Violenza sessuale e attendibilità della persona offesa
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente –
Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere –
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere –
Dott. MAGRO Maria B. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della Corte di appello di Bari dell’8 novembre 2021, in parziale riforma della
decisione del Tribunale di Bari (giudizio abbreviato) del 25 novembre 2020, riqualificato il reato di
cui all’art. 56-628 c.p., ai sensi degli art. 56 e 610 c.p., unificati i reati con la continuazione, è stata
rideterminata la pena nei confronti di A.A. in anni 8 di reclusione (imputato dei reati, nei due
procedimenti riuniti RGNR 7594/2020 e 7395/2020, di cui agli art. 56 e 628 c.p., – capo 1, commesso
in danno di B.B. il (Omissis) -; L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 61 c.p., n. 2 capo 2, commesso il
(Omissis) -; art. 81 e 337 c.p., – capo 3, commesso in danno dei Carabinieri C.C. e D.D., il (Omissis)
-; art. 612 bis c.p., commi 1 e 2 – capo 1, commesso in danno di E.E., dal (Omissis) -; art. 609 bis,
comma 1 – in danno di E.E., commesso il (Omissis), capo 2 -; art. 605 c.p., comma 1, e art. 582 c.p., –
capo 3, commesso il (Omissis) in danno di E.E. -).
2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Nullità della sentenza per violazione di legge processuale stabilita a pena di nullità (art. 178
c.p.p., lett. C). La difesa per il procedimento RGNR 7395/2020 (reati di cui agli art. 56 e 628 c.p. –
capo 1, commesso in danno di B.B. il (Omissis) -; L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 61 c.p., n. 2 capo 2,
commesso il (Omissis) -; art. 81 e 337 c.p., – capo 3, commesso in danno dei Carabinieri C.C. e D.D.,
il (Omissis) -) formulava richiesta di giudizio abbreviato, senza condizioni. Mentre per il
procedimento RGNR 7594/2020 il giudizio abbreviato era stato richiesto condizionato all’escussione
di due testi.
In data 24 novembre 2020 il Presidente della Sezione GIP / GUP del Tribunale disponeva
l’assegnazione di entrambi i procedimenti ad un solo giudice, per l’eventuale riunione richiesta dalla
difesa. Il provvedimento veniva notificato solo all’Avv. N.Q., di fiducia, ma non era notificato all’altro
difensore dell’imputato (Avv. A.D.B.) e neanche alla persona offesa e al suo difensore.
L’avviso di fissazione dell’udienza del 25 novembre 2020 doveva essere notificato a tutte le parti
processuali.
La Corte di appello, erroneamente, ha rigettato l’eccezione di nullità, in quanto il difensore
dell’imputato, presente all’udienza, non aveva eccepito l’omessa notifica all’altro difensore,
nonostante fosse stato specificamente interpellato dal giudice. Invece il giudice aveva verbalizzato la
correttezza delle notifiche e, pertanto, la difesa nulla avrebbe potuto eccepire. Infatti, il
provvedimento che aveva fissato l’udienza è del 24 novembre, per il giorno successivo (25 novembre
2020). Conseguentemente la verifica della regolarità della notifica poteva avvenire solo attraverso il
giudice, direttamente in udienza. La domanda posta dal giudice al difensore presente è stata solo
quella della sussistenza di altro codifensore, non già della regolarità della notifica all’altro difensore.
Non sussisteva alcun margine da parte del difensore presente di eccepire l’omessa notifica.
2. 2. Nullità della sentenza per violazione di legge processuale stabilita a pena di nullità (art. 438
c.p.p.).
All’udienza del 25 novembre 2020 il giudice, senza un provvedimento di ammissione del rito
abbreviato, ha disposto la discussione. Non sono state ammesse le prove testimoniali, alle quali il
ricorrente aveva subordinato la richiesta di giudizio abbreviato.
Per giurisprudenza consolidata il giudice prima di invitare le parti alla discussione avrebbe dovuto
ammettere il giudizio abbreviato (anche quello senza alcuna subordinazione).
In assenza di un’ordinanza di ammissione la difesa non poteva fare altrimenti; ha potuto solo eccepire
la nullità nell’atto di appello.
Per la Corte di appello, invece, l’assenza di eccezioni avrebbe sanato la nullità.
2. 3. Mancanza di motivazione sulla ritenuta attendibilità della persona offesa (E.E.).
Il giudice di secondo grado ha reiterato l’errore del Tribunale, ritenendo la parte offesa attendibile.
Nell’appello la difesa aveva evidenziato alcuni aspetti critici nelle dichiarazioni della donna. Alle
specifiche contestazioni dell’appello la sentenza non ha fornito adeguata motivazione. La sentenza
non ha dato spiegazioni del perchè la donna, pur sapendo di dover consumare rapporti sessuali con
l’imputato la sera del (Omissis), si era recata volontariamente in albergo; non chiese nessun aiuto
neanche al personale dell’albergo. L’imputato, se avesse voluto violentare la E.E. lo avrebbe fatto in
auto o in campagna e non in un albergo, dove la vittima avrebbe potuto chiedere aiuto facilmente.
L’imputato ha incontrato anche la figlia (insieme alla sua compagna) della donna e questo dimostra
che la parte offesa non aveva paura di lui.
La parte offesa, del resto, si era intrattenuta con l’imputato a parlare su dei gradini prima delle presunte
violenze. La donna, inoltre, ha sempre gestito la relazione con l’imputato nelle stanze di albergo. Il
portiere dell’albergo (F.F.) non riferisce di una donna impaurita all’arrivo in albergo. Durante la notte
la donna non ha mai urlato o chiesto aiuto; solo al momento dell’uscita la donna ha urlato.
2. 4. Violazione di legge (art. 62 bis c.p.).
La Corte di appello non riconosce all’imputato le circostanze attenuanti generiche omettendo qualsiasi
motivazione, nonostante specifica richiesta in sede di appello.
2. 5. Violazione di legge (art. 81, 132 e 133 c.p.) e vizio della motivazione sul trattamento
sanzionatorio superiore al minimo edittale.
La sentenza impugnata ha determinato la pena base per il reato più grave (art. 609 bis c.p.) in anni 8
di reclusione senza specifica motivazione. La pena superiore al minimo edittale non è stata
adeguatamente motivata. Anche gli aumenti per la continuazione risultano eccessivi (anni 1 di
reclusione per il delitto ex art. 612 bis c.p. ed anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto ex art. 605
c.p.), senza specifica e dettagliata motivazione.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell’appello,
senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso,
articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del
fatto, non consentita in sede di legittimità.
4. I primi due motivi processuali sono in palese contrasto con la giurisprudenza consolidata della
Corte di Cassazione.
In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell’imputato, si
configura una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente,
sicchè la mancata proposizione dell’eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l’imputato,
regolarmente citato, sia presente o meno. (Sez. 5 -, Sentenza n. 55800 del 03/10/2018 Ud. (dep.
12/12/2018) Rv. 274620 – 01).
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso in cassazione era onere dell’imputato presente
accertarsi della omessa notifica e proporre la relativa eccezione: “La nullità a regime intermedio,
derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei due difensori dell’imputato, è sanata dalla mancata
proposizione della relativa eccezione a opera dell’altro difensore comparso, pur quando l’imputato
non sia presente. (In motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se
nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso,
verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata
comparizione, eventualmente interpellando il giudice)” (Sez. U, Sentenza n. 39060 del 16/07/2009
Ud. (dep. 08/10/2009) Rv. 244187 – 01).
5. L’ammissione del giudizio abbreviato, per fatti concludenti quali l’invito alla discussione, non
necessita di un provvedimento formale: “L’accesso al giudizio abbreviato non necessita di
un’ordinanza che disponga l’ammissione al rito con formula sacramentale, essendo sufficiente che il
giudice adotti un provvedimento equipollente, avente la stessa funzione di carattere ordinatorio e
propulsivo del procedimento. (Nella specie la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento del giudice
che, “dato atto della scelta del rito abbreviato”, aveva poi dichiarato ” aperta la discussione”)” (Sez.
6 -, Sentenza n. 34543 del 30/05/2018 Ud. (dep. 20/07/2018) Rv. 274021 – 01).
Anche la mancata ammissione delle testimonianze alle quali era stato subordinato il rito abbreviato
per uno dei procedimenti riuniti non comporta nessuna nullità, in quanto il difensore ha aderito
all’invito alla discussione senza nulla eccepire: “Qualora l’imputato, a seguito del rigetto della
richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale
richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità
dell’art. 438 c.p.p., comma 6), ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non
condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può
essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la facoltà di sollecitare l’esercizio dei poteri
di integrazione istruttoria “ex officio” ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3″ (Sez. 1 -, Sentenza n.
12818 del 14/02/2020 Ud. (dep. 23/04/2020) Rv. 279324 – 01; vedi anche Sez. 2 -, Sentenza n. 13368
del 27/02/2020 Ud. (dep. 30/04/2020) Rv. 278826 – 0).
6. Nel merito l’imputato contesta molto genericamente l’attendibilità della parte offesa senza
confrontarsi con le complete e logiche motivazioni della sentenza impugnata.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia
e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del
ricorrente, e sulla piena attendibilità della donna, parte offesa, peraltro con numerosi riscontri alle sue
dichiarazioni.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati
di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204
del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della
motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà
(intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti
essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze
che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa
illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei
significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a
conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015,0., Rv. 262965).
In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo
perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte,
avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una
rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep.
28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
7. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione,
immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha
portato alla valutazione di attendibilità della parte donna.
Infatti, in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del
convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste; tale giudizio,
essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può
essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità,
specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi
probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 – dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere
poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del
suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui
vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice
indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo
così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha
rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti
di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria
l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una
ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare Spazio ad
una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730);
le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa,
le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
7. 1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose
nell’affrontare l’attendibilità della donna, rilevando come i fatti sono emersi dalle dichiarazioni lineari
della stessa e dai riscontri. La Corte evidenzia come la sera del (Omissis) l’imputato aveva atteso la
donna sotto la sua abitazione e sotto minaccia grave fu costretta a recarsi con lui nell’Hotel (in passato
la donna era stata brutalmente picchiata e minacciata di morte dall’imputato, con riferimento al
possesso di una pistola). Conseguentemente la parte offesa non si è recata volontariamente in Hotel
per consumare rapporti sessuali consensuali con l’imputato, ma sotto la costrizione di minacce gravi
e per evitare di essere brutalmente picchiata, come era successo altre volte (come evidenziato dalle
annotazioni di servizio richiamate). La madre della ricorrente riferiva che la figlia tornava spesso a
casa con i cellulari distrutti dall’imputato durante gli attacchi di gelosia. Il portiere dell’albergo, G.G.,
ha riferito delle urla della donna la mattina. Il proprietario dell’albergo ha riferito del buco nel muro
(per il lancio del coltello da parte dell’imputato) e del danneggiamento di una sfera di cristallo, come
riferito dalla parte offesa.
Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni
dell’atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene
censure di legittimità nei confronti delle motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone
acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.
8. Del tutto generici e manifestamente infondati i motivi sul trattamento sanzionatorio e sul mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello ha ritenuto adeguata ai
fatti la pena di anni 8 di reclusione (per il reato base) con un aumento per la continuazione di anni 1
di reclusione per il delitto ex art. 612 bis c.p. ed anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto ex art. 605
c.p.
La pena, quindi, risulta al di sotto della media edittale e non necessitava di specifica e dettagliata
motivazione: “In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di
sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del
giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso
argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena” (Sez.
3, n. 38251 del 15/06/2016 – dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n.
46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del
08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401).
Inoltre, la sentenza impugnata evidenzia la gravità dei fatti in relazione “alo spessore criminale e alla
pericolosità dell’imputato appellante”.
9. Manifestamente infondato, anche, il motivo sul mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche. La sentenza della Corte di appello pur non motivando sul motivo dell’appello
rileva, comunque, che la pena determinata, non molto distante dal minimo edittale risulta adeguata al
fatto.
La motivazione suddetta implicitamente rigetta la richiesta di riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, in quanto la pena è stata ritenuta congrua per i fatti in giudizio e non era possibile
irrogare una pena al di sotto del minimo edittale.
Infatti, “La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con
motivazione implicita allorchè sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione
del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi. (In applicazione del principio, la
Corte ha ritenuto immune da censure l’impugnata sentenza d’appello che, nel confermare la
determinazione della pena effettuata dal primo giudice, aveva evidenziato la pregnanza delle
circostanze aggravanti, dando implicitamente conto dell’impossibilità di addivenire ad una
mitigazione della pena inflitta)” (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019 – dep. 21/03/2019, DULAN
CRISTIAN, Rv. 27505701).
Le attenuanti generiche previste dell’art. 62-bis c.p., sono state introdotte con la funzione di mitigare
la rigidità dell’originario sistema di calcolo della pena, per rimuovere il limite posto al giudice con la
fissazione del minimo edittale, allorchè questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite,
con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perchè il giudice valuta la pena da
applicare al di sopra del limite, o nel minimo edittale, il diniego di riconoscimento delle generiche
diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può,
quindi, dar luogo nè a violazione di legge, nè al corrispondente difetto di motivazione (Vedi Sez. 3,
n. 44883 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cavicchi, Rv. 260627).
Del resto, la richiesta delle circostanze attenuanti generiche in appello risulta proposta in modo
alquanto generico senza specificazione degli elementi positivi da considerare (Vedi Sez. 3, Sentenza
n. 57116 del 29/09/2017 Ud. (dep. 21/12/2017) Rv. 271869 – 0); nell’appello si censura solo l’omessa
motivazione della sentenza di primo grado, senza specificare elementi positivi da valutare per il
riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis c.p..
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza
13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro
3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2022