Nel divorzio e nella separazione, il tribunale quando la causa è matura per la decisione è tenuto a pronunciare (anche in mancanza di istanza di parte) sentenza non definitiva sullo status

Cass. civ. Sez. VI – 1, 31 agosto 2017, n. 20666
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
R.C.A.M., elettivamente domiciliata in Roma, via Cola di Rienzo 44, presso l’avv. Carla Maria Gentili, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. 06/3236612 e alla p.e.c. carlamariagentili(at)ordineavvocatiroma.org;
– ricorrente –
nei confronti di:
D.d.R.A.P.M., elettivamente domiciliato in Roma, via F. Paulucci dè Calboli 1, presso l’avv. Stefania Ciaschi (fax 06/3741211, p.e.c. stefaniaciaschi(at)ordineavvocatiroma.org) che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Giovanna Conciò (p.e.c. giovannacondo(at)milano.pecavvocati.it, fax 02/54090127);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 430/2016 della Corte di appello di Roma, emessa il 10 dicembre 2015 e depositata il 24 gennaio 2016, n. R.G. 7640/2014.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che:
1. Con ricorso del 23 marzo 2012 il D.d.R.A.P.M. ha adito il Tribunale di Roma per ottenere la separazione giudiziale, con addebito alla moglie R.C.A.M. che si è costituita chiedendo a sua volta la dichiarazione di addebito a carico del marito. Entrambe le parti hanno formulato domande relative al regime di affidamento dei figli e al loro mantenimento. La R.C. ha chiesto altresì la imposizione al mensile di D.d.R. di un assegno mensile di mantenimento in suo favore.
2. Il Tribunale con sentenza non definitiva del 23/24 ottobre 2012 ha pronunciato la separazione giudiziale.
3. Ha proposto appello la R.C. per l’errata valutazione circa la sua adesione alla domanda di separazione e la sua rinuncia ai termini di cuiall’art. 109 c.p.c.; per il mancato accertamento circa l’effettiva irreversibilità della crisi coniugale e della intollerabilità della convivenza; per la asserita incostituzionalità della disciplina che consente la pronuncia della separazione con sentenza non definitiva in quanto in contrasto con gliartt. 3, 29 e 111 Cost..
4. D.d.R.A.P.M. si è costituito e ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità per difetto di interesse all’impugnazione e la condanna della R.C. exart. 96 c.p.c..
5. La Corte di appello ha respinto l’appello rilevando che con la novella introdotta conlegge n. 263/2005dell’art. 709 bis c.p.c., sussiste ormai l’obbligo e non più la sola facoltà per il giudice di pronunciare anche con sentenza non definitiva sullo status e ciò a prescindere dall’impulso di parte (Cass. civ. n. 10484/2012). Ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale e ha ritenuto accertata in base alle prospettazioni delle parti e all’esito del tentativo di conciliazione l’intollerabilità della convivenza. Ha infine condannato la R.C. exart. 96 c.p.c., comma 3.
6. Ricorre per cassazione la R.C. affidandosi a sei motivi con i quali ribadisce di non aver mai proposto o aderito alla domanda di separazione, rileva la mancata prospettazione delle pretese ragioni di intollerabilità della convivenza, contesta l’omessa valutazione in ordine alla prospettata necessità di prosecuzione del processo prima della sentenza dichiarativa della separazione, contesta infine la sussistenza dei presupposti per la sua condanna exart. 96 c.p.c., e al pagamento delle spese processuali.
7. Si difende con controricorso il D.d.R..
Ritenuto che:
8. La disposizione di cui all’art. 709 bis c.p.c., come definitivamente modificata dalla L. 25 dicembre 2005, n. 263, art. 1, comma 4, sancisce in maniera esplicita, in materia di pronuncia immediata sullo “status”, la già ritenuta equiparazione fra il procedimento di separazione tra i coniugi e quello di divorzio, volendo evitare condotte processuali dilatorie, tali da incidere negativamente sul diritto di una delle parti ad ottenere una pronuncia sollecita in ordine al proprio “status” (Cass. civ., sez. 6^-1, n. 10484 del 22 giugno 2012).
9. Come affermato sin dal 1992 (Cass. civ., sez. 1^ n. 7148 del 10 giugno 1992) e ribadito anche di recente (Cass. civ., sez. 1^, n. 8713 del 29 aprile 2015) la situazione di intollerabilità della convivenza può dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale anche di uno solo dei coniugi.
10. Per ciò che concerne la sollevata questione di costituzionalità questa Corte ha già affermato (Cass. civ. sez. 1^, n. 9614 del 22 aprile 2010) che la sentenza non definitiva di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che il Tribunale è tenuto a pronunciare d’ufficio quando la causa sia, sul punto, matura per la decisione, ed alla quale faccia seguito la prosecuzione del giudizio per le altre statuizioni, costituisce uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che non determina un’arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole, sia perché è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, ai sensi dellaL. n. 898 del 1970,art.4, peraltro modificabili e revocabili dal giudice istruttore al mutare delle circostanze, sia per l’effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell’assegno di divorzio. Pertanto, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dellaL. n. 898 del 1970,art.4, comma 9, (nel testo sostituito dellaL. n. 74 del 1987,art.8), sollevata in riferimento agliartt. 2, 3 e 29 Cost..
11. Per ciò che concerne gli ultimi due motivi di ricorso attinenti alla contestazione della condanna alle spese del giudizio di appello la Corte ritiene di aderire all’indirizzo giurisprudenziale più recente (Cass. civ. sez. 6^-3 n. 9532 del 12 aprile 2017) secondo cui il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, exart. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensidell’art. 92 c.p.c..
Conseguentemente anche tali motivi devono ritenersi infondati sebbene non possano ritenersi sussistenti – in ragione dello specifico contrasto giurisprudenziale (Cass. civ. sez. 2^ n. 20838 del 14 ottobre 2016) – i presupposti per una condanna della ricorrente ex art. 96, comma 3, relativamente al presente giudizio.
12. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in 5.100 Euro, di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2017