BENI PERSONALI di Gianfranco Dosi

I. I beni personali esclusi dalla comunione legale
II. I beni propri di ciascun coniuge da prima dell’instaurazione del regime di comunione
III. Le donazioni dirette e indirette
a) L’estensione alle donazioni indirette della natura personale del bene
b) La prova della donazione indiretta
IV. I beni strettamente personali e che servono all’esercizio della professione
V. I risarcimenti
VI. I beni acquistati per surrogazione
VII. Possono i coniugi convenire che un acquisto immobiliare sia escluso dalla comunione?
I I beni personali esclusi dalla comunione legale
Il regime della comunione legale non è un regime totalizzante. Non riguarda tutti i beni dei coniugi, ma soltanto quelli indicati espressamente nell’art. 177 del codice civile1 e cioè sostanzialmente le acquisizioni di ricchezza effettuate, insieme o separatamente anche per l’azienda cogestita, nel corso della vita matrimoniale (acquisti che entrano in comunione immediata) e i risparmi esistenti al momento della cessazione del regime, cioè i proventi dell’attività lavorativa di ciascuno dei co¬niugi che non siano stati consumati (risparmi che entrano in comunione de residuo).
Nella disposizione sopra richiamata si esclude espressamente che facciano parte della comunione i beni cosiddetti personali che sono poi analiticamente indicati nell’art. 179 del codice civile.
Art. 179 (Beni personali)
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o succes¬sione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli desti¬nati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno (5) nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del

1 Art. 177 (Oggetto della comunione)
Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione
c) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.

precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.
Si tratta di cinque categorie di beni.
Il legislatore li ha esclusi dalla comunione legale per lasciare a ciascuno dei coniugi in comunione uno spazio di autonomia senza il quale il regime legale sarebbe stato eccessivamente penalizzante.
L’elencazione è da considerare tassativa pur con le valutazioni interpretative che, come si dirà, la giurisprudenza ha indicato nel tempo.
II I beni propri di ciascun coniuge da prima dell’instaurazione del regime di comunione
La prima categoria (art. 179 lett. a) è quella de “i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento” e non richiede partico¬lari spiegazioni. Non è altro che la conseguenza della norma principale della comunione (art. 177 codice civile) che prevede che solo gli acquisti effettuati durante la vita matrimoniale entrano in comunione.
E’ necessaria però osservare che l’espressione riportata dal codice contiene in sé una imprecisione in quanto, ove i coniugi abbiano optato in sede di matrimonio per il regime di separazione e magari decidano in seguito di passare al regime di comunione, è evidente che anche gli acquisti effettuati prima di cambiare regime restano beni personali. Pertanto è più corretto riferire alla categoria dei beni personali cui fa riferimento la lettera a dell’art. 179 non i beni propri “da prima del matrimo¬nio” ma dei beni propri “da prima dell’instaurazione del regime di comunione”.
Naturalmente se l’atto di acquisto si forma nel tempo (cosiddetti acquisti a formazione progres¬siva), come nel caso di un contratto preliminare prima del matrimonio (o dell’instaurazione del regime) e di atto definitivo stipulato successivamente, si deve aver riguardo al momento in cui il bene entra nella proprietà del coniuge (Cass. civ. Sez. II, 24 gennaio 2008, n. 1548).
Ugualmente se un coniuge diviene titolare di un bene personale in seguito ad una divisione, è evidente che, avendo la divisone natura dichiarativa, quell’acquisto non entrerà in comunione.
Un problema che si è posto spesso nella prassi è quello dell’acquisto di edifici costruiti in regime di edilizia residenziale pubblica (per esempio cooperative edilizie a contributo statale, in cui l’asse¬gnazione provvisoria dell’appartamento viene effettuato a favore di una persona prima del matri¬monio e con la stipulazione del contratto di vendita dopo il pagamento delle rate del prezzo o del frazionamento del mutuo, che avviene dopo il matrimonio). In questi casi la giurisprudenza ritiene che l’assegnazione attribuisca al beneficiario un semplice diritto di godimento di natura personale; soltanto al momento della conclusione del contratto traslativo – e cioè nelle cooperative a sovven¬zione pubblica, al momento del frazionamento del mutuo (legge 14 febbraio 1963, n. 60 e legge 24 dicembre 1993, n. 560) – si verifica l’acquisto suscettibile di far entrare in comunione il bene. Il principio è stato ribadito ultimamente da Cass. civ. Sez. II, 26 luglio 2011, n. 16305 dove si chiarisce che il momento determinativo dell’acquisto della titolarità dell’immobile da parte del sin¬golo socio, al fine di stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione legale tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale contestuale alla convenzione di mutuo individuale, poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevocabilmen¬te, la proprietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente erogato¬re), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata “prenotazione”, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a formare oggetto della comunione dei beni.
Si deve ricordare che l’art. 210 del codice civile2 consente ai coniugi di derogare alla disposizione in questione, ammettendo che sia i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario, sia quelli acquisiti successivamente per effetto di donazione o successione, possano essere esclusi dalla comunione con atto pubblico (cosiddetta comunione convenzionale).
III Le donazioni dirette e indirette
Nella seconda categoria l’art. 179 lett. b include i beni acquistati successivamente al matrimonio (all’instaurazione del regime di comunione) per effetto di donazione o successione, quando nell’at¬to di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione.
Anche questa categoria di beni personali è del tutto ragionevolmente esclusa dalla comunione sempre che l’autore della donazione o della disposizione testamentaria – come precisa la disposi¬

2 Art. 210 (Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni)
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, modificare il regime della comunio¬ne legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell’articolo 161.
I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 non possono essere compresi nella comunione conven¬zionale.
Non sono derogabili le norme della comunione legale relative all’amministrazione dei beni della comunione e all’uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale.

zione – non intenda arricchire entrambi i coniugi. Il che deve essere indicato chiaramente nell’atto di donazione.
Anche le azioni, naturalmente, possono essere oggetto di donazione o disposizione testamentaria (Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21098).
a) L’estensione alle donazioni indirette della natura personale del bene
La giurisprudenza si è interrogata sul tenore letterale dell’art. 179 lett. b, osservando che la di¬sposizione parla di “atto di liberalità” e non di “donazione” e che quindi non consente di limitarne la portata alle sole liberalità previste dall’articolo 769 del codice civile, con la conseguenza che la struttura della donazione indiretta3 non è incompatibile con l’applicazione dell’art. 179 lett. b.
La ratio del disposto normativo dell’art. 179, lett. b, ben si attaglia alla natura delle donazioni in¬dirette che, al pari delle altre liberalità, non presuppongono alcun apporto nell’acquisto né diretto (mediante il pagamento anche parziale del corrispettivo) né indiretto (mediante l’apporto coniu¬gale alla vita familiare) da parte del coniuge che non è destinatario della donazione e per questo evidentemente il legislatore le ha considerate escluse dalla comunione.
La donazione indiretta consiste in una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico di donazione, mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento “animo donandi” del destinatario della liberalità medesima. Ne deriva che non sussiste un’ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell’art. 179 lett. b del codice civile, sicché il bene oggetto di essa non rien¬tra nella comunione legale (Cass. civ. Sez. I, 8 maggio 1998, n. 4680). In altre parole la giu¬risprudenza sostiene che l’arricchimento che deriva per il beneficiario da una donazione è identico sia che tale arricchimento derivi da una donazione diretta sia che dipenda da una liberalità attuata indirettamente, per esempio rimettendo un debito ad un debitore o intestando un bene ad un terzo ma corrispondendone il prezzo: in entrambi i casi non avrebbe senso escludere dalla comunione queste che sono vere e proprie liberalità come la donazione classica attuata con l’atto pubblico cui fa riferimento l’art. 769 del codice civile.
Pertanto il bene acquistato da uno solo dei coniugi in regime di comunione dei beni, con denaro di un terzo, e pertanto oggetto di donazione indiretta, non entra nella comunione legale, ancorché il terzo non abbia dichiarato esplicitamente di voler destinare il denaro stesso in favore del solo coniuge acquirente (Cass. civ. Sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327).
La giurisprudenza oggi ormai pacificamente ritiene che la donazione indiretta sia esclusa dalla comunione legale in base all’art. 179, primo comma, lett. b), cod. civ. (da ultimo Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197, Trib. Salerno Sez. I, 29 giugno 2013).
L’ipotesi più diffusa di donazione indiretta trattata dalla giurisprudenza è quella dell’immobile, intestato successivamente al matrimonio (all’instaurazione del regime di comunione) ad uno dei coniugi in regime di comunione legale, ma il cui prezzo è corrisposto dal genitore.
Si deve naturalmente distinguere il caso della donazione diretta del danaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo (Trib. Genova, 20 febbraio 2015), da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale se¬condo caso, il collegamento tra l’elargizione del danaro del genitore e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio – che deve essere oggetto di prova se si vuole escludere il bene dalla comunione – porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso e non già del danaro impiegato per il suo acquisto.
E’ irrilevante che il prezzo sia pagato anteriormente alla compravendita ma serve comunque la prova che la dazione di denaro sia stata effettuata al fine di acquistare l’immobile. Così ha chiarito Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494 con la quale – accogliendo il ricorso del marito il quale sosteneva che un acquisto immobiliare era entrato in comunione e non configurava invece una donazione indiretta a vantaggio della moglie – si è affermato che l’elargizione di una somma di denaro “finalizzata all’acquisto di un immobile da parte del beneficiario” si configura come do¬nazione indiretta “se l’elargizione è mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto di un immobile da parte del destinatario”, che il disponente intenda in tal modo beneficiare. Tuttavia la prova della liberalità non può essere desunta dalla mera dichiarazione, resa dalle parti nel rogito notarile, dell’avvenuto pagamento del corrispettivo dell’immobile con denaro fornito dal padre della con¬venuta: poiché, come ha precisato la stessa Corte di merito, dal medesimo atto risultava che il predetto pagamento non era stato effettuato contestualmente alla stipulazione dell’atto pubblico di compravendita, ma in data precedente, la relativa attestazione del notaio non poteva considerarsi sufficiente, trattandosi di una mera presa d’atto della dichiarazione resa al riguardo dalle parti, in ordine alla quale non risulta che egli avesse effettuato alcun riscontro; ai sensi dell’art. 2700 c.c., infatti, l’atto pubblico forma piena prova soltanto della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, nonché delle dichiarazioni rese dalle parti dinanzi a lui o degli altri fatti che egli attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, e non anche della veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni o della loro rispondenza alle effettive intenzioni delle parti.
3 Nella voce DONAZIONE INDIRETTA è contenuto un approfondimento delle molte questioni che questo istituto pone.

b) La prova della donazione indiretta
Si è visto sopra che Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494 ha ritenuto che la prova della liberalità non può essere desunta dalla mera dichiarazione, resa dalle parti nel rogito notarile, dell’avvenuto pagamento del corrispettivo dell’immobile con denaro fornito dal padre della conve¬nuta, in quanto, l’atto pubblico forma piena prova soltanto della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, nonché delle dichiarazioni rese dalle parti dinanzi a lui o degli altri fatti che egli attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, e non anche della veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni o della loro rispondenza alle effettive intenzioni delle parti.
Il problema della prova non va sottovalutato in quanto l’immobile – nell’esempio sopra fatto – ri¬sulterà formalmente intestato al figlio (sebbene il pagamento del prezzo sia avvenuto ad opera del genitore) e l’altro coniuge al momento per esempio della crisi coniugale potrebbe volerlo includere nella comunione.
Per questo la giurisprudenza ha affermato che ai fini processuali è sufficiente che vi sia l’atto di com¬pravendita con la prova che il denaro è stato corrisposto dal genitore. Si è detto infatti che, essendo la donazione indiretta caratterizzata dal fine perseguito, che è quello di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, per la sua validi¬tà non è richiesta la forma dell’atto pubblico (come nella donazione), essendo sufficiente l’osservan¬za delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (e quindi il solo atto scritto come per la compravendita) (Cass. civ. sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333). Non è quindi necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio – mezzo con l’arricchimento di uno dei coniugi per lo spirito di liberalità (Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2000, n. 15778).
Pertanto – per tornare all’esempio che si è fatto sopra – ove un genitore abbia corrisposto il prezzo dell’immobile intestando il bene al figlio, sarà sufficiente esibire l’atto pubblico di compravendita nel quale è indicato obbligatoriamente (che il prezzo è stato pagato dal genitore.
Questa prova, per le donazioni indirette effettuate dopo il 2006 è facilitata dal fatto che il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il con¬tenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale) convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 prevede all’art. 35 (Misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale), comma 22, che “All’atto della cessione dell’immobile, anche se assoggettata ad IVA, le parti hanno l’obbligo di rendere apposita dichia¬razione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo”. Pertanto nell’atto pubblico relativo al trasferimento del bene al figlio con denaro corrisposto dal genitore saranno indicate le modalità di pagamento da cui sarà facile desumere la natura indiretta della donazione. Per le donazioni indirette effettuate prima del 2006 la tracciabilità dei mezzi di pagamento non è garantita e la prova sarà molto più ardua.
IV I beni strettamente personali e che servono all’esercizio della professione
In questi casi a escludere il bene dalla comunione legale è la sua destinazione funzionale al sod¬disfacimento di esigenze strettamente personali (art. 177 lett. c) o professionali (art. 177 lett. d) di uno dei coniugi. Destinazione che spesso può essere verificata soltanto a posteriori in relazione all’uso che di quel bene acquistato è stato fatto.
Per dare una risposta, per esempio, al problema diffuso se l’auto intestata ad un coniuge rientra in comunione o costituisce invece un suo bene personale, bisogna domandarsi cosa siano i “beni di uso strettamente personale ed i loro accessori”.
La questione, come si comprende, costituisce un accertamento di merito.
È stato detto in giurisprudenza, infatti, che laddove il giudice abbia ricondotto la fattispecie dell’acquisto alla disciplina dell’art. 179, lett. c, codice civile, in funzione della personalità del bene destinato ad abitazione del coniuge nell’ottica della separazione personale, a nulla varrebbe conte¬stare la dichiarazione resa nell’atto d’acquisto (Cass. civ. Sez. III, 15 gennaio 2003, n. 487). Di contro è insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente motivata, la valutazione delle circostanze di fatto compiuta dal giudice di merito che ritenga, in presenza di coniugi soggetti al regime della comunione legale dei beni e di veicolo intestato al solo marito, che il veicolo stesso sia soggetto al regime della comunione, escludendo addirittura – come nel caso deciso – che abbia rilevanza decisiva, in senso contrario, la circostanza che la moglie non sia abilitata alla guida “ben potendo il marito, che dispone della patente, provvedere al trasporto nel comune interesse fami¬liare, qualora non risulti che il denaro per l’acquisto apparteneva al peculio personale del marito stesso e il mezzo destinato alle sue necessità” (Cass. civ. Sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 322).
Una sentenza di merito non vicina nel tempo (Trib. Monza, 10 maggio 1995) ha ben chiarito che “benché l’art. 179 non precisi cosa debba intendersi per bene di uso strettamente personale, l’interpretazione più corretta è quella di collegare la personalità dell’uso con la destinazione della cosa, pertanto, l’uso è personale se pertiene ad esigenze esclusive di uno solo dei coniugi, e non se uno solo di essi sia in grado di mettere in uso il bene”.
Che la questione pertanto non possa essere risolta dalle norme ma solo dall’accertamento di fatto, è precisato in altre sentenze.
Così si è detto che anche un veicolo in occasione dell’acquisto da parte di un coniuge, entra auto¬maticamente nel patrimonio di entrambi salvo che il giudice del merito, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, ne accerti la natura personale (Cass. civ. Sez. III, 9 novembre 2000, n. 14575; Cass. civ. Sez. III, 6 febbraio 1998, n. 1292).
La stessa decisione chiarisce che per uso personale del bene, a norma dell’art. 179, 1° co., lett. c, codice civile, deve intendersi la disponibilità esclusiva della sua utilizzazione da parte del coniuge, anche se tramite altro soggetto. Detta disponibilità esclusiva non viene meno se il coniuge, che ne è titolare, permette che l’altro coniuge possa utilizzare il bene in specifiche circostanze e condizio¬ni, come un terzo. In questo caso, infatti l’altro coniuge, come un qualsiasi terzo, utilizza il bene non per diritto suo proprio, quale comproprietario, ma per effetto del consenso dell’unico titolare del diritto di disporne.
L’altra categoria di acquisti esclusa dalla comunione è costituita dai beni che servono all’esercizio della professione, cioè gli acquisti effettuati per una attività lavorativa autonoma o anche subor¬dinata con esclusione delle attività imprenditoriali. Professione e impresa sono due cose diverse.
Rientrano, invece, in comunione (immediata) gli acquisti destinati ad una azienda “facente parte della comunione” e cioè di una azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimo¬nio (art. 177 lett. d) mentre entrano in comunione de residuo (restando fino alla cessazione del regime di proprietà esclusiva del coniuge imprenditore) i beni, inclusi quelli immobili, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all’esercizio, da parte sua, dell’impresa costituita dopo il matrimonio (art. 178 c.c.) (Cass. civ. Sez. VI, 28 settembre 2015, n. 19204; Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2005, n. 18456).
V I risarcimenti
Non sono emerse nella pratica questioni interpretative nell’applicazione dell’art. 179 lett. e che considera personali i beni ottenuti “a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione atti¬nente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa” potendo ragionevolmente riferirsi la disposizione al risarcimento relativo a qualsiasi danno anche conseguente ad invalidità lavorativa (l’unica decisione edita della giurisprudenza esclude che possa qualificarsi personale l’indennità di accompagnamento: Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2005, n. 8578).
VI I beni acquistati per surrogazione
Sono molti i problemi soprattutto pratici sorti nell’applicazione dell’art. 179 lett. f che considera personali i beni “acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopra elencati o col loro scambio purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto”. Intanto va chiarito che gli acquisti (cosiddetti “per surrogazione” ma anche per permuta) esclusi dalla comunione, pos¬sono essere solo quelli effettuati con denaro proveniente dalla vendita di beni personali (elencati nell’art. 179) e non quelli effettuati con denaro personale (cioè con i proventi dell’attività separata dei coniugi che producono l’effetto comunione: art. 177 codice civile) (Cass. civ. Sez. I, 27 feb¬braio 2003, n. 2954; Cass. civ. Sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355) ed in secondo luogo che ricadono nella norma anche gli acquisti effettuati con denaro proveniente dalla vendita di beni personali che si prova essere stato accantonato in un conto corrente bancario personale (Cass. sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1197; Cass. civ. Sez. I, 18 agosto 1994, n. 7437).
Per la dichiarazione del coniuge acquirente – contestuale all’acquisto – che afferma il carattere personale dell’acquisto non è prevista alcuna forma e pertanto è sufficiente una qualsiasi dichia¬razione a forma libera.
Il punto più delicato è però se la dichiarazione in parola sia considerata sempre necessaria o se vi siano situazioni in cui non è necessaria.
La giurisprudenza ormai consolidata afferma del tutto ragionevolmente che quando è certa la provenienza dai beni personali di uno dei coniugi in regime di comunione legale della provvista usata per l’acquisto di un bene, tale acquisto deve intendersi come effettuato in surrogazione di beni personali – ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. f, codice civile – con la conseguenza che il bene acquistato non ricade nella comunione legale, anche se manca l’espressa dichiarazione del coniuge acquirente all’atto dell’acquisto (Cass. civ. Sez. I, 9 novembre 2012, n. 19454). La dichiarazione in questione sarebbe, quindi, necessaria solo quando possano sorgere dubbi circa la natura personale del bene impiegato per l’acquisto (ivi compreso il denaro) (Cass. sez. II, 5 maggio 2010, n. 10885; Cass. civ. Sez. I, 25 settembre 2008, n. 24061; Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 1993, n. 1556).
VII Possono i coniugi convenire che un acquisto immobiliare sia escluso dalla comunione?
Vi sono situazioni in cui i coniugi possono escludere l’acquisto di un bene dalla comunione attraver¬so una procedura specifica prevista nell’ultimo comma dell’art. 179 codice civile4.
La disposizione prevede che “L’acquisto di beni immobili o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
Il che significa che nei casi di acquisto – sopra esaminati – di un bene di uso strettamente perso¬nale (lett. c), o di un bene che serve all’esercizio della professione (lett. d) o di un qualunque bene acquistato per surrogazione o permuta (lett. f) è possibile l’esclusione del bene dalla comunione e l’acquisizione al patrimonio dei beni personali del coniuge acquirente.
Naturalmente i creditori personali di uno dei coniugi, non possono essere pregiudicati nei loro di¬ritti quando il pignoramento del bene che ne forma oggetto risulta trascritto in epoca precedente la trascrizione della domanda di accertamento della comunione legale o in epoca precedente l’in¬staurazione del giudizio da parte del coniuge non acquirente (Cass. civ. Sez. III, 18 novembre 2013, n. 25865).
L’interpretazione della giurisprudenza sul significato da dare all’ultimo comma dell’art. 179 c.c. non era stata in passato univoca, almeno fino ad una pronuncia delle Sezioni Unite nel 2009 (Cass. civ. Sez. Unite, 28 ottobre 2009, n. 22755) che hanno dato al problema una soluzione di com¬promesso.
Il contrasto era il seguente.
Una lontana decisione del 1989 (Cass. civ. Sez. I, 2 giugno 1989, n. 2688) aveva espresso il convincimento che “il consenso del coniuge, risultante dall’atto di acquisto, qualora questo abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati, vale ad impedire che il bene cada in comunione anche al di fuori delle ipotesi di beni personali”; in altre parole la sentenza del 1989 affermava che la par¬tecipazione del coniuge non acquirente all’atto avesse natura negoziale e come tale costituiva una manifestazione di volontà sempre valida anche se con essa si escludeva un bene dalla comunione al di fuori dei casi specifici in cui il secondo comma dell’articolo 179 del codice civile lo prevede. I coniugi avrebbero, secondo questa impostazione, sempre il diritto di escludere un bene dalla co¬munione (anche al di fuori dei casi previsti) purché vi sia il consenso di entrambi.
Il principio che passava era, in sostanza, quello della derogabilità della comunione, cioè che in re¬gime di comunione legale ciascuno dei coniugi può acquistare beni personali, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 179 codice civile purché il coniuge non acquirente, presente al momento della stipula, dia il proprio consenso, che deve risultare dallo stesso atto di acquisto.
La maggioranza delle successive decisioni fu, invece, di parere contrario (Cass. civ. Sez. I, 18 agosto 1994, n. 7437; Cass. civ. Sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1917; Cass. sez. I, 27 feb¬braio 2003, n. 2954; Cass. sez. I, 24 settembre 2004, n. 19250; Cass. civ. Sez. II, 25 ottobre 1996, n. 9307; Cass. civ. Sez. II, 6 marzo 2008, n. 6120) facendosi prevalere il principio che “in regime di comunione legale dei beni, il coniuge non può validamente rinunciare alla comproprietà di singoli beni acquistati durante il matrimonio, in quanto in tal modo il regime di comunione legale sarebbe modificabile ad nutum, secondo l’opzione estemporanea di ciascuno dei coniugi in relazione all’acquisto di singoli beni e ciò contrasterebbe con la funzione pubblicistica dell’istituto”. L’impostazione della sentenza dell’89 avrebbe finito per svuotare del tutto il senso della comunione legale privandola di garanzie. Si consolidò così il diverso orientamento che faceva leva sulla natura ricognitiva (confessoria) della dichiarazione del coniuge non acquirente il quale, con la partecipazione all’atto e con il suo assenso, finiva per riconoscere quanto dichiarato nell’atto dall’altro coniuge, realizzandosi così una presunzione di rispondenza al vero della dichiarazione di esclusione del bene dalla comunione e di acquisto come bene personale. Presunzione che il coniuge non acquirente avrebbe potuto vincere, al momento in cui avesse voluto chiedere l’accer¬tamento che quel bene era invece entrato in comunione, dando la prova di un errore di fatto o di una violenza (esattamente negli stessi termini con cui può essere revocata la confessione: articolo 2732 codice civile).
Poiché il dibattito, anche in dottrina, si fece intenso, la prima sezione della Cassazione decise di rimettere alle Sezioni Unite la questione se sia consentito ai coniugi in regime di comunione legale dei beni, nell’esercizio della loro autonomia privata, disporre degli effetti della comunione stessa, impedendo la caduta nel patrimonio comune di un acquisto, in assenza dei presupposti sostanziali di cui all’articolo 179 secondo comma codice civile (Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2008, n. 30416).
Le Sezioni Unite sulla controversa natura – secondo alcuni negoziale (e quindi dispositiva) e se¬condo altri semplicemente confessoria (e quindi ricognitiva) – della dichiarazione del coniuge non acquirente, hanno aderito alla tesi della natura confessoria. E con una posizione interpretativa di compromesso hanno fatta salva la possibilità per il coniuge non acquirente di poter richiedere l’accertamento della comproprietà di un bene immobile o mobile registrato escluso provando l’er¬rore di fatto o la violenza allorché la dichiarazione ricognitiva, abbia realmente natura confessoria e cioè solo quando risulti descrittiva di una situazione di fatto realizzatasi. Diversamente – come nel caso di dichiarazione concernente l’uso futuro dell’immobile acquistato (e quindi in caso di dichiarazione di intenti) il coniuge non acquirente potrà sempre proporre azione di accertamento della comunione legale provando la destinazione diversa da quella dichiarata nell’atto. Per quanto riguarda l’efficacia dell’esclusione verso terzi, il sopravvenuto accertamento della comunione lega¬le non sarà opponibile al terzo acquirente in buona fede, salvi gli effetti della trascrizione (Cass. civ. Sez. Unite, 28 ottobre 2009, n. 22755).
Anche nella giurisprudenza di merito il principio è stato affermato con chiarezza. Per esempio re¬centemente Trib. Lecce, 7 marzo 2017 ha precisato che in regime di comunione legale, nel caso di acquisto di un bene da parte di un solo coniuge, la dichiarazione di esclusione dalla comunione legale del bene acquistato, effettuata, ex art. 179, comma 2 c.c., dal coniuge non acquirente che abbia partecipato all’atto di compravendita, non impedisce di esperire l’azione di accertamento negativo dell’esclusiva titolarità del medesimo bene acquistato da parte di uno solo dei coniugi.
Il coniuge non acquirente pertanto potrà sempre pretendere che il bene escluso dal coacquisto sia considerato in comunione (la sentenza avrà quindi natura dichiarativa) ma dovrà dare una prova diversa a seconda della situazione che si è verificata. In particolare dovrà provare di essere caduto in errore di fatto o di aver subìto violenza per esprimere il consenso, nelle ipotesi in cui l’assenso da lui manifestato alla stipula concerna la ricognizione di una situazione di fatto già realizzatasi (ipotesi in cui l’acquisto è stato effettuato con denaro proveniente dalla vendita di un bene perso¬nale del coniuge acquirente: articolo 179 lettera f) mentre potrà limitarsi a provare che la destina¬zione indicata nell’atto è diversa da quella dichiarata nelle ipotesi in cui il suo assenso ha riguar¬dato una destinazione futura (per esempio la prova che l’immobile dichiaratamente acquistato per uso professionale del coniuge acquirente è stato invece destinato a casa familiare o a casa delle vacanze: articolo 179 lettera d; ovvero che l’automobile acquistata non è stata destinata, diversa¬mente da quanto dichiarato nell’atto, all’uso personale del coniuge acquirente: articolo 179 lett.c).
La giurisprudenza successiva si è attestata sulle medesime posizioni delle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. VI, 18 novembre 2016, n. 23565; Cass. civ. Sez. II, 10 febbraio 2016, n. 2642; Cass. civ. Sez. I, 17 luglio 2012, n. 12197; Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2012, n. 1523; Cass. civ. Sez. I, 4 agosto 2010, n. 18114; Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2010, n. 14226; Trib. Trento, 30 maggio 2016; Trib. Ivrea, 2 dicembre 2014; Trib. Roma Sez. X, 26 otto¬bre 2012) da ultimo precisando che l’efficacia della dichiarazione del coniuge non acquirente in favore del coniuge formalmente acquirente vale nel giudizio tra i coniugi e non nel diverso giudizio fra i coeredi di colui che l’aveva resa, che sono terzi rispetto al suddetto atto (Cass. civ. Sez. II, 9 novembre 2012, n. 19513) e che l’ipotesi della donazione indiretta dell’immobile (articolo 179 lettera b) non rientra tra le ipotesi tassative in cui è necessaria la partecipazione all’atto del coniuge non donatario (Cass. civ. Sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197).
L’unica possibilità, quindi che i coniugi avrebbero, se volessero escludere un immobile dalla co¬munione al di fuori delle ipotesi tassative indicate, sarebbe quella di procedere preventivamente ad una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario (Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3647).

Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. VI, 7 marzo 2017, n. 5652 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 177, comma 1, lett. c), c.c. esclude dalla comunione legale i proventi dell’attività separata svolta da cia¬scuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione.
Cass. civ. Sez. VI, 28 settembre 2015, n. 19204 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di comunione legale, l’art. 168 c.c. disciplina la particolare condizione dei beni acquistati dal coniuge per essere destinati all’impresa da lui gestita e costituita dopo il matrimonio, i quali sono soggetti al regime della comunione legale “ de residuo”, ossia ristretta ai soli beni sussistenti al momento dello sciogli-mento della comunione, sicché non opera per tali acquisti il meccanismo previsto dall’art. 179, comma 2, c.c., rimanendo essi esclusi automaticamente, seppur temporaneamente, dal patrimonio coniugale, senza necessità di specifica indi¬cazione o di partecipazione di entrambi i coniugi all’atto di acquisto, atteso che, mentre la prima norma prende in considerazione beni qualificati da un’oggettiva destinazione all’attività imprenditoriale del singolo coniuge, la seconda si occupa di beni soggettivamente qualificati dall’essere strumento di formazione ed espressione della personalità dell’individuo.
Cass. civ. Sez. I, 3 luglio 2015, n. 13760 (Giur. It., 2016, 5, 1102 nota di PIEMONTESE)
In caso di scioglimento della comunione legale tra i coniugi, con riguardo ai beni che formano oggetto della co¬munione de residuo, tra i coniugi stessi si instaura una comunione ordinaria, sicché il coniuge non titolare vanta un diritto reale di comproprietà (e non un mero diritto di credito di entità corrispondente al metà del valore dei beni caduti in comunione).
In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, il credito verso il coniuge socio di una società di per¬sone, a favore dell’altro coniuge in comunione de residuo, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento della comunione, ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare sine die la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale.
Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2013, n. 6876 (Famiglia e Diritto, 2013, 7, 659 nota di FALCONI)
In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, il credito verso il coniuge socio di una società di per¬sone, a favore dell’altro coniuge in comunione “ de residuo”, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento della comunione, ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare “sine die” la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale.
Non cadono in comunione immediata – restando assoggettati alla disciplina di cui all’art. 178 c.c. e cioè alla co¬munione de residuo – gli acquisti di quote di società di persone. Pertanto, poiché l’attivo della massa comune si arricchisce allo scioglimento della comunione legale, a questo momento, e non ad epoca successiva, va ancorata la stima del valore della partecipazione societaria.
È caratteristica tipica della comunione “de residuo” che l’attivo della massa comune si arricchisca proprio nel momento in cui il vincolo di solidarietà tra i coniugi si allenta con la separazione personale dei coniugi che è causa dello scioglimento della comunione legale (art. 191 c.c.), momento quest’ultimo cui necessariamente va ancorata la stima del valore di quella massa. La compartecipazione al valore degli incrementi patrimoniali conseguiti post-nuptias dall’altro coniuge è differita al momento della separazione, non ad epoca successiva.
Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 2012, n. 9845 (Famiglia e Diritto, 2013, 1, 5 nota di OBERTO)
Anche i diritti di credito acquistati da ciascuno dei coniugi in costanza di regime legale ricadono nella comu-nione, allorquando si tratti di crediti aventi una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio. Tra questi rientrano le quote di fondi comuni di investimento, ancorché acquisite con i proventi dell’at¬tività di un solo coniuge.
Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2012, n. 1523 (Fam. Pers. Succ., 2012, 7, 493 nota di SERRENTINO)
Il consenso espresso dal coniuge non acquirente del bene ha funzione di ricognizione della natura personale del prezzo o dei beni personali ceduti nel caso dell’art. 179, lett. f), c.c. laddove invece il bene sia destinato all’eser¬cizio dell’impresa o professione la dichiarazione esprime la mera condivisione dell’altrui intento.
Cass. civ. Sez. II, 26 luglio 2011, n. 16305 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie, il momento determinativo dell’acquisto della titola-rità dell’immobile da parte del singolo socio, onde stabilire se il bene ricada, o meno, nella comunione lega-le tra coniugi, è quello della stipula del contratto di trasferimento del diritto dominicale (contestuale alla convenzione di mutuo individuale), poiché solo con la conclusione di tale negozio il socio acquista, irrevoca-bilmente, la pro¬prietà dell’alloggio (assumendo, nel contempo, la veste di mutuatario dell’ente erogatore), mentre la semplice qualità di socio, e la correlata “prenotazione”, in tale veste, dell’alloggio, si pongono come vicende riconducibili soltanto a diritti di credito nei confronti della cooperativa, inidonei, come tali, a formare oggetto della “communio incidens” familiare.
Cass. civ. Sez. I, 21 ottobre 2010, n. 21648 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La c.d. comunione “de residuo”, prevista per i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi (art. 177 c.c., comma 1, lett. c) si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effetti¬vamente sussiste nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi ritenendo ad essa destinati “ex lege” i proventi personali che non siano stati provatamente impiegati per il soddisfacimento dei bisogni familiari, o che siano stati comunque investiti in acquisti già caduti in comunione. Pertanto, deve ritenersi che l’art. 177 c.c., lett. c) esclude dalla comunione legale i proventi dell’attività separata svolta da cia¬scuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione. La comunione “de residuo”, quindi, non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della comunione ed a carico del singolo coniuge, ma dà luogo ad una semplice aspettativa di fatto.
Cass. civ. Sez. Unite, 28 ottobre 2009, n. 22755 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la dichiarazione resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, secondo comma, cod. civ., in ordine alla natura personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che tale natura dipenda dall’acquisto dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente o dalla desti¬nazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione di quest’ultimo, assumendo nel primo caso natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti, ed esprimendo nel secondo la mera condivisione dell’intento del coniuge acquirente. Ne consegue che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene acquistato postula nel primo caso la revoca della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art. 2732 cod. civ., e nel secondo la verifica dell’effettiva destinazione del bene, indi¬pendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.
Cass. civ. sez. II, 2 febbraio 2009, n. 2569 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le quote di partecipazione del coniuge ad una società di persone ed i loro successivi aumenti costituiscono og¬getto della comunione legale tra i coniugi e rientrano conseguentemente tra gli acquisti di cui all’art. 177, lett. a), c.c., non tra i beni personali. Lo status di socio non attribuisce al partecipante ad una società di persone una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, dato che, anteriormente al verificarsi di una causa di scioglimento della società o del vincolo sociale, è ipotizzabile in favore del socio soltanto una aspetta¬tiva economica, legata all’eventualità che, al momento dello scioglimento, il patrimonio della società abbia una consistenza attiva tale da giustificare l’attribuzione pro quota ai partecipanti alla società di valori proporzionali alla loro partecipazione.
Cass. civ. Sez. I, 15 gennaio 2009, n. 799 (Famiglia e Diritto, 2009, 6, 571 nota di RIMINI)
Il credito per l’indennizzo, dovuto ai sensi dell’art. 936 cod. civ., dal proprietario del suolo per opere fatte dal terzo con materiali propri, non costituisce un acquisto che cade in comunione legale ai sensi dell’art. 177, lett. a), cod. civ., dovendo escludersi che la comunione degli acquisti provenienti da attività separata possa comprendere tutti indistintamente i diritti di credito, in quanto, posto che l’atto deve avere ad oggetto l’ac-quisizione di un “bene” ai sensi degli articoli 810, 812 e 813 cod. civ., restano esclusi i meri diritti di credito che non abbiano una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio. (Rigetta, App. Torino, 16 febbraio 2004)
Cass. civ. Sez. V, 16 luglio 2008, n. 19567 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di imposta sulle successioni, il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato – in regime di co¬munione legale dei beni – soltanto ad uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell’attività separa-ta svolta dallo stesso, se ancora sussistente entra a far parte della comunione legale dei beni, ai sensi dell’art. 177, primo comma, lett. c), cod. civ., al momento dello scioglimento della stessa, determinato dalla morte, con la conseguente insorgenza, solo da tale epoca, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo; lo sciogli¬mento attribuisce invero al coniuge superstite una contitolarità propria sulla comunione e, attesa la presunzione di parità delle quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, già esclusivi del coniuge defunto. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza del giudice tributario che aveva ritenuto che l’imposta di successione fos-se stata illegittimamente liquidata e corrisposta sull’intero asse ereditario mentre le attività relative ai conti correnti e titoli dovevano essere tassati al cinquanta per cento, con conseguente rimborso della maggiore imposta versata).
Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21098 (Giur. It., 2008, 7, 1704 nota di LUONI E CAVANNAONTI)
I titoli obbligazionari, acquistati da un coniuge in regime di comunione legale con i proventi della propria attività lavorativa, comportando la trasformazione del “provento” in bene giuridico diverso costituente una forma di inve¬stimento, rientrano nella nozione di acquisti di cui all’art. 177, lett. a, c.c. e quindi cadono in comunione immediata.
L’acquisto di obbligazioni societarie, comportando l’impiego del denaro, provento dell’attività personale e sepa¬rata di uno dei coniugi, in un bene giuridico diverso, costituente una forma di investimento, trasforma il provento dell’attività separata in un “quid alii” che, secondo la regola generale posta dall’art. 177, comma 1, lett. a), c.c. per tutti gli acquisti compiuti da ciascun coniuge in regime di comunione legale con i proventi della propria at¬tività, entra a far parte della comunione legale immediata e non della comunione “de residuo”, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. c), c.c..
La comunione legale fra i coniugi può riguardare non soltanto i diritti reali, ma anche i diritti di credito, dovendosi ritenere fondata l’interpretazione dell’art. 177, 1° comma, lett. a), c.c. secondo cui fra gli «acquisti» ivi indicati, che entrano a far parte della comunione legale ove non espressamente esclusi, rientrano tutti gli «investimen¬ti» compiuti da ciascun coniuge, «qualunque sia la natura del diritto che ne formi oggetto». Ne consegue che i titoli obbligazionari acquistati con i proventi della propria attività personale nel corso del matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione dei beni, in quanto forma di investimento che rappresenta un quid alii rispetto al «provento» impiegato, entrano a far parte della comunione legale immediata, ove non ricorra una delle eccezioni alla regola generale dell’art. 177 c.c., poste dall’art. 179 c.c.)
L’art. 177, lett. a), c.c. ricomprende nella comunione legale l’acquisto di ogni genere di bene, tra cui i diritti di credito.
Cass. civ. Sez. Unite, 24 agosto 2007, n. 17952 (Famiglia e Diritto, 2008, 7, 681 nota di PALADINI)
Nell’azione ex art. 2932 c.c. per l’adempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale promossa dal promissario acquirente nei confronti del promittente venditore che, coniugato in regime di comu¬nione dei beni, abbia stipulato un preliminare di vendita di un immobile oggetto di comunione legale senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo è litisconsorte necessario. Pertanto allorché il coniuge rimasto estraneo alla stipulazione del preliminare non sia stato convenuto in giudizio unitamente al coniuge stipulante e nei suoi confronti non sia stato integrato il contraddittorio, il giudizio svoltosi è nullo e va nuovamente celebrato a con¬traddittorio integro.
Trib. Catania 17 luglio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Gli acquisti di partecipazioni in società in nome collettivo sono soggetti alla comunione “de residuo” ex art. 178 c.c., mentre gli acquisti di quote di società a responsabilità limitata cadono in comunione imme-diata ex art. 177, comma 1, lett. a), c.c..
Cass. civ. Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 2597 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La c.d. comunione “de residuo “, prevista per i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi (art. 177 c.c., comma 1, lett. c) si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effettiva¬mente sussiste nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi ritenendo ad essa destinati “ex lege” i proventi personali che non siano stati provatamente impiegati per il soddisfacimento dei bisogni familiari, o che siano stati comunque investiti in acquisti già caduti in comunione. Pertanto, deve ritenersi che l’art. 177 c.c., lett. c) esclude dalla comunione legale i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca prece-dente allo scioglimento della comunione. La comu-nione “ de residuo”, quindi, non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della comunione ed a carico del singolo coniuge, ma dà luogo ad una semplice aspettativa di fatto.
L’art. 177 lett. c) del codice civile esclude dalla comunione legale i proventi dell’attività separata svolta da cia¬scuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della co-munione.
Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2005, n. 18456 (Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 933 nota di PALADINI)
Nel regime della comunione legale, i beni, inclusi quelli immobili, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all’esercizio, da parte sua, dell’impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della comunione “ de residuo”, e quindi se e nei limiti in cui sussistano al momento dello scioglimento di questa. A tali acquisti, che rinvengono la loro compiuta disciplina nell’art. 178 cod. civ., non si applica la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 179 cod. civ. – la quale consente l’esclusione di immobili e mobili registrati dalla comunione, purchè all’atto di acquisto abbia “partecipato” anche il coniuge non acquirente e questi abbia rilasciato una di¬chiarazione di assenso ai fini dell’esclusione -, giacchè detta previsione si riferi-sce soltanto alle diverse ipotesi contemplate dal primo comma del medesimo art. 179, fra cui è compresa (ai sensi della lettera d) quella dei beni destinati all’esercizio della professione, non equiparabili ai beni de-stinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Cass. civ. Sez. I, 16 luglio 2004, n. 13164 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Elemento costitutivo del diritto – al momento dello scioglimento della comunione – alla ripartizione degli utili e degli incrementi dell’ azienda appartenente a uno dei coniugi anteriormente al matrimonio da parte dell’altro è la gestione comune dell’ azienda stessa in costanza di matrimonio, gestione comune la cui sussistenza non può essere ritenuta in mancanza di prova da parte di colui che propone la domanda di divisione.
Cass. civ. Sez. I, 14 aprile 2004, n. 7060 (Fallimento, 2005, 2, 146 nota di FIGONE)
Il fallimento di uno dei coniugi in regime di comunione legale dei beni determina la comunione de residuo sui beni destinati post nuptias all’esercizio di impresa, soltanto rispetto a quelli eventualmente residui dopo la chiu¬sura della procedura.
Trib. Cagliari, 8 gennaio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della esclusione dalla comunione legale di alcuni immobili acquistati separatamente dal singolo coniuge, la partecipazione del coniuge dell’acquirente, ai sensi dell’art. 179 c.p.v. c.c., che si concreti nella dichiarazione di esclusione dalla comunione, ha natura meramente ricognitiva circa la sussistenza di uno dei presupposti di cui all’art. 179 lett. c), d) ed f) c. c. L’intervento del coniuge dell’acquirente non ha rilievo negoziale né dispositivo, non essendo ammissibile che un coniuge in regime di comunione legale rinunci efficacemente alla contitolarità di un singolo bene, e, comunque, che i coniugi apportino modifiche al regime le-gale in relazione ad un singolo bene. Per l’effetto, la dichiarazione di esclusione dalla comunione espressa dal coniuge, mediante l’attestazione che il bene acquistato è destinato all’esercizio della professione del coniuge acquirente (ex art. 179 lettera d) c. c.), non vale ad escluderlo dalla comunione de residuo (ai sensi dell’art. 178 c. c) qualora venga poi provato in giudizio che detto bene era in realtà destinato all’esercizio dell’impresa del coniuge acquirente.
Cass. civ. Sez. I, 12 settembre 2003, n. 13441 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 177, lett. c), c.c. esclude dalla comunione legale tra coniugi i proventi dell’attività separata svolta da cia¬scuno di essi e consumati in epoca precedente allo scioglimento della comunione.
I redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali, quanto se si tratti di proventi della loro attività separata non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a divenire comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di sciogli¬mento della comunione.
In tema di comunione legale dei beni tra coniugi gli articoli 195 e 219, comma 2, del c.c. non richiedono alcuna prova qualificata, al fine di superare la presunzione ivi stabilita, essendo sufficiente una prova libera e, quindi, anche una prova per presunzioni. (Nella specie in applicazione del riferito principio la Suprema corte ha confer¬mato la pronuncia dei giudici di merito che con riguardo a somme di cui aveva disposto, in via esclusiva, uno dei coniugi anteriormente allo scioglimento della comunione, aveva escluso che le stesse potessero presumersi comuni, ai sensi delle richiamate disposizioni, atteso che trattavasi di somme depostole in conti correnti intestati al solo coniuge che ne aveva disposto).
Cass. civ. Sez. III, 20 dicembre 2001, n. 16073 (Corriere Giur., 2003, 2, 180 nota di ROSSETTI)
La morte del coniuge determina lo scioglimento della comunione legale, ex artt. 149 e 191 c.c.. Ne consegue che il coniuge separato della vittima di un atto illecito non ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale con¬sistente nella asserita perdita dei risparmi che il partner avrebbe accumulato se avesse continuato a lavorare, e che sarebbero entrati a far parte della comunione de residuo al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
Cass. civ. Sez. I, 17 novembre 2000, n. 14897 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Costituiscono oggetto della comunione cosiddetta “de residuo “, ai sensi dell’articolo 177 lett. c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunio¬ne ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a di-mostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui ricadevano in comunione de residuo le somme depositate su un conto corrente cointestato, ritirate prima della separazione e asseritamente utilizzate per l’attività d’impresa del coniuge prelevante).
Cass. civ. Sez. I, 9 marzo 2000, n. 2680 (Fallimento, 2001, 1, 39 nota di CARAVAGLIOS)
In regime di comunione legale tra coniugi, il fallimento di uno di essi determina la comunione “de resi-duo” sui beni destinati “post nuptias” all’esercizio dell’impresa solo rispetto ai beni residui a seguito della chiusura della procedura.
Tribunale Roma 16 settembre 1999 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La semplice circostanza che i coniugi siano comproprietari di azienda, non è sufficiente di per sé a ritenere che quest’ultima sia necessariamente cogestita da entrambi e che, pertanto, tra essi sussista una società di fatto (artt. 177, 178, c.c.). Nel caso in cui ambedue i coniugi siano proprietari dell’azienda familiare, ai fini dell’indivi¬duazione delle norme applicabili occorre distinguere i rapporti concernenti la proprietà, art. 177 c.c., dai rapporti concernenti la gestione, art. 2247 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 27 maggio 1999, n. 5172 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I titoli di partecipazione azionaria acquistati, in costanza di matrimonio, da uno solo dei coniugi ed allo stesso intestati, sono suscettibili di essere compresi nel regime della comunione legale contemplata dall’art. 177, com¬ma 1, lett. a), c.c.
Cass. civ. Sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel regime di comunione legale fra i coniugi, i beni acquistati con i proventi dell’attività separata di uno dei coniugi entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che vi sia possibilità di esclusione mediante la dichiarazione prevista dall’art. 179, lett. f) c.c., applicabile soltanto all’acquisto effettuato con il prezzo del trasferimento dei beni “personali”, tassativamente elencati nel predetto art. 179. A tal riguar¬do, anche le azioni di società, sottoscritte da un coniuge in sede di aumento di capitale ed in virtù di diritto di opzione, costituiscono incrementi patrimoniali rientranti fra gli acquisti di cui all’art. 177, lett. a), c.c., e quindi nell’oggetto della comunione legale tra coniugi, in quanto, anche se esse non sono meri titoli di credito, ma titoli di partecipazione societaria, l’aspetto patrimoniale di esse è assolutamente prevalente rispetto ai diritti ed agli obblighi connessi con lo status di socio in essi incorporato, ed in quanto il carattere personale del diritto di opzio
Cass. civ. Sez. I, 21 maggio 1997, n. 4533 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel regime della comunione legale tra i coniugi, perchè i benefici acquistati da uno dei coniugi cadano in co¬munione cosiddetta de residuo, ovvero solo al momento dello scioglimento della stessa e non al momento del loro acquisto, e nei limiti in cui sussistano a tale momento, è sufficiente che siano destinati all’esercizio dell’impresa, ancorchè di tale destinazione non si faccia menzione nell’atto di acquisto, con la conseguenza che tali beni, destinati all’uso predetto, sono liberamente aggredibili, prima di tale evento, da parte dei creditori del coniuge acquirente.
Trib. Trani, 12 maggio 1997 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In regime di comunione legale ex art. 177 ss. c.c., data la mancanza di norme che attribuiscano al coniuge non titolare di frutti e proventi di attività separata svolta dall’altro coniuge un potere di controllo sulla sorte degli stessi, ovvero che loro imprimano un vincolo di destinazione, non possono ritenersi fondate la do-manda diretta ad accertare, prima del sorgere della comunione “de residuo”, la violazione, da parte del coniuge titolare dei frutti e dei proventi di cui sopra, degli obblighi nascenti dalla comunione legale, e la cor-relata domanda di ri¬sarcimento dei danni.
Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 1996, n. 8865 (Famiglia e Diritto, 1996, 515 nota di SCHLESINGER)
L’art. 177 lett. b) e c) c.c., nella parte in cui prevede che divengano oggetto di comunione, al momento del-lo scioglimento di questa “i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati” nonché “i proventi della attività separata di ciascuno dei coniugi, se allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati”, deve essere interpretato nel senso che costituiscono oggetto della cd. comunione “de residuo”, tutti i redditi percetti e percipiendi rispetto ai quali il titolare dei redditi stessi non riesca a da-re la prova che o sono stati consumati per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comu-nione. (Nella specie, nell’ambito di un giudizio di separazione personale dei coniugi, pretendendo la moglie la condanna del marito, esercente una florida impresa di allevamento di suini, al versamento della “metà dei suoi redditi non utilizzati fino allo scioglimento della comunione” i giudici del merito avevano rigettato la domanda, sul rilievo che pure essendo emersa l’esistenza, in favore del marito, di elevati redditi, derivanti dall’esercizio della detta impresa, non risultavano apprezzabili disponibilità liquide, al momento della cessazione della comunanza dei rispettivi proventi. In termini opposti la S.C. ha cassato tale capo della pronuncia impugnata, enunciando il principio di diritto riassunto sopra).
Cass. civ. Sez. II, 8 maggio 1996, n. 4273 (Nuova Giur. Civ., 1997, I, 394 nota di DE MARTINIS)
Per individuare il regime giuridico applicabile ad un bene immobile assegnato a seguito di liquidazione di so-cietà in nome collettivo a uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni ed in costanza di matri-monio, deve tenersi conto del particolare profilo relativo alla formazione del patrimonio sociale – cioè all’ac-quisto dei beni che hanno costituito quel patrimonio – alla natura del diritto del socio sul patrimonio di una società di persone e alla qualifica dei beni assegnati a seguito di liquidazione di detto patrimonio. Non è per-tanto sufficiente l’intervenuta assegnazione in costanza di matrimonio per affermare che detti beni rientrino nella comunione legale ai sensi dell’art. 177 lett. a) c.c. I predetti beni non rientrano comunque nella c.d. comunione “de residuo” prevista dagli art. 177 lett. b) e c), in quanto questi ultimi non possono che consistere in beni mobili – denaro in particolare – ovvero in diritti di credito verso terzi.
In regime di comunione legale fra coniugi, i beni che possono formare oggetto della comunione de re-siduo, che si forma ai sensi dell’art. 177 comma 1, lett. b e c, all’atto dello scioglimento della comunione stessa sui frutti non consumati dei beni propri e sui proventi della attività separata, possono consistere esclusivamente in beni mobili o in diritti di credito verso terzi, con esclusione, pertanto, degli immobili.
Cass. civ. Sez. I, 1 febbraio 1996, n. 875 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non costituisce oggetto della comunione legale l’alloggio di cooperativa edilizia assegnato in godimento, ma non ancora trasferito, o il credito vantato verso la cooperativa da parte del socio che validamente rinuncia all’as¬segnazione, in mancanza del trasferimento del diritto dominicale in base al contratto privatistico che richiede l’integrale pagamento del prezzo. Ne consegue che non facendo parte della comunione legale l’assegnazione provvisoria prima del trasferimento, non sussiste altresì alcun diritto della ricorrente ad ottenere la metà del credito spettante al coniuge nei confronti della cooperativa a seguito dell’effettuata rinuncia.