La nuova convivenza elide completamente il diritto all’assegno divorzile, anche se è cessata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile- 1, ordinanza 21 luglio 2017, n. 18111
Fatto e diritto
Rilevato che:
Con sentenza del 18/9 – 2/10/2015, la Corte d’appello di Cagliari ha dichiarato insussistente il diritto di F.G. all’assegno divorzile ed ha confermato in Euro 400 mensili l’assegno a carico di Fr.Re. per il mantenimento del figlio M. .
Per quanto ancora interessa, nello specifico, la Corte del merito, ritenuto la rilevanza, ai fini del diritto all’assegno di divorzio, della verifica della prosecuzione della convivenza con altro compagno della sig. F. , ha evidenziato che nel ricorso introduttivo di primo grado il Fr. aveva fatto riferimento alla convivenza della moglie; questa non aveva sollevato contestazioni e solo in sede di comparizione aveva affermato che detta convivenza era venuta meno nel 2008, ma non aveva provato detta circostanza, come era onerata trattandosi di fatto nuovo allegato “costitutivo del diritto all’assegno divorzile e alla stregua del principio della vicinanza della prova”.
Ne conseguiva la perdita del diritto all’assegno.
Ricorre la F. , sulla base di tre motivi.
L’intimato non ha svolto difese.
Considerato che:
Col primo motivo di ricorso, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115,116, 167 in materia di contestazione e valutazione della prova, e degli artt.183 e 190 cod. proc. civ., in materia di determinazione del thema probandum, sostenendo che nel ricorso introduttivo il sig.Fr. non ha fatto menzione dell’instaurazione o prosecuzione della convivenza more uxorio della sig.F. con altra persona e di avere essa dichiarato, nella comparizione personale del 17/1/2010 avanti al Presidente del Tribunale, che la convivenza extra coniugale era cessata nel 2008 (quindi prima della instaurazione del procedimento di divorzio introdotto col ricorso del 5/10/2010), che il F. aveva fatto valere la mancata prova della cessazione della convivenza solo in comparsa conclusionale, infine che la Corte del merito avrebbe dovuto verificare la stabilità e continuità della eventuale convivenza.
Col secondo motivo, si duole la ricorrente della violazione e falsa applicazione dell’art.5 della 1.898/1970, per avere la Corte del merito omesso di accertare la sussistenza di una nuova famiglia ancorché di fatto, dotata dei caratteri della stabilità e continuità, quale presupposto giustificante l’esclusione dell’assegno. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento, per avere la Corte del merito posto a base della decisione una questione rilevata d’ufficio, ovvero l’asserita convivenza more uxorio, senza concedere il termine ex art.101, comma 2, cod. proc. civ., per garantire il contraddittorio.
I tre motivi di ricorso, strettamente collegati, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi manifestamente infondati.
Nel suo nucleo essenziale, la tesi della ricorrente è basata sul rilievo processuale dell’introduzione da parte del Fr. solo in sede di comparsa conclusionale di primo grado della mancata prova della cessazione della convivenza della F. , come accertata in sede di modifica delle condizioni di separazione con il decreto del Tribunale del 21/11/2008, da cui, secondo l’odierna ricorrente, la violazione del principio ex art. 2697 cod. civ., l’introduzione da parte della Corte del merito di una questione rilevata d’ufficio (la prosecuzione della convivenza more uxorio), la violazione dell’art. 5 legge divorzile, per la mancata verifica delle caratteristiche dell’assunta convivenza. Di contro a detta pur articolata prospettazione, va in via assorbente rilevato che deve trovare applicazione il principio espresso nella pronuncia 6855/2015, declinato secondo la specificità del caso.
La pronuncia citata, come è noto, ha affermato che l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo.
Ora, nella specie, il fatto rilevante della convivenza con altri da parte della sig.F. ha fatto parte del giudizio, per quanto dichiarato dalla stessa parte in sede di comparizione personale del 17/1/2010, anche se con l’aggiunta della cessazione della convivenza dal 2008, come poi ribadito anche in sede di costituzione di secondo grado, ma detta ulteriore circostanza non può ritenersi rilevante, volta che si ponga attenzione alla cesura che si è ormai determinata con l’instaurazione della nuova convivenza che non può essere posta nel nulla a seguito della prospettata cessazione della stessa, per il rilievo, già espresso nella pronuncia del 2015, che il diritto all’assegno non entra in fase di quiescenza, ma viene definitivamente eliso, di talché sono irrilevanti le successive evoluzioni del nuovo rapporto.
Ne consegue il rigetto del ricorso, stante la correttezza della decisione impugnata nella sua statuizione finale, pur dovendosi correggere la motivazione nei sensi di cui sopra.
Non v’è luogo alla pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Vista l’ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, non si applica l’art.13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002.
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