Tentata violenza sessuale alla luce della esplicita richiesta di prestazioni sessuali

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 07 novembre 2022, n. 41818; Pres. Ramacci, Rel. Cons. Amoroso
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente –
Dott. CORBO Antonio – Consigliere –
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. MAGRO Maria Beatrice – Consigliere –
Dott. AMOROSO Maria C. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato in (Omissis);
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 01/04/2022.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Maria Cristina Amoroso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Manuali
Valentina, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1.Con ordinanza del 1/04/2022, il Tribunale di Venezia rigettava l’istanza di riesame avverso
l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 18/03/2022 dal Gip del Tribunale di Treviso nei confronti
di A.A. per i reati di cui agli artt. 582 e 56, 609-bis c.p.
2.Avverso tale provvedimento il ricorrente propone ricorso in cassazione articolato in un unico
motivo in cui lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla riconosciuta fattispecie
di tentata violenza sessuale.
In particolare, si deduce che la condotta dell’indagato non ha raggiunto il grado di idoneità ed
univocità richiesto dell’art. 56 c.p., ma ha integrato, contrariamente a quanto sostenuto dal gip, atti
meramente preparatori e pertanto non rilevanti penalmente.
A supporto della deduzione ripercorre le fasi salienti dell’azione evidenziando che l’indagato si era
limitato a tenere bloccata la vittima con entrambe le mani, stringendole un braccio al collo e
tappandole con l’altra mano la bocca e pertanto, più correttamente, il giudice avrebbe dovuto ritenere
non integrata la fattispecie del tentativo.
Motivi della decisione
1. il motivo fondante del ricorso afferente alla violazione di legge e al vizio di motivazione in ordine
alla qualificazione dei fatti è privo di pregio.
In realtà in esso non si contesta l’illogicità della motivazione ma si prospetta una ricostruzione dei
fatti differente da quella effettuata nel provvedimento impugnato, con profili relativi al merito non
ammissibili in sede di legittimità.
Il ricorrente contesta che quanto affermato dal giudice corrisponda alla realtà dell’accaduto,
affermando che “l’imputato non era affatto intento a sbottonarsi i pantaloni ma viceversa teneva
bloccata la donna stando da dietro di lei ed impegnando entrambe le mani”.
I giudici del riesame hanno provveduto ad una coerente e puntuale ricostruzione degli eventi sulla
base delle dichiarazioni della persona offesa, reputate precise e concordanti, e della narrazione dei
vigili del fuoco intervenuti contestualmente agli accadimenti delittuosi; hanno altresì valorizzato il
repentino dileguarsi dell’indagato alla vista dei vigili del fuoco e da tale condotta, con ragionamento
logico, hanno desunto l’inverosimiglianza della versione difensiva alternativa fornita dalla difesa
secondo la quale il A.A. cingeva la vittima per impedirle di collocarsi nel mezzo della carreggiata in
stato di ubriachezza.
2.Ricostruita la vicenda in maniera esente dai vizi lamentati, correttamente, quindi, il Tribunale ha
qualificato la condotta del A.A. quale tentata violenza sessuale alla luce della esplicita richiesta di
prestazioni sessuali e della costrizione fisica della donna e della spinta del capo di quest’ultima verso
il basso ventre dell’imputato che aveva già aperto la cerniera dei pantaloni, giacchè la dinamica posta
in essere può correttamente ritenersi condotta idonea.
Va ricordato, infatti, che secondo la consolidata giurisprudenza di Questa Corte è configurabile il
tentativo del reato di cui all’art. 609-bis c.p., in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa
non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della medesima
ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime (Sez. 3, n. 17414 del
18/02/2016, F., Rv. 266900), mentre non rilevano le ipotetiche spinte soggettive (estranee al desiderio
di soddisfacimento sessuale), che avrebbero determinato l’imputato a tenere tale comportamento.
3.Per queste considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2022