Non viola la privacy la telecamera se non eccede le necessità di tutela

Cassazione civile sez. I – 19/03/2024, n. 7289
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7258/2023 R.G.
proposto da:
Da.Gi., elettivamente domiciliato in Casalnuovo Di Napoli Via Roma 222 Dom
Digitale, presso lo studio dell’avvocato Ammendola Fortuna (Omissis)
che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
– ricorrente –
contro
Io.Cr., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Guzzo
Salvatore (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato Capasso Michele (Omissis), come da procura speciale in
atti.
– controricorrente –
Avverso la Sentenza della Corte D’appello di Napoli n. 119/2023
depositata il 13 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 febbraio 2024 dal
Consigliere Tricomi Laura.
RILEVATO CHE:
In data 5 ottobre 2011 i germani Io.Ma. e Io.Cr. e Di.Ma. convennero innanzi al
Tribunale di Nola Da.Gi., esponendo di essere comproprietari di un fabbricato in
C (N) alla Via IX Ma. n. (Omissis), confinante con l’immobile di proprietà di
Da.Gi.
A parere degli attori, Da.Gi. aveva installato sulla facciata esterna della propria
abitazione un sistema di videosorveglianza che riprendeva il tratto di strada
privata antistante il cancello d’ingresso della proprietà; essi dedussero che tale
installazione era lesiva della loro privacy e riservatezza dal momento che erano
soliti percorrere la predetta via privata in forza del diritto di servitù di
passaggio esistente in favore del proprio fondo ed a carico del fondo di
proprietà di Da.Gi.
Tanto premesso, gli attori chiesero all’adito Tribunale di condannare Da.Gi. –
che contestava l’avverso dedotto – alla rimozione e/o ricollocamento
dell’impianto nonché al pagamento in loro favore della somma di Euro
15.000,00=, o alla diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento
danni.
Il Tribunale di Nola, con sentenza n. 1164/17 rigettò la domanda degli attori.
La Corte di appello di Napoli, su impugnazione del solo Io.Cr., ha riformato la
prima decisione e ravvisato la violazione della disciplina della tutela dei dati
personali, rilevando che l’istallazione e lo svolgimento di riprese di video
sorveglianza era avvenuta senza la prestazione del preventivo consenso degli
interessati; ha disposto la rimozione delle video camere, ha accolto la
domanda risarcitoria e condannando Da.Gi. in via equitativa nella misura di
Euro 5.000,00, oltre interessi dalla domanda di primo grado.
Da.Gi. ha proposto ricorso con due mezzi, illustrati con memoria, per la
cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli Io.Cr. ha replicato con
controricorso e memoria.
È stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE:
2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione e
principio di sinteticità degli atti processuali. Il ricorrente deduce che l’atto
introduttivo del giudizio di appello era sproporzionato, constando di
novantacinque pagine a fronte di una sentenza di primo grado di sette pagine.
2.2.- Il primo motivo è inammissibile.
2.3.- Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e
vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa
condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi
tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso
deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità
ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle
categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; deve essere rivolto alla sentenza
impugnata e la parte che ricorre, che ha l’onere della indicazione specifica dei
motivi di impugnazione, deve indicare con precisione gli errori contenuti nella
sentenza impugnata, atteso che il singolo motivo assolve alla funzione
condizionante il devolutum della sentenza impugnata (Cass. n.16763/2002;
Cass. n.1479/2018; Cass. n.6519/2019).
La censura in esame non concerne la sentenza impugnata, ma l’atto di appello,
e ciò ne palesa l’inammissibilità.
3.1. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del
D.Lgs. 196/2003 (di seguito, anche il Codice) e dei provvedimenti a carattere
generale emessi dall’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali
(provvedimento 08.04.2010).
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito ha accolto il gravame basandosi su
un’interpretazione dell’art.4 del D.Lgs. 196/2003 come modificato e rafforzato
dal D.Lgs. n.101/2018, entrato in vigore il 19 settembre 2018 e quindi
successivamente alla fattispecie di cui si tratta iniziata, solo giudizialmente,
nell’anno 2011, applicando una norma non esistente all’epoca dei fatti e di più
ampio tenore e respiro.
Aggiunge il ricorrente che la disciplina in esame non avrebbe potuto essere
applicata se fosse stato valutato un importante elemento accertato
incontrovertibilmente in sede di esame peritale disposto dal Giudice di primo
grado, e cioè che le telecamere dallo stesso collocate a tutela della propria
abitazione, avevano esclusivamente un fine personale: le immagini
momentaneamente rilevate infatti, non venivano conservate, riprodotte a terzi,
comunicate o diffuse.
Sostiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto escludere l’applicabilità della
disciplina in materia di trattamento dei dati personali (D.Lgs. n.196/2003) in
un caso, come questo, in cui il “trattamento” è stato effettuato da persone
fisiche per fini personale, a meno che i dati non siano destinati a una
comunicazione sistematica e/o alla diffusione.
3.2. – Il secondo motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
In via preliminare è opportuno precisare che, poiché si discute di trattamento
di dati personali avvenuto nell’anno 2011, al caso in esame si applica il Codice
in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196)
nella stesura anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. 10 agosto 2018,
n. 101 di adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE)
2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, entrato
in vigore il 25 maggio 2018 (art. 99, comma 2, del Regolamento).
Nel merito, la decisione impugnata è immune da vizi laddove, nell’individuare
la normativa applicabile ha affermato, in riforma della prima decisione, che
l’uso di sistemi di videosorveglianza determina il trattamento dei dati personali
comportando la raccolta, la registrazione, la conservazione e in generale
l’utilizzo di immagini (cfr. art. 4, comma 1, lett. b del D.Lgs. 196/2003) e può
incidere sulla riservatezza del domicilio, la cui tutela ha copertura
costituzionale nelle disposizioni degli artt. 2 e 14 della Costituzione ed ha
individuato la normativa di riferimento nel D.Lgs. n. 196/2003, anteriore alle
ricordate modifiche, ma tale disciplina ha applicato falsamente, per le ragioni di
seguito esposte.
3.3.1. – Non può dubitarsi, invero, che l’immagine di una persona, in sé
considerata, quando in qualche modo venga visualizzata o impressa, possa
costituire “dato personale” ai sensi dell’art.4. lett. b) del D.Lgs. n. 196/2003
(Cass. n. 17440/2015; Cass. n. 13663/2016) ed è decisivo ricordare in tal
senso, la previsione, nell’ambito del Codice privacy, di una specifica norma
(art. 134) in materia di videosorveglianza e le numerose specifiche decisioni
del Garante per la protezione di dati personali, tra le quali più significative
appaiono il “Provvedimento generale” in materia di videosorveglianza del 29
aprile 2004 (1003482) sostituito poi dal “Provvedimento in materia di video
sorveglianza” dell’8 aprile 2010 (1712680).
In tema, di recente, il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) ha
adottato le “Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso
dispositivi video (versione 2.0.)” in data 29 gennaio 2020, a seguito
dell’entrata in vigore del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 27 aprile 2016 (RGPD).
3.3.2. – Come osservato dal Garante per il trattamento dei dati personali nel
Provvedimento dell’8 aprile 2010, il trattamento dei dati personali effettuato
mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza non forma oggetto di
legislazione specifica; al riguardo si applicano, pertanto, le disposizioni generali
in tema di protezione dei dati personali.
La raccolta, la registrazione, la conservazione e, in generale, l’utilizzo di
immagini configurano anche autonomamente considerate, forme di
trattamento di dati personali (art. 4, comma 1, lett. b), del Codice). È
considerato dato personale, infatti, qualunque informazione relativa a persona
fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a
qualsiasi altra informazione.
La circostanza che la videosorveglianza possa essere utilizzata per molteplici
fini meritevoli di perseguimento (protezione e incolumità degli individui, finalità
di sicurezza ed ordine pubblico, protezione della proprietà, rilevazione e
prevenzione delle infrazioni, acquisizione di prove) non esclude la necessità di
garantire, in particolare, un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà
fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali, di guisa che la
possibilità di utilizzare sistemi di videosorveglianza è consentita purché ciò non
determini un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli
interessati.
In particolare, l’installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve
avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati
personali, anche delle altre disposizioni dell’ordinamento applicabili, quali, tra
le altre, le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in materia di
interferenze illecite nella vita privata, sia quando avvenga ad opera di soggetti
pubblici, sia quando vada ascritta a soggetti privati.
Inoltre, è necessario:
– che il trattamento dei dati attraverso sistemi di videosorveglianza sia fondato
su uno dei “presupposti di liceità” che il Codice prevede espressamente per i
soggetti pubblici (svolgimento di funzioni istituzionali: artt. 18-22 del Codice) e
per soggetti privati ed enti pubblici economici (es. adempimento ad un obbligo
di legge, provvedimento del Garante di c.d. “bilanciamento di interessi”,
consenso libero ed espresso ex artt. 23-27 del Codice).
– che sia rispettato il “principio di necessità” ex art.3 del Codice, il quale
comporta un obbligo di attenta configurazione di sistemi informativi e di
programmi informatici per ridurre al minimo l’utilizzazione di dati personali;
– che l’attività di videosorveglianza venga effettuata nel rispetto del c.d.
“principio di proporzionalità” nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione
degli apparecchi, nonché nelle varie fasi del trattamento che deve comportare,
comunque, un trattamento di dati pertinenti e non eccedenti rispetto alle
finalità perseguite (art. 11, comma 1, lett. d) del Codice).
3.3.3. – Ne consegue che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, l’utilizzo
di sistemi di video sorveglianza può determinare, in relazione al
posizionamento degli apparecchi e della qualità delle immagini un trattamento
di dati personali, quando, può mettere a rischio la riservatezza di soggetti
portatori di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento e
deve essere effettuato nel rispetto dei principi prima ricordati.
3.3.4.- Va ulteriormente rimarcato, tuttavia, che la disciplina del Codice non
trova integrale applicazione nel caso di “trattamento di dati personali effettuato
da persone fisiche per fini esclusivamente personali” qualora i dati non siano
comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi: tanto è previsto dall’art. 5,
comma 3 del Codice, che si premura di sottolineare che, anche in tale ipotesi,
resta ferma l’applicazione della disposizione in tema di responsabilità civile e
necessaria l’adozione di cautele a tutela della sicurezza dei dati, di cui agli artt.
15 e 31 del Codice.
Segnatamente, l’art. 15 prevede espressamente la risarcibilità del danno,
anche non patrimoniale, ai sensi dell’art.2050 c.c. per effetto del trattamento
dei dati personali, compreso il caso di violazione delle disposizioni su modalità
di trattamento e requisiti dei dati (art. 11 del Codice); l’art. 31 stabilisce ampi
obblighi di sicurezza nel trattamento e nella custodia dei dati.
In particolare, possono rientrare nell’ambito descritto dall’art. 5, comma 3, del
Codice gli strumenti di videosorveglianza idonei a identificare coloro che si
accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre
apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione),
oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all’interno di
condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box), con la precisazione che, al
fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata
(art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato
ai soli spazi di esclusiva pertinenza di colui che effettuata il trattamento (ad
esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di
ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili,
pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di
altri condomini, come chiarito dallo stesso Garante nel Provvedimento dell’8
aprile 2010, al par. 6.1. “Trattamento di dati personali per fini esclusivamente
personali”.
3.3.5. – Di contro, nel caso di “Trattamento di dati personali per fini diversi da
quelli esclusivamente personali”, anche ad opera di un privato (par.6.2. del
Provvedimento dell’8 aprile 2010) il trattamento può essere effettuato solo ove
sia stato espresso il consenso preventivo dell’interessato (art.23 del Codice)
oppure se ricorra uno dei presupposti di liceità previsti dall’art. 24 del Codice in
alternativa al consenso.
In merito, il Garante, dopo avere preso atto che nel caso di impiego di
strumenti di videosorveglianza la possibilità di acquisire il consenso risulta in
concreto limitata dalle caratteristiche stesse dei sistemi di rilevazione, ha
ritenuto di dare attuazione all’istituto del bilanciamento di interessi (art. 24,
comma 1, lett. g), del Codice) procedendo all’individuazione dei casi in cui la
rilevazione delle immagini, con esclusione della diffusione, può avvenire senza
consenso, qualora, con le modalità stabilite nello stesso provvedimento, sia
effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un
terzo attraverso la raccolta di mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di
persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti,
atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro.
Segnatamente, il Garante ha distinto due ipotesi, per le quali ha escluso la
necessità del consenso preventivo informato, avendo attuato il bilanciamento
degli interessi ai sensi dell’art.24, comma 1, lett. g) del Codice:
– I) Videosorveglianza (con o senza registrazione delle immagini). Tali
trattamenti sono ammessi in presenza di concrete situazioni che giustificano
l’installazione, a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio
aziendale. Nell’uso delle apparecchiature volte a riprendere, con o senza
registrazione delle immagini, aree esterne ad edifici e immobili (perimetrali,
adibite a parcheggi o a carico/scarico merci, accessi, uscite di emergenza),
resta fermo che il trattamento debba essere effettuato con modalità tali da
limitare l’angolo visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando, per
quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino
rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali, istituzioni ecc.).
– II) Riprese nelle aree condominiali comuni, qualora i trattamenti siano
effettuati dal condominio (anche per il tramite della relativa amministrazione).
3.3.6.- In sintesi, per quanto interessa il presente procedimento, e in relazione
alla normativa applicabile ratione temporis, va affermato che:
– In tema di tutela dei dati personali trattati mediante l’impiego di sistemi di
videosorveglianza, il trattamento posto in essere ad opera di un soggetto
privato deve rispettare i presupposti di liceità previsti dal D.Lgs. n. 196/2003, il
principio di necessità ed il principio di proporzionalità;
– La disciplina derogatoria di cui all’art .5, comma 3, del D.Lgs. n. 196/2003 è
applicabile al trattamento dei dati mediante sistemi di videosorveglianza solo
nel caso in cui il trattamento sia eseguito da persona fisica a fini personali e
senza diffusione o comunicazione dei dati, entro un ambito operativo
circoscritto, in linea di massima e in via esemplificativa, mediante strumenti di
videosorveglianza idonei a identificare coloro che si accingono ad entrare in
luoghi privati o sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati o
all’interno di condomini, il cui angolo visuale di ripresa sia comunque limitato ai
soli spazi di esclusiva pertinenza di colui che effettuata il trattamento (ad
esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di
ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni ad altri
soggetti;
– Il trattamento di dati personali mediante sistemi di videosorveglianza (con o
senza registrazione delle immagini) per fini diversi da quelli esclusivamente
personali ad opera di un privato, nel caso in cui sia effettuato in presenza di
concrete situazioni che giustificano l’installazione, a protezione delle persone,
della proprietà o del patrimonio aziendale (principio di necessità), non richiede
quale presupposto di liceità il consenso informato dell’interessato, in quanto
ricorre il presupposto di liceità alternativo ex art. 24, comma 1, lett. g) del
D.Lgs. n. 196/2003, costituito dal provvedimento di bilanciamento degli
interessi adottato dal Garante in data 8 aprile 2010 (par.6.2.2.1.); resta fermo,
in osservanza del principio di proporzionalità, che l’utilizzo delle
apparecchiature volte a riprendere aree esterne ad edifici e immobili
(perimetrali, adibite a parcheggi o a carico/scarico merci, accessi, uscite di
emergenza), deve essere effettuato con modalità tali da limitare l’angolo
visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la
ripresa di luoghi circostanti, in uso a terzi o su cui terzi vantino diritti e di
particolari che non risultino rilevanti (vie, edifici, esercizi commerciali,
istituzioni ecc.).
3.4.1. – Indiscussa, nel caso in esame, la circostanza che il trattamento sia
stato eseguito da un privato ed abbia riguardato le zone antistanti la sua
Giurisprudenza di merito Ondif
abitazione insistenti sulla strada privata di sua proprietà sulla quale gode di un
diritto di servitù di passaggio il controricorrente, la sentenza impugnata è
viziata, per avere falsamente applicato il D.Lgs. n. 196/2003 e il
Provvedimento emesso dall’Autorità Garante in data 8 aprile 2010, e va
cassata perché rettamente ha ricondotto la fattispecie concreta nell’ambito del
“Trattamento di dati personali per fini diversi da quelli esclusivamente
personali”, ma erroneamente ha ritenuto che richiedesse il rilascio del
preventivo consenso da parte dell’interessato.
3.4.2. – In breve, la Corte di appello, dopo avere ricondotto l’attività contestata
nell’ambito della nozione di “trattamento”, ha ritenuto applicabile al
trattamento in questione la disciplina del consenso informato ex art. 23 del
Codice e ha ravvisato, in assenza di tale consenso, l’illiceità del trattamento,
ritenuto invasivo in violazione del diritto alla riservatezza del controricorrente.
Segnatamente, sulla scorta della premessa fattuale incontestata che il sistema
di video sorveglianza insisteva su un’area costituita da una strada privata, su
cui concorrevano il diritto di proprietà dell’odierno ricorrente (autore della
video sorveglianza) e la servitù di passaggio del controricorrente (che di tale
video sorveglianza si duole) la Corte di appello ha dedotto che “l’unico
riferimento positivo civilistico alla installazione di telecamere in luoghi privati è
contenuto nell’art. 1122 ter c.c. … Da questa norma si trae una prima
importante indicazione sulla necessità che il titolare di un diritto reale di
godimento debba esprimere il suo consenso quando un impianto di
videosorveglianza incida nella sua sfera privata.” ed ha concluso che l’impianto
non era stato legittimamente installato in assenza del consenso del soggetto
titolare del diritto di servitù di passaggio sulle aree rientranti nel loro ambito di
ripresa.
3.4.3. – Tale conclusione non può essere condivisa.
3.4.4. – Innanzi tutto, va osservato che non è calzante, il richiamo alla
disciplina di cui all’art. 1122 ter c.c., in materia di condominio (peraltro,
introdotto dall’art. 7, comma 1, della L. n.220/2012 ed entrato in vigore dal 18
giugno 2013, dopo i fatti in contestazione), sulla scorta della quale, in via
latamente ed inammissibilmente analogica, la Corte di appello ha affermato
(fol. 7 della sent. imp.) che “anche a prescindere dalla videoproiezione delle
immagini su monitor, la loro raccolta ed il mero utilizzo sono di per sé vietati,
quando, come nella fattispecie che occupa, possono mettere a rischio la
riservatezza di soggetti portatori di una situazione giuridica soggettiva
riconosciuta dall’ordinamento quale è quella della servitù di passaggio” ed ha
ravvisato la necessità che “il titolare di un diritto reale di godimento debba
esprimere il suo consenso quando un impianto di video sorveglianza incida
nella sua sfera privata”.
Invero, la circostanza che il diritto di proprietà dell’odierno ricorrente e il diritto
di servitù di passaggio dell’odierno controricorrente insistano
contemporaneamente sulla strada privata di cui si discute non rende la
fattispecie sussumibile nell’ambito applicativo della disciplina civilistica dettata
dagli artt. 1117 e ss., che concerne il “condominio negli edifici” e riguarda
l’esercizio dei diritti sulla proprietà comune da parte dei proprietari delle
singole unità immobiliari di unità immobiliari, edifici o condomini di unità
immobiliari. Né risulta applicabile l’art. 1122 ter c.c. che disciplina le delibere
delle assemblee condominiali concernenti “l’installazione sulle parti comuni
dell’edificio di impianti volti a consentire la video sorveglianza su di esse”,
posto che nel caso di specie non ricorre una fattispecie né di condominio, né di
assemblea condominiale e non si controverte sull’installazione di impianti su
“parti comuni dell’edificio”.
In proposito, va rammentato che questa Corte, ha già escluso l’applicabilità
analogica, in materia di protezione dei dati personali, delle disposizioni dettate
in tema di condominio a fattispecie a questa non assimilabili – come quella
delle servitù in esame per le ragioni già illustrate – non essendo consentito il
ricorso all’analogia in materie in cui si dispongono restrizioni o sanzioni (Cass.
n. 14346/2012) e che tale arresto non è inciso né dall’introduzione
dell’art.1122 ter c.c., né della adozione del Provvedimento del Garante dell’8
aprile 2010.
3.4.5. – Nel caso in esame, l’affermazione della illegittimità della installazione
del sistema di videosorveglianza – che si colloca nell’ambito di un trattamento
di dati personali effettuato da un privato per fini diversi da quelli
esclusivamente personali – è errata, perché fondata esclusivamente sulla
mancata prestazione del consenso preventivo del soggetto titolare del diritto di
servitù di passaggio sulle aree rientranti nell’ambito di ripresa, consenso che,
nel caso di specie, non era richiesto in applicazione del provvedimento di
bilanciamento preventivo degli interessi adottato dal Garante in data 8 aprile
2010 (par. 6.2.2.1.).
Invece, il vaglio di liceità della specifica attività di video sorveglianza messa in
atto, avrebbe dovuto riguardare la ricorrenza degli altri requisiti già illustrati,
che è onere del titolare del trattamento provare, e all’accertamento di essi
dovrà procedere il giudice del rinvio.
Invero, il trattamento di dati personali effettuato a mezzo videosorveglianza da
un privato per fini diversi da quelli esclusivamente personali è lecito ove sia
effettuato in presenza di concrete situazioni che giustificano l’installazione, a
protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale (principio
di necessità) e ove si avvalga di un utilizzo delle apparecchiature volte a
riprendere le aree di comune disponibilità con modalità tali da limitare l’angolo
visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la
ripresa di luoghi circostanti, in uso a terzi o su cui terzi vantino diritti e di
particolari che non risultino rilevanti (principi di non eccedenza e di
proporzionalità).
La Corte di appello in sede di rinvio, in applicazione dei principi espressi, dovrà
procedere al riesame del trattamento effettuato a mezzo di videosorveglianza,
verificandone la liceità mediante la valutazione di necessità e proporzionalità
dello stesso, alla luce dei principi prima illustrati, che devono
contraddistinguere in concreto l’attività di trattamento messa in atto.
4. – In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso nei sensi di cui in
motivazione, inammissibile il primo; la sentenza impugnata è cassata con
rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, per il riesame
alla luce dei principi enunciati e la liquidazione delle spese anche del presente
giudizio.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
– Accoglie il secondo motivo del ricorso nei sensi di cui in motivazione,
inammissibile il primo ricorso;
– Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli,
in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma delD.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52.