Riconciliazione
Di Gianfranco Dosi
I
Il quadro normativo
Di riconciliazione – non meglio definita nei codici – si parla nel diritto di famiglia per riferirsi a quella condizione di “integrale ripresa del consortium vitae” tra coniugi (come si esprimono Cass. civ. Sez. VI, 24 agosto 2016, n. 17318; Cass. civ. Sez. VI, 24 agosto 2016, n. 17318) che era stato infranto dallo stato di separazione.
La prima norma che ne tratta è l’art. 154 c.c. (Riconciliazione) dove si legge che “La riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta”. Una norma analoga non è prevista per il procedimento di divorzio. L’aspetto giuridico più problematico che si presenta è quello di differenziare gli effetti della riconciliazione (che porta o dovrebbe portare all’abbandono della causa di separazione) rispetto agli effetti dell’abbandono della causa da parte dei coniugi senza alcuna riconciliazione (art. 181 c.p.c.) ed in cui il giudice dichiara l’estinzione del processo. Il tema comporta l’approfondimento del discutibile principio contenuto nell’art. 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (applicabile, come si dirà, sia alla separazione che al divorzio).
La seconda norma che si occupa della riconciliazione è l’art. 157 c.c. (Cessazione degli effetti della separazione) in cui si prevede al primo comma che “I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione” e al secondo comma che “La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione”. Qui la norma fa riferimento alla ripresa del consortium vitae dopo il giudicato di separazione e l’intenzione evidente del legislatore è quella di agevolare la ripresa della vita matrimoniale non gravando i coniugi che si riconciliano di oneri processuali imposti come necessari per la cancellazione della pronuncia.
C’è una terza disposizione che tratta espressamente il tema della riconciliazione ed è contenuta nella legge sul divorzio, dove si prescrive che in caso di domanda di divorzio in seguito al giudicato di separazione “L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta” (art. 3, n. 2 b, ultima parte, legge 1 dicembre 1970, n. 898 come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74). Qui il legislatore non usa il termine “riconciliazione” ma è questo il significato della disposizione il cui fondamento appare solo quello di imporre il rispetto formale della sequenza prevista tra il procedimento di separazione e quello di divorzio.
È appena il caso di osservare che alla riconciliazione tra coniugi tende anche, nella interpretazione tradizionale della norma, il “tentativo di conciliazione” che il presidente del tribunale è chiamato a fare all’inizio del procedimento di separazione (art. 708 c.p.c.) e di divorzio (art. 4, comma 8, legge 1 dicembre 1970, n. 898), prima dell’adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti.
Che cosa significa e quale natura ha la riconciliazione?
Il concetto di “integrale ripresa del consortium vitae” tra coniugi (Cass. civ. Sez. VI, 24 agosto 2016, n. 17318; Cass. civ. Sez. VI, 24 agosto 2016, n. 17318) è quello che rende meglio di tutti il significato della riconciliazione.
Riconciliarsi vuol dire, insomma, riprendere la “comunione spirituale e materiale” in cui consiste la vita matrimo¬niale, secondo la definizione che è rinvenibile, paradossalmente, nella legge sul divorzio dove all’art. 1 si legge che il giudice pronuncia il divorzio quando “accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita”.
Come precisato da una ormai copiosa giurisprudenza, la riconciliazione deve concretizzarsi in una durevole ri¬costituzione del preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non in un semplice riavvicinamento occasionale dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali (Cass. civ. Sez. VI, 24 dicembre 2014, n. 27386; Cass. civ. Sez. VI, 21 novembre 2014, n. 24833; Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2014, n. 19535; Cass. civ. Sez. I, 24 dicembre 2013, n. 28655; Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1227; Cass. civ., 17 novembre 1983, n. 6860; Cass. civ., 24 marzo 1983, n. 2058; Cass. civ. Sez. I, 6 marzo 1979, n. 1400; App. Napoli, 9 novembre 2012; Trib. Potenza, 27 maggio 2011; Trib. Trento, 18 gennaio 2011; Trib. Reggio Emilia, 12 maggio 2008; App. Roma, 13 febbraio 2008; App. Catania, 26 aprile 2007).
Non basta quindi certamente la sola ripresa della coabitazione che non costituisce, di per sé, quindi, un dato sufficiente per far ritenere intervenuta fra gli stessi una riconciliazione, occorrendo una stabile e consapevole ripresa della vita in comune, con una compartecipazione responsabile rispetto agli eventi incidenti sulla gestio¬ne familiare (Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2014, n. 369; Cass. civ. Sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26165; Cass. civ. Sez. I, 6 ottobre 2005, n. 19497; Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2004, n. 12427; Cass. civ. Sez. I, 11 ottobre 2001, n. 12428; Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2000, n. 2217; Cass. civ. Sez. I, 17 giugno 1998, n. 6031). In passato alla coabitazione era stato tuttavia attribuito un forte valore presuntivo. Così per esempio Cass. civ. Sez. I, 25 maggio 2007, n. 12314 secondo cui l’elemento oggettivo del ripristino della coabitazione tra i coniugi, è potenzialmente idoneo a fondare, nel giudice, il positivo convincimento circa l’avve¬nuta riconciliazione e spetterà, quindi, al coniuge interessato a negarla dimostrare che il nuovo assetto posto in essere era, per intercorsi accordi tra le parti o per le modalità di vita familiare sotto lo stesso tetto, tale da non integrare una ripresa della convivenza, e quindi tale da non poter essere configurato come evento riconciliativo.
Interessante la pronuncia di Corte Conti Sez. III Pens. civ., 13 gennaio 1987, n. 59770 (risalente ai tempi in cui l’addebito era considerata causa di esclusione della pensione di reversibilità) secondo cui la sola ripresa della coabitazione non costituisce indice sicuro ed univoco dell’avvenuta riconciliazione fra i coniugi, idonea a superare l’impedimento per la corresponsione del trattamento di riversibilità a favore della vedova separata per sua colpa.
Anche la giurisprudenza di merito ha sempre applicati da tempo i medesimi principi (App. Napoli, 19 luglio 2013; Trib. Milano, 22 maggio 2013; Trib. Benevento, 22 gennaio 2010; Trib. Trani, 19 maggio 2008; Trib. Chieti, 18 ottobre 2007; Trib. Monza Sez. IV, 11 aprile 2006; App. Napoli, 17 gennaio 2005; App. Perugia, 9 ottobre 2003; Trib. Vercelli, 9 maggio 2001). La giurisprudenza di merito utilizza in generale criteri così rigorosi per la verifica dell’avvenuta riconciliazione da lasciare margini molto esigui per l’accoglimento dell’eccezione. Questo è molto evidente per esempio in Trib. Milano Sez. IX, 12 marzo 2009 secondo cui va esclusa la sussistenza di una vera e propria riconciliazione in presenza di incontri dei coniugi nei fine settimana o nelle vacanze, in presenza di visite anche giornaliere dettate da motivi umanitari, in relazione al semplice fatto che uno dei coniugi si rechi a consumare i pasti nell’abitazione familiare, in presenza di ritorni saltuari del marito nel luogo di residenza della moglie e di rapporti sessuali tra loro intervenuti in dette occasioni, in presenza del fatto che il marito, convivente con la moglie, corrisponda con continuità a quest’ultima somme di denaro: tali comportamenti non integrano ex se la prova dell’intervenuta riconciliazione, occorrendo per converso che que¬sti siano stati accompagnati da un insieme di altri comportamenti che realmente e concretamente dimostrino il ripristino della comunione di vita in tutti i suoi profili, sia materiali che spirituali.
L’accertamento deve compiersi “attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei compor¬tamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza e alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva” e, naturalmente, implicando un’indagine di fatto, certamente non è censurabile in sede di legittimità (Cass. civ. Sez. I, 1 ottobre 2012, n. 16661; Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 2008, n. 21001; Cass. civ. Sez. I, 25 maggio 2007, n. 12314; Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 2001, n. 3744).
Secondo Trib. Roma Sez. I, 19 luglio 2010 e App. Roma, 12 aprile 2006 a fronte dell’allegazione da parte di un coniuge degli elementi da cui desumere la riconciliazione, è onere del coniuge che contesti l›interruzione degli effetti della pregressa separazione dimostrare le modalità di svolgimento della vita coniugale sotto lo stesso tetto tali da far escludere l›intento conciliativo.
Il concetto di riconciliazione a cui si riferiscono le tre disposizioni alle quali si è sopra fatto cenno è un concetto unitario. La circostanza che solo l’art. 157 richiami la necessità che vi sia un “comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione” è comprensibile dal momento che in caso di contrasti sull’avvenuta riconciliazione – così come in caso di eccezione del convenuto in sede divorzile – è attribuito al giudice il compito di verifica dell’esistenza della ripresa della comunione di vita. Viceversa nel caso indicato nell’art. 154 la valuta¬zione è lasciata alla sola iniziativa dei coniugi essendo escluso che il giudice della causa in corso abbia il potere di verifica dell’esistenza o meno dei requisiti per potersi parlare di riconciliazione.
Il comportamento non equivoco a cui di riferisce l’art. 157 rileva come fatto giuridico più che come manifesta¬zione di volontà negoziale dei coniugi. Perché vi sia riconciliazione non basta una semplice dichiarazione (come ha tuttavia ritenuto Cass. civ. Sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 334 in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente) ma occorre che vi sia l’effettiva ricostituzione dei rapporti spirituali e materiali propri del vincolo coniugale. Tuttavia l’art. 157 afferma che i coniugi possono riconciliarsi “con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco” e pertanto, ferma la possibilità per il giudice di verifica della effettiva ripresa del consortium vitae, allorché la dichiarazione dei coniugi è fatta (come meglio si dirà in seguito) davanti all’uffi¬ciale di stato civile, non sarà possibile opporre ai terzi quanto meno l’inesistenza dell’effetto ripristinatorio della comunione legale. In questi limiti la “dichiarazione” ha valore negoziale.
III La riconciliazione nel corso della causa di separazione
a) Che vuol dire che la riconciliazione comporta l’abbandono della causa?
Come si è detto l’art. 154 c.c. prescrive che “La riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta”. Una norma analoga, come si è detto, non è prevista nella normativa sul divorzio. Pertanto ove due coniugi si dovessero riconciliare nel corso della causa di divorzio, troverà applicazione l’art. 157 c.c. (operativo ovviamente fino al giudicato sullo status di divorzio) e i coniugi potranno rinunciare al giudizio in corso.
Allorché nel corso della causa di separazione due coniugi si riconciliano riprendendo il loro consortium vitae si ve¬rifica automaticamente quella situazione che l’art. 154 c.c. chiama, come si è visto, “abbandono della domanda di separazione”. Quindi alla riconciliazione il legislatore attribuisce effetti preclusivi del giudizio di separazione in corso.
Prima della riforma del 1975 la norma prevedeva anche l’effetto sostanziale, consistente nella estinzione del diritto di chiedere la separazione per fatti anteriori (si ricorda che prima della riforma del 1975 la separazione poteva essere chiesta solo adducendo specifici fatti previsti dal codice).
Ebbene se è vero che la riconciliazione comporta ipso iure l’abbandono della causa in corso (su cui in genere c’è evidentemente accordo tra i coniugi) è anche vero, però, che se la riconciliazione non viene portata a cono¬scenza del giudice, il processo inevitabilmente continuerà. Con l’effetto che la mancata comparizione delle parti alle udienze condurrà all’estinzione del processo ai sensi degli articoli 181 e 309 del codice di procedura civile, con l’inevitabile applicazione delle conseguenze indicate nell’art. 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (di cui si parlerà tra breve) che prevede l’ultrattività dei provvedimenti provvisori e urgenti dati all’inizio della causa.
Per i coniugi riconciliati, però, non sarebbe accettabile l’ultrattività dei provvedimenti presidenziali, dal momento che questa conseguenza non è, peraltro, quella che i coniugi vogliono, riconciliandosi.
In che modo, quindi, si può evitare il rischio dell’applicazione automatica dell’art, 189 delle disposizioni di attua¬zione del codice di procedura civile?
b) Il rischio dell’ultrattività dell’ordinanza presidenziale
Per capire il senso dell’art. 189 disp. att. c.p.c. occorre considerare che capita di frequente che i coniugi, ottenuti i provvedimenti presidenziali, non abbiano più interesse alla prosecuzione della causa (perché magari non inten¬dono divorziare o semplicemente perché non vogliono affrontare gli ulteriori costi del giudizio) e – soddisfatti di quei provvedimenti – decidano di abbandonare il processo non presentandosi più alle udienze.
A tale evenienza nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, si riferisce l’art. 189 (Provvedi¬menti relativi alla separazione personale dei coniugi) – applicabile anche al divorzio in base all’art. 4, comma 8, ultima parte, della legge 1 dicembre 1970, n. 898) – che, dopo aver prescritto al primo comma che “L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale o il giudice istruttore dà i provvedimenti di cui all’articolo 708 del codice costituisce titolo esecutivo” prevede al secondo comma che “Essa conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzio¬ne del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito di nuova presentazione del ricorso per separazione personale [o di divorzio] dei coniugi”.
Pertanto se i coniugi che si sono riconciliati e i rispettivi avvocati non si presentano più alle udienze, il proces¬so si estinguerà per mancata comparizione delle parti (art. 309 c.p.c.1 che richiama l’art. 181 c.p.c. 2) e in tal
1 Art. 309 (Mancata comparizione all’udienza)
Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice provvede a norma del primo comma dell’articolo 181.
2 Art. 181 (Mancata comparizione delle parti)
Se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un’udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo.
caso rimarrebbero in vita per i coniugi riconciliati i provvedimenti provvisori e urgenti dati all’inizio della causa di separazione o di divorzio, come previsto nell’art. 189 di cui si è detto. Il che è un assurdo. Diversa infatti è la condizione dei coniugi riconciliati (che sono coniugi a tutti gli effetti) e quella dei coniugi per i quali, essendosi verificata l’estinzione della causa per inattività, continuano a valere tutte le condizioni stabilite in sede presiden¬ziale, pur non essendo la causa giunta alla sentenza di separazione.
Quindi occorre un meccanismo che eviti l’applicazione automatica dell’art. 189 disp. att. c.p.c., che consegue all’abbandono della causa, giacché i provvedimenti presidenziali non possono certo conservare la loro efficacia per i coniugi riconciliati.
c) La rinuncia al giudizio e la cessazione della materia del contendere
Questo meccanismo non può essere che la rinuncia al giudizio (di cui, in verità, tratta l’art. 306 c.p.c.3 che po¬trebbe, però, portare ugualmente alla dichiarazione di estinzione del processo). Per questo nella prassi il giudice, in seguito alla rinuncia delle parti, anziché dichiarare l’estinzione (come vorrebbe l’art. 306 c.p.c.) dichiara con ordinanza la cessazione della materia del contendere.
Così, espressamente Trib. Benevento, 7 marzo 2007 secondo cui l’avvenuta riconciliazione nelle more del processo – prodotta in giudizio mediante deposito della rinunzia alla stessa, sottoscritta dai coniugi ed autenti¬cata dal legale – comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Si tratta di una prassi ragionevole anche se, come si è accennato, processualmente anomala dal momento che il meccanismo di cui all’art. 306 c.p.c. dovrebbe portare alla dichiarazione di estinzione con la conseguenza di rendere applicabile automaticamente l’art. 189 disp. att. c.p.c. che porterebbe, però, a sovrapporre i prov¬vedimenti provvisori e urgenti di separazione e di divorzio a coniugi che non intendono esserne destinatari, essendosi riconciliati.
La prassi, perciò, seguita – di dichiarare su richiesta delle parti la cessazione della materia del contendere – è l’unica capace di evitare l’applicazione dell’art. 189 disp. att. c.p.c. anche se richiede ai coniugi un adempimento processuale (appunto, l’atto di rinuncia) di cui il codice civile, con la formulazione dell’art. 154, non intendeva gravare gli interessati.
d) L’eccezione di avvenuta riconciliazione nel corso della stessa causa di separazione
Nel corso di una causa di separazione non può escludersi (sebbene dovrebbe essere del tutto infrequente visto che i coniugi riconciliati abbandonano la causa) che un coniuge eccepisca che dopo l’introduzione della causa vi sarebbe stata una riconciliazione e che, nonostante ciò, il processo sia proseguito in violazione del principio contenuto nell’art. 154.
In tal caso il giudice potrebbe ritenere l’eccezione fondata e che la causa non avrebbe dovuto proseguire; questo accertamento sarebbe possibile anche d’ufficio. E’ quanto si è verificato nella vicenda trattata da Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2014, n. 19535 in cui i giudici, dopo aver chiarito la differenza tra l’art. 154, secondo cui la riconciliazione determina l’abbandono della domanda di separazione, e l’art. 157, che ne regola gli effetti succes¬sivamente alla sentenza, affermano che In nessuna delle due norme la riconciliazione può essere ricondotta ad un fatto impeditivo, qualificabile come eccezione in senso stretto, trattandosi della sopravvenienza di una nuova con¬dizione da accertarsi ufficiosamente dal giudice ancorché sulla base delle deduzioni e allegazioni delle parti. Il regi¬me giuridico – afferma inoltre la sentenza – è diverso rispetto a ciò che avviene nel giudizio di divorzio, in quanto l’art. 3, comma 5, della legge sul divorzio, stabilisce espressamente che l’interruzione della separazione, in quanto fatto specificamente impeditivo della realizzazione della condizione temporale stabilita nella medesima disposizio¬ne, deve essere eccepita dalla parte convenuta e non può essere eccepita dal giudice (eccezione in senso stretto).
IV La riconciliazione dopo la separazione
Dopo la separazione (passata in giudicato) la riconciliazione ne fa cessare gli effetti senza che sia necessario l’in¬tervento del giudice (art. 157 c.c.). Non serve quindi null’altro che riconciliarsi riprendendo la vita matrimoniale. La norma intende evidentemente agevolare la voluta ripresa della vita matrimoniale, senza gravare i coniugi che si riconciliano di oneri processuali particolari finalizzati alla cancellazione degli effetti della separazione.
a) La dichiarazione e il comportamento non equivoco
L’art. 157 prevede che la riconciliazione dei coniugi debba evidenziarsi “con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco”. Come si è già detto la riconciliazione è un fenomeno unitario e pertanto deve ugualmente qui avvenire la ripresa effettiva della comunione di vita anche quando la volontà di riconciliazione
Se l’attore costituito non comparisce alla prima udienza, e il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice fissa una nuova udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’attore. Se questi non comparisce alla nuova udienza, il giudice, se il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’e¬stinzione del processo.
3 Art. 306.(Rinuncia agli atti del giudizio)
Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. L’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all’udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
Il giudice, se la rinuncia e l’accettazione sono regolari, dichiara l’estinzione del processo.
Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.
sia espressa in una dichiarazione (quale che ne sia l’atto o la forma). In altre parole la dichiarazione in sé non esime dalla verifica della effettiva ripresa del consortium vitae.
b) La pubblicità notizia
Se il “comportamento non equivoco” è ritenuto sufficiente tra le parti per considerare riconciliati i coniugi che lo hanno messo in essere, è evidente che questo non è sufficiente nei confronti dei terzi.
La separazione è, infatti, annotata nell’atto di matrimonio (art. 49. lett. d dell’Ordinamento di stato civile appro¬vato con DPR 3 novembre 2000, n. 396) e pertanto i coniugi continueranno ad essere pubblicamente considerati “separati”. Per questo motivo l’ordinamento di stato civile (DPR 3 novembre 2000, n. 396) ha previsto all’art. 49, lett. f che negli atti di matrimonio si annotano anche “le dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano [cioè rendono manifesta] la loro riconciliazione”.
Sulla necessità dell’annotazione negli atti di stato civile della dichiarazione di riconciliazione cfr Trib. Monza, 1 aprile 2004.
La dichiarazione in questione – che si rende davanti all’ufficiale di stato civile (decreto ministeriale del 5 aprile 2002, formula n. 121-bis4) – non ha, però, certamente funzione costitutiva ma soltanto di pubblicità notizia5 pre¬disposta per assicurare la conoscibilità legale di determinati fatti e, quindi, con una funzione informativa. Serve, cioè, a rendere conoscibile l’atto al quale il legislatore reputa che si debba dare notorietà legale. In questi casi l’atto pubblicizzato nel modo previsto ha piena validità senza che il terzo possa dichiarare di non averne avuto conoscenza. Ove la riconciliazione, non fosse stata annotata perché non dichiarata all’ufficiale di stato civile, essa ha ugualmente valore ma sarà l’interessato che deve dimostrare che il terzo ne era comunque a conoscenza. La pubblicità-notizia si limita, perciò, a dare notizia di determinati fatti, senza che la sua omissione impedisca ai medesimi di produrre i loro effetti giuridici che, nel caso della riconciliazione, sono quelli di ripristinare tra le parti la condizione coniugale piena facendo cessare gli effetti della separazione.
Soltanto ai fini del ripristino del regime della comunione legale – come si dirà – si può ritenere che la formalità abbia funzione dichiarativa, non potendo la riconciliazione, in difetto di pubblicità, essere opposta ai terzi. In tutti gli altri casi l’effetto ripristinatorio della condizione coniugale si verifica, quindi, anche se per ipotesi i coniugi non dichiarassero l’avvenuta riconciliazione. Proprio su questi aspetti Cass. civ. Sez. I, 5 dicembre 2003, n. 18619 ha affermato in passato che occorre distinguere tra effetti interni ed esterni del ripristino della comunione legale e, conseguentemente, in mancanza di pubblicità della riconciliazione, la ricostituzione della comunione legale derivante dalla riconciliazione non può essere opposta al terzo in buona fede che abbia acquistato a titolo oneroso un immobile dal coniuge che risultava unico ed esclusivo del medesimo, benché lo avesse acquistato successivamente alla riconciliazione .
c) La cessazione degli effetti personali della separazione
Secondo la pacifica interpretazione dell’art. 157 gli effetti della separazione che cessano sono quelli personali cioè collegati allo status e non quelli patrimoniali.
Si annullano, quindi, gli effetti dell’eventuale addebito e tutti gli altri effetti personali collegati alla pronuncia di separazione. Riprendono vita perciò i diritti e i doveri coniugali (fedeltà coabitazione, dovere di assistenza morale e materiale) nonché le obbligazioni contributive di cui parla l’art. 143 c.c. oltre che le altre regole della vita matri¬moniale come quella dell’accordo (art. 144 c.c.). Rientrano tra gli obblighi di natura personale che vengono meno ex nunc anche quelli collegati agli eventuali obblighi di mantenimento (coniugale e per i figli) (Cass. pen. Sez. VI, 26 giugno 1992, n. 7442) oltre che le statuizioni relative all’affidamento stabilite in sede di separazione.
La riconciliazione produce anche il ripristino della presunzione di concepimento durante il matrimonio (Cass. civ. 23 gennaio 1984, n. 541; Trib. Napoli, 19 marzo 1991).
Come è stato ben precisato da Cass. civ. Sez. III, 26 agosto 2013, n. 19541 l’effetto di caducazione del provvedimento di separazione decorre dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, propria della vita coniugale. Con la conseguenza che, in caso di successiva separazione, occorre una nuova regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi, a cui il giudice deve provvedere sulla base di una nuova valutazione della situa¬zione economico-patrimoniale dei coniugi stessi, che tenga conto delle eventuali sopravvenienze e, quindi, anche delle disponibilità da loro acquisite per effetto della precedente separazione.
d) La sopravvivenza degli obblighi negoziali assunti con la separazione
Gli obblighi di tipo negoziale e contrattuale assunti con la separazione non vengono meno, naturalmente, trat¬tandosi di obbligazioni contrattuali indipendenti dalla pronuncia di separazione.
A questo riguardo occorre dare conto della distinzione – a fini descrittivi accettabile – accolta in giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909; Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066; Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 1997, n. 4306; Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2007, n. 24321) tra contenuto necessa¬rio degli accordi di separazione (da qualcuno definito “tipico” e in sostanza coincidente con le clausole collegate ai diritti e agli obblighi nascenti dal matrimonio) e contenuto eventuale (da qualcuno definito “atipico” concernente clausole di vario contenuto che le parti possono sempre liberamente inserire nella loro separazione o nel loro divorzio). Nel contenuto necessario si indicano anche clausole negoziali collegate al mantenimento mentre nel contenuto eventuale si aggregano clausole contrattuali soltanto “occasionate dalla separazione” e che potrebbe¬ro anche essere stipulate al di fuori della separazione. Le clausole contrattuali non possono essere considerate azzerata dalla riconciliazione, ostandovi la loro natura non collegata agli aspetti essenziali della separazione.
Il fatto che le obbligazioni negoziali assunte con la separazione restano ferme è opinione pacifica in giurispru¬denza (Trib. Genova Sez. IV, 29 marzo 2016 secondo cui le pattuizioni relative a trasferimenti di diritti reali non possono ritenersi condizionate dalla intervenuta riconciliazione).
e) Gli effetti della riconciliazione sul regime patrimoniale
Poiché la riconciliazione, cancellando la separazione, ripristina la vita matrimoniale, si è sempre discusso se il regime patrimoniale nel quale si trovavano i coniugi riconciliatisi, si ripristina automaticamente o meno.
La risposta a questa domanda è positiva nel senso che si può affermare che i coniugi rientrano ex nunc nel re¬gime patrimoniale nel quale si trovavano. Se erano in separazione di beni, quindi, ritornano in separazione dei beni. Se erano in comune legale ritornano in comunione legale.
Effettivamente la giurisprudenza (salvo qualche eccezione come Trib. Monza Sez. II, 5 maggio 2008) ha ritenuto, con orientamento che appare oggi consolidato, che ove il regime patrimoniale dei coniugi in corso di matrimonio era quello della comunione dei beni, alla riconciliazione si accompagna il ripristino della comunione legale ex nunc ma non certo per quanto riguarda i beni acquistati dopo l’avvenuto scioglimento della comunione (Cass. civ. Sez. I, 5 dicembre 2003, n. 18619; Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 1998, n. 11418; Trib. Milano Sez. IX, 10 novembre 2003; App. Trento, 2 settembre 1996).
L’avvenuta riconciliazione dei coniugi separati spiega effetti soltanto interni alla coppia e non può operare ester¬namente al fine di travolgere atti dispositivi compiuti da uno dei coniugi in favore di terzi di buona fede, e quindi non può essere opposta agli acquirenti di un bene immobile dalle mani del coniuge che si è dichiarato legittimato a disporne, dopo che l’avvenuta separazione aveva sciolto il precedente regime di comunione legale (Trib. Bo¬logna, 28 gennaio 1998; Trib. Palermo, 29 marzo 1997).
Perché questo effetto possa, però, essere opposto ai terzi occorrerà che i coniugi rendano la dichiarazione di ri¬conciliazione e che questa – analogamente a quanto avverrebbe se scegliessero ex novo un regime determinato – venga annotata nell’atto di matrimonio (Trib. Napoli, 21 dicembre 1998). In tal caso, però l’annotazione ha, quindi, funzione analoga all’annotazione delle convenzioni matrimoniali che è quella di pubblicità dichiarativa, nel senso che l’annotazione serve a rendere opponibili ai terzi le convenzioni e le loro modifiche, non potendo in difetto, essere surrogate dal fatto che il terzo ne sia venuto altrimenti a conoscenza.
f) L’effetto di resetting
La riconciliazione ha l’effetto di azzerare il conflitto coniugale nel senso che “La separazione può essere pro¬nunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione” (art.157 capoverso). L’effetto di resetting (secondo il nome che qui si suggerisce) comporta l’annullamento di tutto il con¬tenzioso che aveva caratterizzato la causa di separazione e quindi, per esempio, anche dell’eventuale pronuncia di addebito.
Un effetto analogo non è previsto nel caso di riconciliazione durante la separazione; situazione che non è apparsa illegittima alla Corte costituzionale (Corte cost. 21 aprile 1983, n. 104).
Ha espresso bene questo concetto anche App. Roma, 7 marzo 2007 dove si afferma che la riconciliazione è fonte non soltanto di effetti processuali – preclusivi come tali del giudizio di separazione in corso – ma anche di effetti propriamente sostanziali, consistenti specificamente nel determinare la inidoneità di fatti anteriori alla stessa ad assumere autonomo valore probatorio ai fini di una pronuncia di addebito di separazione avanzata dopo l’evento riconciliativo di fatto non riuscito.
Ove i coniugi dovessero di nuovo separarsi, l’addebito potrà essere eventualmente pronunciato solo per fatti suc¬cessivi alla riconciliazione (Cass. civ. Sez. I, 19 luglio 2010, n. 16873¸Cass. civ. Sez. I, 3 gennaio 1991, n. 26; Cass. civ. Sez. I, 29 novembre 1990, n. 11523). Questa è l’interpretazione più logica che deriva dalla lettura del capoverso della disposizione, essendo evidente che ai fini della domanda di separazione non è neces¬sario dare conto di alcun fatto o comportamento che giustifichi l’esercizio di tale diritto. A differenza di quanto avveniva nel regime precedente alla riforma del 1975 in cui – secondo il codice del 1942 – la separazione era fondata su ipotesi tipiche di colpa per violazione di specifici doveri derivanti dal matrimonio e la riconciliazione implicava l’impossibilità di utilizzare i fatti anteriori come causa petendi di una nuova domanda di separazione.
g) La riconciliazione estingue i reati commessi tra coniugi nel corso della separazione?
A questa domanda ha dato implicitamente risposta negativa in passato Corte cost. 20 luglio 1990, n. 357 dichiarando manifestamente inammissibile – in riferimento agli art. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione – la que¬stione di legittimità costituzionale dell’art. 572, 1° comma, c. p., nella parte in cui non prevede come causa di estinzione del reato di maltrattamenti in famiglia la seria riconciliazione dei coniugi ed il normale svolgimento della vita coniugale, giudizialmente accertati; e ciò in quanto spetta esclusivamente al legislatore stabilire se esistano fatti successivi al reato in grado di estinguere il carattere criminale delle violazioni commesse e le rela¬tive conseguenze sanzionatorie.
Una volta riconosciuta e confermata l’attuale validità della rilevanza penale di fatti che violano i principi su cui si fonda l’unità della famiglia e l’etica della coesistenza pacifica dei suoi membri (anche nell’interesse dei figli minori), non può spettare che allo stesso legislatore stabilire se esistano fatti successivi in grado di estinguere, sotto condizioni che ancora una volta solo il legislatore può disciplinare, il carattere penale di quelle violazioni e le relative conseguenze sanzionatorie.
In ordine al reato di violazione degli obblighi di assistenza Corte cost. 18 aprile 1983, n. 102 dichiarò inam-missibile una questione di costituzionalità che era stata sollevata. Alte questioni vennero affrontate da Corte cost. 29 luglio 1982, n. 157 che restituì gli atti ai giudici remittenti sulla base della introduzione ad opera della riforma penale del 1981 della querela di parte per i reati sui quali si erano concentrate le censure di inco¬stituzionalità.
h) Può la riconciliazione essere eccepita in un giudizio di modifica delle condizioni di separazione?
Secondo Trib. Modena Sez. II, 10 marzo 2011 nel procedimento di modifica delle condizioni di separazione promosso ai sensi dell’art. 710 c.p.c. sarebbe irrilevante in relazione all’oggetto del processo, se non addirittura inammissibile, l’eccezione di intervenuta riconciliazione tra i coniugi.
La decisione non appare condivisibile dal momento che ove si fosse verificata effettivamente la riconciliazione si sarebbero verificati gli effetti previsti dall’art. 157 e dovrebbe quindi essere dichiarata l’improponibilità del procedimento di modifica delle condizioni di separazione.
V L’eccezione di riconciliazione in sede divorzile
Si è detto all’inizio che in caso di domanda di divorzio fondata su una precedente pronuncia di separazione (con¬sensuale o giudiziale) l’art. 3, n. 2 b, ultima parte, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 prescrive che “L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta”.
Si tratta di un’eccezione in senso stretto. Non è rilevabile d’ufficio, deve essere tempestivamente proposta ad istanza della parte convenuta ed è inammissibile se proposta per la prima volta in appello (Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11885; Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2014, n. 19535; Cass. civ. Sez. I, 19 novembre 2010, n. 23510).
Quindi il legislatore consente al convenuto di neutralizzare la domanda di divorzio presentata dall’altro coniu¬ge, eccependo l’“interruzione della separazione”, espressione che è usata come sinonimo di “riconciliazione”. Il fondamento della norma è quello di imporre il rispetto formale della sequenza prevista tra il procedimento di separazione e quello di divorzio.
La legge 6 maggio 2015, n. 55 che ha ridotto i termini minimi necessari per la presentazione della domanda di divorzio – un anno dall’udienza presidenziale se la separazione è giudiziale e sei mesi dalla consensuale o dalla consensualizzazione6 – ha reso molto improbabile l’eventualità di una riconciliazione in così poco tempo di vita da separati.
Ciononostante ove il convenuto eccepisse e provasse l’avvenuta riconciliazione il tribunale dovrebbe dichiarare inammissibile la domanda.
E’ frequente il caso in cui, respinta l’eccezione di riconciliazione, la causa prosegua magari giungendo alla sen¬tenza non definitiva di divorzio. E’ questo uno dei pochi casi in cui il ricorrente deluso dal rigetto dell’eccezione potrebbe, avendovi interesse, presentare appello immediato avverso la decisione sullo status, con la conseguen¬za che la causa potrebbe prolungarsi per molto tempo in appello e magari anche davanti alla Corte di cassazione.
Interessante la pronuncia di Trib. Verona, 5 giugno 2002 secondo cui il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 397 c.p.c. è legittimato a chiedere la revocazione della sentenza di divorzio pronunziata sulla base della ininter¬rotta durata della separazione, senza che emergesse la sopravvenuta riconciliazione dei coniugi, giacché è ben vero che ai sensi dell’art. 3 n. 2 lett. b) l. n. 898 del 1970 l’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta, ma nella specie la mancata allegazione e prova in giudizio della riconciliazione integrava una collusione dei coniugi volta a evitare che il giudice appurasse anche d’ufficio l’avvenuta riconcilia¬zione, stante la rilevanza pubblicitaria della disciplina. Questo presupposto, però – che il giudice potesse rilevare d’ufficio la riconciliazione – è errato.
6 In tutti i casi di divorzio chiesto in seguito alla pregressa separazione, “per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta” (art. 3, n. 2, b, seconda parte, delle legge sul divorzio dopo le modifiche apportate dalla legge 6 maggio 2015, n. 55 ).
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. VI, 24 agosto 2016, n. 17318 (Giur. It., 2017, 3, 594 nota di EMILIOZZI)
In tema di riconciliazione, nulla ha mutato al riguardo, limitandosi a ridurre i termini dall’udienza presidenziale, la recente L. n. 55 del 2015. D’altra parte, l’eventuale interruzione della separazione dovrà essere eccepita, ai sensi dell’art. 3 L. Divorzio, dalla parte convenuta, che dovrà dunque fornire piena prova dell’intervenuta riconciliazione e dell’integrale ripresa del consortium vitae tra i coniugi.
Trib. Genova Sez. IV, 29 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La clausola con la quale i coniugi nel verbale di separazione consensuale riconoscano la proprietà esclusiva di beni immobili, costituisce negozio attributivo della proprietà e soddisfa, per i beni immobili, l’esigenza della forma scritta, non essendo neces¬sario l’atto notarile. L’anzidetta concorde attribuzione della proprietà sugli immobili costituisce, dunque, atto dispositivo della proprietà, immediatamente efficace, che non può essere condizionato dalla successiva riconciliazione, ma, eventualmente, solo da un successivo concorde ed autonomo atto di disposizione della stessa proprietà.
Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11885 (Foro It., 2015, 7-8, 1, 2301)
Nei giudizi di divorzio l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere tempestivamente proposta esclusivamente ad istanza della parte convenuta, in quanto non ne è ammissibile la successiva proposizione da parte del coniuge che aveva chiesto il divorzio (nella specie, è stata cassata la sentenza di merito che aveva invece accolto l’eccezione di riconciliazione proposta dalla ricorrente, dopo che il marito, costituendosi, aveva aderito alla domanda di divorzio, sussistendo però contrasto quanto ai profili economici).
Cass. civ. Sez. VI, 24 dicembre 2014, n. 27386 (Giur. It., 2015, 5, 1076 nota di DALMASSO DI GARZEGNA)
La convivenza ripresa dopo la separazione ed idonea ad interromperla, non deve essere caratterizzata dalla temporaneità, do¬vendosi ricostituire concretamente il preesistente vincolo coniugale, nella sua essenza materiale e spirituale, di certo non realiz¬zabile se l’altro coniuge si trova in carcere. Nella disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il pregresso stato di separazione tra i coniugi (concretante un vero e proprio requisito dell’azione, ex art. 3 n. 2 della legge n. 898 del 1970) può legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicina¬mento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità ed occasionalità.
Cass. civ. Sez. VI, 21 novembre 2014, n. 24833 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione coniugale non può consistere nel mero ripristino della situazione quo ante, bensì si sostanzia nella ricostitu¬zione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento di quelle condizioni che avevano reso intollerabile la pro¬secuzione della convivenza e che si concretizzino in un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione.
Cass. civ. Sez. I, 17 settembre 2014, n. 19535 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per provare la riconciliazione tra coniugi separati, non è sufficiente che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale.
L’art. 154 cod. civ., stabilisce che la riconciliazione determina l’abbandono della domanda di separazione personale. Il successivo art. 157 cod. civ., ne regola gli effetti successivamente alla sentenza con la quale è stata dichiarata la separazione personale. In nessuna delle due norme la riconciliazione può essere ricondotta ad un fatto impeditivo, qualificabile come eccezione in senso stretto, trattandosi della sopravvenienza di una nuova condizione da accertarsi officiosamente dal giudice ancorché sulla base delle deduzioni e allegazioni delle parti. Il regime giuridico è nettamente diverso nel giudizio di divorzio in quanto l’art. 3, comma 5, così come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 5, stabilisce espressamente che l’interruzione della separazione, in quanto fatto specificamente impeditivo della realizzazione della condizione temporale stabilita nella medesima disposizione, deve esse¬re eccepita dalla parte convenuta. Ne consegue, limitatamente a questa ipotesi, l’improponibilità per la prima volta in appello dell’eccezione (Cass. 23510 del 2010).
Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2014, n. 369(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La coabitazione dei coniugi non costituisce, di per sé, un dato sufficiente per far ritenere intervenuta fra gli stessi una riconci¬liazione, essendo al contrario necessario, a tal fine, che sia concretamente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insie¬me dei suoi rapporti materiali e spirituali. Occorre, pertanto, che sia data dimostrazione dell’avvenuto raggiungimento di una stabile e consapevole ripresa della vita in comune, con una compartecipazione responsabile rispetto agli eventi incidenti sulla gestione familiare.
Cass. civ. Sez. I, 24 dicembre 2013, n. 28655 (Foro It., 2014, 2, 1, 480)
La cessazione degli effetti civili della separazione si determina a seguito di riconciliazione , che non consiste nel mero ripristino della situazione “quo ante”, ma nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniu¬gale di vita, vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento di quelle condizioni che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza e che si concretizzino in un comportamento non equi¬voco incompatibile con lo stato di separazione.
Cass. civ. Sez. III, 26 agosto 2013, n. 19541 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione successiva al provvedimento di omologazione della separazione consensuale, ai sensi dell’art. 157 cod. civ., determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, propria della vita coniugale. Ne consegue che, in caso di successiva separazione, occorre una nuova regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi, cui il giudice deve provvedere sulla base di una nuova valutazione della situazione economico-patrimoniale dei coniugi stessi, che tenga conto delle eventuali sopravve¬nienze e, quindi, anche delle disponibilità da loro acquisite per effetto della precedente separazione.
App. Napoli, 19 luglio 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Perché possa configurarsi la riconciliazione dei coniugi separati non è sufficiente che i coniugi abbiano ripristinato la convivenza, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali tipici del rapporto coniugale, la cui prova va individuata nella ripresa dell’affectio coniugalis, nella sussistenza di circostanza di fatto incompatibili con il permanere dello stato di sepa¬razione, con la ripresa di frequentazioni di amici e conoscenti, con lo svolgimento di viaggi, con la cura e l’educazione costante della prole, lo scambio di regali in occasione di feste e ricorrenze e quindi con tutto ciò che costituisce espressione del ripristino della solidarietà familiare caratterizzante la vita dei coniugi.
Trib. Milano, 22 maggio 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione tra i coniugi va intesa quale ricostituzione di un’affectio coniugalis piena e profonda, quale ripristino del con¬sorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi (Cass. Sez. I 25.5.2007 n. 12314, Cass. Sez. I 6.10.2005 n. 19497). Non è elemento sufficiente il fatto che i coniugi, dopo la separazione, per un certo periodo, abbiano scelto di tornare a coabitare.
App. Napoli, 9 novembre 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione tra i coniugi, successiva alla separazione legale (giudiziale o consensuale) toglie efficacia a quest’ultima e osta al divorzio sempre che si risolva – e il coniuge istante ne offra la prova – nella ripresa della comunione di vita, vale a dire della convivenza con le ordinarie modalità della stessa, sempre che siano riconducibili allo schema legale di rapporto coniugale (nella specie la Corte ha rigettato l’eccezione di riconciliazione della moglie, secondo cui già in epoca precedente alla separazione i due concordemente non convivevano, e la moglie stessa tollerava i continui adulteri del marito, assetto che si sarebbe riproposto anche successivamente alla riconciliazione).
Cass. civ. Sez. I, 1 ottobre 2012, n. 16661 (Famiglia e Diritto, 2013, 2, 199)
La dichiarazione di divorzio non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dall’art. 3 della legge n. 898 del 1970 (oggi dagli artt. 1 e 7 della legge n. 74 del 1987), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, della esistenza (dell’essen¬ziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio coniugale per effetto della definitiva rottura del legame di coppia, onde, in questo senso, lo stato di separazione dei coniugi concreta un requisito dell’azione, necessario secondo la previsione dell’art. 3, n. 2, lett. b), della citata legge n. 898 del 1970, la cui interruzione, da opporsi a cura della parte convenuta (art. 5 della legge n. 74 del 1987) in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altra parte, postula l’avvenuta riconciliazione, la quale si verifica quando sia stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo ma¬trimoniale e che, quindi, sottende l’avvenuto ripristino non solo di quelli riguardanti l’aspetto materiale del consorzio anzidetto, ma altresì di quelli che sono alla base dell’unione spirituale tra i coniugi.
L’accertamento dell’avvenuta riconciliazione tra coniugi separati, per avere essi tenuto un comportamento non equivoco che risulti incompatibile con lo stato di separazione (da compiersi attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei ge¬sti e dei comportamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza e alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva), implicando un’indagine di fatto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae, quindi, a censura, in sede di le¬gittimità, là dove difettino vizi logici o giuridici.
Cass. civ. Sez. VI, 12 gennaio 2012, n. 334 (Foro It., 2012, 2, 1, 417)
Deve essere dichiarata improponibile per difetto dei requisiti di cui all’art.3 n.2 lett.b) della legge 1 dicembre 1970, n.898, la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui le parti, all’udienza presidenziale di un precedente ana¬logo giudizio, abbiano dichiarato di aver ripristinato la convivenza spirituale e materiale, propria delle vita coniugale, in quanto tale dichiarazione, ai sensi dell’art.157 cod.civ., è sufficiente a fare cessare gli effetti della precedente separazione personale.
Osta alla pronuncia del divorzio l’esibizione di una espressa dichiarazione dei coniugi relativa alla loro intervenuta riconciliazione, verbalizzata in un precedente giudizio di divorzio tra le stesse parti, non essendo invece necessaria anche la prova dell’effettivo ripristino della convivenza.
Trib. Potenza, 27 maggio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di separazione, i coniugi possono far cessare gli effetti della separazione giudiziale o consensuale senza che sia ne¬cessario l’intervento del giudice con un’espressa dichiarazione ovvero con un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione. Ne consegue che in caso di riconciliazione la separazione può essere pronunciata solo in relazione a fatti o comportamenti sopravvenuti. Perché possa parlarsi di riconciliazione occorre che venga ricostituito il consorzio familiare attra¬verso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi, cessata con la separazione.
Trib. Modena Sez. II, 10 marzo 2011 (Famiglia e Diritto, 2011, 5, 492 nota di GRAZIOSI)
Nel procedimento di modifica delle condizioni di separazione promosso ai sensi dell’art. 710 c.p.c. è irrilevante in relazione all’og¬getto del processo, se non addirittura inammissibile, l’eccezione di intervenuta riconciliazione tra i coniugi.
Trib. Trento, 18 gennaio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio non consegue automaticamente alla constatazione della pre¬senza di una delle cause che costituiscono il requisito dell’azione. La pronunzia di cessazione presuppone, infatti, in ogni caso, l’accertamento, da parte del giudice, della concreta impossibilità di ricostituire il consorzio familiare a causa della definitività della rottura dell’unione spirituale e materiale tra i coniugi. L’asserito venir meno dello stato di separazione, opposto da un co¬niuge a fronte della domanda di divorzio dell’altro, ha pertanto, come suo indefettibile presupposto, l’avvenuta riconciliazione, ossia la ricostruzione del nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali. Detta riconciliazione va accertata attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dai coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ricostruzione del rapporto matrimoniale, piuttosto che con riferimento al mero elemento psicologico, tanto più difficile da provare in quanto appartenente alla sfera intima dei sentimenti e della spi¬ritualità soggettiva. La ricostruzione della comunione spirituale e materiale tra i coniugi, va intesa, sotto il primo aspetto, come animus di riservare al coniuge la posizione di esclusiva compagna di vita e di adempiere ai doveri coniugali e, sotto il secondo aspetto, come convivenza caratterizzata da una comune organizzazione domestica.
Cass. civ. Sez. I, 19 novembre 2010, n. 23510 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei giudizi di divorzio, l’art.3, secondo comma, lett. b) della legge 1 dicembre 1970 espressamente stabilisce che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte; pertanto, il giudice non può rilevarla d’ufficio, non inve¬stendo profili d’ordine pubblico, ma aspetti strettamente attinenti ai rapporti tra i coniugi, in ordine ai quali è onere della parte convenuta eccepire e conseguentemente provare l’avvenuta riconciliazione (nella fattispecie la ricorrente, contumace in primo grado, aveva per la prima volta proposto l’eccezione di riconciliazione in fase di appello con conseguente e confermata declara¬toria d’inammissibilità da parte del giudice di secondo grado).
Cass. civ. Sez. I, 19 luglio 2010, n. 16873 (Nuova Giur. Civ., 2011, 2, 1, 178 nota di MAIONE)
L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, determinando di regola l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, co¬stituisce in genere circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, con un accertamento rigoroso e una valutazione comples¬siva del comportamento di entrambi i coniugi, rimessa al giudice di merito per accertare se vi è la preesistenza d’una crisi irri¬mediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza solo formale. Sussiste pertanto l’addebito per il coniuge che a seguito di riconciliazione non ha rispettato l’obbligo di fedeltà sul presupposto che la stessa fosse stata soltanto formale.
Trib. Roma Sez. I, 19 luglio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione coniugale, costituiscono elementi univoci e convergenti in ordine alla volontà riconciliativa da parte dei coniugi idonei ad interrompere gli effetti della precedente separazione, l’aver continuato a convivere per ben due anni succes¬sivamente all’omologa della separazione consensuale nonché l’aver trascorso addirittura insieme le vacanze estive. In siffatta situazione è, dunque, onere del coniuge che contesti l’interruzione degli effetti della pregressa separazione dimostrare la sussi¬stenza di diversi accordi intercorsi con l’altro coniuge o le modalità di svolgimento della vita coniugale sotto lo stesso tetto tali da far escludere l’intento conciliativo, sì da superare l’elemento oggettivo del ripristino della loro coabitazione presunto dalle circostanze suesposte (convivenza dopo l’omologazione della separazione; vacanze comuni).
Trib. Benevento, 22 gennaio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione dei coniugi, la riconciliazione non può farsi discendere dalla coabitazione dei coniugi che può trovare ragioni non incompatibili con il perdurare di quello stato, quale, ad esempio, l’esigenza di dissimulare temporaneamente la sepa¬razione ai figli minori, ovvero sia riconducibile ad una comunanza di indirizzo e dei servizi forniti dall’immobile ma non si inserisce nell’ambito di una normale vita matrimoniale.
Trib. Milano Sez. IX, 12 marzo 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va esclusa la sussistenza di una vera e propria riconciliazione in presenza di incontri dei coniugi nei fine settimana o nelle vacan¬ze, in presenza di visite anche giornaliere dettate da motivi umanitari, in relazione al semplice fatto che uno dei coniugi si rechi a consumare i pasti nell’abitazione familiare, in presenza di ritorni saltuari del marito nel luogo di residenza della moglie e di rapporti sessuali tra loro intervenuti in dette occasioni, in presenza del fatto che il marito, convivente con la moglie, corrisponda con continuità a quest’ultima somme di denaro: tali comportamenti non integrano ex se la prova dell’intervenuta riconciliazione, occorrendo per converso che questi siano stati accompagnati da un insieme di altri comportamenti che realmente e concreta¬mente dimostrino il ripristino della comunione di vita in tutti i suoi profili, sia materiali che spirituali.
Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 2008, n. 21001 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Posto che osta alla pronuncia del divorzio l’intervenuta riconciliazione dei coniugi, consistente nel ripristino non solo della convi¬venza materiale, ma anche della unione spirituale tra gli stessi, ai fini della prova relativa, che incombe sul coniuge che si oppone al divorzio, deve attribuirsi prevalente valore, piuttosto che ad elementi psicologici e soggettivi, a quelli esteriori, oggettivamente diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita, quali la ripresa della convivenza e le sue modalità.
Ai fini dell’interruzione della separazione tra coniugi, è necessario che tra loro venga ripristinata la comunione materiale e spiri¬tuale. Particolare importanza deve essere data agli elementi esteriori che rivelano il ripristino della convivenza, perché costitui¬scono prova dell’avvenuta riconciliazione, non rilevando le eventuali riserve mentali di uno dei coniugi. La convivenza dimostra una disponibilità alla ricostruzione del matrimonio e ove protrattasi nel tempo, rappresenta la prova dell’avvenuta riconciliazione.
Trib. Trani, 19 maggio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine del riscontro dei requisiti per il divorzio, la cessazione di uno stato di separazione giudiziale dei coniugi, per effetto di una riconciliazione, richiede la ricostituzione del consorzio familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali e, pertanto, non può discendere dalla mera coabitazione, che può trovare ragioni non incompatibili con il perdurare di quello stato.
Trib. Reggio Emilia, 12 maggio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il venir meno dello stato di separazione per effetto dell’intervenuta riconciliazione va provato dando rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti dei coniugi più che al mero elemento psicologico (nella specie, il Tribunale ha accolto la domanda di separazione proposta dal marito rigettando l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla moglie con riguardo alla pregressa separazione consensuale omologata).
Trib. Monza Sez. II, 5 maggio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di rapporti patrimoniali tra coniugi, la riconciliazione tra gli stessi, avvenuta dopo l’omologa della separazione con¬sensuale, non comporta di per sé l’automatico ripristino del previgente regime di comunione legale, né ex tunc né ex nunc, in quanto se così fosse il regime pubblicistico relativo al regime patrimoniale della famiglia verrebbe ad essere irrimediabilmente inficiato; tra i coniugi riconciliati continua a sussistere il regime patrimoniale della separazione dei beni, conseguenza ex lege dell’omologazione della separazione consensuale.
App. Roma, 13 febbraio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione tra coniugi, perché si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi, cessata appunto con la separazione; a tal fine, il giudice di merito deve attribuire prevalente valore agli elementi esteriori oggettivamen¬te diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita piuttosto che a elementi psicologici permeati di soggettività. (Cass. n. 12314/2007; Cass. n. 26165/2006; Cass. n. 6031/98)
Trib. Chieti, 18 ottobre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mera convivenza – pur essendo un elemento altamente indiziate – non può costituire la prova di una riconciliazione tra i co¬niugi. In particolare, la ripresa della convivenza “a scopo sperimentale”, nell’ottica di una verifica delle possibilità di ricostituire l’unione spirituale, non può in alcun caso dar luogo ad una riconciliazione. In simili casi, infatti, i coniugi riprendono ad avere rapporti interpersonali con l’evidente riserva di verificare l’eventuale superamento delle condizioni che avevano condotto alla separazione; nel periodo in cui si attua tale tentativo, non può, dunque, ritenersi sussistente una reale volontà di ripristinare l’originario rapporto coniugale. (Cass., n. 12427/04)
Cass. civ. Sez. I, 25 maggio 2007, n. 12314 (Famiglia e Diritto, 2007, 10, 879 nota di RUSSO)
Perché si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi cessata appunto con la separazione; a tal fine, il giudice di merito deve attribuire prevalente valore agli elementi esteriori oggettivamente diretti a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita piuttosto che a elementi psicologici permeati di soggettività (nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che non aveva adeguatamente valutato l’elemento del ripristino della convivenza sopravvalutando aspetti legati alla sfera dei sentimenti).
L’elemento oggettivo del ripristino della coabitazione tra i coniugi, è potenzialmente idoneo a fondare, nel giudice, il positivo convincimento circa l’avvenuta riconciliazione. Da ciò discende che spetterà al coniuge interessato a negarla dimostrare che il nuovo assetto posto in essere era, per intercorsi accordi tra le parti o per le modalità di vita familiare sotto lo stesso tetto, tale da non integrare una ripresa della convivenza, e quindi tale da non poter essere configurato come evento riconciliativo.
App. Catania, 26 aprile 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Affinché lo stato di separazione possa ritenersi interrotto a causa di riconciliazione occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi cessata con la separazione, consistendo la ri¬conciliazione nella volontà di questi ultimi di ricostituire in pieno non solo la loro convivenza materiale, ma anche quell’unione spirituale che è alla base della convivenza medesima.
App. Roma, 7 marzo 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione coniugale, l’avvenuta riconciliazione del rapporto materiale e morale tra i coniugi – da intendersi quale effettivo ripristino della convivenza – è fonte non soltanto di effetti processuali – preclusivi come tali del giudizio di separazione in corso – ma anche di effetti propriamente sostanziali, consistenti specificamente nel determinare la inidoneità di fatti anteriori alla stessa ad assumere autonomo valore probatorio ai fini di una pronuncia di addebito di separazione avanzata dopo l’evento riconciliativo di fatto non riuscito. Purtuttavia non può negarsi che il giudice possa egualmente tenere conto dei fatti anteriori, anche se al solo scopo di definire il contesto storico nel quale va operato l’apprezzamento in ordine alla pronuncia suddetta.
Trib. Benevento, 7 marzo 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di separazione personale dei coniugi, l’avvenuta riconciliazione nelle more del processo – prodotta in giudizio mediante deposito della rinunzia alla stessa, sottoscritta dai coniugi ed autenticata dal legale – comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Cass. civ. Sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26165 (Famiglia e Diritto, 2007, 8-9, 805 nota di VALENTE)
La dichiarazione di divorzio non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dall’art. 3 della legge n. 898 del 1970 (oggi dagli artt. 1 e 7 della legge n. 74 del 1987), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, della esistenza (dell’essen¬ziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio coniugale per effetto della definitiva rottura del legame di coppia, onde, in questo senso, lo stato di separazione dei coniugi concreta un requisito dell’azione, necessario secondo la previsione dell’art. 3, n. 2, lett. b), della citata legge n. 898 del 1970, la cui interruzione, da opporsi a cura della parte convenuta (art. 5 della legge n. 74 del 1987) in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altra parte, postula l’avvenuta riconciliazione, la quale si verifica quando sia stato ricostituito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo ma¬trimoniale e che, quindi, sottende l’avvenuto ripristino non solo di quelli riguardanti l’aspetto materiale del consorzio anzidetto, ma altresì di quelli che sono alla base dell’unione spirituale tra i coniugi.
L’accertamento dell’avvenuta riconciliazione tra coniugi separati, per avere essi tenuto un comportamento non equivoco che risulti incompatibile con lo stato di separazione (da compiersi attribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei ge¬sti e dei comportamenti posti in essere dagli stessi coniugi, valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa della convivenza e alla costituzione di una rinnovata comunione, piuttosto che con riferimento a supposti elementi psicologici, tanto più difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti e della spiritualità soggettiva), implicando un’indagine di fatto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae, quindi, a censura, in sede di le¬gittimità, là dove difettino vizi logici o giuridici.
App. Roma, 12 aprile 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Dal provvedimento di separazione legale (sia esso giudiziale che consensuale) discende una presunzione di non convivenza dei coniugi separati sicché, in costanza di pregresso provvedimento di separazione debitamente omologato, sul coniuge nuovamente ricorrente per la separazione incombe l’onere di dimostrare che il precedente provvedimento è stato posto nel nulla per succes¬siva riconciliazione. In difetto di tale prova il nuovo ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Trib. Monza Sez. IV, 11 aprile 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda proposta per ottenere lo scioglimento del matrimonio non può essere accolta laddove sia intervenuta la riconcilia¬zione dei coniugi, a norma dell’art. 157 cod. civ. La riconciliazione, che ricorre ove ripristinato il consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, può risultare da una dichiarazione espressa ovvero da un comportamento concludente non equivoco ed incompatibile con lo stato di separazione e, ove deve essere ritenuta per facta concludentia, abbisognia non di singoli comportamenti in sé considerati, quali la ripresa della mera coabitazione temporanea o la riunione durante le vacanze o la presenza di sporadici rapporti sessuali, ma di una ripresa della convivenza coniugale accompa¬gnata da una stabile coabitazione, dall’organizzazione domestica e, normalmente, da rapporti sessuali e da altre manifestazioni di affetto. Tali fatti concludenti si ravvisano, considerandoli nel loro complesso, nell’aver trascorso vacanze unitamente al loro cane, nell’acquisto comune di una lavatrice, nelle telefonate che dall’utenza fissa casalinga risultano effettuate sul telefono mo¬bile della moglie, nell’aver sottoscritto, in qualità di testimone, il verbale di consegna della salma del suocero, tutte attività che comprovano la partecipazione alle attività ed alle incombenze quotidiane della ricostituita famiglia.
Cass. civ. Sez. I, 6 ottobre 2005, n. 19497 (Famiglia e Diritto, 2006, 1, 22 nota di CARBONE)
Non è sufficiente, per provare la riconciliazione tra i coniugi separati, per gli effetti che ne derivano, che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale, essendo invece necessaria la completa ripresa dei rapporti caratteristici della vita coniugale.
App. Napoli, 17 gennaio 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per aversi la riconciliazione occorre che il consorzio familiare sia stato integralmente ricostituito, ossia ripristinato attraverso la piena ripresa della convivenza materiale e della unione spirituale. La riconciliazione configurata dal legislatore, infatti, non consiste in un semplice riavvicinamento dei coniugi, né è attestata dalla sola ripresa, per un certo periodo, della convivenza e dei rapporti sessuali, ma richiede la riunificazione della famiglia, accompagnata dalla ferma intenzione di ricomporre l’unione di coppia, in condizioni di rinnovata comunione e di reciproca solidarietà.
Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2004, n. 12427 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è sufficiente, per provare la riconciliazione tra coniugi separati, per gli effetti che ne derivano, che i medesimi abbiano ripri¬stinato la convivenza a scopo sperimentale, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale.
Trib. Monza, 1 aprile 2004 (Foro It., 2004, 1, 2272)
L’espressa dichiarazione dei coniugi, idonea ai sensi dell’art. 157 c.c. a far cessare gli effetti della separazione, deve essere, sotto il profilo formale, inequivoca e verificabile in ogni momento, anche mediante la sua iscrizione tra gli atti dello stato civile, ed inoltre deve essere accompagnata da elementi tali che ne confermino la valenza reale e non astratta, quali la ripresa effettiva della convivenza (nella specie, il tribunale ha escluso l’idoneità, ai fini della riconciliazione, di una comunicazione telefonica, nel corso della quale il marito separato avrebbe dichiarato alla moglie – che avrebbe contestualmente accettato – di voler riprendere la vita coniugale, seguita da una breve ripresa della convivenza).
Cass. civ. Sez. I, 5 dicembre 2003, n. 18619 (Famiglia e Diritto, 2004, 253 nota di SESTA)
In materia di comunione legale tra i coniugi, la separazione personale costituisce causa di scioglimento della comunione, che è rimossa dalla riconciliazione dei coniugi, dalla quale deriva il ripristino del regime di comunione originariamente adottato; tut¬tavia, in applicazione dei principi costituzionali di tutela della buona fede dei contraenti e della concorrenza del traffico giuridico (artt. 2 e 41 Cost.), occorre distinguere tra effetti interni ed esterni del ripristino della comunione legale e, conseguentemente, in mancanza di un regime di pubblicità della riconciliazione , la ricostituzione della comunione legale derivante dalla riconciliazione non può essere opposta al terzo in buona fede che abbia acquistato a titolo oneroso un immobile dal coniuge che risultava unico ed esclusivo del medesimo, benché lo avesse acquistato successivamente alla riconciliazione. (Fattispecie alla quale “ratione temporis” non era applicabile l’art. 69 del D.P.R. n. 396 del 2000, che ha previsto l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio delle dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione).
A seguito della riconciliazione tra coniugi si ripristina automaticamente tra loro il previgente regime di comunione legale dei beni. Tuttavia, in difetto di alcuna segnalazione esterna di quell’evento, detto ripristino non è opponibile a terzi di buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso dal coniuge che risultava unico ed esclusivo titolare dell’immobile alienato, poiché operano le norme generali che governano la pubblicità delle vicende giuridiche a tutela dei terzi (ed ora il meccanismo di annotazione specificamente predisposto per la riconciliazione dei coniugi agli artt. 63 e 69 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396).
II ripristino automatico dell’originario regime patrimoniale legale di comunione, tra coniugi separatisi, in conseguenza di succes¬siva riconciliazione ex articolo 157 del c.c., non può essere opposto ai terzi che hanno acquistato in buona fede, a titolo oneroso, dal coniuge che risultava unico ed esclusivo titolare dell’immobile alienato, per averlo egli, a sua volta, acquistato, a seguito di annotazione a margine dell’atto di matrimonio, in regime di separazione dei beni.
Trib. Milano Sez. IX, 10 novembre 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione compiuta dai coniugi successivamente alla loro separazione personale consensuale omologata, oltre a far ces¬sare gli effetti personali della separazione, comporta la ricostituzione ipso iure della comunione legale già disciolta al momento della separazione stessa.
App. Perugia, 9 ottobre 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’elemento oggettivo, da cui è possibile desumere la ricostituzione del nucleo familiare, prevale sul mero elemento psicologico, nel caso in cui questo non si sia estrinsecato in gesti quotidiani che lo rivelino con chiarezza e senza fraintendimenti. Tale ele¬mento oggettivo, può consistere nella ripresa della convivenza, purché concreta, durevole, e non temporanea ed occasionale, nonché nella redazione di un testamento olografo a favore dei figli, unito alla revoca delle disposizioni testamentarie a favore della precedente convivente (nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che nessuna rilevanza potesse essere attribuita al fatto che il coniuge avesse riallacciato dei rapporti con la propria amante, non essendovi prova che la moglie fosse a conoscenza di tale relazione, né fosse significativo il fatto che i coniugi avessero vissuto in camere separate, non avendo da tempo rapporti di natura sessuale, anche in considerazione dell’età dei due coniugi).
Trib. Verona, 5 giugno 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il p.m. ai sensi dell’art. 397 c.p.c. è legittimato a chiedere la revocazione della sentenza di divorzio pronunziata sulla base della ininterrotta durata della separazione, senza che emergesse la sopravvenuta riconciliazione dei coniugi, giacché è ben vero che ai sensi dell’art. 3 n. 2 lett. b) l. n. 898 del 1970 l’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte con¬venuta, ma nella specie la mancata allegazione e prova in giudizio della riconciliazione integrava una collusione dei coniugi volta a evitare che il giudice appurasse anche d’ufficio, stante la rilevanza pubblicitaria della disciplina, la mancanza dei presupposti di legge del divorzio.
Cass. civ. Sez. I, 11 ottobre 2001, n. 12428 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Affinchè lo stato di separazione possa ritenersi interrotto a causa di riconciliazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi cessata appunto con la separazione, consistendo la riconciliazione nella volontà di questi ultimi di ricostituire in pieno non solo la loro convivenza materiale, ma anche quell’unione spirituale che è alla base della convivenza medesima.
Trib. Vercelli, 9 maggio 2001 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di eccezione alla domanda di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’accertamento della riconciliazione dei co¬niugi non può non solo implicare necessariamente una ripresa della convivenza materiale, ovvero concretarsi in una coabitazione “sotto lo stesso tetto”, ma anche la ripresa della c.d. “affectio maritalis”, per la cui prova non basta tuttavia il certificato storico di residenza dell’attore prodotto dalla parte convenuta, dato il valore presuntivo di tali risultanze.
Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 2001, n. 3744 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Perché si abbia riconciliazione, con conseguente cessazione degli effetti della separazione, occorre il ripristino del consorzio fami¬liare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi cessata appunto con la separazione. Il relativo accertamento, implicando un’indagine di fatto, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e non è, quindi, censurabile in cassazione in mancanza di vizi logici o giuridici.
Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2000, n. 2217 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Affinchè lo stato di separazione possa ritenersi interrotto a causa di riconciliazione, occorre il ripristino del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi cessata appunto con la separazione, consistendo la riconciliazione nella volontà di questi ultimi di ricostituire in pieno non solo la loro convivenza materiale, ma anche quell’unione spirituale che è alla base della convivenza medesima.
Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1227 (Giur. It., 2000, 2035 nota di DE CANDIA)
Affinché lo stato di separazione tra i coniugi possa ritenersi per effetto della riconciliazione, con conseguenze preclusive della successiva domanda di divorzio, non è sufficiente un semplice e transitorio riavvicinamento tra i coniugi, anche con la eventuale ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, essendo necessaria a tal fine la ricostituzione del nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali, con il fine di ridare vita al vincolo coniugale. (Nella specie non può ritenersi che abbia dato luogo ad una stabile ricostituzione di duraturi rapporti familiari la convivenza protrattasi per soli dieci giorni in occasione dello stato di detenzione domiciliare del marito).
Trib. Napoli, 21 dicembre 1998 (Nuova Giur. Civ., 2000, I, 359 nota di SASSOLI)
La riconciliazione avvenuta tra i coniugi già consensualmente separati comporta “ex se”, automaticamente, il ripristino dell’ante¬cedente regime di comunione legale, solo quanto ai rapporti tra i coniugi, ma tale efficacia immediata della riconciliazione non si estende ai terzi, atteso che occorre tutelare l’affidamento e la buona fede di questi ultimi. Infatti ai fini dell’opponibilità ai terzi occorre (come anche per lo stesso provvedimento di separazione) l’annotazione dell’avvenuta riconciliazione a margine dell’atto di matrimonio o la stipulazione di una convenzione matrimoniale debitamente annotata e trascritta (alla stregua di tale principio, nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di annullamento dell’atto di vendita a terzi di un immobile che era stato acquistato dal marito successivamente alla separazione consensuale).
La riconciliazione dei coniugi di per sé non determina l’automatico ripristino del previgente regime di comunione legale poiché, se così fosse, il sistema pubblicistico relativo al regime patrimoniale dei coniugi, stabilito proprio al fine di predisporre un’adeguata e necessaria tutela dei terzi, verrebbe di fatto ad essere inficiato.
Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 1998, n. 11418 (Famiglia e Diritto, 1999, 185, 252 nota di DE MICHEL)
Posto che, ai sensi dell’art. 191 c.c., la separazione personale dei coniugi costituisce causa di scioglimento della comunione dei beni, una volta rimossa con la riconciliazione tale causa si ripristina automaticamente tra le parti il regime di comunione origina¬riamente adottato, con esclusione di quegli acquisti effettuati durante il periodo della separazione.
La riconciliazione, intervenuta tra coniugi separati, fa cessare con effetto “ex nunc” tutti gli effetti della separazione, sia personali che patrimoniali, con il conseguente ripristino del regime della comunione dei beni esistente in origine tra i coniugi, venuto meno in seguito al provvedimento di separazione.
Cass. civ. Sez. I, 17 giugno 1998, n. 6031 (Famiglia e Diritto, 1998, 4, 317 nota di CARBONE)
La dichiarazione di divorzio non consegue automaticamente alla constatazione della presenza di una delle cause previste dall’art. 3 l. n. 898 del 1970 (oggi dagli art. 1 e 7 l. n. 74 del 1987), ma presuppone, in ogni caso, attesi i riflessi pubblicistici riconosciuti dall’ordinamento all’istituto familiare, l’accertamento, da parte del giudice, della esistenza (dell’essenziale condizione) della concreta impossibilità di mantenere o ricostituire il consorzio familiare per effetto della definitività della rottura dell’unione spi¬rituale e materiale tra i coniugi (accertamento di ampiezza ed approfondimento diversi, secondo le circostanze emergenti dagli atti e le deduzioni svolte in concerto dalle parti). L’asserito venir meno dello stato di separazione, opposto da uno dei coniugi in presenza di una richiesta di divorzio avanzata dall’altro coniuge, ha, pertanto, come suo indefettibile presupposto, l’avvenuta riconciliazione (ossia la ricostituzione del nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali), e va accertato at¬tribuendo rilievo preminente alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dai coniugi – valutati nella loro effettiva capacità dimostrativa della disponibilità alla ricostruzione del rapporto matrimoniale – piuttosto che con riferimento al mero elemento psicologico, tanto più difficile da provare in quanto appartenente alla sfera intima dei sentimenti e della spi¬ritualità soggettiva.
Trib. Bologna, 28 gennaio 1998 (Dir. Famiglia, 1998, 1047 nota di CONTE)
Ritenuto che l’eventuale carattere simulatorio del verbale di separazione consensuale omologata non può, ex art. 1415 c.c., essere opposto ai terzi, e ritenuto altresì che l’eventuale rinconciliazione dei coniugi ritualmente separati può spiegare effetti soltanto interni alla coppia, non potendo rilevare al fine di travolgere atti dispositivi compiuti da uno dei coniugi in favore di terzi di buona fede, nè l’asserita simulazione della separazione, né l’asserita riconciliazione dei “partners” dopo l’omologa possono essere opposte agli acquirenti di un bene immobile dalle mani di un coniuge legittimato a disporne per avere acquistato il bene dopo l’omologa della separazione, che aveva sciolto il precedente regime di comunione legale.
Trib. Palermo, 29 marzo 1997 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ritenuto che l’avvenuta riconciliazione dei coniugi ritualmente separati spiega effetti soltanto interni alla coppia e non può operare esternamente al fine di travolgere atti dispositivi compiuti da uno dei coniugi in favore di terzi di buona fede, l’asserita riconciliazione dei coniugi in regime di separazione omologata non può essere opposta agli acquirenti di un bene immobile dalle mani del coniuge che si è dichiarato legittimato a disporne, dopo che l’avvenuta separazione aveva sciolto il precedente regime di comunione legale.
App. Trento, 2 settembre 1996 (Famiglia e Diritto, 1996, 6, 549 nota di FIGONE)
La riconciliazione, intervenuta fra coniugi separati, fa cessare con effetto “ex nunc” tutti gli effetti della separazione, sia personali che patrimoniali, con l’effetto anche di ripristinare il regime della comunione dei beni esistente in origine tra i coniugi, venuto meno in seguito al provvedimento di separazione.
Cass. pen. Sez. VI, 26 giugno 1992, n. 7442 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non costituisce circostanza idonea a far ritenere cessati gli effetti della separazione tra i coniugi ex art. 157 c.c., e, conseguentemente, sufficiente a far venire meno l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento fissato a favore della coniuge nel corso del procedimento di separazione, il fatto che si siano verificate delle mani¬festazioni di buona volontà da parte del marito con doni, elargizioni di denaro ed esecuzione di opere nella casa coniugale. Infatti, affinché lo stato di separazione tra i coniugi possa ritenersi interrotto a causa di riconciliazione , è necessaria la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale dei coniugi, cessata con la pronuncia di separazione, per cui non sono sufficienti a tale fine la ripresa della convivenza anche per periodi di tempo considerevoli e quella degli stessi rapporti sessuali, trattandosi di fatti inidonei a privare di valore lo stato di perdurante separazione. In altri termini la riconciliazione consiste nella volontà di entrambi i coniugi di ripristinare in pieno non solo la loro convivenza materiale, ma anche quell’unione spirituale che è alla base medesima della convivenza materiale, in modo che si debba considerare perdonata e posta nell’oblio ogni eventuale colpa attribuita reciprocamente dall’uno all’altro coniuge.
Trib. Napoli, 19 marzo 1991 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Perché si abbia riconciliazione per fatti concludenti, che ai sensi dell’art. 157 c.c. faccia cessare gli effetti della sentenza di sepa¬razione, è necessario che vi sia il ripristino del consorzio familiare nei suoi rapporti materiali e spirituali (nella specie, il tribunale ha ravvisato tali rapporti, tipici della convivenza coniugale, nella coabitazione della stessa casa, con l’uso dei servizi che essa offre nella sua quotidianeità; nella pratica dei rapporti sessuali; nei ricevimenti di amici comuni nella propria abitazione; nelle visite agli amici comuni; nel soggiorno in località di vacanza; nei fine settimana; nelle preoccupazioni e nelle attenzioni per la salute dell’altro coniuge).
Posto che l’avvenuta riconciliazione fra i coniugi ed il conseguente ripristino del consorzio familiare annullano gli effetti propri della separazione, compreso quello previsto dall’art. 232, 2° comma, c.c., ne consegue che riprende ad operare la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio.
Cass. civ. Sez. I, 3 gennaio 1991, n. 26 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Sussistono i presupposti della separazione con addebito a carico della moglie che, dopo la riconciliazione seguita a separazione consensuale, venga sorpresa in compagnia dell’uomo che era stato la causa dei precedenti contrasti tra i coniugi, con il quale aveva convissuto durante il periodo di separazione consensuale e con il quale riprenda poi a convivere dopo la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio di separazione giudiziale.
Cass. civ. Sez. I, 29 novembre 1990, n. 11523 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione fra i coniugi – intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevanti riser¬ve mentali – è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostan-ziali, consistenti nel determinare l’inidoneità dei fatti ad essa anteriori – posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto – ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all’evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell’addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all’evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l’apprezzamento in ordine all’intollerabilità della convivenza.
I fatti anteriori alla riconciliazione, intesa come completo ed effettivo ripristino della convivenza mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali, avvenuti prima della proposizione della domanda di separazione nel periodo di convivenza o di separazione di fatto, pur non potendo da soli valere a giustificare la domanda di separazione, possono valere a lumeggiare il contesto storico nel quale valutare la intollerabilità della convivenza.
Corte cost. 20 luglio 1990, n. 357(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ manifestamente inammissibile – in riferimento agli art. 2, 3, 29, 30 e 31 cost. – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 572, 1° comma, c. p., nella parte in cui non prevede come causa di estinzione del reato di maltrattamenti in famiglia la seria riconciliazione dei coniugi ed il normale svolgimento della vita coniugale, giudizialmente accertati; e ciò in quanto spetta esclusivamente al legislatore stabilire se esistano fatti successivi al reato in grado di estinguere il carattere criminale delle vio¬lazioni commesse e le relative conseguenze sanzionatorie.
Una volta riconosciuta e confermata l’attuale validità della rilevanza penale di fatti che violano i principi su cui si fonda l’unità della famiglia e l’etica della coesistenza pacifica dei suoi membri (anche nell’interesse dei figli minori), non può spettare che allo stesso legislatore stabilire se esistano fatti successivi in grado di estinguere, sotto condizioni che ancora una volta solo il legisla¬tore può disciplinare, il carattere criminale di quelle violazioni e le relative conseguenze sanzionatorie. (Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 572 cod. pen. sollevata in riferimento agli artt. 2,3, 29, 30 e 31 Cost.).
C. Conti Sez. III Pens. civ., 13 gennaio 1987, n. 59770 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sola ripresa della coabitazione non costituisce indice sicuro ed univoco dell’avvenuta riconciliazione fra i coniugi, idonea a superare l’impedimento per la corresponsione del trattamento di riversibilità a favore della vedova separata per sua colpa.
Cass. civ. 23 gennaio 1984, n. 541 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di riconciliazione dei coniugi, già autorizzati a vivere separati, riprende ad operare la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio, di cui all’art. 232 c. c., onde il figlio nato dopo la riconciliazione, avvenuta prima del decorso di trecento giorni da quella autorizzazione, si reputa legittimo, salva l’azione di disconoscimento ex art. 235, n. 1 c. c.
Cass. civ., 17 novembre 1983, n. 6860 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Affinché lo stato di separazione tra i coniugi di cui all’art. 3 l. 1 dicembre 1970, n. 898 possa ritenersi interrotto per effetto di riconciliazione e quindi non idoneo per la pronunzia di divorzio è necessaria la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la restaurazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi, cessata con la pronunzia di separazione, onde non sono sufficienti a tal fine i saltuari ritorni del marito nel luogo di residenza della moglie nonché gli stessi rapporti sessuali avvenuti in tali occasioni, trattandosi di fatti inidonei a privare di valore lo stato perdurante di separazione.
Corte cost. 21 aprile 1983, n. 104 (Foro It., 1983, I, 2350 nota di RUNFOLA TESTINI)
Non è fondata, in riferimento agli art. 29 e 3 cost., la questione di legittimità costituzionale del novellato art. 154 c. c.
E’ infondata la questione di legittimità costituzionale del novellato art. 154 c. c., nella parte in cui attribuisce rilevanza, nel giu¬dizio di separazione addebitabile, a fatti anteriori alla riconciliazione, in riferimento agli art. 3 e 29 cost.
La norma che (secondo l’interpretazione della Cassazione) attribuisce rilievo (sia pur limitato) ai fatti anteriori alla riconciliazione e al giudizio di separazione, nel senso che tali fatti confluiscono, insieme a quelli successivi alla riconciliazione , a formare il libero convincimento del Giudice, non viola la garanzia dell’unità familiare, in quanto ben potrebbe ritenersi che proprio una norma che viceversa prevedesse sempre l’irrilevanza dei fatti anteriori alla riconciliazione scoraggerebbe o ritarderebbe il rappacificamento dei coniugi; e comunque tale apprezzamento appartiene all’ambito delle valutazioni del legislatore. Né è violato il principio di eguaglianza rispetto al caso di riconciliazione seguita a una precedente pronuncia di separazione (art. 157 c.c.), in quanto la assoluta irrilevanza in quest’ultima ipotesi dei fatti anteriori alla riconciliazione è giustificata dal rilievo che nel giudizio conclu¬sosi con la precedente sentenza i pregressi rapporti fra i coniugi sono stati giudicati e, per così dire, assorbiti nella pronunzia di separazione e si comprende come soltanto i fatti e i comportamenti successivi possano motivare una nuova pronunzia di separa¬zione. (Non fondatezza, in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., della questione di legittimità` costituzionale dell’art. 154 cod. civ.).
Corte cost. 18 aprile 1983, n. 102 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ manifestamente inammissibile, perché sollevata con ordinanza motivata mediante il semplice rinvio alla motivazione di altre ordinanze emesse dallo stesso giudice a quo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 570 c. p., nella parte in cui non esclude la punibilità del coniuge che sia venuto meno agli obblighi di assistenza familiare, nel caso di avvenuta riconciliazione con l’altro coniuge, in riferimento agli art. 2, 3, 29, 31 cost.
Cass. civ., 24 marzo 1983, n. 2058 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La riconciliazione dei coniugi implica, oltre al perdono delle colpe precedenti, anche il completo ripristino della convivenza coniu¬gale mediante la ripresa dei rapporti che caratterizzano il vincolo matrimoniale e che sono costituiti dalla comunione spirituale (intesa come animus di riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita e di adempire ai doveri coniugali) e dalla comunione materiale nella convivenza caratterizzata da una comune organizzazione domestica e, normalmente, da rapporti sessuali; pertanto, quando detti rapporti siano avvenuti sporadicamente senza essere accompagnati da altre manifestazioni di affetto, essi non possono da soli valere come riconciliazione non essendo sufficienti a dimostrare la ripresa della predetta comu¬nione materiale e spirituale, in rapporto con il corrispondente concetto di separazione personale dei coniugi.
Corte cost. 29 luglio 1982, n. 157 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale degli art. 570 1° comma c. p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) e 146 2° comma c. c. (allontanamento dalla residenza familiare); il pretore di Nardò, con ordinanze 27 aprile 1978 e 25 maggio 1978, ha denunciato, in riferimento agli art. 2, 3, 29 e 31 cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 570, 1° comma, c. p., nella parte in cui non prevede, quale causa di non punibilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’avvenuta riconciliazione tra i coniugi; ed il pretore di Venafro, con ordinanza 29 gennaio 1979, investe, in riferimento agli art. 3 e 29 cost., il combinato disposto degli art. 570, 1° comma, c. p. e 146, 2° comma, c. c., nella parte in cui punisce la violazione, mediante abbandono del domicilio, degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge, salvo il caso in cui l’allontanamento dalla residenza familiare segua alla presentazione di una delle domande di cui all’art. 146 c. c. (separazione, annullamento, scioglimento, cessazione degli effetti civili); successivamente alla pronuncia delle ordinanze in epigrafe, è entrata in vigore la l. 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale), che, all’art. 90, ha reso procedibile soltanto a querela della persona offesa il reato previsto dall’art. 570, 1° comma, c. p., precedentemente perseguibile d’ufficio; conseguentemente, si rende necessario (v. ordinanza della corte n. 129 del 1982) che i giudici a quibus, cui gli atti vanno restituiti, riesaminino la rilevanza delle questioni proposte, tenendo conto di tale nuova normativa.
Cass. civ. Sez. I, 6 marzo 1979, n. 1400 (Giur. It., 1981, I,1, 994 nota di RUNFOLA TESTINI)
Una sporadica ripresa dei rapporti sessuali tra coniugi separati di fatto, anche con conseguente nascita di un figlio, non può da sola avere valore di riconciliazione.