davanti a lui (art. 63, primo comma DPR 396/2000 per l’atto di matrimonio).
Il secondo tipo di formalità – omogeneo all’iscrizione – è la trascrizione dell’atto, cioè la registra¬zione che l’ufficiale di stato civile fa di un atto di un atto redatto da altri (art. 63, secondo comma, DPR 396/2000 che indica i casi trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato per esempio dai ministri del culto o in un Comune diverso da quello in cui sono state fatte le pubblicazioni o cele¬brato all’estero ovvero la nullità o il divorzio pronunciati all’estero e la delibazione delle sentenze di nullità ecclesiastiche.
Il terzo tipo di formalità è l’annotazione con cui si segnalano a margine dell’atto eventi particolari. L’atto di nascita è formato e conservato nel Comune in cui avviene la nascita (art. 30, comma 4 DPR 396/2000) e vi si annotano gli eventi indicati nell’art. 49 (adozione, tutela, interdizione, am¬ministrazione di sostegno, nullità del matrimonio, atti di riconoscimento, sentenze sulla filiazione, provvedimenti di modifica del nome e cognome, atti di morte e altri). L’atto di matrimonio si forma nel comune in cui avviene la celebrazione (art. 63) e a margine di esso vi si annotano gli eventi indicati nell’art. 69 (convenzioni matrimoniali, ricorsi di divorzio, sentenze di nullità, di divorzio, di separazione, omologa della separazione, dichiarazione di riconciliazione).
b) Iscrizioni e trascrizioni degli atti di matrimonio
Secondo l’art. 63 dell’Ordinamento di stato civile dedicato alle “iscrizioni” e alle “trascrizioni” rela¬tivamente agli atti di matrimonio, si prevede che
1. Negli archivi di cui all’articolo 10, l’ufficiale dello stato civile iscrive:
a) gli atti dei matrimoni celebrati davanti a lui;
b) gli atti dei matrimoni celebrati fuori dalla casa comunale a norma dell’articolo 110 del codice civile;
c) gli atti dei matrimoni celebrati in caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, ai sensi dell’articolo 101 del codice civile;
d) gli atti dei matrimoni celebrati per richiesta, ai sensi dell’articolo 109 del codice civile;
e) gli atti dei matrimoni celebrati per procura;
f) gli atti del matrimonio ai quali, per la particolarità del caso, non si adattano le formule stabilite;
g) le dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione, ai sensi dell’articolo 157 del codice civile.
g-ter) gli accordi di separazione personale, di scioglimento o di cessazione degli ef¬fetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;
2. Nei medesimi archivi l’ufficiale dello stato civile trascrive:
a) gli atti dei matrimoni celebrati nello stesso comune davanti ai ministri di culto;
b) gli atti dei matrimoni, celebrati ai sensi dell’articolo 109 del codice civile, trasmes¬si all’ufficiale dello stato civile dei comuni di residenza degli sposi;
c) gli atti dei matrimoni celebrati all’estero;
d) gli atti dei matrimoni celebrati dinanzi all’autorità diplomatica o consolare stranie¬ra in Italia fra cittadini stranieri quando esistono convenzioni in materia;
e) gli atti e i processi verbali dei matrimoni celebrati in caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, a norma degli articoli 204, 208 e 834 del codice della navigazione;
f) le sentenze dalle quali risulta la esistenza del matrimonio;
g) le sentenze e gli altri atti con cui si pronuncia all’estero la nullità, lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili di un matrimonio ovvero si rettifica in qualsiasi modo un atto di matrimonio già iscritto o trascritto negli archivi di cui all’articolo 10;
h) le sentenze della corte di appello previste dall’articolo 17 della legge 27 maggio 1929, n.847, e dall’articolo 8, comma 2, dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Repubblica italiana e la Santa Sede ratificato dalla legge 25 marzo 1985, n.121;
h-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una so¬luzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
3. Gli atti indicati nelle lettere a) e b) del comma 2 devono essere trascritti per intero.
c) Le annotazioni negli atti di nascita
Vanno considerate forme di pubblicità notizia le annotazioni a margine dell’atto di nascita previste dalla legge in caso di provvedimenti relativi allo status delle persone.
Si pensi per esempio ai provvedimenti di adozione di maggiorenni e di minori di età. A tale proposi¬to l’art. 314 c.c. (per l’adozione di maggiorenni e di minori in casi particolari ex art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184) prescrive che “La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’an¬notazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato. Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato”.
Per l’adozione dei minori di età dichiarati in stato di adottabilità l’art. 26, quarto comma, della leg¬ge 4 maggio 1983, n. 184 prescrive che “La sentenza che pronuncia l’adozione, divenuta definitiva, è immediatamente trascritta nel registro di cui all’articolo 18 e comunicata all’ufficiale dello stato civile che la annota a margine dell’atto di nascita dell’adottato”.
Per le tutele l’ultimo comma dell’art. 383 c.c. prescrive che “Dell’apertura e della chiusura della tu¬tela il cancelliere dà comunicazione entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in margine all’atto di nascita del minore”.
Per quanto concerne l’interdizione l’art. 423 del codice civile prevede che “Il decreto di nomina del tutore o del curatore provvisorio e la sentenza d’interdizione o d’inabilitazione devono essere im¬mediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro e comunicati entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita”.
Per quanto riguarda l’amministrazione di sostegno l’art. 405 prescrive all’ultimo comma che “Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno, il decreto di chiusura ed ogni altro provvedi¬mento assunto dal giudice tutelare nel corso dell’amministrazione di sostegno devono essere im¬mediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro. Il decreto di apertura dell’am¬ministrazione di sostegno e il decreto di chiusura devono essere comunicati, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga”.
L’art. 49 bis disp. att. cod. civ. indica il contenuto delle annotazioni che vanno effettuate a cura del Cancelliere nel registro delle amministrazioni di sostegno.
L’art. 10 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni prescrive che “La sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando sia passata in giudicato, deve essere trasmessa in copia autentica, a cura del cancelliere del tribunale o della Corte che l’ha emessa, all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni…”.Cass. civ. Sez. I, 8 luglio 1977, n. 3038 ha chiarito che tutti gli effetti della sentenza di divorzio – sia quelli personali che quelli patrimoniali – si producono tra le parti, i loro eredi o aventi causa, dal momento del suo passaggio in giudicato, secondo i principi generali con¬tenuti negli artt 2908 e 2909 Cod. civ., mentre l’annotazione (o meglio, la trascrizione) nei registri dello stato civile, a norma dell’art. 10 della legge n. 898 del 1970, attiene unicamente agli effetti erga omnes della pronuncia stessa, in considerazione dell’efficacia non costitutiva, dello status delle persone fisiche, che è propria dei registri dello stato civile.
E così per molti altri provvedimenti sullo status.
Come conseguenza delle disposizioni sopra indicate e di altre che prevedono analoghi incombenti, il DPR 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento di stato civile) all’art. 49 prevede l’annotazione negli atti di nascita dei provvedimenti sullo status, precisando che:
Negli atti di nascita si annotano:
a) i provvedimenti di adozione e di revoca;
b) i provvedimenti di revoca o di estinzione dell’affiliazione;
c) le comunicazioni di apertura e di chiusura della tutela, eccettuati i casi di interdi¬zione legale;
d) i decreti di nomina e di revoca del tutore o del curatore provvisorio in pendenza del giudizio di interdizione o di inabilitazione;
e) le sentenze di interdizione o di inabilitazione e quelle di revoca;
f) gli atti di matrimonio e le sentenze dalle quali risulta l’esistenza del matrimonio;
g) le sentenze che pronunciano la nullità, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;
g-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del matrimonio;
g-ter) gli accordi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;
h) i provvedimenti della corte di appello previsti nell’articolo 17 della legge 27 mag¬gio 1929, n. 847, e le sentenze con le quali si pronuncia l’annullamento della trascri¬zione di un matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto;
i) gli atti e i provvedimenti riguardanti l’acquisto, la perdita, la rinuncia o il riacquisto della cittadinanza italiana;
j) le sentenze dichiarative di assenza o di morte presunta e quelle che, a termini dell’articolo 67 del codice civile, dichiarano la esistenza delle persone di cui era stata dichiarata la morte presunta o ne accertano la morte;
k) gli atti di riconoscimento di filiazione naturale, in qualunque forma effettuati;
l) le domande di impugnazione del riconoscimento, quando ne è ordinata l’annota¬zione, e le relative sentenze di rigetto;
m) le sentenze che pronunciano la nullità o l’annullamento dell’atto di riconoscimen¬to;
n) le legittimazioni per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice e le sentenze che accolgono le relative impugnazioni;
o) le sentenze che dichiarano o disconoscono la filiazione legittima;
p) i provvedimenti che determinano il cambiamento o la modifica del nome cognome relativi alla persona cui l’atto si riferisce; quelli che determinano il cambiamento o la modifica del cognome relativi alla persona da cui l’intestatario dell’atto ha derivato il cognome, salvi i casi in cui il predetto intestatario, se maggiorenne, si sia avvalso della facoltà di poter mantenere il cognome precedentemente posseduto;
q) le sentenze relative al diritto di uso di uno pseudonimo;
r) gli atti di morte;
s) i provvedimenti di rettificazione che riguardano l’atto già iscritto o trascritto nei registri.
L’annotazione di tutti i provvedimenti sopra richiamati nell’atto di nascita assolve a funzioni di pubblicità notizia, dal momento che la legge non subordina alla pubblicità l’opponibilità dell’atto, che quindi è pienamente valido ed efficace anche ove non fosse trascritto o fosse trascritto dopo molto tempo, come spesso avviene.
d) Le annotazioni negli atti di matrimonio
Sono considerate ugualmente forme di pubblicità notizia le annotazioni a margine dell’atto di ma¬trimonio.
Secondo quanto dispone l’art. 69 dell’Ordinamento di stato civile, nell’atto di matrimonio si fa annotazione:
a) della trasmissione al ministro di culto della comunicazione dell’avvenuta trascri¬zione dell’atto di matrimonio da lui celebrato;
b) delle convenzioni matrimoniali, delle relative modificazioni, delle sentenze di omologazione di cui all’articolo 163 del codice civile, delle sentenze di separazione giudiziale dei beni di cui all’articolo 193 del codice civile, e della scelta della legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali ai sensi dell’articolo 30, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218;
c) dei ricorsi per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, e delle relative pronunce;
d) delle sentenze, anche straniere, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; di quelle che dichiarano efficace nello Stato la pronuncia straniera di nullità o di scioglimento del matrimonio; di quelle che dichiarano efficace nello Stato la pronuncia dell’autorità ecclesiastica di nullità del matrimonio; e di quelle che pronunciano la separazione personale dei coniugi o l’omologazione di quella consensuale;
d-bis) gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero autorizzati, conclusi tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimo¬nio, di scioglimento del matrimonio.
d-ter) degli accordi di separazione personale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;
e) delle sentenze con le quali si pronuncia l’annullamento della trascrizione dell’atto di matrimonio;
f) delle dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione;
g) delle sentenze dichiarative di assenza o di morte presunta di uno degli sposi e di quelle che dichiarano l’esistenza dello sposo di cui era stata dichiarata la morte presunta o ne accertano la morte;
h) dei provvedimenti che determinano il cambiamento o la modificazione del cogno¬me o del nome o di entrambi e dei provvedimenti di revoca relativi ad uno degli sposi;
i) dei provvedimenti di rettificazione.

III La trascrizione degli atti di stato civile formati all’estero
Il titolo IV dell’Ordinamento di stato civile (dall’articolo 15 all’articolo 20) si occupa degli atti dello stato civile formati all’estero.
Si prevede che le dichiarazioni di nascita e di morte relative a cittadini italiani nati o deceduti all’estero sono rese all’autorità consolare e che devono farsi secondo le norme stabilite dalla legge del luogo alle autorità locali competenti. In questi casi copia dell’atto è inviata immediatamente, a cura del dichiarante, all’autorità diplomatica o consolare.
Per quanto attiene al matrimonio si chiarisce all’artt. 16 che il matrimonio all’estero, quando i coniugi sono entrambi cittadini italiani o uno di essi è cittadino italiano e l’altro è cittadino stranie¬ro, può essere celebrato innanzi all’autorità diplomatica o consolare competente, oppure innanzi all’autorità locale secondo le leggi del luogo. In quest’ultimo caso una copia dell’atto è rimessa a cura degli interessati all’autorità diplomatica o consolare.
Secondo poi quanto prevede l’art. 17 l’autorità diplomatica o consolare trasmette ai fini della tra¬scrizione copia degli atti e dei provvedimenti relativi al cittadino italiano formati all’estero all’uffi¬ciale dello stato civile del comune in cui l’interessato ha o dichiara che intende stabilire la propria residenza, o a quello del comune di iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o, in mancanza, a quello del comune di iscrizione o trascrizione dell’atto di nascita, ovvero, se egli è nato e residente all’estero, a quello del comune di nascita o di residenza della madre o del padre di lui, ovvero dell’avo materno o paterno. Se i coniugi risiedono in comuni diversi l’atto di matri¬monio è inviato ad entrambi i comuni. Nel caso in cui non è possibile provvedere con i criteri sopra indicati, l’interessato, su espresso invito dell’autorità diplomatica o consolare, dovrà indicare un comune a sua scelta.
Fondamentale è l’art. 18 (Casi di intrascrivibilità) in cui si prevede che “Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico”.
Su richiesta dei cittadini stranieri residenti in Italia – chiarisce poi l’art. 19 – possono essere trascritti, nel comune dove essi risiedono, gli atti dello stato civile che li riguardano formati all’estero. Tali atti devono essere presentati unitamente alla traduzione in lingua italiana e alla legalizzazione, ove prescritta, da parte della competente autorità straniera. Possono altresì esse¬re trascritti gli atti dei matrimoni celebrati fra cittadini stranieri dinanzi all’autorità diplomatica o consolare straniera in Italia, se ciò è consentito dalle convenzioni vigenti in materia con il Paese cui detta autorità appartiene.
IV La contrarietà all’ordine pubblico come limite di trascrivibilità degli atti di stato civile formati all’estero
Come si è visto, l’art. 18 dell’Ordinamento di stato civile prevede che “Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico”.
Lo stesso limite è previsto per il riconoscimento delle sentenze straniere3 sebbene nell’ambito delle norme di diritto internazionale privato (articoli 16 e 64 lett. g della legge 31 maggio 1995, n. 218; art. 24 lett. a del Regolamento n. 4/2009 e art. 22 lett. a e 23 lett. a del Regolamento n. 2201/2003) vale il principio dell’automatico riconoscimento della decisione straniera salvo il caso in cui la decisione da riconoscere sia contestata o debba essere oggetto di esecuzione.
Il tema del contrasto dell’atto di stato civile straniero o della sentenza straniera con i principi dell’ordine pubblico è molto vasto e si può rinviare alla voce apposita4.
In questa sede è però opportuno ricordare che la nozione civilistica di ordine pubblico ha due signi¬ficati diversi. Si parla di ordine pubblico interno allorché lo si considera come un limite di validità dell’autonomia privata, mentre si parla di ordine pubblico internazionale – che è pur sempre, però, una nozione di carattere interno e non certo internazionale – allorché lo si considera come limite all’applicazione di norme o sentenze straniere.
La nozione di ordine pubblico internazionale è relativamente nuova nel nostro sistema giuridico e si deve soprattutto alla disciplina di diritto internazionale privato introdotta nel 1995 con la legge 31 maggio 1995, n. 218. Prima di tale normativa – che ha mutato radicalmente l’ottica dei rapporti tra il nostro ordinamento e quelli stranieri mettendo tutti gli ordinamenti nazionali su uno stesso piano – era concepibile solo una nozione interna di ordine pubblico alla quale appunto faceva rife¬rimento il previgente art. 797 c.p.c. (dove si prevedeva che la delibazione della sentenza straniera era ammessa solo non contiene “disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano”). Ora che le sentenze e i provvedimenti stranieri hanno efficacia in Italia “senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento” (articoli 64 e 66 legge 218/95), lo sbarramento all’ingresso di provvedimenti e norme straniere è regolato da principi di più ampia portata. Si tratta dei principi fondamentali della nostra Costituzione e in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, ri¬spondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che in¬formano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale (Cass. civ. Sez. lavoro, 26 novembre 2004, n. 22332; Cass. civ. Sez. lavoro, 4 maggio 2007, n. 10215). Sul concetto di ordine pubblico internazionale rimane fondamentale Cass. civ. Sez. I, 6 dicembre 2002 n. 17349 secondo cui il concetto di ordine pubblico di cui all’art. 64 lett. g della legge n. 218 del 1995 non si identifica più con il cosiddetto ordine pubblico interno – e, cioè, con qualsiasi norma imperativa dell’ordinamen¬to civile – bensì con quello di ordine pubblico internazionale, costituito dai principi fondamentali unanimemente riconosciuti a livello europeo e internazionale anche pattizio caratterizzanti l’atteg¬giamento etico – giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico.
Nel ricercare i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, il giudice quindi deve tener conto delle regole e dei principi entrati a far parte del nostro sistema giuridico in virtù del suo conformar¬si ai precetti del diritto internazionale, sia generale che pattizio, e del diritto dell’Unione europea.
Secondo Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 il giudice italiano, chiamato a valu¬tare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 della legge 31 maggio 1995, n. 218 e dell’art. 18 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una di¬sciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne, seppure imperative o inderogabili, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta Costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
V Il ricorso avverso il diniego di trascrizione (il procedimento di “rettificazione” degli atti di stato civile)
a) il procedimento
L’ordinamento di stato civile agli articoli 95 e 96 prevede un procedimento chiamato impropria¬mente “di rettificazione” davanti al tribunale in camera di consiglio a tutela di chi intende opporsi al rifiuto dell’ufficiale di stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o un altro adempimento.
Il tribunale senza particolari formalità può assumere informazioni, acquisire documenti e può an¬che procedere all’audizione delle parti e dello stesso ufficiale di stato civile, provvedendo, come detto, in camera di consiglio.5
Analogamente si provvede alla correzione degli errori materiali.6
5 Art. 95 (Ricorso)
1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento.
2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1.
3. L’interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originaria¬mente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale.
Art. 96 (Procedimento)
1. Il tribunale può, senza particolari formalità, assumere informazioni, acquisire documenti e disporre l’audizione dell’ufficiale dello stato civile.
2. Il tribunale, prima di provvedere, deve sentire il procuratore della Repubblica e gli interessati e richiedere, se del caso, il parere del giudice tutelare.
3. Sulla domanda il tribunale provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano, in quanto com¬patibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile nonché, per quanto riguarda i soggetti cui non può essere opposto il decreto di rettificazione, l’articolo 455 del codice civile.
6 Art. 98 (Correzioni)
1. L’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli interessati.
2. L’ufficiale dello stato civile provvede con le stesse modalità di cui al comma 1 nel caso in cui riceva, per la registrazione, un atto di nascita relativo a cittadino italiano nato all’estero da genitori legittimamente uniti in matrimonio ovvero relativo a cittadino italiano riconosciuto come figlio naturale ai sensi dell’articolo 262, primo comma, del codice civile, al quale sia stato imposto un cognome diverso da quello ad esso spettante per la legge italiana. Quest’ultimo cognome deve essere indicato nell’annotazione.
3. Avverso la correzione, il procuratore della Repubblica o chiunque ne abbia interesse può proporre, entro trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, opposizione mediante ricorso al tribunale che decide in camera di consiglio con decreto motivato che ha efficacia immediata.

b) L’art. 95 dell’Ordinamento di stato civile come norma a valenza generale
Di particolare interesse – per i riflessi generali che ha nelle cause di disconoscimento – è il con¬tenuto del terzo comma dell’art. 95 ove si prescrive che “L’interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale”. Questa disposizione se¬condo la giurisprudenza ha una valenza generale nel senso che può essere utilizzata in sede giudi¬ziaria tutte le volte in cui dalla decisione del tribunale, per esempio nell’azione di disconoscimento della paternità, potrebbe derivare all’interessato la perdita del cognome. Si legge in Cass. civ. Sez. I, 16 aprile 2014, n. 8876 che la Corte costituzionale, sin dal 1994 (Corte cost., 3 febbraio 1994, n. 13) ha osservato che, posto che nella disciplina giuridica del nome confluiscono esigenze di natura sia pubblica che privata, ove si accerti che il cognome già attribuito ad un soggetto non è quello spettantegli per legge in base allo “status familiae”, l’interesse pubblico a garantire la fede del registro degli atti dello stato civile è soddisfatto mediante la rettifica dell’atto riconosciuto non veritiero, ma non può condurre a sacrificare l’interesse individuale a conservare il cognome man¬tenuto fino a quel momento nella vita di relazione e divenuto ormai segno distintivo dell’identità personale, tutelata dall’art. 2 Cost.; tanto più che, nel caso in cui la rettifica riguardi persona in età avanzata con discendenti, la negazione dell’interesse individuale finirebbe col pregiudicare lo stes¬so interesse generale alla certa e costante identificazione delle persone. Pertanto, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 2 Cost. – il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 165, nella parte in cui non prevedeva che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenu¬ta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comportava il cambiamento del cognome, il soggetto stesso potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo fosse ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale. Il D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, al terzo comma dell’art. 95 – secondo questa sentenza – ha codificato il principio enunciato con la pronuncia della Corte costituzionale, prevedendo che nell’ipotesi di rettificazione di atti dello stato civile “l’interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale”.
In effetti, a seguito della sentenza di disconoscimento l’ufficiale di stato civile deve eseguire la relativa annotazione (art. 49, comma 1, lett. o del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) cui seguirebbe la perdita del cognome originario. Questo automatismo è stato giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza 3 febbraio 1994, n. 13 con cui si è in sostanza affermato che l’in¬teresse pubblico a garantire la fede del registro degli atti dello stato civile è soddisfatto mediante la rettifica dell’atto riconosciuto non veritiero, ma non può condurre a sacrificare l’interesse indivi¬duale a conservare il cognome mantenuto fino a quel momento nella vita di relazione e divenuto ormai segno distintivo dell’identità personale, tutelata dall’art. 2 Costituzione. L’art. 95 dell’Ordi¬namento di stato civile – si legge nella decisione – è norma di carattere generale applicabile in tutti i casi in cui un atto dello stato civile deve subìre una rettifica (ivi compreso il cambio del cognome a seguito di disconoscimento) e pertanto l’interessato può chiedere al tribunale, proprio ai sensi del richiamato ultimo comma dell’art. 95 di mantenere il cognome originario.
VI La trascrizione degli atti di nascita formati all’estero
Come si è detto, il concetto di ordine pubblico che fa da limite alla trascrivibilità di atti di stato civile formati all’estero (così come delle sentenze straniere il cui riconoscimento è contestato in Italia) è quello di “ordine pubblico internazionale”. Il principio è quello secondo cui – come si è visto – il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, deve verificare – a norma dell’art. 18 dell’Or¬dinamento di stato civile che prevede il divieto di trascrizione degli atti contrari all’ordine pubblico – non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne, seppure imperative o inderogabili, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta Costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
a) L’atto di nascita da fecondazione eterologa
La legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) all’art. 5 e all’art. 12 prevedono il divieto di utilizzazione a fini procreativi di gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente (sia pure nei limiti definiti da Corte cost. 10 giugno 2014, n. 162).
A questa ipotesi si è riferita Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 affermando che l’atto di nascita straniero (valido, nella specie, sulla base di una legge in vigore in un altro Paese della U.E.) da cui risulti la nascita di un figlio da due madri (per avere l’una donato l’ovulo e l’altra partorito), non contrasta di per sé con l’ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utiliz¬zata non sia riconosciuta nell’ordinamento italiano dalla legge n. 40 del 2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate.
Due donne, una cittadina italiana e l’altra cittadina spagnola, avevano contratto matrimonio in Spagna nel 2009. Si rivolgono nel 2013 all’ufficiale di stato civile del Comune di Torino per chie¬dere la trascrizione dell’atto di nascita del loro figlio partorito da una di esse con ovuli fecondati in vitro donati dall’altra. L’ufficiale dello stato civile di Torino ha opposto un rifiuto per ragioni di ordine pubblico; successivamente, hanno divorziato consensualmente in Spagna, sulla base di un accordo, sottoscritto dalle parti in data 21 ottobre 2013, che prevede l’affidamento congiunto del minore ad entrambe con condivisione della responsabilità genitoriale. Il ricorso avverso il diniego dell’ufficiale di stato civile veniva rigettato dal Tribunale di Torino il quale riteneva infondata la domanda di trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, perché contrastante con il princi¬pio, di ordine pubblico, in base al quale nell’ordinamento italiano madre è soltanto colei che ha partorito il bambino.
Il decreto del Tribunale veniva reclamato e la Corte d’appello di Torino, con decreto del 4 dicembre 2014, in accoglimento del reclamo, ordinava all’Ufficiale dello stato civile di Torino di trascrivere l’atto di nascita. La Corte riteneva che l’atto di nascita fosse trascrivibile nei registri dello stato civile italiano, a norma dell’art. 17 dell’Ordinamento di stato civile, restando precluso al giudice italiano di sovrapporre autonomi accertamenti sulla validità di un titolo formato all’estero secon¬do la legge straniera. Secondo la Corte d’appello, la nozione di ordine pubblico, ai fini del diritto internazionale privato, deve essere valutata sotto il profilo dell’ordine pubblico internazionale e, quindi, in termini di conformità al complesso dei principi caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico e fondati sulle esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, comuni ai diversi ordinamenti e, quindi, sulla base di valori condivisi nella comunità giuridica so¬vranazionale, di cui parte importante è la giurisprudenza della Corte Edu ex art. 117 Cost., comma 1, e della Corte di giustizia UE, valori tutti da interpretare in correlazione all’interesse superiore del minore. Tanto premesso, la sentenza escludeva la violazione del principio di ordine pubblico
Avverso il suddetto decreto proponeva ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repub¬blica presso la Corte d’appello di Torino e il Ministero dell’interno. La Corte di cassazione li riteneva infondati.
Si premette nella sentenza che “è indispensabile soffermarsi sul contenuto e sull’evoluzione della nozione di ordine pubblico nella giurisprudenza di legittimità”. Ed a tale proposito si osserva che si è avuta una progressiva evoluzione nell’interpretazione della nozione di ordine pubblico, inteso originariamente come espressione di un limite riferibile all’ordinamento giuridico nazionale, ai fini della salvaguardia di determinate concezioni di ordine morale e politico, particolarmente afferma¬te nella società statuale e assunte dal legislatore (ordinario) a criteri direttivi e informatori della sua opera. La nozione di ordine pubblico era funzionale ad escludere l’applicabilità delle norme straniere costituenti espressione di principi etici contrastanti con quelli dell’ordinamento inter¬no in un determinato momento storico, o più precisamente con quei principi a cui lo Stato “non può o non crede di dover rinunziare” ovvero con i “sommi inderogabili canoni del nostro sistema positivo” (Cass., sez. un., n. 1220 del 1964; n. 3881 del 1969). La nozione di ordine pubblico in senso internazionale veniva ritenuta non pertinente, in quanto troppo astratta (cfr. Cass. n. 818 del 1962), oppure legata ai principi dell’ordinamento interno, cioè alle regole di contenuto rigido, aderenti alle esigenze peculiari del singolo Stato e perciò destinate ad operare solo nel suo ambito. La conseguenza era di impedire l’applicazione, nel territorio dello Stato, di qualsiasi disposizione del diritto straniero non conforme a quelle norme di diritto interno che dal giudice fossero ritenute rappresentative di uno stabile assetto normativo nazionale.
A questa concezione di ispirazione statualista se ne è opposta un’altra, di maggiore apertura verso gli ordinamenti esterni e più aderente agli artt. 10 e 11 Cost., e art. 117 Cost., comma 1, e alla corrispondente attuale posizione dell’ordinamento italiano in ambito internazionale. Tale più aperta concezione si fonda su una maggiore partecipazione dei singoli Stati alla vita della comunità in¬ternazionale, la quale sempre meglio è capace di esprimere principi generalmente condivisi e non necessariamente tradotti in norme interne, così da sottrarre la nozione di ordine pubblico interna¬zionale sia ad un’eccessiva indeterminatezza sia ad un legame troppo rigido con i mutevoli conte¬nuti delle legislazioni vigenti nei singoli ordinamenti nazionali. Se l’ordine pubblico si identificasse con quello esclusivamente interno, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di norme materiali aventi contenuto analogo a quelle italiane, cancellando la diver¬sità tra i sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato (cfr. Cass. n. 10215 del 2007, n. 14462 del 2000).
Questa evoluzione della nozione di ordine pubblico segna un progressivo e condivisibile allen¬tamento del livello di guardia tradizionalmente opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di norme, istituti giuridici e valori estranei. Se ne ha conferma nella normativa comunitaria, che esclude il riconoscimento delle decisioni emesse in uno Stato membro (ora previsto come automa¬tico) nei soli casi di “manifesta” contrarietà all’ordine pubblico (cfr., ad es., l’art. 34 del regol. CE 22 dicembre 2001 n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecu¬zione delle decisioni in materia civile e commerciale; l’art. 26 del regol. CE 11 luglio 2007 n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali; l’art. 22 e 23 del regol. CE 27 novembre 2003, n. 2201, in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale; l’art. 24 del regol. CE 18 dicembre 2008, n. 4/2009, in materia di obbligazioni alimentari). Nella giurisprudenza comunitaria il ricorso al limite dell’ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e grave nei confronti di un interesse fonda¬mentale della società (cfr. Corte giust. UE, 4 ottobre 2012, C-249/11, per giustificare le deroghe alla libera circolazione delle persone invocabili dagli Stati membri).
Nella giurisprudenza di legittimità più recente prevale il riferimento all’ordine pubblico internazio¬nale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uo¬mo comuni ai diversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (cfr., tra le tante, Cass. n. 1302 e 19405 del 2013, n. 27592 del 2006, n. 22332 del 2004, n. 17349 del 2002). Il legame, pur sempre necessario con l’ordinamento nazionale, è da intendersi limitato ai principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione (già secondo Corte cost. n. 214 del 1983, la verifica del rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituziona¬le costituisce un “passaggio obbligato della tematica dell’ordine pubblico”), ma anche – laddove compatibili con essa (come nella materia in esame) – dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonchè dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
In altri termini, i principi di ordine pubblico devono essere ricercati esclusivamente nei principi supremi e/o fondamentali della nostra Carta costituzionale, vale a dire in quelli che non potreb¬bero essere sovvertiti dal legislatore ordinario (non sarebbe conforme a questa impostazione, ad esempio, l’orientamento espresso da Cass. n. 3444 del 1968 che, in passato, negava ingresso alle sentenze straniere di divorzio, solo perchè la legislazione ordinaria dell’epoca stabiliva l’in¬dissolubilità del matrimonio, sebbene detta indissolubilità non esprimesse alcun principio o valore costituzionale essenziale; v. Corte cost. n. 169 del 1971 sulla dissolubilità degli effetti civili del matrimonio concordatario).
Ciò significa che un contrasto con l’ordine pubblico non è ravvisabile per il solo fatto che la norma straniera sia difforme contenutisticamente da una o più disposizioni del diritto nazionale, perché il parametro di riferimento non è costituto (o non è costituito più) dalle norme con le quali il legi¬slatore ordinario eserciti (o abbia esercitato) la propria discrezionalità in una determinata mate¬ria, ma esclusivamente dai principi fondamentali vincolanti per lo stesso legislatore ordinario. La ricerca di tali principi – è opportuno precisare – richiede una delicata operazione ermeneutica che non si fermi alla lettera della disposizione normativa, seppure di rango costituzionale, com’è dimo¬strato dal fatto che esistono in Costituzione norme dalle quali non si evincono principi inviolabili e che, quindi, non concorrono ad integrare la nozione di ordine pubblico (è il caso, ad esempio, dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali che, sebbene sancito dall’art. 111 Cost., comma 6, non rientra tra i principi inviolabili fissati a garanzia del diritto di difesa, cfr. Cass. n. 3365 del 2000).
Il giudice, al quale è affidato il compito di verificare preventivamente la compatibilità della norma straniera con tali principi, dovrà negare il contrasto con l’ordine pubblico in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con la legislazione nazionale vigente, quando questa rappresenti una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore ordinario in un determinato momento storico. Da tempo, infatti, questa Corte ha precisato che le norme espressive dell’ordine pubblico non coincidono con quelle imperative o inderogabili (cfr. Cass. n. 4040 del 2006, n. 13928 del 1999, n. 2215 del 1984), sicché il contrasto con queste ultime non costituisce, di per sé solo, impedimento all’ingresso dell’atto straniero; il giudice deve avere riguardo non già all’astratta formulazione della disposizione straniera o alla correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano, bensì “ai suoi effetti” (come ribadito da Cass. n. 9483 del 2013), in termini di compatibilità con il nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento.
Si tratta di un giudizio (o di un test) simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui il giudice possa motivatamente ritenere che al legislatore ordinario sarebbe ipoteticamente precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con valori costituzionali primari.
La progressiva riduzione della portata del principio di ordine pubblico – tradizionalmente inteso come clausola di sbarramento alla circolazione dei valori giuridici cui tende, invece, il sistema del diritto internazionale privato – è coerente con la storicità della nozione e trova un limite soltanto nella potenziale aggressione dell’atto giuridico straniero ai valori essenziali dell’ordinamento inter¬no, da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale.
Si deve, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero (nella specie, dell’atto di na¬scita), i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma della L. n. 218 del 1995, artt. 16, 64 e 65, e D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una disci¬plina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonchè dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Si tratta, in particolare, della tutela dell’interesse superiore del minore, anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, valori questi già presenti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale.
Si deve enunciare il seguente principio di diritto: il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne – in particolare, da una donna italiana (indicata come madre B) che ha donato l’ovulo ad una donna spagnola (indicata come madre A) che l’ha partorito, nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese – non contrastano con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello statua filiationis, validamente acquisito all’estero (nella specie, in un altro paese della UE).
b) L’atto di nascita da maternità surrogata
La legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) all’art. 12 prevede il divieto di realizzare, organizzare o pubblicizzare la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità.
Sul rifiuto di trascrizione di atti di stato civile formati all’estero in ordinamenti in cui la surrogazione di maternità non è vietata si sono pronunciate due decisioni della Corte Europea dei diritti dell’Uo¬mo e una sentenza della Corte di cassazione.
– Corte europea dei diritti dell’uomo, 26 giugno 2014 (Mennesson e Labassee c. Francia)
Nelle due sentenze gemelle del 26 giugno 2014 nei casi Mennesson e Labassee le questioni sotto¬poste al giudizio della Corte riguardavano il rifiuto di attribuire riconoscimento legale in Francia ai rapporti genitoriali che erano stati legalmente stabiliti negli Stati Uniti tra minori nati da maternità surrogata e le coppie che si erano sottoposte a tale trattamento. In entrambi i casi la Corte ha deciso, unanimemente, che non vi è violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare) riguardante il diritto dei ricorrenti al rispetto della propria vita familiare mentre vi è violazione dell’art. 8 riguardante il diritto dei minori al rispetto della propria vita privata.
I minori erano nati da maternità surrogata ma con donazione dei gameti da parte rispettivamente del signor Mennesson e del sig. Labassee.
A seguito del rifiuto delle autorità francesi di registrare nel registro francese delle nascite i certi¬ficati di nascita dei minori nati, le coppie decidevano di adire le vie legali. La Corte di Cassazione ha rigettato le pretese dei ricorrenti riconoscendo che la registrazione avrebbe attribuito effetti ad un accordo di maternità surrogata che era nullo e violava l’ordine pubblico secondo il Codice Civile francese. La Corte ha stabilito che non vi era stata violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare dal momento che l’annullamento delle registrazioni non aveva privato i minori del rapporto legale materno e paterno riconosciuto dalle leggi americane e non aveva impedito loro di vivere in Francia con le coppie Mennesson e Labassee.
La Corte europea ha osservato che le autorità francesi, sebbene fossero consapevoli che i minori erano stati identificati negli Stati Uniti come figli dei coniugi Mennesson e dei coniugi Labassee, avevano tuttavia negato loro quello status secondo la legge francese. Questa contraddizione mi¬nava l’identità dei minori all’interno della società francese. La Corte ha inoltre notato che la giuri¬sprudenza ha completamente precluso l’istituzione di un rapporto legale tra minori nati in seguito a trattamenti di maternità surrogata ed il loro padre biologico. Questo oltrepassava l’ampio margine di discrezionalità lasciato agli Stati nella sfera delle decisioni legate alla surrogazione.
– Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 gennaio 2015 (Paradisi-Campanelli v. Italia)
In una vicenda in cui due coniugi italiani avevano invano chiesto in Italia la trascrizione di un atto di nascita da maternità surrogata redatto in Russia ed in cui avevano subìto l’allontanamento del neonato portato in Italia e poi dichiarato adottabile, la Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 gennaio 2015 aveva inizialmente affermato che “il concetto di ordine pubblico non può essere una carte bianca che giustifica qualunque decisione dello Stato membro, poiché l’obbligo di tenere conto dell’interesse superiore del minore incombe sullo Stato indipendentemente dal tipo di legame tra genitori e figlio, che sia genetico o di altra natura”. La Corte di Strasburgo ha rilevato, in particolare, che le ragioni di ordine pubblico sottostanti alle decisioni delle autorità italiane – secondo cui i ricor¬renti avevano tentato di eludere il divieto in Italia di utilizzare gli accordi di maternità surrogata e le norme che disciplinano l’adozione internazionale – non potevano prevalere sull’interesse superiore del minore, nonostante l’assenza di qualsiasi relazione biologica ed il breve periodo durante il quale i ricorrenti se ne erano occupati. I giudici europei, dunque, hanno ribadito che togliere un bambino ai genitori, ancorché frutto di maternità surrogata, costituisce una misura estrema che può essere giustificata solo in caso di pericolo immediato per il bambino, osservando dunque che, nel caso di specie, le condizioni per giustificare una simile misura non erano state soddisfatte. In ogni caso, ha chiarito la Corte di Strasburgo, le conclusioni cui è pervenuta la Corte non sono da intendersi come obbligo per lo Stato italiano di “restituire” il bambino ai ricorrenti, avendo questi sviluppato senza alcun dubbio legami affettivi con la famiglia affidataria con la quale aveva vissuto dal 2013.
I ricorrenti, Paradiso e Campanelli, sono due coniugi che, in seguito al fallimento delle tecniche di PMA cui si erano sottoposti, avevano deciso di recarsi all’estero e di stipulare un contratto di gestazione per altri in Russia. Secondo la legge russa, alla nascita del bambino, nel 2011, i coniugi erano stati registrati come genitori del bambino, senza indicazione della maternità surrogata. Al rientro in Italia, il ricorrente aveva chiesto la trascrizione del certificato di nascita del figlio, ma il consolato italiano a Mosca aveva informato il tribunale dei minori di Campobasso che il documento conteneva false attestazioni. I coniugi subivano quindi un procedimento penale nel quale venivano chiamati a rispondere del reato di falsa attestazione e della violazione della legge sulle adozioni. Contestualmente il Tribunale dei minori di Campobasso apriva un procedimento per la dichiarazio¬ne di adottabilità del bambino. Il signor Campanelli, inoltre, risultava non essere il padre biologico del bambino. Di conseguenza, il tribunale dei minori stabiliva che il minore doveva essere sottratto dai ricorrenti e dato in affidamento. Dopo essere stato in una struttura dei servizi sociali, nel 2013 il minore veniva affidato ad una famiglia e riceveva una nuova identità.
I ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dell’Italia, in particolare, per quan¬to riguarda la sottrazione del minore alle loro cure e il rifiuto di riconoscere la relazione genitoriale, attraverso la mancata trascrizione del certificato di nascita redatto all’estero.
Con riguardo alla sottrazione del minore dalla tutela dei ricorrenti, la Corte riconosce l’esistenza di una «de facto family life between the couple and the child», la conseguente applicabilità dell’art. 8 CEDU al caso di specie e l’ammissibilità del ricorso. Nonostante i ricorrenti avessero passato solo sei mesi con il bambino, infatti, questo pur breve periodo aveva consentito l’instaurarsi di una rela¬zione tra i coniugi e il minore. Le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti del bambino, la sua sottrazione ai ricorrenti e l’affido costituiscono, secondo la Corte, un’illegittima interferenza nella vita privata e familiare. Pur considerando che l’attività delle autorità italiane è stata motivata dall’esigenza di porre termine ad una situazione illegittima, la Corte rileva che l’esigenza di tutelare l’ordine pubblico non può essere utilizzata in modo automatico, senza prendere in considerazione il miglior interesse del minore e la relazione genitoriale (sia essa biologica o non).
La Camera alta della Corte europea, successivamente, in sede di appello ha, però, escluso che l’allontanamento del bambino fosse una violazione del diritto a non subire limitazioni della propria vita privata.
– Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24
La sentenza Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001 (confermando la decisione di me¬rito, con la quale era stato dichiarato lo stato di adottabilità di un minore, generato da una donna ucraina su commissione di una coppia italiana) aveva ritenuto contrastante con l’ordine pubblico internazionale l’atto di nascita da maternità surrogata, ritenendo che il divieto di surrogazione della maternità comminato dall’art. 12, comma 6, legge 19 febbraio 2004, n. 40 esprime un principio di ordine pubblico internazionale, in quanto fondamentale ed irrinunciabile per la ragione che esso è non soltanto è assistito da sanzione penale, protegge la dignità costituzionalmente tutelata della ge¬stante e dei minori. Pertanto, l’atto di nascita formato all’estero, che indichi come genitori del bam¬bino procreato attraverso tale tecnica la donna e l’uomo che vi abbiano fatto ricorso (peraltro, senza alcun legame genetico con il nato) è privo di effetti in Italia perché contrario all’ordine pubblico, con la conseguenza che il minore presente sul territorio italiano deve ritenersi in stato di abbandono e deve esserne dichiarato lo stato di adottabilità. L’ordine pubblico cosiddetto internazionale non può, secondo questa decisione, ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma compren¬de anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili.
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da una coppia che aveva fatto ricorso in Ucraina a pratiche di maternità surrogata.
Nel 2012 il Tribunale per i minorenni di Brescia, dopo aver accertato la mancanza di legami biolo¬gici fra una coppia e un bambino nato in Ucraina in seguito a maternità surrogata, aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore, sospendendo i coniugi dall’esercizio della potestà di genitori e nominando un tutore. Il certificato ucraino non avrebbe potuto essere riconosciuto in Italia perché lesivo dell’ordine pubblico e, in particolare, del divieto di maternità surrogata sancito dalla legge 40/2004. Venendo a mancare lo status di figlio legittimo del minore ed essendo dunque accertato lo stato di abbandono, il Tribunale aveva ritenuto di procedere alla dichiarazione di adottabilità.
A seguito del rigetto dell’appello in secondo grado (gennaio 2013), i genitori avevano proposto ricorso per Cassazione.
Ad avviso dei ricorrenti la statuizione di contrarietà all’ordine pubblico dell’atto di nascita potrebbe essere fondata solo ove si riscontrasse nella normativa ucraina che disciplina l’accertamento del rapporto di filiazione in quel paese una incompatibilità con le norme di ordine pubblico italiane, non essendo sufficiente il richiamo al divieto di surrogazione. Il riferimento non potrebbe infatti essere limitato all’ordine pubblico interno, identificabile con il rispetto di norme inderogabili, ma andreb¬be esteso all’ordine pubblico internazionale, da intendersi come insieme di principi che ispirano la comunità internazionale (es. interesse superiore del minore).
La Cassazione ammette che il richiamo non possa esaurirsi con il rispetto di norme imperative, ma che esso debba ricomprendere anche principi fondamentali dell’ordinamento che non coincidono però unicamente con i valori condivisi dalla comunità internazionale, dovendosi fare riferimento anche a principi e valori esclusivamente propri. “Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come già suggerisce la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali. Vengono qui in rilievo la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione governato da regola particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori”. Il divieto non è contrario alla tutela del superiore interesse del minore che risulta ragionevolmente tutelato dalla scelta legislativa di sottrarre la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico al semplice accordo delle parti e inquadrandolo, invece, nel quadro normativo che disciplina l’istituto dell’adozione.
Inconferente è anche il riferimento alle sentenze Mennesson e Labasee mediante le quali la Corte EDU ha ravvisato il superamento del margine di discrezionalità statale nel difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre committente allorché questi sia anche padre biologico del nato.
VII Il matrimonio contratto all’estero
a) La trascrizione del matrimonio contratto all’estero e le conseguenze dell’omessa tra¬scrizione
Mentre l’iscrizione dell’atto di matrimonio negli archivi dello stato civile non pone particolari pro¬blemi, trattandosi di un adempimento che l’ufficiale di stato civile compie di un atto da lui stesso compiuto, più problematico è il caso della trascrizione da parte dell’ufficiale di stato civile di atti di matrimoni contratti all’estero.
Il codice civile prevede, come si è visto, all’art 115che il cittadino italiano possa contrarre ma¬trimonio all’estero disponendo in tal caso che trovano comunque sempre applicazione le norme fondamentali che concernono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio (articoli 84-90), dichiarando, poi, che in tal caso il matrimonio è valido quando rispetta le forme stabilite nello Stato in cui viene celebrato. Il principio è ribadito nell’art. 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Ri¬forma del sistema italiano di diritto internazionale privato) il quale considera valido il matrimonio quanto alla forma se considerato valido quanto meno dalla legge del luogo di celebrazione.
Il DPR 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento di stato civile) prevede agli articoli 16 e 17 che il matrimonio all’estero tra due italiani o tra un italiano e uno straniero possa essere celebrato da¬vanti alla nostra autorità diplomatica/consolare o davanti all’autorità competente di quello Stato. Nel primo caso è la nostra autorità diplomatica-consolare a trasmettere in Italia l’atto di matrimo¬nio all’ufficiale di stato civile del Comune di residenza indicata dal cittadino italiano (o del Comune in cui quel cittadino ha la residenza anagrafica dei cittadini italiani all’estero: AIRE); nel secondo caso sarà il cittadino italiano a rimettere direttamente alla nostra autorità diplomatica/consolare l’atto di matrimonio ai fini dell’inoltro all’ufficiale di stato civile in Italia,
Sempre il DPR 3 novembre 2000, n. 396 all’art. 63 secondo comma, lettera c, prevede che l’ufficia¬le di stato civile, ricevuto l’atto di matrimonio dall’autorità diplomatico-consolare italiana, lo deve trascrivere dell’archivio di stato civile.
Potrebbe accadere che l’atto di matrimonio contratto all’estero dal cittadino italiano non venga inoltrato all’ufficiale di stato civile, perché per esempio l’interessato abbia omesso di inoltrarlo alla nostra autorità diplomatica/consolare.
In tal caso la mancata trascrizione in Italia del matrimonio contratto all’estero non avrà però con¬seguenze sul piano della validità dell’atto.
È, infatti, pacificamente ripetuto in giurisprudenza il principio che ai sensi dell’art. 28 della legge n. 218 del 1995, il matrimonio celebrato all’estero è valido nel nostro ordinamento, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento. Questo principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido. (Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620; Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 1990, n. 3599; Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351). Anche la giurisprudenza di merito ha affermato gli stessi principi (Trib. Treviso Sez. I, 5 giugno 2015).
b) Omessa trascrizione in Italia del matrimonio contratto all’estero e reato di bigamia
Secondo l’art. 86 del codice civile non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente. Se questo avviene si verifica quella situazione giuridica che va sotto il nome di biga¬mia. Il delitto di bigamia è previsto nell’articolo 556 del codice penale situato nel titolo XI del codi¬ce penale concernente i “delitti contro la famiglia”, al capo I “delitti contro il matrimonio” (bigamia è il contrario di monogamia) e punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni “chiunque essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pure aventi effetti civili”. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, “contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili”. Il riferimento è, quindi, sia al matrimonio celebrato civilmente sia a quello concordatario.
Tutto quanto ciò premesso vi è da dire che il delitto di bigamia può essere commesso da due cittadini italiani (ipotesi in realtà piuttosto difficile a realizzarsi a causa del sistema di pubblicità rigoroso del nostro ordinamento di stato civile) ovvero da un italiano e uno straniero, nel territorio dello Stato o all’estero.
Interessa in questa sede approfondire la questione se il reato di bigamia è configurabile anche se il matrimonio celebrato all’estero non sia trascritto in Italia.
Ribadito che il reato di bigamia consiste, come si è detto, nel contrarre, in costanza di matrimonio avente effetti giuridici, un altro matrimonio produttivo anche esso di effetti civili, va innanzitutto detto che secondo la giurisprudenza si considera legato da precedente matrimonio avente effet¬ti civili anche colui che abbia ottenuto all’estero pronuncia di divorzio non riconosciuta in Italia (Cass. pen. Sez. VI, 2 febbraio 1982). Il matrimonio deve avere effetti civili. È evidente, per¬tanto, che non sussiste il reato se il secondo matrimonio è inesistente, quindi privo in radice di effetti giuridici (Cass. pen. Sez. VI, 16 luglio 1969).
La questione, però, più significativa – in ordine ai presupposti di punibilità del delitto di bigamia – è costituita dal dubbio se di bigamia si possa parlare anche in assenza della trascrizione in Italia del matrimonio contratto dalla persona coniugata o del primo matrimonio.
A tale proposito come si è visto la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620; Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 1990, n. 3599; Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351) ha precisato –in modo convincente – chele norme di diritto internazionale privato attribuiscono ai matrimoni celebrati all’estero tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri immediata validità e rile¬vanza nel nostro ordinamento e che tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente cer¬tificativa, e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido sulla base del principio locus regitac¬tum. Effettivamente l’articolo 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) considera valido il matrimonio, quanto alla forma, se è considerato tale quanto meno dalla legge del luogo di celebrazione.
Il principio che gli effetti civili in Italia del matrimonio contratto all’estero sono indipendenti da tale trascrizione è stato continuativamente affermato in passato dalla giurisprudenza con riferimento al delitto di bigamia (Cass. pen. Sez. VI, 4 luglio 1985; Cass. pen. Sez. VI, 2 febbraio 1982).
Commette perciò il delitto di bigamia il cittadino che contrae altro matrimonio essendo vincolato da precedente matrimonio contratto in uno Stato straniero secondo la legge vigente in quest’ultimo, ancorché non ne sia stata effettuata la trascrizione nei registri dello stato civile italiano.
c) L’orientamento della giurisprudenza contrario alla trascrizione in Italia del matrimo¬nio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso
L’ipotesi di trascrizione che ha creato più problemi – quanto meno fino all’approvazione della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disci¬plina delle convivenze) – è quello del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso.
La giurisprudenza ha negato in modo compatto la possibilità di trascrizione in Italia negli atti di matrimonio contratti all’estero tra persone dello stesso sesso.
La posizione della Corte costituzionale sui problemi giuridici posti dall’aspirazione delle coppie omosessuali al matrimonio è contenuta soprattutto in due sentenze che vanno brevemente ricor¬date perché contengono le coordinate fondamentali per comprendere le motivazioni della scelta del legislatore di affidare alle unioni civili la funzione di tutela dei legami familiari tra persone dello stesso sesso anziché ammettere al matrimonio tali coppie.
Decisiva è l’impostazione della prima sentenza e cioè Corte cost. 15 aprile 2010, n. 138 chia¬mata a pronunciarsi sulla questione di legittimità del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di effettuare le pubblicazioni di matrimonio richieste da persone dello stesso sesso. La Corte esamina la que¬stione di costituzionalità a) sotto il profilo della eventuale violazione dell’art. 2 della Costituzione; b) sotto il profilo della eventuale violazione degli articoli 3 e 29 della Costituzione; c) sotto il profilo della eventuale violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede il rispetto da parte del legislatore dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
In riferimento all’art. 2 della Costituzione la Corte dichiara inammissibile la questione “perché diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata” e condivide il punto di vista da cui muovono le due ordinanze e cioè che “l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna. Questo dato emerge non soltanto dalle norme censurate, ma anche dalla disciplina della filiazione legittima (artt. 231 e ss. cod. civ. e, con particolare riguardo all’azione di disconoscimento, artt. 235, 244 e ss. dello stesso codice), e da altre norme, tra le quali, a titolo di esempio, si può men¬zionare l’art. 5, primo e secondo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nonché dalla normativa in materia di ordinamento dello stato civile. In sostanza, l’intera disciplina dell’istituto, contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale, postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di una consolidata ed ultra millenaria nozione di matrimonio. Nello stesso senso è la dottrina, in maggioranza orientata a ritenere che l’identità di sesso sia causa d’inesistenza del matrimonio, anche se una parte parla di invalidità. La rara giurisprudenza di legittimità, che si è occupata della questione, ha considerato la diversità di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza del matrimonio (Corte di cassazione, sentenze n. 7877 del 2000, n. 1304 del 1990 e n. 1808 del 1976). Spetta pertanto al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette.
Con riferimento agli articoli 3 e 29 della Costituzione la Corte dichiara la questione non fondata. Oc¬corre – afferma in proposito la Corte – prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest’ul¬tima disposizione. Essa stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla leg¬ge a garanzia dell’unità familiare». La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere). Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigo¬re, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata.
Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 della Costituzione, discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la no¬zione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attri¬buire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale. Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa. Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessua¬li, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto.
La seconda sentenza che è significativo richiamare è Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170 nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Nor¬me in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), promosso dalla Corte di cassazione. Si trattava di un procedimento promosso da una coppia sposata per ottenere la cancellazione della annotazione di «cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio», che l’ufficiale di stato civile aveva apposto in calce all’atto di matrimonio, contestualmente all’annotazione, su ordine del Tribunale, della rettifica (da “maschile” a “femminile”) del sesso del marito. La Corte di cas¬sazione – adita in sede di impugnazione avverso il decreto della Corte di Appello di Bologna che, in riforma della statuizione di primo grado, aveva respinto la domanda dei ricorrenti – sollevava sostanzialmente la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 2 e 29 della Costituzione, «dell’art. 4 della legge n. 164 del 1982 nella parte in cui dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l’automatica cessazione degli effetti civili conseguen¬ti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso senza la necessità di una domanda e di una pronuncia giudiziale2) «degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982 con riferimento al para¬metro costituzionale dell’art. 24 della Costituzione nella parte in cui prevedono la notificazione del ricorso per rettificazione di attribuzione di sesso all’altro coniuge, senza riconoscere a quest’ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale nel giudizio in questione, né di esercitare il medesimo potere in altro giudizio, essendo esclusa la necessità di una pronuncia giudiziale dalla produzione ex lege dell’effetto solutorio in virtù del passaggio in giudicato della sentenza di retti¬ficazione di attribuzione di sesso»;
La questione viene ritenuta fondata. Pertinente – afferma a tale proposito la Corte – è soprattutto il riferimento al precetto dell’art. 2 della Costituzione. Nella nozione di “formazione sociale” – nel quadro della quale l’art. 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – «è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere libera¬mente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Principi che erano stati affermati nella sentenza 170/2014 nella quale è stato, però, anche precisato doversi «escludere […] che l’aspi¬razione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio», come confermato, del re¬sto, dalla diversità delle scelte operate dai Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette.
Sulla linea dei principi enunciati nella riferita sentenza 170/2014, è innegabile che la condizione dei coniugi che intendano proseguire nella loro vita di coppia, pur dopo la modifica dei caratteri sessuali di uno di essi, con conseguente rettificazione anagrafica, sia riconducibile a quella cate¬goria di situazioni “specifiche” e “particolari” di coppie dello stesso sesso, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento di questa Corte per il profilo, appunto, di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore.
Va, pertanto, dichiarata – in accoglimento, per quanto di ragione, delle sollevate questioni – l’ille¬gittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982 n. 164, con riferimento all’art. 2 della Costituzione nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzio¬ne di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore.
La Corte di Cassazione ha successivamente ripreso il tema affermando che a seguito della di¬chiarazione di incostituzionalità contenuta nella sentenza 170/14 della Corte costituzionale, deve essere conservato alla coppia unita in matrimonio, per il caso in cui ad uno dei coniugi sia stata riconosciuta la rettificazione dell’attribuzione di sesso, il riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad essi di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi (Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2015, n. 8097).
La legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) all’art. 1, comma 27, ha previsto – sulla scia della riferita sen¬tenza della Corte costituzionale – che “alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
La giurisprudenza finora non ha ammesso la trascrizione in Italia di tali matrimoni contratti all’estero.
La vicenda che ha dato spazio in Italia al dibattito su questo tema è durata esattamente dieci anni lungo i quali si sono modificati anche i presupposti giuridici che via via hanno fatto da sfondo ai provvedimenti adottati nella vicenda dai giudici.
Due giovani, entrambi cittadini italiani, avevano contratto matrimonio in Olanda nel marzo del 2002 due anni dopo chiedevano a Latina – ove avevano stabilito la loro residenza – la trascrizione dell’atto del loro matrimonio ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamen¬to di stato civile). L’ufficiale di stato civile rifiutò la trascrizione assumendo che il matrimonio tra persone dello stesso sesso, formato all’estero, non era suscettibile di trascrizione perché contrario all’ordine pubblico. Avverso il provvedimento di rifiuto della trascrizione i due giovani proposero ricorso al Tribunale di Latina che nel giugno 2005, respinse il ricorso (Trib. Latina, 10 giugno 2005). Ugualmente fece la Corte d’appello nel luglio 2006 (App. Roma, 13 luglio 2006)rite¬nendo che sulla base di quanto stabilito dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 63, comma 2, lett. c), sia l’ufficiale dello stato civile sia il giudice, adito ai sensi dello stesso D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, debbono verificare che l’atto di cui si chiede la trascrizione, sia esso formato in Italia ovvero all’e¬stero, abbia le “connotazioni proprie, nel nostro ordinamento, degli atti di matrimonio assoggettati a trascrizione negli archivi di stato civile.
Avverso questa sentenza due giovani proponevano ricorso per cassazione. La Corte di cassazione lo rigettava (Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184) affermando che il requisito della diver¬sità di sesso, pur non previsto in modo espresso né dalla Costituzione, né dal codice civile vigente, né dalle numerose leggi che, direttamente o indirettamente, si riferiscono all’istituto matrimoniale – sta tuttavia, quale “postulato” implicito, a fondamento di tale istituto. Il diritto positivo vigente e la giurisprudenza che su di esso si è formata, del resto – affermano i giudici della Corte di Cassa¬zione – non fanno che riflettere anche “una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio”. L’ordinamento giuridico italiano, perciò, ha conosciuto finora, e conosce attualmente un’unica fatti¬specie integrante il matrimonio come atto: il consenso che, nelle forme stabilite per la celebrazione del matrimonio, due persone di sesso diverso si scambiano, dichiarando che “si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie” (art. 107, primo comma, cod. civ., cit.). L’intrascrivibilità, si fonda però su ragioni diverse da quella, finora ripetutamente affermata, della “inesistenza” di un matrimonio siffatto per l’ordinamento italiano. Infatti, se nel nostro ordinamento è compresa una norma – l’art. 12 della CEDU appunto, come interpretato dalla Corte Europea – che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi, ne segue che la giurisprudenza di questa Corte – secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante, requisito minimo indispensabile per la stessa “esistenza” del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante – non si dimostra più adeguata all’attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire “naturalistico”, della stessa “esistenza” del matrimonio. Per tutte le ragioni ora dette, l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro “invalidità” o dalla loro “ine-sistenza” ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano.
È quello descritto, quindi, ora l’attuale orientamento della giurisprudenza di legittimità.
La Circolare del Ministro dell’Interno del 7 ottobre 2014, ha ribadito che, nonostante la natura certificativa e non costituiva della trascrizione “ la sola sussistenza dei requisiti di validità previsti dalla lex loci, quanto alla forma di celebrazione, non esime l›ufficiale di stato civile dalla previa verifica della sussistenza dei requisiti di natura sostanziale in materia di stato e capacità delle persone. Al riguardo, occorre fare riferimento, in primo luogo, all›art. 27, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (“Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”), secondo cui “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”, quindi all’art. 115 del codice civile, secondo cui “il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite”. Pertanto, al di là della validità formale della celebrazione secondo la legge straniera, l’ufficiale di stato civile ha il dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari affinché la celebrazione possa produrre effetti giuridicamente rilevanti. Non vi è dubbio che, ai sensi del codice civile vigente, la diversità di sesso dei nubendi rappresenti un requisito necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento interno, come è chiaramente affermato dall’art. 107 c.c., in base al quale l’ufficiale dello stato civile “riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio”.
Anche in sede amministrativa si è precisato che “non è trascrivibile in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero e il prefetto può annullare l’eventuale trascrizione disposta dal Sindaco quale ufficiale di stato civile” (Cons. Stato Sez. III, 26 ottobre 2015, n. 4899) in quanto gli artt.27 e 28 della L. 31 maggio 1995, n.218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) stabiliscono i presupposti di legalità del matrimonio (nei casi in cui alcuni elementi della fattispecie si riferiscano ad ordinamenti giuridici di diversi Stati), prevedendo, in particolare (e per quanto qui rileva) che le condizioni (soggettive) di validità “sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo…” (art.27) e che “il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi…” (art.28). Ed inoltre l’art.115 del codice civile assoggetta, inoltre, espressamente i citta¬dini italiani all’applicazione delle disposizioni del codice che stabiliscono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio (tale dovendosi intendere il rinvio alla sezione prima del terzo capo, del titolo sesto, del libro primo del codice civile), anche quando l’atto viene celebrato in un paese straniero.
d) La possibilità della trascrizione in Italia nei registri delle unioni civili del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2016, n. 144 emanato sulla base dei poteri regolamentari di natura transitoria attribuiti al Governo dall’art. 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76, ha invece ammesso la trascrizione di matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, in appositi registri provvisori delle unioni civili (istituti presso ogni Comune dall’art. 9 del decreto in questione) prevedendo all’art. 8 comma 3 che “gli atti di matri¬monio o di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all’estero sono trasmessi dall’auto¬rità comsolatre….ai fini della trascrizione nel registro provvisorio di cui all’articolo. 9”.
Questo comporta che il matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero, anche da cittadini italiani, potrà essere d’ora in poi trascritto nei registri provvisori delle unioni civili, supe¬rando così le ragioni del diniego che fino ad oggi hanno impedito la trascrizione nei nostri registri di stato civile e quindi il riconoscimento in Italia di tali matrimoni.
Il fatto è tanto più sorprendete perché avviene non per legge, ma attraverso un decreto di natura regolamentare che è facile immaginare che sul punto potrebbe non avere vita facile dal momento che, come si è sopra detto, l’intrascrivibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso è finora dipeso dalla inidoneità di tali atti a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano.
VIII Unioni civili e ordinamento di stato civile
a) La legge 20 maggio 2016, n. 76
Il secondo e il terzo comma dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, che ha disciplinato l’unione civile tra persone dello stesso sesso, definiscono le coordinate normative specifiche della riforma che consente alle coppie maggiorenni dello stesso sesso di dichiarare all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni la loro volontà di costituire tra loro una unione civile. L’ufficiale di stato civile riceverà la dichiarazione e provvederà alla registrazione.
Per la valida costituzione dell’unione civile occorre necessariamente la dichiarazione davanti all’uf¬ficiale di stato civile – analogamente al matrimonio (civile) – che ha quindi funzione costitutiva dell’unione civile. A differenza della convivenza di fatto che non ha alcuna necessità di costituzione formale.
La dichiarazione dei due partners di voler costituire l’unione civile deve essere fatta personalmente di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni. La simmetria con il matrimonio è piena: l’art. 107 del codice civile prevede, appunto, che alla presenza di due testimoni l’ufficiale di stato civile riceve da ciascuna parte personalmente la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e moglie.
La legge non prevede l’obbligo delle previe pubblicazioni.
b) Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2016, n. 144 istitutivo dei registri di stato civile
Con la legge 76/2016 il legislatore non aveva indicato quale dovesse essere l’ufficiale di stato civile competente a ricevere la dichiarazione di voler costituire una unione civile, delegando a tale com¬pito (con il comma 28) il Governo ad emanare appositi decreti legislativi per stabilire le modalità della dichiarazione e per adeguare a questa previsione l’ordinamento di stato civile.
Il comma 34 della legge ha anche, però, autorizzato opportunamente il Presidente del Consiglio dei ministri ad emanare entro trenta giorni disposizioni immediate di natura transitoria in attesa dei decreti legislativi di cui si è detto.
Queste disposizioni transitorie sono state adottate il 23 luglio 2016, appunto, con un regolamento del Presidente del Consiglio dei Ministri. Esse prevedono che la richiesta di costituzione dell’unio¬ne civile può essere presentata all’ufficiale dello stato civile del Comune liberamente scelto dagli interessati (non necessariamente quindi quello della residenza comune o della residenza di uno dei due). L’ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti, redige immediatamente processo verbale della richiesta e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone conto nel verbale, a comparire di fronte a sé in una data, indicata dalle parti, immediatamente successiva al termi¬ne di quindici giorni, per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell’unione. Se una delle parti, per infermità o altro comprovato impedimento, è nell’impossibilità di recarsi alla casa comunale, l’ufficiale si trasferisce nel luogo in cui si trova la parte impedita e riceve la richiesta presentata congiuntamente da entrambe le parti. Entro quindici giorni dalla presentazione della richiesta, l’ufficiale dello stato civile verifica l’esat¬tezza delle dichiarazioni, potendo anche acquisire d’ufficio eventuali documenti necessari per pro¬vare l’inesistenza delle cause impeditive indicate nella legge. Nel giorno indicato le parti rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, avanti all’ufficiale dello stato civile del Comune ove è stata presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire un’unione civile. L’ufficiale, fatta menzione del contenuto dei commi 11 e 12 dell’articolo 1 della legge, redige apposito processo verbale, sottoscritto unitamente alle parti e ai testimoni, cui allega il verbale della richiesta. Nella loro dichiarazione le parti possono rendere la dichiarazione di scelta del re¬gime patrimoniale della separazione dei beni e possono indicare il cognome comune che hanno stabilito di assumere per l’intera durata dell’unione
La successiva registrazione degli atti dell’unione civile (cioè gli adempimenti connessi alla pubbli¬cità dell’atto) è eseguita dall’ufficiale di stato civile che ha ricevuto la dichiarazione dei partner, mediante iscrizione nel registro provvisorio delle unioni civili istituito dal medesimo regolamento del luglio 2016. Gli atti iscritti sono inoltre oggetto di annotazione nell’atto di nascita di ciascuna delle parti. A tal fine, l’ufficiale che ha redatto il processo verbale di costituzione dell’unione lo trasmette immediatamente al Comune di nascita di ciascuna delle parti, conservandone l’originale nei propri archivi.
Gli adempimenti dell’ufficiale di stato civile connessi alla registrazione dell’unione civile, come avviene per il matrimonio, hanno una natura di pubblicità notizia. Servono quindi a rendere cono¬scibile l’atto al quale il legislatore reputa che sia opportuno dare notorietà, senza che la pubblicità produca un particolare effetto circa l’atto ad essa soggetto. L’omissione della registrazione non condiziona, perciò, la validità e l’efficacia dell’atto, che rimane operante tra le parti e sarà opponi¬bile ai terzi indipendentemente dalla mancata attuazione dello strumento pubblicitario.
Solo per quanto concerne la dichiarazione del regime di separazione scelto eventualmente dalle parti dell’unioni civile (che in mancanza di tale scelta entrano nel regime legale di comunione) l’adempimento costituisce un’ipotesi di pubblicità dichiarativa, in quanto come tutte le convenzioni matrimoniali (che per le unioni civili la legge chiama convenzioni patrimoniali) sono assoggettate alla disciplina dell’ultimo comma dell’art. 162 c.c. dove si prevede che la convenzione di separazio¬ne dei beni eventualmente scelta al momento della costituzione del matrimonio o dell’unione civile (ovvero scelta successivamente con atto pubblico notarile) “non può essere opposta ai terzi” se non è annotata a margine dell’atto di matrimonio o di costituzione dell’unione.
c) I decreti legislativi n. 5, 6 e 7 del 19 gennaio 2017 attuativi della legge 76/2016
Sono in vigore dal 30 gennaio 2017 i decreti attuativi della disciplina delle unioni civili di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76. Sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2017. Si tratta dei decreti legislativi n. 5, 6 e 7 del 19 gennaio 2017.
Il decreto legislativo n. 5/2017 apporta modifiche alle norme del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, disciplinando le annotazioni da effettuare sugli atti di costituzione dell’unione civile; regolando le modalità di presentazione ed il contenuto della richiesta di costituzione dell’unione civile, le verifi¬che da parte dell’ufficiale dello stato civile circa l’insussistenza dei presupposti o la sussistenza di un impedimento per la costituzione; disciplinando il procedimento di costituzione di unione civile e le conseguenti annotazioni e trascrizioni da parte dell’ufficiale di stato civile; stabililendo che, come per il matrimonio, il partner dell’unione civile che aggiunge al suo il cognome del partner non perde il suo cognome d’origine.
Il decreto legislativo n. 6/2017 introduce nel codice penale e di procedura penale le disposizioni necessarie a consentire l’equiparazione del partner dell’unione civile al coniuge, prevedendo so¬stanzialmente che agli effetti della legge penale il termine “matrimonio” si intende riferito anche alla costituzione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso e che la qualità di coniuge previ¬sta come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato si intende riferita anche alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso.
il decreto legislativo n. 7/2017 modifica e riordina le norme di diritto internazionale privato in ma¬teria di unioni civili tra persone dello stesso sesso stabilendo –in continuazione con il contenuto del sopra richiamato decreto provvisorio del presidente del consiglio dei ministri del luglio 2016- che il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana; analogamente, l’unione civile, o altro istituto analogo, costituiti all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso abitualmente residenti in Italia produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana; prevede poi che lo scioglimento dell’unione civile è regolato dalla legge applicabile al divorzio; che i rapporti personali e patri¬moniali tra le parti sono regolati dalla legge dello Stato davanti alle cui autorità l’unione è stata costituita e che su richiesta di una delle parti il giudice può disporre l’applicazione della legge dello Stato nel quale la vita comune è prevalentemente localizzata. Le parti possono sempre convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno una di esse è cittadina o nel quale almeno una di esse risiede.
TRASCRIZIONE
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 della L. 31 maggio 1995, n. 218 e dell’art. 18 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne, seppure imperative o inderogabili, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta Costituzio¬nale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Cass. civ. Sez. lavoro, 26 novembre 2004, n. 22332 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La nozione di ordine pubblico internazionale (anche nel regime di cui all’art. 31 delle preleggi anteriore all’en¬trata in vigore della legge 31 maggio 1995 n. 218) non è enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno, in modo da ridurre l’efficacia della legge straniera ai soli casi in cui detta legge sia più favorevole al lavoratore di quella italiana, così da escludere la possibilità di una comparazione dei trattamenti complessivi, destinati al lavoratore nei singoli ordinamenti; in tale direzione, non può ritenersi una coincidenza tra le norme inderogabili dell’ordinamento italiano poste a tutela del lavoratore e i principi di ordine pubblico, dovendo, di contro, questi ultimi ravvisarsi nei principi fondamentali della nostra Costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale. In particolare, non si pone in con¬trasto con l’ ordine pubblico un contratto individuale di lavoro che, soggetto alla legislazione straniera secondo le prescrizioni di diritto internazionale privato, non riconosca allo stesso lavoratore la tredicesima mensilità e il trattamento di fine rapporto, sempre che lo stesso lavoratore goda di fatto di un trattamento retributivo che glo¬balmente risulti superiore a quello cui avrebbe diritto secondo la legislazione nazionale sulla cui base rivendichi i suddetti emolumenti.
Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001 (Corriere Giur., 2015, 4, 471 nota di RENDA)
Il divieto di surrogazione della maternità comminato dall’art. 12, comma 6, L. 19 febbraio 2004, n. 40 esprime un principio di ordine pubblico internazionale, in quanto fondamentale ed irrinunciabile per l’ordinamento ita¬liano, per la ragione che esso è assistito da sanzione penale, protegge la dignità costituzionalmente tutelata della gestante e salvaguarda l’istituto dell’adozione, al quale soltanto l’ordinamento affida – attraverso una disciplina governata da regole poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori – la realizzazione di progetti di genitorialità privi di legami biologici con il nato. Pertanto, l’atto di nascita formato all’estero, che indichi come genitori del bambino procreato attraverso tale tecnica la donna e l’uomo che vi abbiano fatto ricorso (peraltro, senza alcun legame genetico con il nato) è privo di effetti in Italia perché contrario all’ordine pubblico, con la conseguenza che il minore presente sul territorio italiano deve ritenersi in stato di abbandono e deve esserne dichiarato lo stato di adottabilità.
Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost., l’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004 n. 40, nella parte in cui stabilisce per la coppia destinataria delle norme in materia di procreazione medicalmente assistita il divieto di fecondazione di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili.
Cass. civ. Sez. I, 16 aprile 2014, n. 8876 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va rilevato che la Corte costituzionale, sin dal 1994 (Corte cost., 3 febbraio 1994, n. 13) ha osservato che, posto che nella disciplina giuridica del nome confluiscono esigenze di natura sia pubblica che privata, ove si accerti che il cognome già attribuito ad un soggetto non è quello spettantegli per legge in base allo “status familiae”, l’interesse pubblico a garantire la fede del registro degli atti dello stato civile è soddisfatto mediante la rettifica dell’atto riconosciuto non veritiero, ma non può condurre a sacrificare l’interesse individuale a conservare il cognome mantenuto fino a quel momento nella vita di relazione e divenuto ormai segno distintivo dell’identità personale, tutelata dall’art. 2 Cost.; tanto più che, nel caso in cui la rettifica riguardi persona in età avanzata con discendenti, la negazione dell’interesse individuale finirebbe col pregiudicare lo stesso interesse generale alla certa e costante identificazione delle persone. Pertanto, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contra¬sto con l’art. 2 Cost. – il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 165, nella parte in cui non prevedeva che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comportava il cambiamento del cognome, il soggetto stesso potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a man¬tenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo fosse ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale.
Cass. civ. Sez. lavoro, 4 maggio 2007, n. 10215 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ ordine pubblico, che, ai sensi dell’art 16 comma 1, n. 218 del 1995, costituisce il limite all’applicabilità della legge straniera in Italia e che si identifica in norme di tutela dei diritti fondamentali, deve essere garantito, in sede di controllo della legittimità dei provvedimenti giudiziari, con riguardo non già all’astratta formulazione della disposizione straniera, bensì “ai suoi effetti”, cioè alla concreta applicazione che ne abbia fatto il giudice di merito ed all’effettivo esercizio della sua discrezionalità, vale a dire all’eventuale adeguamento di essa all’ordi¬ne pubblico . Detto ordine pubblico non si identifica con quello interno, perché altrimenti le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversità tra sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato. (Nella specie, relativa al licenziamento da parte di un istituto di credito italiano di una dipendente il cui rapporto di lavoro, svoltosi negli Stati Uniti, era retto dalla legge locale accettata dalle parti, pur prevedendo la norma statunitense il licenziamento “ad nutum”, astrattamente in contrasto con l’ ordine pubblico , la S.C. ha confer¬mato la sentenza di merito che aveva escluso tale contrarietà perché il provvedimento era fondato sul difetto di esecuzione della prestazione durato per più mesi, fondamento sufficiente al rispetto dell’ ordine pubblico internazionale nella materia lavoristica).
App. Roma, 13 luglio 2006 (Famiglia e Diritto, 2007, 2, 166 nota di SESTA)
È legittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso, in quanto tale unione non presenta uno dei requisiti essenziali per la sua configurabilità come matrimonio nell’ordinamento interno, cioè la diversità di sesso tra gli sposi.
Corte europea diritti dell’uomo, 27 gennaio 2015 (Quotidiano Giuridico, 2015 nota di SCARCELLA)
Le misure, adottate dai giudici italiani, di allontanamento di un minore dalla coppia coniugale con la quale vive, con esclusione di ogni contatto, e di affidamento dello stesso ai servizi sociali in previsione della successiva adozione di terzi, violano il diritto di tale coppia al rispetto della vita familiare, di fatto costituitasi tra i due e il minore medesimo, in contrasto con l’art. 8 Cedu, pur se si tratta di misure adottate in quanto il bambino era nato da pratiche di maternità surrogata in Russia, senza alcun legame genetico con l’uno e l’altro componente della coppia, sicché l’atto di nascita straniero, che indicava gli stessi quali genitori, non era stato trascritto in Italia (la corte ha ritenuto che le misure in oggetto erano sproporzionate, non avendo tenuto conto del superiore interesse del minore, in quanto i giudici italiani hanno fondato l’inidoneità della coppia essenzialmente sulla violazione delle disposizioni sull’adozione internazionale e la procreazione medicalmente assistita).
Cass. civ. Sez. I, 6 dicembre 2002 n. 17349 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di delibazione di sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico di cui all’art. 64 lett. g della legge n. 218 del 1995 non si identifica con il cd. ordine pubblico interno – e, cioè, con qualsiasi norma imperativa dell’or¬dinamento civile – bensì con quello di ordine pubblico internazionale, costituito dai (soli) principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico – giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico. (Nell’af¬fermare il principio di diritto che precede la S.C. ha, in fatto, escluso che la corresponsione di interessi a tasso particolarmente elevato da parte di debitore italiano nei confronti di una società estera integrasse la violazione della norma sopraricordata, aggiungendo, in punto di fatto, che, comunque, detta corresponsione non costituiva il corrispettivo di un’operazione di natura creditizia – ossia di prestito in denaro, come richiesto dalla normativa na¬zionale antiusura – risultando per converso dovuta in conseguenze di un accertato inadempimento contrattuale).
Corte cost. 14 luglio 1982, n. 138 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 101 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 l. 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà piena ed intera esecuzione al 4°, 5° e 6° comma dell’art. 34 del concordato, e dell’art. 17 l. 27 maggio 1929, n. 847, già dichiarata non fondata con sentenza n. 18 del 1982 per quanto attiene alla riserva alla giurisdizione di tribunali ecclesiastici delle controversie in materia di nullità dei matrimoni canonici, trascritti agli effetti civili.
Cons. Stato Sez. III, 26 ottobre 2015, n. 4899 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Non è trascrivibile in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero e il prefetto può an¬nullare l’eventuale trascrizione disposta dal Sindaco quale ufficiale di stato civile
Trib. Treviso Sez. I, 5 giugno 2015 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 28 della legge n. 218 del 1995, il matrimonio celebrato all’estero è valido nel nostro ordina-mento, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento. Siffatto principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido.
Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2015, n. 8097 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A seguito della dichiarazione di incostituzionalità contenuta nella sentenza 170/14 della Corte costituzionale, deve essere conservato alla coppia unita in matrimonio, per il caso in cui ad uno dei coniugi sia stata ricono¬sciuta la rettificazione dell’attribuzione di sesso, il riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad essi di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi
Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170 (Foro It., 2014, 10, 1, 2674).
Sono incostituzionali gli art. 2 e 4 L. 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore.
Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218, il matrimonio celebrato all’estero è valido nel nostro ordinamento, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazio¬nale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento; tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva , ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido. Ne deriva che in tal caso il figlio va considerato, a tutti gli effetti, nato in costanza di matrimonio, onde competente a decidere della regolamentazione dei rapporti personali ed economici fra questi e i genitori è il tribunale ordinario.
Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184 (Famiglia e Diritto, 2012, 7, 665 nota di GATTUSO).
Il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, celebrato all’estero, non è inesistente per l’ordinamento italiano, ma soltanto inidoneo a produrre effetti giuridici; anche ai sensi dell’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come evolutivamente interpretato dalla Corte di Strasburgo (sentenza del 24 giugno 2010, “Schalk e Kopf c. Austria”), la diversità di sesso dei nubendi non costituisce presupposto “naturalistico” di “esi¬stenza” del matrimonio. (Fattispecie relativa a cittadini italiani dello stesso sesso, i quali, unitisi in matrimonio nei Paesi Bassi, avevano impugnato il rifiuto di trascrizione dell’atto, opposto dall’ufficiale di stato civile italiano; la S.C., in applicazione del principio, pur respingendo il ricorso degli sposi, ha corretto la motivazione del decreto della Corte territoriale, che aveva legittimato il rifiuto di trascrizione dell’atto in difetto della sua “configurabilità come matrimonio”.
Trib. Latina, 10 giugno 2005 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
La trascrizione dell’atto di matrimonio non ha natura costitutiva in quanto il matrimonio si perfeziona con il consenso dei nubendi (“di sesso diverso”) reso davanti alla competente autorità, e non è quindi elemento essen¬ziale della fattispecie in quanto non incide sul momento genetico del rapporto, tuttavia incide sul suo momento funzionale (e, pertanto, non può ad essa attribuirsi una mera natura dichiarativa o di pubblicità notizia) e ciò in quanto, solo a seguito della trascrizione, si producono nell’ordinamento gli effetti civili del matrimonio, sia di natura patrimoniale che personale, con attribuzione di un vero e proprio “status” di coniuge (nella fattispecie in esame veniva richiesta la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero fra persone dello stesso sesso).
Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351 (Famiglia e Diritto, 1999, 1, 79)
Le norme di diritto internazionale privato attribuiscono ai matrimoni celebrati all’estero tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera (e, quindi, spieghino effetti civili nell’ordinamento dello Stato straniero) e sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana. Tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizio¬ne, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa, e scopo di pubblicità di un atto già di per sè valido sulla base del principio “locus regit actum”.
Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 1990, n. 3599 (Giur. It., 1991, 1, 1072 nota di ARESU)
Il matrimonio celebrato da cittadini italiani (o anche tra cittadini stranieri, in virtù dell’art. 50 ord. stat. civ.) all’estero secondo le forme ivi stabilite, ed anche il matrimonio celebrato all’estero in forma religiosa, ove per tale forma la lex loci riconosca gli effetti civili (sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato e alla capacità delle persone previsti nel nostro ordinamento) è immediatamente valido e rilevante nell’ordinamento italiano con la produzione del relativo atto, anche al fine di far valere il diritto di succedere al coniuge defunto nel contratto di locazione a lui intestato, indipendentemente dall’osservanza delle norme italiane relative alla pub¬blicazione, che possono dar luogo solo ad irregolarità suscettibili di sanzioni amministrative, ed alla trascrizione nei registri dello stato civile, la quale (a differenza del caso del matrimonio concordatario) ha natura certificativa e di pubblicità , e non costitutiva.
Cass. pen. Sez. VI, 4 luglio 1985 (Riv. Pen., 1986, 835)
I matrimoni contratti all’estero, anche se non trascritti, spiegano in Italia efficacia giuridica, in quanto la trascri¬zione in Italia dei matrimoni civili contratti all’estero da cittadini italiani non ha natura costitutiva, ma dichiarativa e certificativa (applicazione del principio in tema di bigamia).
Cass. pen. Sez. VI, 2 febbraio 1982 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Ai fini della configurabilità del reato di bigamia deve essere considerato legato da precedente matrimonio avente effetti civili anche colui che abbia ottenuto all’estero pronuncia di divorzio non riconosciuta in Italia.
Cass. civ. Sez. I, 8 luglio 1977, n. 3038 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Tutti gli effetti della sentenza di divorzio – sia quelli personali che quelli patrimoniali – si producono tra le parti, i loro eredi o aventi causa, dal momento del suo passaggio in giudicato, secondo i principi generali contenuti negli artt 2908 e 2909 Cod. civ., mentre l’annotazione (o meglio, la trascrizione) nei registri dello stato civile, a norma dell’art. 10della legge n. 898 del 1970, attiene unicamente agli effetti erga omnes della pronuncia stessa, in considerazione dell’efficacia meramente dichiarativa, e non costitutiva ,dello status delle persone fisiche, che è propria dei registri dello stato civile, verificandosi in tal caso una scansione temporale tra la decorrenza della efficacia inter partes, che promana dall’accertamento costitutivo contenuto nel giudicato, e quella erga omnes, comportante la opponibilità ai terzi, che deriva dall’effettuazione dei prescritti adempimenti integrativi della pubblicità (dichiarativa).
Cass. pen. Sez. VI, 16 luglio 1969 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
Il delitto di bigamia consiste nel contrarre, in costanza di matrimonio produttivo di effetti giuridici, un altro matrimonio avente anche esso effetti civili. Il reato può essere escluso soltanto dalla giuridica inesistenza o del matrimonio precedente o di quello successivo. Non è giuridicamente inesistente il matrimonio contratto sotto false generalità, onde risponde del reato di bigamia chi, legato da precedente matrimonio, ne contragga un se¬condo attribuendosi false generalità.