ALIMENTI
Di Gianfranco Dosi
I
Le persone obbligate agli alimenti
a) Gli obbligati nell’ambito delle relazioni familiari
Delle obbligazioni alimentari si occupa l’intero titolo XIII del primo libro del codice civile.
La collocazione nell’ambito delle norme sul diritto di famiglia (da molti ritenuta non plausibile) appare, invece, del tutto ragionevole in quanto le obbligazioni di natura alimentare sono soprattutto riferibili, nel sentire comune, ai vincoli di solidarietà primaria esistenti tra componenti della famiglia, anche se l’art. 437 pone al primo posto tra gli obbligati il donatario, nei confronti del donante, e perciò un soggetto che per riconoscenza, e non per vincoli di solidarietà familiare, viene dichiarato tenuto all’obbligo.
In ogni caso è pacifico che l’ordinamento appresta, con queste norme, gli strumenti affinché chi non può mantenere se stesso possa ottenere i mezzi necessari alla propria sussistenza da parte di soggetti che si trovano con lui in una particolare relazione personale e che hanno la possibilità economica di provvedere.
L’applicazione delle disposizioni in questione è espressamente e interamente estesa anche alle unioni civili dal comma 19 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
All’obbligo ex lege di prestare gli alimenti a chi è incapace di provvedere al proprio sostentamento sono tenuti – secondo quanto previsto nell’art. 433 – nell’ordine: 1) il coniuge; 2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. Come detto, l’art. 437 aggiunge, collocandolo al primo posto, il donatario nei riguardi del donante.
L’elencazione è tassativa e progressiva, nel senso che il primo soggetto in grado di adempiere esclude gli altri.
Condizione, insomma, dell’azione alimentare proposta contro persone obbligate in un grado determinato è la man¬canza di obbligati di grado anteriore o la loro incapacità di prestare gli alimenti (Trib. Cassino, 23 agosto 2016).
Interessante è la decisione con cui T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, 24 giugno 2011, n. 933 ha ritenuto conforme ai principi costituzionali in un’ottica di solidarietà sociale, distinguere, per l’accesso ai servizi sociali, nell’ambito dei soggetti che maggiormente hanno bisogno di assistenza tra coloro che hanno comunque una fonte di sostentamento, costituita dalla presenza di un obbligato agli alimenti e chi tale fonte non ha; equiparare le due situazioni potrebbe comportare un vulnus agli stessi principi generali e livelli essenziali per l’accesso ai servizi sociali, potendo determinare in concreto una riduzione delle risorse da destinare ai soggetti più bisogne¬voli, perché sprovvisti di una rete di sostegno economico familiare.
Il coniuge
Il coniuge è tale fino al giudicato di divorzio. La conferma sta proprio nella norma (art. 156, comma 3, c.c.) che prevede il diritto alimentare per il coniuge in stato di bisogno al quale è stata addebitata la separazione e che perciò ha perso il diritto all’assegno coniugale.
I figli
I figli (nati nel matrimonio o fuori del matrimonio e anche quelli adottati in età minore o da maggiorenni) sono tenuti agli alimenti nei confronti dei genitori, mentre solo in loro mancanza sono obbligati i discendenti prossimi. Segnale inequivoco del riferirsi l’art. 433 alla famiglia estesa e non solo a quella nucleare.
I genitori
I genitori, anche adottanti, e in loro mancanza gli ascendenti prossimi, sono tenuti a prestare gli alimenti ai figli.
Questa obbligazione alimentare ha carattere evidentemente residuale rispetto al più generale obbligo di man¬tenere i figli fino a quando gli stessi non abbiano raggiunto l’autonomia economica. La giurisprudenza di legit¬timità considera venuto meno il diritto al mantenimento ove il figlio maggiorenne, conclusasi una esperienza lavorativa che lo aveva reso temporaneamente autosufficiente, perda la sua autonomia rientrando in famiglia. Hanno seguito questa interpretazione molte sentenze. In particolare Cass. civ. Sez. VI, 27 gennaio 2014, n. 1585 e Cass. civ. Sez. I, 2 dicembre 2005, n. 26259 dove si afferma che le circostanze che hanno interrotto l’indipendenza economica non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già ve¬nuti meno; Cass. civ. Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12477 e Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2010, n. 23590 secondo cui l’obbligo dei genitori non può protrarsi sine die e che pertanto esso trova il suo limite allorché il figlio risulti avviato ad una attività lavorativa la quale interrompe “il legame e la dipendenza morale e materiale con la famiglia d’origine”. In verità nessuna norma afferma (e se vi fosse una norma del genere sarebbe nell’attuale congiuntura economica certamente irragionevole) che il diritto al mantenimento venuto meno per una circo¬stanza determinata (perché per esempio un ragazzo ha trovato un’attività lavorativa temporanea) non possa poi riprendere vita quando il ragazzo dovesse terminare non per sua colpa tale attività. L’interpretazione opposta è stata sostenuta da Cass. civ. Sez. I, 24 settembre 2008, n. 24018 secondo cui l’obbligo di mantenimento del figlio “riprende nel caso in cui il giovane abbia deciso di lasciare il lavoro che lo aveva reso economicamente indipendente per riprendere gli studi, seguire corsi di formazione e seguire così la propria inclinazione e aspira¬zione e ciò in quanto non ha colpa il figlio che rifiuta una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui tali aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate, e sempre che tale at¬teggiamento di rifiuto (nel proseguire a lavorare) sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia”.
L’art. 436 avverte che “l’adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori di lui”. Norma che vale naturalmente solo in caso di adozione di maggiorenni o per l’adozione di minori in casi particolari di cui all’art. 44 delle legge 4 maggio 1983, n. 184, giacché in entrambe le ipotesi – a differenza di quanto avviene con l’adozione piena dei minori – il vincolo adottivo non cancella quello genitoriale originario.
Gli affini in linea retta
L’art. 433 elenca poi come soggetti obbligati rispetto alla persona che si trova in stato di bisogno gli affini in linea retta (perciò il suocero o la suocera, il genero o la nuora). La famiglia estesa, da un punto di vista degli obblighi alimentari, non comprende quindi i cognati. Si deve ricordare che nelle unioni civili non esiste rilevanza giuridica del vincolo di affinità (cfr art. 1, comma 20, della legge 76/2016). L’obbligazione alimentare nei confronti del soggetto in stato di bisogno – secondo quanto prevede l’art. 434 – cessa non quando tale soggetto divorzia ma solo quando contrae nuovo matrimonio. Singolare che l’obbligo non cessi automaticamente con il divorzio o con la dichiarazione di nullità (Cass. civ. Sez. I, 7 giugno 1978, n. 2848). Quindi il coniuge divorziato – benché in dottrina si ritiene il contrario – potrebbe essere chiamato a corrispondere gli alimenti all’ex suocero. L’obbligo cessa, inoltre, quando il coniuge, da cui deriva l’affinità, e i figli nati dalla sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti (altrimenti sarebbero questi soggetti, in vita, ad essere obbligati).
Se il matrimonio da cui sorge il vincolo di affinità è dichiarato nullo, cessa l’obbligo alimentare giacché l’affinità cessa se il matrimonio è dichiarato nullo (art. 78, ult. comma, c.c.).
I fratelli e le sorelle
Sono infine indicati come reciprocamente obbligati agli alimenti i fratelli/sorelle con precedenza (irragionevole) tra fratelli/sorelle che hanno gli stessi genitori (germani) rispetto a quelli che ne hanno in comune uno solo (unilaterali).
Come si è detto l’indicazione degli obbligati è progressiva (nel senso chiarito che il primo obbligato in grado di adempiere esclude gli altri) ed è veramente inspiegabile come mai il legislatore abbia ritenuto di collocare i fratelli dopo gli affini.
Si ricorda, infine, che l’art. 1, comma 65, della citata legge 20 maggio 2016, n. 76, prevede nella parte finale che “…l’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma [alla cessazione della convivenza] è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”. Il che vuol dire che, al momento della cessazione della convivenza, dopo gli eventuali figli e dopo gli eventuali genitori ma prima dei fratelli e delle sorelle sarà il convivente, ad essere tenuto agli alimenti.
b) Separazione, divorzio, nullità del matrimonio e obbligazioni alimentari
Come meglio si dirà più oltre, trattando il tema della differenza tra mantenimento e alimenti, l’obbligazione ali¬mentare, se ve ne sono i presupposti, permane a favore del coniuge separato senza mantenimento (non in sede di divorzio in cui cessa lo status coniugale) ed è prevista anche in caso di perdita del diritto al mantenimento a seguito di addebito della separazione (art. 156 c.c.). Gli alimenti spettano anche al convivente di fatto che al momento della cessazione della convivenza versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (art. 1, comma 65, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Quanto alla nullità del matrimonio l’art. 129-bis, primo comma, c.c. chiarisce che “il coniuge al quale sia impu¬tabile la nullità… è tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati”. Si tratta di un caso di alimenti in cui pur non sussistendo più il rapporto di coniugio, resta fermo alle condizioni indicate, l’obbligo alimentare. In tal caso però la collocazione dell’obbligato è all’ultimo posto nell’or¬dine degli obbligati.
c) Obbligazioni alimentari al di fuori della famiglia
Il donatario
Il donatario è obbligato in base all’art. 437 a prestare gli alimenti al donante in virtù, evidentemente, del vincolo di gratitudine che lo dovrebbe lega al donante ed in effetti sarebbe ingiusto che la persona bisognosa si rivolges¬se ad un membro della famiglia esistendo qualcuno che in passato ha da lui ricevuto un beneficio patrimoniale e che continuerebbe a godere dei vantaggi della donazione pur potendo soccorrere il donante indigente.
L’obbligo è limitato al valore della donazione ancora esistente nel patrimonio del donatario (art. 438, terzo com¬ma).
Trattandosi di un’obbligazione ex lege come quelle indicate nell’art. 433, anche la concessione di alimenti a carico del donatario è subordinata all’assolvimento, da parte del richiedente, dell’onere probatorio in ordine al suo stato di indigenza e all’impossibilità, per cause incolpevoli, di procurarsi personalmente i mezzi di sostentamento.
E’ ragionevole ritenere che l’obbligo alimentare sussista anche in caso di donazione indiretta.
L’obbligo non sussiste – precisa sempre l’art. 437 – allorché “si tratti di donazione fatta in riguardo di un matri¬monio o di una donazione rimuneratoria” giacché in questi due casi l’arricchimento non è avvenuto per spirito di liberalità. Per gli stessi motivi, peraltro, nei medesimi casi – come avverte l’art. 805 – non si può chiedere la revocazione della donazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli.
Nel caso di presenza di più donatari, la soluzione ragionevole dovrebbe essere quella della proporzionalità (art. 438, secondo comma) nel senso che i donatari saranno tenuti agli alimenti, ciascuno in proporzione del valore delle donazioni tuttora esistenti nel suo patrimonio.
Altri casi
Non mancano figure che presentano alcuni caratteri propri degli obblighi alimentari pur senza poter essere pi¬enamente ricondotte ad essi. Per esempio l’art. 2154 c.c.1 prevede l’obbligo del concedente di somministrare quanto necessario al mantenimento della famiglia colonica se il mezzadro e la sua famiglia si trovano in stato di bisogno per insufficienza del raccolto; il vecchio testo dell’art. 560 c.p.c. consentiva al giudice dell’esecuzione immobiliare di concedere al debitore, che non abbia altri mezzi di sostentamento, un assegno alimentare sulle rendite del bene pignorato nei limiti dello stretto necessario, ma in realtà poiché qui il giudice aveva un potere discrezionale non sembrava di potersi ricondurre questa ipotesi all’obbligo legale alimentare; in ogni caso il testo attuale dell’art. 560 c.p.c. (modo della custodia) non prevede più questa possibilità: l’art. 47 della legge falli¬mentare 2 attribuisce al giudice delegato (anche qui discrezionalmente: Cass. civ. Sez. I, 25 febbraio 2002, n. 2755) il potere di concedere al fallito e alla sua famiglia un sussidio alimentare. La Cassazione ha ritenuto che il concetto di mantenimento del fallito e della sua famiglia, nell’art. 46, n. 2, legge fallimentare 3 (secondo cui non sono compresi nel fallimento tra gli altri i redditi da lavoro e “ciò che il fallito guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia), non debba intendersi con riferimento alle esigenze meramente alimentari, ma debba determinarsi in un qualcosa di più e cioè in una misura intermedia tra il minimo alimentare ed il minimo socialmente adeguato in base al principio costituzionale della retribuzione sufficiente (Cass. civ. Sez. I, 26 gennaio 1995, n. 971; Cass. civ. Sez. I, 15 dicembre 1994, n. 10736).
d) Obbligazioni alimentari nascenti da legato, da contratto e da atto illecito
L’art. 660 c.c.4 prevede espressamente il legato di alimenti che consiste in un lascito disposto dal testatore, a carico dell’erede o di un legatario, a favore di un beneficiario, per il soddisfacimento dei suoi bisogni di vita; in assenza di determinazione da parte del de cuius il legato comprende le somministrazioni indicate dall’art. 438.
Con il contratto atipico alimentare, una parte, quale corrispettivo del trasferimento di un bene mobile o immobile o della cessione di un capitale, assume, in via esclusiva o in aggiunta al pagamento di una somma di denaro, l’obbligo di prestare all’altra, per un determinato periodo di tempo o per tutta la durata della vita della stessa (o di altra persona), assistenza (in senso lato) materiale e morale nella forma, secondo i casi, di vitto, vestiario, alloggio, cure mediche, pulizia della casa e della persona 5.
Infine l’obbligazione alimentare può nascere da atto illecito (per esempio la morte del figlio per fatto illecito al¬trui), per lesione del diritto agli alimenti futuri dei genitori, qualora l’avente diritto non possa ottenere gli alimenti da altro obbligato (Cass. civ., 11 gennaio 1979, n. 224).
II
I presupposti del diritto agli alimenti
I presupposti per richiedere gli alimenti soni due e precisamente a) trovarsi in stato di bisogno; b) non essere in grado di provvedere al proprio mantenimento (art. 438, primo comma).
La sussistenza dei fatti costitutivi del diritto alimentare dev’essere verificata alla data della decisione e non della domanda (Cass. civ. Sez. I, 19 giugno 2013, n. 15397).
a) Lo stato di bisogno
Il concetto di stato di bisogno va riferito alla mancanza dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni primari della persona.
Il concetto è ben chiarito da Cass. civ. Sez. II, 8 novembre 2013, n. 25248 dove si afferma che lo stato di bisogno, quale presupposto del diritto agli alimenti esprime l’impossibilità per il soggetto di provvedere al sod¬
1 Art. 2154 (Anticipazioni di carattere alimentare alla famiglia colonica).
Se la quota dei prodotti spettante al mezzadro, per scarsezza del raccolto a lui non imputabile, non è sufficiente ai bisogni alimen¬tari della famiglia colonica, e questa non è in grado di provvedervi, il concedente deve somministrare senza interesse il necessario per il mantenimento della famiglia colonica, salvo rivalsa mediante prelevamento sulla parte dei prodotti e degli utili spettanti al mezzadro.
Il giudice, con riguardo alle circostanze, può disporre il rimborso rateale.
2 Art. 47 (Alimenti al fallito e alla famiglia)
1. Se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.
2. La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività.
3 Art. 46 (Beni non compresi nel fallimento)
1. Non sono compresi nel fallimento:1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale; 2) gli assegni aventi carattere ali¬mentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il man¬tenimento suo e della famiglia; 3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile; 4) (numero soppresso) 5) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
2. I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.
4 Art. 660 (Legato di alimenti)
Il legato di alimenti, a favore di chiunque sia fatto, comprende le somministrazioni indicate dall’articolo 438, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto.
disfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure mediche, da valutarsi in re¬lazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie. In passato nello stesso senso si erano espresse Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3334 e Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1099.
Il concetto è stato anche ribadito più volte in sede di merito (Trib. Monza, 21 marzo 2012; Trib. Milano Sez. IX, 15 aprile 2011; Trib. Padova Sez. I, 12 novembre 2010; Trib. Novara, 14 aprile 2009; Trib. Saler¬no Sez. I, 25 febbraio 2009).
Non sussiste lo stato di bisogno in chi, pur privo di redditi e di disponibilità economiche, venga mantenuto o sostentato da altri soggetti ancorché questi ultimi non vi siano obbligati, come il convivente di fatto.
Inoltre non c’è lo stato di bisogno quando sussista il diritto di ottenere un contributo al mantenimento a carico di altro soggetto: è il caso, in particolare, del diritto all’assegno divorzile.
b) L’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento
L’alimentando deve fornire la prova non solo del proprio stato di bisogno ma anche dell’impossibilità di provve¬dere al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. civ. Sez. I, 12 aprile 2017, n. 9415; Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509; Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3334).
Secondo Trib. Monza, 21 marzo 2012 il presupposto del non poter provvedere al proprio mantenimento deve essere valutato con riferimento alle capacità fisiche ed intellettive di chi versa in stato di bisogno ed alle pos¬sibilità ambientali di svolgere una concreta e proficua attività.
c) La domanda di corresponsione degli alimenti
Il diritto agli alimenti sorge in astratto per il fatto di trovarsi in una condizione di bisogno e quindi quando sus¬sistono i presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, ma perché venga affermato in concreto occorre che vi sia evidentemente una domanda della parte, quanto meno rivolta ad uno dei soggetti indicati come ob¬bligato. Ed infatti l’art. 445 afferma che il diritto decorre dalla domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell’obbligato.
E’ questo il senso da dare all’affermazione della giurisprudenza secondo cui il diritto agli alimenti sorge in seguito alla domanda dell’alimentando (Cass. civ. Sez. I, 16 marzo 1990, n. 2199; Trib. Genova Sez. IV, 14 gen¬naio 2008; Trib. Monza Sez. I, 8 gennaio 2007).
Secondo Trib. Bari, 14 agosto 1991 la domanda di alimenti certamente essere proposta dal procuratore ge¬nerale dell’alimentando.
Uguale potere va riconosciuto al tutore (che in base all’art. 357 c.c. ha la cura della persona dell’incapace, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni) previa autorizzazione del giudice tutelare (art. 374 c.c.), così come all’amministratore di sostegno (art. 404 e seguenti c.c.) sempre previa autorizzazione del giudice tutelare (art. 411 che richiama come applicabile l’art. 374 c.c.).
III
La misura degli alimenti
Il primo comma dell’art. 438 prescrive che gli alimenti sono dovuti da un punto di vista dei soggetti creditori “in proporzione del bisogno di chi li domanda” e dal punto di vista dei soggetti debitori “in proporzione …delle condizioni economiche di chi deve somministrarli”.
La misura degli alimenti non deve superare quanto necessario per la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale (art. 438, secondo comma, seconda parte). Proprio quest’ultimo riferimento ha indotto la dottrina ad individuare il concetto di “alimenti congrui”, dove la congruità si deve desumere anche dalla posizione sociale del soggetto e quindi dalle sue aspettative a conservare un certo tenore di vita.
Inoltre “il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio” (art. 438 ultimo comma).
Tra fratelli e sorelle – come avverte inspiegabilmente l’art. 439 – “gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario”.
Una sentenza di merito ha precisato che il concetto di “alimenti strettamente necessari” si riferisce non solo alla somministrazione del vitto e dell’alloggio, ma anche al vestiario, alle cure mediche e a tutto quanto è indispen¬sabile per la vita dell’alimentando (Trib. Bari Sez. I, 6 settembre 2007).
In ogni caso se l’interessato che ha diritto è un soggetto minore di età, l’obbligazione alimentare può “compren¬dere anche le spese per l’educazione e l’istruzione” e quindi qualcosa che supera “quanto necessario per la vita dell’alimentando” come si è già sopra detto.
L’obbligazione alimentare (come quella di mantenimento coniugale, divorzile o per i figli) è obbligazione di valore (Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 1995, n. 6737) per cui si deve tener conto del variare del potere d’acquisto della moneta, sia con riferimento alla liquidazione che al periodico aggiornamento.
IV
Quando cessa l’obbligo di somministrare gli alimenti?
Il problema del limite temporale dell’obbligazione alimentare è risolto dall’art. 440 che in verità si occupa anche delle vicende modificative (riduzione o aumento) dell’importo stabilito dal giudice.
Se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze. Si tratta quindi di una obbligazione di durata variabile e condizionata in quanto il suo perdurare nel tempo dipende dalla persistenza dei presupposti oggettivi e soggettivo in forza dei quali è sorta. Si può dire perciò che è soggetta implicitamente, come il mantenimento, alla clausola rebus sic stantibus.
Gli alimenti possono pure essere ridotti per la condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato.
Se, dopo assegnati gli alimenti, consta che uno degli obbligati di grado anteriore è in condizione di poterli som¬ministrare, l’autorità giudiziaria non può liberare l’obbligato di grado posteriore se non quando abbia imposto all’obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti.
Il giudice, su domanda della parte interessata, può quindi intervenire per aumentare o ridurre la prestazione, o addirittura a far cessare l’obbligazione, tutte le volte che si verifica un’alterazione dell’equilibrio originario, ossia quando lo stato di bisogno dell’avente diritto o le condizioni economiche dell’obbligato subiscano variazioni o addirittura vengano meno.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 440, se dopo l’assegnazione degli alimenti consta che un obbligato di grado anteriore è in condizione di poterli somministrare, il debitore originario potrà ottenere la cessazione della sua ob¬bligazione; in tal caso, però, il giudice potrà liberare l’obbligato originario solo quando abbia imposto all’obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti.
V
Più obbligati: la natura parziaria e non solidale dell’obbligazione alimentare
Nelle obbligazioni solidali allorché via sia un concorso nell’obbligazione di più soggetti obbligati (più debitori) tutti sono tenuti per l’intero (art. 1292 c.c.) e l’obbligazione si divide in parti uguali (art. 1298 c.c.).
Nell’ambito delle obbligazioni alimentari questa regola non vale.
Infatti, sulla base di quanto indicato nell’art. 441 (concorso di obbligati) la natura dell’obbligazione è parziaria – e non solidale – in quanto, come chiarisce il primo comma, “Se più persone sono obbligate nello stesso grado alla prestazione degli alimenti, tutte devono concorrere alla prestazione stessa, ciascuna in proporzione delle proprie condizioni economiche” e quindi non in misura uguale per tutti.
Il giudice, quindi, non deve ripartire l’assegno a carico dei coobbligati in uguale misura, ma deve porre a carico di ciascuno di essi una parte della prestazione, in proporzione alla sua capacità economica, e sempre che tutti i coobbligati abbiano tale capacità economica; diversamente, l’assegno alimentare dovrà essere posto a carico solo dell’obbligato economicamente capace (Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 1986, n. 1767).
La natura parziaria è rafforzata dalla previsione del secondo comma dove si legge che “Se le persone chiamate in grado anteriore alla prestazione non sono in condizioni di sopportare l’onere in tutto o in parte, l’obbligazione stessa è posta in tutto o in parte a carico delle persone chiamate in grado posteriore”. Ne conseguirebbe che il successo dell’azione alimentare esercitata contro un soggetto presuppone che l’avente diritto dimostri, in parti¬colare, la mancanza di obbligati di grado anteriore o la loro incapacità, in tutto o in parte, di prestare gli alimenti.
Effettivamente, come ha chiarito Trib. Bologna Sez. I, 2 febbraio 2006 in base al combinato disposto degli artt. 433 e 441 c.c., condizione dell’azione alimentare proposta contro persone obbligate in un grado determina¬to è la mancanza di obbligati di grado anteriore o la loro incapacità di prestare gli alimenti; inoltre, se più persone sono obbligate nello stesso grado, può essere accolta l’azione proposta contro solo alcuni di essi nel caso in cui gli altri risultino incapaci di sostenere la prestazione alimentare. Anche se non è necessario che tutti gli obbligati incapaci economicamente siano presenti nel giudizio, grava sempre sull’alimentando l’onere della prova delle suddette circostanze, sia pure nei confronti dei soli chiamati in giudizio, quale presupposto per l’accoglimento di una domanda volta ad ottenere gli alimenti da obbligati in un grado ulteriore o da una parte sola dei coobbligati nello stesso grado, tra i quali la prestazione alimentare dovrebbe essere ripartita.
L’art. 441 regola quindi i casi di concorso fra obbligati, siano essi dello stesso grado (primo comma), ovvero di grado diverso (secondo comma).
L’obbligo del condebitore ad adempiere l’obbligo giuridico che gli sia imposto con provvedimento giudiziale sussiste anche nell’ipotesi in cui i bisogni dell’avente diritto vengano soddisfatti per intero da uno soltanto dei condebitori (Trib. Monza Sez. IV, 11 gennaio 2012 e Trib. Bari Sez. I, 15 gennaio 2009 dove si chiarisce che in tal caso il condebitore solvente può agire in regresso nei confronti dell’altro, per la quota di sua spettanza, senza che sia necessaria una preventiva diffida ad adempiere.
Escludendosi correttamente l’esistenza di un’obbligazione solidale (come fa espressamente per esempio App. Bologna Sez. I, 10 aprile 2009) si deve coerentemente anche negare la possibilità che chi ha adempiuto per l’intero agisca in regresso nei confronti dei coobbligati ex art. 1299. Tuttavia si ammette in giurisprudenza l’azione di regresso pro quota in virtù delle regole dell’utile gestione (Trib. Monza Sez. IV, 11 gennaio 2012).
Si è posta la questione del diritto di rivalsa degli enti assistenziali, avente ad oggetto la retta di ricovero, nei con¬fronti dei parenti del ricoverato che siano tenuti agli alimenti. Una norma originariamente prevedeva tale diritto (art. 1, legge 3.12.1931, n. 1580) ma non è stata riprodotta nella legge di riforma del servizio sanitario nazionale (attuata con la legge 23.12.1978, n. 833). La prassi diffusa, degli istituti di assistenza pubblica di rivolgersi ai parenti del ricoverato, per chiedere un contributo per il pagamento della retta, deve quindi oggi ritenersi illegit¬tima. La giurisprudenza è divisa: la sussistenza del diritto alla rivalsa è stata affermata da Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2004, n. 3629; Trib. Torino, 12 agosto 1994 ma è stata negata da Trib. Verona, 14 maggio 1996 e T.A.R. Veneto Sez. I, 3 novembre 1999, n. 1785 “poiché la domanda alimentare ha natura stret¬tamente personale e l’amministrazione sanitaria non può sostituirsi al beneficiario ed agire in via surrogatoria”.
Infine l’ultimo comma dell’art. 441 avverte che “Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzio¬ne e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze”.
A tale proposito Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 1994, n. 9432 ha avuto modo di affermare che al fine del riconoscimento e della quantificazione del diritto agli alimenti, nonché della ripartizione del relativo onere in presenza di più obbligati, il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le qua¬li potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art. 440 c.c.
VI
Che succede se un solo obbligato deve provvedere a più persone bisognose?
L’art. 442 (concorso di aventi diritto) prevede che “Quando più persone hanno diritto agli alimenti nei confronti di un medesimo obbligato, e questi non è in grado di provvedere ai bisogni di ciascuna di esse, l’autorità giudiziaria dà i provvedimenti opportuni, tenendo conto della prossimità della parentela e dei rispettivi bisogni, e anche della possibilità che taluno degli aventi diritto abbia di conseguire gli alimenti da obbligati di grado ulteriore”.
Il problema risolto da questa disposizione è quello del concorso – non degli obbligati – ma degli aventi diritto agli alimenti.
Che avviene se un singolo obbligato debba prestare gli alimenti a più persone e non è in grado di provvedere ai bisogni di tutte?
In tale evenienza il giudice ha il potere discrezionale di ridurre la prestazione a favore dei diversi destinatari, tenendo però conto di alcuni criteri espressamente indicati: la prossimità del vincolo di parentela, l’entità dei bisogni di ciascuno, e la possibilità che taluno degli aventi diritto possa conseguire gli alimenti da obbligati di grado successivo.
VII
Il modo di somministrazione degli alimenti
Gli alimenti sono sostanzialmente una prestazione economica anche se giustamente è stato sottolineato che in questo concetto rientra anche l’attività di assistenza, intesa come prestazione personale di supporto globale al soggetto in stato di bisogno, in termini di presenza, di compagnia, di conforto e di affetto, che si deve, tuttavia tradurre in una prestazione di materialità concreta non potendo coincidere con il concetto di “presenza”, di “cu¬stodia” generica (App. Lecce, 2 novembre 2016).
Chi deve somministrare gli alimenti – come stabilisce l’art. 443 – “ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto”.
Anche l’autorità giudiziaria, su richiesta di chi si trova in stato di bisogno, può determinare il modo di sommini¬strazione (art. 443, secondo comma).
L’ultimo comma dell’art. 443 prescrive che “In caso di urgente necessità l’autorità giudiziaria può altresì porre temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il re¬gresso verso gli altri”.
I primi due commi della norna in questione disciplinano i modi di adempimento dell’obbligazione alimentare. Fra le varie modalità astrattamente idonee ad adempiere l’obbligazione, il legislatore ne ha considerate in particolare due che sembrano meglio contemperare gli interessi in gioco: l’obbligato può scegliere di corrispondere un as¬segno alimentare periodico (analogamente a quanto avviene per il mantenimento nell’ambito della separazione e del divorzio), oppure di accogliere e mantenere l’avente diritto nella propria casa. In entrambi i casi si tratta naturalmente di prestazioni di carattere patrimoniale.
L’obbligazione si configura, pertanto, come obbligazione alternativa (art. 1285 ss c.c.), e la scelta spetta al debitore. Le regole della scelta sono tuttavia peculiari: in particolare il giudice (che comunque non può certo all’obbligato di ospitare in casa il debitore contro la volontà dell’uno o dell’altro (Trib. Prato, 9 novembre 2010) ha il potere di valutare l’opportunità della scelta effettuata, di modificarla e di determinare il modo di adempimento nel caso in cui il debitore non voglia effettuare la scelta.
VIII
L’adempimento della prestazione alimentare
L’art. 444 prescrive che l’assegno alimentare prestato secondo le modalità stabilite non può essere nuovamente richiesto, qualunque uso l’alimentando ne abbia fatto.
L’adempimento dell’assegno nei modi stabiliti dal provvedimento del giudice estingue l’obbligo relativo, di modo che l’assegno prestato non potrà essere nuovamente richiesto. Ciò vale nel caso in cui l’alimentando lo sperper¬asse o ne facesse un cattivo uso.
IX
La decorrenza dell’obbligazione alimentare
Gli alimenti sono dovuti – come prevede l’art. 445 – “dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costi¬tuzione in mora dell’obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale”.
La norma in commento regola la decorrenza degli alimenti, ossia la data a partire dalla quale sono dovuti gli alimenti.
Il termine iniziale coincide con la domanda giudiziale, ovvero con la costituzione in mora (da intendersi quale domanda stragiudiziale non formale), purché entro sei mesi sia seguita dalla domanda giudiziale.
Proprio da questa regola consegue la retroattività delle statuizioni della decisione anche di secondo grado che deve, però, contemperarsi con i principi di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari. In tal modo si è espressa Cass. civ. Sez. I, 5 novembre 1996, n. 9641 secondo cui chi abbia ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni stabilite nella pronuncia di primo grado, non è tenuto a resti¬tuirle, né può vedersi opporre in compensazione quanto ricevuto a tale titolo, mentre il soggetto obbligato, ove abbia corrisposto le somme poste a suo carico nella decisione di primo grado, non può ripeterle sulla base delle statuizioni a lui più favorevoli della sentenza di appello, né può rifiutare le prestazioni dovute in base alla stessa, opponendo in compensazione le maggiori somme versate in forza della pronunzia di primo grado; d’altra parte, in base al principio della retroattività della decisione d’appello, se il soggetto obbligato non abbia corrisposto, per periodi anteriori alla decisione stessa, le somme poste a suo carico dalla pronuncia riformata, non può es¬sere costretto ad adempiervi, essendo ormai tenuto unicamente, anche per il passato, a corrispondere quanto stabilito dalla sentenza di secondo grado.
La Cassazione, in sede di delibazione di una sentenza straniera che stabiliva la decorrenza degli alimenti da data anteriore alla domanda, ha ritenuto che la decisione non contrasti l’ordine pubblico italiano poiché, avendo l’obbligazione alimentare contenuto prettamente patrimoniale, non coinvolge valori d’ordine primario, né principi supremi ed inderogabili della convivenza civile, sì che l’ampiezza di contenuto e di decorrenza di una siffatta ob¬bligazione può essere variamente fissata (Cass. civ. Sez. I, 17 aprile 1991, n. 4103).
La decorrenza dell’obbligazione alimentare a far data dalla domanda sussiste solo nel rapporto diretto tra ali¬mentato e alimentando, mentre l’azione di regresso, esercitata da uno dei condebitori verso il co-obbligato, è riconducibile alle regole della negotiorum gestio (Cass. civ. Sez. I, 9 agosto 1988, n. 4883).
X
Il procedimento e l’assegno provvisorio
Il procedimento per la determinazione e l’attribuzione dell’assegno alimentare ha natura contenziosa. Non trat¬tandosi di una causa in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero è competente il tribunale in compo¬sizione monocratica del luogo di residenza dell’obbligato convenuto in giudizio.
Analogamente a quanto avviene nell’ambito dei procedimenti di separazione e di divorzio, l codice prevede all’art. 446 che, nel corso della causa e “finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l’altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati, a carico anche di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri”.
L’esistenza di questa possibilità rende inammissibile altre forme di tutela d’urgenza e cautelare (Trib. Milano Sez. IX, 3 aprile 2013; Trib. Modena Sez. II, 27 ottobre 2008). Per l’applicabilità, invece, anche in materia di alimenti della disciplina dei procedimenti cautelari Trib. Firenze, 7 novembre 1994 che ha ritento compe¬tente il giudice alla corresponsione in corso di causa di un assegno provvisorio di alimenti.
L’ultima parte dell’art. 446 dispone che, in caso di urgente necessità, il giudice può porre temporaneamente l’obbligazione alimentare a carico di uno dei coobbligati, salvo il diritto al regresso nei confronti degli altri. Si ha quindi un caso di condanna di un solo obbligato, le cui condizioni economiche lo consentano, al pagamento dell’intera prestazione, mediante sentenza non definitiva, con prosecuzione del processo per la suddivisione dell’obbligazione tra i condebitori e per la determinazione dei rimborsi.
Il procedimento in questione, in assenza (irragionevole) di una specifica diversa procedura prevista nel comma 65 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 – di cui si tratterà più oltre – dovrebbe trovare applicazione anche per il caso in cui alla cessazione della convivenza uno dei conviventi intendesse richiedere l’assegno ali¬mentare previsto dal comma indicato.
XI
L’indisponibilità dell’obbligazione alimentare: il divieto di cessione e di compensazione
Secondo quanto dispone espressamente l’art. 447 il credito alimentare non può essere ceduto né può essere opposto in compensazione “neppure quando si tratta di prestazioni arretrate”.
Il divieto di cessione si fonda sulla necessità di garantire il soddisfacimento delle esigenze di vita dell’avente diritto e costituisce un’applicazione dell’art. 1260 c.c., che sancisce l’incedibilità dei crediti di carattere stretta¬mente personale6. La giurisprudenza sottolinea che il credito alimentare non può essere oggetto di cessione o di compensazione (T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 4 luglio 2011, n. 1738), pur precisandosi, però che gli accordi fra coobbligati in merito alla misura dell’assegno alimentare sono leciti, poiché non incidono sul diritto dell’alimentando e non comportano rinunzia (Trib. Brescia Sez. II, 27 ottobre 2003).
Il divieto di compensazione è espressamente sancito anche per le prestazioni arretrate.
Il principio, insomma, è quello dell’indisponibilità dell’obbligazione alimentare (e della conseguente inammissi¬bilità della rinuncia e della transazione) che viene ricostruito proprio sulla base delle regole sancite dall’art. 447.
Conseguenza della natura indisponibile è anche la imprescrittibilità del diritto alimentare (art. 2934, secondo comma c.c.) mentre si prescrivono in cinque anni le annualità scadute, a norma dell’art. 2948, n. 2).
Il credito alimentare (“gli assegni aventi carattere alimentare”: art. 46, n. 2, della legge fallimentare) è anche impignorabile, tranne che per causa di alimenti (art. 545 c.p.c. 7), e quindi insequestrabile (art. 671 c.p.c. 8).
XII
La cessazione dell’obbligo per morte della persona tenuta agli alimenti
L’obbligo degli alimenti cessa – stante la previsione dell’art. 448 – con la morte dell’obbligato, anche se la som¬ministrazione è avvenuta in esecuzione di una sentenza.
Si comprende quindi l’obbligazione alimentare ha natura è strettamente personale con la conseguenza che legittimato attivo è solo colui che si trova in stato di bisogno, o il suo rappresentante legale, e che è, quindi, in¬concepibile un’azione surrogatoria dei creditori dell’alimentando (T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 4 luglio 2011, n. 1738)
Gli alimenti risulteranno dovuti fino al momento della morte, mentre il debito per gli alimenti arretrati graverà sugli eredi del debitore, e il credito per gli alimenti arretrati sarà a favore degli eredi del creditore.
Qualora la morte dell’obbligato sia imputabile a fatto doloso o colposo di un terzo, l’autore dell’illecito potrebbe essere tenuto a risarcire il danno subito dal creditore per la morte del suo debitore.
Alla morte va equiparata la morte presunta (art. 63). In caso invece di assenza la prestazione a favore dell’assente rimane temporaneamente sospesa (art. 50, quarto comma c.c.) e il coniuge dell’assente può ottenere dal tribu¬nale un assegno alimentare (art. 51 c.c.).
Un’altra causa di cessazione dell’obbligo alimentare è il fallimento del debitore. In tal caso il creditore potrà in¬sinuarsi al passivo per le rate scadute prima della dichiarazione di fallimento
La cessazione dell’obbligo alimentare costituisce poi – ai sensi del terzo comma dell’art. 609-novies c.p. – pena accessoria della sentenza irrevocabile di condanna per uno dei reati di violenza contro la persona indicati dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale.
XIII
Decadenza dalla responsabilità genitoriale: l’esclusione degli alimenti e della successione
La riforma sulla filiazione operata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il decreto legislativo 28 dicem¬bre 2013, n. 154 ha inserito nel codice civile l’art. 448-bis (cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla responsabilità genitoriale sui figli) in base al quale “Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale”.
Il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale perde ogni potere inerente alla cura della persona del figlio e
6 Art. 1260 (Cedibilità dei crediti)
Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge.
Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo cono¬sceva al tempo della cessione.
7 Art. 545 (Crediti impignorabili)
Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto…(omissis)
8 Art. 671 (Sequestro conservativo)
Il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento.
all’amministrazione del suo patrimonio, nonché la sua rappresentanza legale, l’usufrutto legale sui beni del figlio ed è indegno di succedere al figlio, qualora, alla data di apertura della sua successione, non sia stato in essa reintegrato (art. 463 n. 3-bis c.c.). In passato, tuttavia, il genitore decaduto conservava, nei confronti del figlio, e, in mancanza, dei suoi discendenti prossimi, il diritto agli alimenti, dovuti ai sensi dell’art. 433, n. 2.
a) L’esclusione degli alimenti
L’art. 448 bis, nella sua prima parte, esonera, in modo espresso, il figlio, e in mancanza, i suoi discendenti pros¬simi, dall’obbligo di prestare gli alimenti al genitore, nei cui confronti sia stata pronunziata la decadenza dalla responsabilità genitoriale.
La lettera della norma fa riferimento ad una decadenza «pronunciata», ma non vi sono motivi per non dare alla norma una interpretazione estensiva applicandola a tutti i casi di decadenza (per esempio, come si è detto, al¬lorché costituisce pena accessoria della sentenza irrevocabile di condanna per un reato di violenza sessuale).
La Corte Costituzionale ha escluso l’illegittimità dell’art. 448-bis, nella parte in cui non prevede che l’esonero dalla prestazione alimentare possa essere invocato dal figlio anche nei confronti del genitore che, pur non es¬sendo decaduto dalla responsabilità genitoriale, abbia nel passato tenuto una condotta trascurata nei suoi con¬fronti (Corte cost., 27 gennaio 2016, n. 34).
Naturalmente la reintegrazione nella responsabilità genitoriale avrà anche l’effetto di ripristinare il diritto del genitore agli alimenti.
b) L’esclusione dalla successione
L’art. 448-bis nella sua seconda parte aggiunge anche che i figli possono escludere dalla successione il genitore decaduto “per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463” (che già di per sé prevedono l’esclusione dalla successione).
Il genitore che sia decaduto dalla responsabilità genitoriale, quindi, può essere escluso dalla successione del figlio quando la sua decadenza sia dovuta a fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’art. 463 9. Il rif¬erimento è al n. 3-bis) dell’art. 463, che contempla, quale causa di indegnità a succedere, la decadenza di uno dei genitori, o di entrambi, dalla responsabilità genitoriale, ma solo se pronunziata ex art. 330. Le altre ipotesi di decadenza dalla responsabilità genitoriale non comportavano fini ad oggi l’indegnità a succedere, essendo quest’ultima una sanzione civile e operando, quindi, il principio di tassatività, a tutela della persona. Il nuovo art. 448-bis, dunque, colma le lacune della normativa sull’indegnità, riconoscendo che, per i fatti diversi da quelli contemplati dall’art. 463, e, quindi, in particolare, per le ipotesi di decadenza dalla responsabilità genitoriale di¬verse da quelle pronunciate dal giudice ai sensi dell’art. 330, sia possibile l’esclusione della successione e quindi per esempio nei casi in cui la legge penale prevede la decadenza come pena accessoria.
In che modo il genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale può essere escluso dalla successione del figlio? La legge tace sulle modalità con le quali l’esclusione possa essere attuata. Di fatto la nuova normativa concede al figlio la facoltà di diseredare il genitore, privandolo anche della quota di riserva con un testamento nel quale dichiara di escludere il genitore dalla propria successione.
La diseredazione, anche in questo caso, potrà essere disposta solo nei confronti del genitore che sia decaduto dalla responsabilità non per effetto di un provvedimento adottato dal giudice ex art 330 in quanto se la decaden¬za è fondata su quest’ultima norma, e non sia stata seguita da reintegrazione, il genitore è indegno di succedere al figlio (art. 463, n. 3-bis) e non si pone, allora, il problema della sua diseredazione.
XIV
Le differenze tra il mantenimento e gli alimenti
a) La natura in senso lato alimentare del mantenimento e le conseguenze
Gli alimenti ai quali fa riferimento il titolo XIII del primo libro del codice civile sono una prestazione diversa dal mantenimento cui fanno riferimento le norme in materia di separazione. Ne sono diversi i presupposti e i criteri di quantificazione. È lo stesso codice che indica le differenze tra le due forme di sostentamento: il mantenimento (che ha la funzione di consentire al coniuge debole di conservare lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale) e gli alimenti (la cui funzione è quella di sostenere – ai sensi dell’art. 438 c.c. – “chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere da solo al proprio mantenimento”. Sono pertanto com¬
9 Art. 463 (Casi d’indegnità)
È escluso dalla successione come indegno:
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio;
3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone me¬desime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale;
3-bis) Chi, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell’articolo 330, non è stato reintegrato alla data di apertura della successione della medesima.
4) chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l’ha impedita;
5) chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;
6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.