Commette il reato di maltrattamenti la maestra che sistematicamente utilizza metodi violenti a fini educativi.

Corte di cassazione, sez. VI penale, sent. 15 ottobre 2024, n.
37747,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta da
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
Dott. TRIPICCIONE Debora – Consigliere
Dott. TONDIN Federica – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorsi proposti da
A.A., nata a G il (Omissis)
B.B., nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 09/01/2024 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Federica Tondin;
Giurisprudenza di legittimità Ondif
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14/08/2021 il Tribunale di Gorizia ha dichiarato C.C.
responsabile del reato di maltrattamenti aggravato, commesso in qualità
di insegnante di una scuola dell’infanzia nei confronti dei minori
sottoposti alla sua autorità e a lei affidati. Con la medesima sentenza il
Tribunale ha condannato l’imputata, in solido con il responsabile civile,
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, al risarcimento del
danno nei confronti delle persone offese costituite parti civili, danno da
liquidarsi in sede civile.
2. In parziale riforma di detta sentenza, la Corte di appello di Trieste,
previa riqualificazione del fatto ascritto all’imputata come delitto di abuso
di mezzi di correzione e disciplina (art. 571 cod. pen.), ha emesso
sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, ha respinto
l’appello proposto dalle parti civili A.A. e B.B., in proprio e nella qualità di
genitori di D.D. e E.E., compensando le spese del grado di giudizio tra
tali parti e l’imputata.
3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
le parti civili sopra indicate, denunciando i motivi di annullamento, di
seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di
legge e di difetto di motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto
come abuso di mezzi di correzione e disciplina. La Corte di appello ha
valorizzato quasi esclusivamente le intercettazioni audio-video, che
hanno avuto una durata di 14 giorni, mentre i fatti addebitati
all’imputata si sono protratti per due anni scolastici, nonché la
descrizione delle riprese effettuata dal consulente tecnico della difesa,
sminuendo le deposizioni di decine di testi, che hanno direttamente
assistito ai fatti.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria perché la stessa Corte
riconosce che le condotte tenute dall’imputata sono “connotate da un
intervento correttivo sproporzionato rispetto alle violazioni riscontrate”,
che erano idonee a cagionare un pericolo di malattia nel corpo o nella
mente dei minori e che sono stati posti in essere atti di violenza, quali
strattonamenti.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di
legge e di difetto di motivazione in relazione alla mancata liquidazione
della provvisionale richiesta. La Corte ha reputato che la derubricazione
del fatto non consentisse di ritenere acquisiti sufficienti elementi per
provvedere alla liquidazione di una provvisionale, pur avendo
riconosciuto l’idoneità delle condotte a cagionare un pericolo di malattia.
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3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce che la compensazione delle
spese processuali, per la parziale soccombenza delle parti civili, è stata
effettuata in violazione dell’art. 541 , comma 2, cod. proc. pen., che
prevede che la compensazione possa esser disposta se vi è richiesta
dell’imputato e solo per gravi ragioni.
4. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di
richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore
generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va osservato che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (Sez. U n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953),
sussiste l’interesse della parte civile a impugnare la sentenza che ha
dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ove con
l’impugnazione si contesti l’erroneità di detta dichiarazione. Le Sezioni
unite hanno precisato che la legittimazione della parte civile ad
impugnare deriva direttamente dalla previsione dell’art. 576 , comma 1,
cod. proc. pen., che fa riferimento a tutte le sentenze di proscioglimento,
fra le quali deve sicuramente ricomprendersi anche la sentenza di non
doversi procedere per estinzione del reato. In questo caso la Corte ha
ravvisato l’interesse ad impugnare della parte civile considerando il
vantaggio correlato al ribaltamento della prima pronuncia e
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, sia pure ai soli fini delle
statuizioni civili, e, con specifico riferimento al ricorso in cassazione,
all’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di
appello, ex art. 622 cod. proc. pen., senza la necessità di iniziare “ex
novo” il giudizio civile.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto che le condotte tenute dall’imputata
fossero finalizzate all’educazione dei bambini e che si siano
concretizzate, in alcuni casi, in un uso distorto dei mezzi correttivi,
senza, però, alcuna sproporzione rispetto alle violazioni ascrivibili agli
alunni e senza ricorso alla violenza, tanto che la fattispecie concreta è
stata ricondotta a quella prevista dall’art. 571 cod. pen.
Per giungere a questa conclusione la Corte ha visionato le riprese audio-
video, installate nel refettorio e nell’aula in cui insegnava l’imputata dal
10 al 26 febbraio 2014, e, richiamando le relazioni del perito nominato
dal giudice e del consulente tecnico della difesa incaricati di descrivere le
scene riprese, ha ritenuto che in esse non fossero riscontrabili “violenze
gratuite, né condotte vessatorie ripetutamente rivolte ai minori” (p. 12).
Ha, poi, ritenuto che “nella direzione della inconfigurabilità di una
condotta di maltrattamento depongono anche le testimonianze prodotte
dalla difesa” che riportano non condotte maltrattanti ma una attività
educativa rispettosa dell’integrità fisica e psichica degli alunni; lo stesso
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utilizzo della brandina, diversamente d quanto ritenuto dal giudice di
primo grado, non appariva ispirato a finalità punitive.
Sono, poi, valorizzate le deposizioni dei testi che riferiscono di condotte
particolarmente rigide, connotate da un intervento correttivo
sproporzionato (si citano F.F., che ha riferito che l’imputata era solita
dare ordini ai bambini, insistendo con autorità soprattutto affinché
mangiassero; G.G., secondo cui il metodo educativo dell’imputata era
autoritario, nel senso che si atteggiava verso i bambini cercando di
imporre il suo volere, minacciando punizioni e imponendo divieti; H.H.,
che ha riferito di condotte molto rigorose per quanto riguarda
l’alimentazione; H.H., che ha descritto condotte molto severe e
autoritarie).
Nella stessa sentenza, però, si dà atto che la maestra C.C. strattonava i
bambini, li costringeva, per punizione, a stare in tavoli separati (p. 13),
minacciava di punirli per imporre il suo volere (p. 14).
Non sono, poi, valutate altre deposizioni, che in parte vengono
sintetizzate e in parte vengono richiamate, mediante rinvio alla sentenza
di primo grado. Da tali deposizioni emerge che, per far mangiare una
bambina, l’imputata le ha infilato un bavaglino in un angolo della bocca
in modo da tenerla aperta e contemporaneamente le ha fatto ingoiare un
cucchiaio di minestra, continuando nella sua azione nonostante la bimba
si fosse messa a piangere (episodio narrato dalla teste oculare M.M., la
quale ha, altresì, riferito “che l’imputata aveva un modo dittatoriale di
porsi nei confronti dei bambini, che costringeva a mangiare ogni cosa…”
e che “i bambini seguiti dalla C.C. avevano un comportamento diverso
dagli altri, che evidenziava uno stato di paura” p. 8);
che, in un’altra occasione, l’imputata è stata vista imboccare una
bambina tenendole le braccia dietro la schiena, dare uno schiaffo ad un
bambino perché non mangiava, minacciare tutti i minori dicendo che se
non avessero mangiato sarebbero finiti sulla brandina. La teste ha,
altresì, riferito che quando erano minacciati si mettevano a piangere
(teste H.H., la cui deposizione è richiamata a p. 8 della sentenza
impugnata, con rinvio alla deposizione resa all’udienza del 07/03/018,
riportata nella sentenza di primo grado); che la brandina, acquistata allo
scopo di consentire ai bambini di dormire veniva impiegata come mezzo
di punizione, che una bambina quando vedeva la maestra C.C. non
voleva entrare (teste I.I., che ha anche riferito che di aver appreso dalla
propria figlia che un giorno un altro bimbo aveva portato delle forbici a
scuola e l’imputata, per fargli capire quanto fossero pericolose, lo aveva
punzecchiato sulla mano, finché non aveva cominciato a piangere, p. 8);
Condotte definite espressamente come “maltrattanti” (p. 9) vengono
riferite anche da J.J. (che, pur precisando che le condotte non erano mai
tenute con violenza, ha riferito che il piccolo K.K. veniva fatto sdraiare
sulla brandina quando era agitato), da L.L. (che ha riferito che l’imputata
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diceva che i bambini dovevano mangiare tutto altrimenti li puniva,
lasciandoli seduti da soli), da H.H. (che ha assistito ad un episodio in cui
l’imputata ha costretto una bambina a mangiare). Nella sentenza si dà,
infine, atto che venivano posti in essere “strattonarmene eccessivi”.
Dall’insieme di tali deposizioni si ricava un quadro di minacce, di
coercizioni e pesanti punizioni, di violenze inflitte dall’imputata, maestra
di scuola materna, ai bambini affidati alle sue cure di età compresa tra i
tre e i cinque anni. Questi comportamenti non erano isolati, ma venivano
ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di minori.
Reputa il Collegio che tali condotte, contrariamente a quanto ritenuto
nella sentenza impugnata, travalichino i limiti dell’uso dei mezzi di
correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò
deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla
propria cura, senza trasmodare nel ricorso a mezzi violenti, che tali fini
formativi contraddicono.
Va condiviso sul punto il consolidato orientamento di questa Corte
secondo cui l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento
del minore affidato, anche il dove fosse sostenuto da “animus
corrigendi”, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei
mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e
soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Sez. 6, n.
11956 del 15/02/2017, Rv. 269654). Ed infatti, affinché possa essere
configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di
maltrattamenti, la risposta educativa dell’istituzione scolastica deve
essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante
dell’alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi
dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore.
Né l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative
e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il
sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori
nella meno grave previsione di cui all’art. 571 c.p. anziché in quella
dell’art. 572 c.p. (Cass. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010 , Rv. 249216).
L’intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell’ambito della
fattispecie meno grave dell’art. 571 c.p. ciò che oggettivamente ne è
escluso, in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul
piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale e al complesso
normativo fornito dall’ordinamento giuridico e non già dalla intenzione
dell’agente; deve pertanto essere escluso che l’uso sistematico della
violenza quale ordinario “trattamento” del minore, sia pure sostenuto da
“animus corrigendi”, possa rientrare nell’ambito dell’art. 571 c.p., in
considerazione della sicura illiceità di tale uso (Cass. Sez. 6, n. 4904 del
18/03/1996 , Rv. 205034).
Da ciò consegue che la fattispecie concreta non poteva essere ricondotta
a quella, meno grave, di cui all’art. 571 cod. pen. ma doveva essere
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fatta rientrare, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quella di cui
all’art. 572 cod. pen.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente agli effetti
civili con rinvio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile
competente in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione
delle spese tra le parti per il grado di legittimità.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché il provvedimento
di liquidazione della provvisionale non è ricorribile per cassazione, in
quanto non ha valore vincolante di giudicato in sede civile, essendo
destinato ad essere travolto – per il suo carattere di provvisorietà e per la
sua natura meramente delibativa -dalle statuizioni definitive sul
risarcimento del danno (Sez. 4, Sentenza n. 36760 del 04/06/2004,
Cattaneo Rv. 230271 – 01).
4. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Nel giudizio di appello le parti civili hanno ottenuto la conferma della
statuizione di condanna generica al risarcimento del danno contenuta
nella sentenza di primo grado, anche se hanno visto rigettata la propria
istanza di liquidazione di una provvisionale. Le spese del secondo grado
di giudizio sono state compensate “tenuto conto che a fronte delle spese
maturate per la conservazione della condanna generica, si pone la
soccombenza relativa al proposto appello” per la liquidazione di una
provvisionale.
Tale conclusione non è condivisibile in quanto, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, la parte civile che, in sede d’appello, resista
vittoriosamente all’istanza dell’imputato volta ad escludere il diritto di
quest’ultima al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si
procede, ha diritto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
già anticipate anche se risulti parzialmente o totalmente soccombente in
relazione alle proprie richieste (Sez. 6, Sentenza n. 23017 del
19/01/2004 Rv. 229825 che, in applicazione di tale principio, ha accolto
il ricorso della parte civile in ordine alla mancata rifusione a favore della
medesima delle spese relative al giudizio di appello, nel quale era stato
dichiarato inammissibile il gravame di quest’ultima al fine di ottenere il
riconoscimento di una provvisionale). Infatti, ai fini della valutazione
della soccombenza della parte civile, è decisiva la circostanza che
l’imputato sia riuscito ad escludere il suo diritto al risarcimento dei danni
conseguenti al reato per cui si procede se l’impugnazione dell’imputato
non ottiene questo risultato, lo stesso è tenuto al rimborso delle spese
sostenute dalla parte civile.
In conclusione, quindi, il terzo motivo di ricorso è fondato.
Provvederà il giudice di rinvio alla liquidazione delle spese sostenute
dalla parte civile nel secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
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Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio
per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di
appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per
questo grado di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma il 26 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2024.