In sede di separazione l’attitudine al lavoro del beneficiario dell’assegno assume rilievo solo se si sostanzia in un’effettiva impossibilità di un’attività lavorativa retribuita

Cass. civ. Sez. VI – 1, 20 luglio 2017, n. 17971:
ORDINANZA
sul ricorso 14206-2016 proposto da:
N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 35/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLAGRANDE, rappresentato e difeso dagli avvocati CINZIA MELLA, LUCIA TEDESCHI;
– ricorrente –
contro
ìS.S. elettivamente domiciliata in LARGO GEN. GONZAGA DEL VODICE 2, presso dell’avvocato ALESSANDRO PAZZAGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIA BACCOS;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2778/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA.
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Padova sulla separazione dei coniugi sig. N.M. e sig.ra S.S., ha determinato in Euro 650,00, comprensivi della rata del mutuo contratto per l’acquisto della casa coniugale, l’assegno mensile dovuto dal marito in favore della moglie, e ha condannato l’appellato alle spese processuali in considerazione della sua prevalente soccombenza.
Accertato che la sig.ra S. era disoccupata, la Corte ha valutato che sussisteva tra i coniugi una consistente disparità economica. In particolare, quanto al primo profilo, ha chiarito che la signora, a partire dall’8 agosto 2014, non aveva più svolto attività lavorative retribuite di carattere continuativo, e che quindi non rilevava la sua astratta attitudine al lavoro proficuo, difettando comunque qualunque concreta capacità di guadagno; quanto, poi, al profilo della disparità economica tra i coniugi, ha evidenziato che, a differenza della moglie, il sig. N. poteva contare su una fonte di reddito stabile e continuativa, esercitando la professione di promotore finanziario, ed ha disatteso le dichiarazioni dei redditi da lui prodotte, tra cui quella del 2014, dalla quale risultava un reddito mensile nello di Euro 1.375,08. Tale somma, infatti, non era neppure sufficiente a far fronte agli esborsi mensili accertati, quali il pagamento dell’assegno di Euro 837,60 per le due figlie e altre spese fisse su di lui gravanti; le rate del mutuo ipotecario pari a Euro 550,00; i canoni di locazione di Euro 430,00 e di Euro 110,00 rispettivamente per l’abitazione e l’ufficio e gli ulteriori costi di quest’ultimo.
In mancanza di elementi attendibili per la ricostruzione delle effettive disponibilità economiche dell’obbligato, per determinare l’entità dell’assegno la Corte si è quindi basata sull’accordo stipulato dai coniugi il 16 febbraio 2010, con il quale il marito si era impegnato a versare alla moglie, per il mantenimento di lei e delle figlie, la somma di Euro 1.500,00 mensili, comprensiva della rata di mutuo e delle spese per utenze domestiche.
2. Il sig. N. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui l’intimata ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha anche presentato memoria.
Il Collegio ha deliberato che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.
Motivi della decisione
1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, il ricorrente censura le statuizioni relative all’an e al quantum dell’assegno di mantenimento riconosciuto in favore della moglie.
1.1. La censura riguardante la capacità lavorativa della sig.ra S. è infondata, poiché l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (Cass. 3502/2013, 18547/2006, 6427/2016). Per il resto le censure sono inammissibili in quanto, a dispetto della loro rubrica, si sostanziano in critiche di merito.
2. Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione, si censura la condanna del ricorrente alle spese processuali, contestando la valutazione di sua prevalente soccombenza.
2.1. Il motivo è inammissibile perché la valutazione in questione è tipicamente di merito, dunque è censurabile soltanto ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 mediante indicazione – nella specie del tutto mancante – di un fatto decisivo di cui si sia discusso in causa e del quale il giudice abbia omesso l’esame.
3. Il ricorso va in conclusione rigettato.
Quanto alle spese processuali, data l’ammissione della controricorrente vittoriosa al patrocinio a spese dello Stato, questa Corte deve limitarsi a condannare il ricorrente soccombente a versare il relativo importo, sia per il giudizio di legittimità che per quello di merito (art. 385 c.p.c., comma 2), all’Amministrazione Finanziaria dello Stato, ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.113senza procedere ad alcuna liquidazione, spettante invece, ai sensi della corretta lettura degli artt. 82 e 83 D.P.R. cit., al giudice di merito (cfr., da ult., Cass. Sez. Un. 22792/2012), individuato nel giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass. 23007/2010).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato, delle spese del giudizio di legittimità, da liquidarsi a cura della Corte d’appello di Venezia.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1quater, inserito dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228,art.1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.