Dichiarazione giudiziale di paternità: anche il test del DNA sui figli del genitore biologico costituisce mezzo di prova.
Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza del 31 dicembre 2024, n. 35232,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2423/2024 R.G. proposto da:
A.A., B.B., in qualità di eredi di C.C., elettivamente domiciliati in ROMA VIA
BEVAGNA 3, presso lo studio dell’avvocato DE GASPERIS MAURIZIO (Omissis)
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE MARZIO STEFANIA
MARIA (Omissis) per procura speciale allegata al ricorso;
ricorrente
Contro
D.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CASSIA 1606, presso lo studio
dell’avvocato LAPENNA ALBERTO (Omissis) che lo rappresenta e difende per
procura speciale allegata al controricorso
Controricorrente
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7717/2023
depositata il 29/11/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal
Consigliere CLOTILDE PARISE.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2212/2022 del 27 gennaio 2022,
all’esito dell’espletamento di C.T.U. genetica, dichiarava che C.C. era padre di
D.D., nato il (Omissis), ordinava all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di
Roma di annotare la sentenza, al passaggio in giudicato, nel registro degli atti
di nascita di D.D. e condannava in solido i convenuti A.A., B.B., in qualità di
eredi di C.C., al pagamento delle spese di lite, ponendo le spese di C.T.U. per
metà a carico di parte attrice e per metà a carico dei convenuti. L’attore, a
sostegno della domanda, aveva dedotto di aver sempre sospettato di non
essere il figlio biologico di E.E., marito della propria madre, e di avere avuto la
certezza di ciò solo in data 14 Luglio 2013, data in cui aveva ricevuto una
lettera confessoria con la quale sua madre H.H. aveva dichiarato di aver
intrattenuto, da giovane, una relazione adulterina con C.C., nel corso della
quale ella sarebbe rimasta incinta; tale relazione si era di seguito interrotta, a
causa dell’imminente matrimonio del C.C. con F.F., madre di B.B. e di A.A.
La confessione della madre aveva quindi indotto l’attore ad adire il Tribunale di
Roma per sentir dichiarare che E.E., marito della H.H., deceduto in data 3
Aprile 1977, non era in effetti il suo genitore biologico. Con sentenza n.
16719/2017 il suddetto Tribunale aveva accolto la domanda, dichiarando che
E.E. non era il padre biologico dell’attore. Di conseguenza, quest’ultimo aveva
incardinato il giudizio di riconoscimento della paternità nei confronti degli eredi
di C.C., e specificamente dei figli G.G. e B.B., giudizio che si era concluso con la
citata sentenza n. 2212/2022.
2. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 7717/2023 pubblicata il
29/11/2023, rigettava l’appello proposto da A.A. e B.B., nella qualità di eredi di
C.C., avverso la suddetta sentenza. La Corte di merito riteneva attendibile la
dichiarazione olografa sottoscritta da H.H., con la quale quest’ultima rivelava al
figlio l’identità del suo genitore biologico, anche se avvenuta a distanza di molti
anni dalla morte del marito della donna e dalla morte dello stesso C.C., e
riteneva non rilevanti alcune discrasie cronologiche evidenziate dagli appellanti.
La Corte d’Appello aggiungeva che la suddetta dichiarazione, di indubbio valore
indiziario, era stata avvalorata, nel corso dell’istruttoria di primo grado,
dall’accertamento peritale disposto dal Tribunale, all’esito del quale il nominato
consulente tecnico di ufficio, dopo accurata verifica tecnica ed approfondito
esame scientifico del materiale biologico acquisito, aveva inequivocabilmente
affermato che i risultati ottenuti sulla base della comparazione genetica dei
campioni analizzati (quello del D.D. e quelli dei germani C.C.) erano
“fortemente indicativi di una comune discendenza in linea paterna tra D.D. e
C.C. A.A. e B.B. con una probabilità superiore al 99,70 per cento e che tale
condivisione non presenta le caratteristiche della casualità”. Dette conclusioni
erano state poi integralmente confermate dal tecnico dell’ufficio, anche in
seguito alla valutazione delle osservazioni formulate dai consulenti di parte dei
convenuti.
3. Avverso la suddetta sentenza, A.A. e B.B., nella qualità di eredi di C.C.,
propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di D.D.,
che resiste con controricorso.
4. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti
hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti denunciano: i) con il primo motivo la violazione e falsa
applicazione, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 115 c.p.c. e,
per l’effetto, la violazione e falsa applicazione degli artt. 269 e 2697 Cod. Civ.,
per avere il Giudice di appello illegittimamente ritenuto che la sentenza emessa
dal Tribunale di Roma dovesse essere confermata sul presupposto che la prova
della paternità di D.D. potesse essere, in primo luogo, desunta dalla
dichiarazione confessoria di sua madre H.H.; deducono che avevano sempre
contestato la valenza probatoria della suddetta dichiarazione confessoria e, con
evidente travisamento, la Corte di merito aveva affermato che tale
dichiarazione non avesse costituito oggetto “di specifica contestazione da parte
dei convenuti, quanto alla provenienza e al contenuto”; denunciano la
violazione dell’art. 115 c.p.c. e deducono che il decisum si poneva, altresì, in
contrasto di cui agli artt. 269 e 2697 c. c., poiché non poteva ritenersi, in
alcun modo, raggiunta la prova dell’accertamento di paternità; ii) con il
secondo motivo la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 , comma 1, n.
4 c.p.c., per violazione degli artt. 132 e dell’art. 115 c.p.c., e, comunque, per
difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente
apparente in relazione ad un fatto decisivo per la controversia, per avere la
Corte di appello fondato la propria decisione su un dato probatorio inesistente,
e frutto di un evidente travisamento; deducono che, come evidenziato di
consulenti di parte, l’analisi era stata effettuata sia in assenza del presunto
padre sia in assenza della madre del probando, atteso che si disponeva
unicamente di un numero esiguo di parenti (i fratelli C.C.) ed, oltretutto,
l’indagine era stata svolta esclusivamente sulla linea paterna, sicché ad avviso
del ricorrenti era assolutamente e scientificamente impossibile l’esatta
ricostruzione del profilo genetico del presunto padre; iii) con il terzo motivo la
violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c.,
degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’esame effettuato dalla Corte di
appello del presupposto legittimante la condanna alle spese di lite dei
ricorrenti, che non potevano considerarsi soccombenti, data la peculiarità della
situazione, e anche perché in sede di costituzione in giudizio avevano
dichiarato la propria disponibilità a sottoporsi agli esami, genetici ed
ematologici, necessari all’accertamento della dedotta paternità.
2. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro
connessione, sono inammissibili.
2.1. Circa le doglianze svolte con il primo mezzo, si osserva che la Corte di
merito ha in dettaglio esaminato la valenza probatoria della confessione della
madre del controricorrente e, con motivazione congrua, l’ha ritenuta solo un
indizio avvalorato dal test del DNA ed ha in ogni caso espresso la valutazione di
attendibilità di quella dichiarazione non solo richiamando il principio di non
contestazione, ma anche e soprattutto valorizzando plurimi elementi fattuali,
analiticamente indicati, anche a confutazione degli argomenti contrari addotti
dagli odierni ricorrenti.
Le articolate censure svolte a tale riguardo dai ricorrenti non si confrontano
compiutamente con il percorso argomentativo della sentenza impugnata e si
risolvono, in realtà, impropriamente in una richiesta di riesame dei fatti e delle
risultanze probatorie. Occorre ribadire che in tema di ricorso per cassazione, la
violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice
abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso
avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie
basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la
violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice,
contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale
disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte
dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli,
non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia
attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre,
essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. 26769/2018 ; Cass.
26739/2024 ).
Nella specie i ricorrenti, tramite l’apparente denuncia di vizi di violazione di
legge (artt.115 c.p.c., 269, 2697 c. c.), censurano la valutazione dei fatti e
delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte di merito, sollecitandone il
riesame in sede di legittimità.
Quanto alle doglianze riferite all’accertamento peritale e all’esame genetico
ricostruito solo mediante indagine sugli altri figli di C.C. (secondo motivo),
secondo l’orientamento consolidato di questa Corte che il Collegio condivide, in
tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’ammissione degli
accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova
storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre,
giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 ,
comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di
una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella
paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una
sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per
converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e
risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento
all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali
attinenti allo status (tra le altre Cass. 3479/2016 ). In tema di mezzi utilizzabili
per provare la paternità naturale, l’art. 269 c. c. ammette anche il ricorso ad
elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso e sulla base del canone
dell’id quod plerumque accidit, risultino idonei, per attendibilità e concludenza,
a fornire la dimostrazione completa e rigorosa della paternità, sicché risultano
utilizzabili, raccordando tra loro le relative circostanze indiziarie, sia l’accertato
comportamento del preteso genitore che abbia trattato come figlio la persona a
cui favore si chiede la dichiarazione di paternità (cd. tractatus), sia la
manifestazione esterna di tale rapporto nelle relazioni sociali (cd. “fama”), sia,
infine, le risultanze di una consulenza immuno-ematologica eseguita su
campioni biologici di stretti parenti (nella specie, i figli) del preteso genitore
(Cass. 1279/2014 ). L’art. 269 cod. civ. – che, nel testo antecedente alle
modifiche introdotte dall’art. 113 della legge di riforma del diritto di famiglia,
ammetteva la ricerca della paternità naturale solo nell’ambito di alcune
presunzioni legali espressamente previste – nella sua attuale formulazione, che
consente di utilizzare ogni mezzo di prova, non pone alcun limite in ordine ai
mezzi attraverso i quali può essere dimostrata siffatta paternità, onde il giudice
di merito, dotato di ampio potere discrezionale al riguardo, può legittimamente
fondare il proprio convincimento sulla effettiva sussistenza di un rapporto di
filiazione anche su risultanze istruttorie dotate di valore puramente indiziario,
senza che assuma carattere di indefettibilità neppure la dimostrazione
dell’esistenza di rapporti sessuali tra la madre ed il preteso padre durante il
periodo del concepimento (Cass. 12166/2005 ).
La Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi, disponendo il test
genetico con riguardo ai figli del soggetto della cui paternità si trattava e
nominando altresì il consulente tecnico d’ufficio, che, dopo accurata verifica
tecnica ed approfondito esame scientifico del materiale biologico acquisito,
aveva affermato che i risultati ottenuti sulla base della comparazione genetica
dei campioni analizzati (quello del D.D. e quelli dei germani C.C.) erano
“fortemente indicativi di una comune discendenza in linea paterna tra D.D.
Dario e C.C. A.A. e B.B. con una probabilità superiore al 99,70 per cento e che
tale condivisione non presenta le caratteristiche della casualità”. La Corte di
merito ha aggiunto che dette conclusioni erano state integralmente confermate
dal tecnico dell’ufficio, anche in seguito alla valutazione delle osservazioni
formulate dai consulenti di parte dei convenuti, e neppure rispetto a detta
ultima affermazione si rinviene in ricorso una critica compiuta e pertinente. In
definitiva, pure le doglianze di cui trattasi sono generiche e inconferenti, poiché
si risolvono in una mera reiterazione di argomenti già sottoposti ai giudici
d’appello e confutati con idonea motivazione, anche in ordine al diniego di
rinnovazione della C.T.U.
3. Anche il terzo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto corretta e condivisibile la statuizione del
Tribunale sulle spese di lite, stante la integrale soccombenza degli appellanti,
odierni ricorrenti, rispetto alla domanda. Nello specifico la Corte di merito ha
rimarcato che gli appellanti, pur essendosi dichiarati disponibili a fornire tutto il
materiale necessario allo svolgimento degli accertamenti tecnici, avevano
tuttavia decisamente resistito alla domanda, rilevandone la assoluta
infondatezza e invocandone il rigetto. A fronte di detto lineare percorso
argomentativo, e in disparte il rilievo dell’incensurabilità in sede di legittimità
della statuizione di compensazione delle spese di lite nel senso precisato da
questa Corte (Cass. 17816/2019 ), ancora una volta non è dato rinvenire nel
ricorso una critica compiuta e pertinente, ma una mera riproposizione delle
difese svolte nel giudizio di merito.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente
dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art.13 , comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002 , deve darsi atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso
art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020 ).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30
giugno 2003 n. 196 , art. 52 .
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido alla
rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 3.700,00, di
cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15 per cento) ed
accessori, come per legge, con distrazione in favore del difensore del
controricorrente avv. Alberto Lapenna dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art.13 , comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002 , dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso
art.13, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30
giugno 2003 n. 196 , art. 52 .
Conclusione
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024.