La gelosia può integrare l’aggravante dei motivi futili
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano – Presidente –
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere –
Dott. MANCUSO F.A. Luigi – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. TOSCANI Eva – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.S., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/07/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa ZACCO Franca, che ha
concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Bologna confermava quella
della Corte di Assise di Ferrara che aveva condannato C.S. alla pena dell’ergastolo per il delitto di
omicidio, aggravato dalla relazione affettiva e sentimentale, di F.C., uccisa con ripetuti e violenti
colpi al capo con un mattarello di cucina.
Non è in discussione la responsabilità dell’imputato. La Corte territoriale, rigettando il motivo di
appello che invocava l’applicazione delle attenuante della provocazione, aveva ricostruito il delitto
come frutto di gelosia nei confronti della vittima, preordinato ed eseguito cogliendo di sorpresa la F.,
crollata a terra dopo il primo colpo inferto con il mattarello e ripetutamente colpita anche a terra, fino
a provocare uno sfacelo cranico. Per di più, la donna era stata lasciata a terra in un lago di sangue e
agonizzante e l’imputato le aveva messo in bocca un fazzoletto, rendendole difficile la respirazione.
Erano stati gli operatori del 118 a togliere il fazzoletto dalla bocca della vittima, che era ancora viva
al momento del loro intervento.
Sulla base di quanto rinvenuto sul posto dagli inquirenti, era emerso che C. aveva iniziato ad operare
per occultare il cadavere (erano stati rinvenuti guanti e sacchi e l’imputato si era cambiato d’abito),
salvo rendersi conto che la pattuglia dei Carabinieri che si trovava all’esterno del locale in cui era
avvenuta l’aggressione lo avrebbe visto; l’imputato, allora, aveva preparato la versione di un delitto
frutto della reazione ad un’aggressione da parte della giovane; ma tale versione era stata smentita
dagli esiti della autopsia, che aveva dimostrato che il primo colpo alla testa era stato inferto a sorpresa,
senza alcuna difesa da parte della F..
La Corte territoriale rigettava il motivo di appello con cui la difesa dell’imputato aveva chiesto la
concessione delle attenuanti generiche, sottolineando il dolo intenso dimostrato dalla violenza e dal
numero dei colpi, dimostrazione di una condotta “tanto efferata quanto studiata”, la preordinazione
del delitto, l’intenzione dell’imputato di occultare il cadavere, il pregresso controllo operato sulla vita
sentimentale della giovane, la spiegazione artefatta dei motivi dell’azione criminosa, la crudeltà
dimostrata, la condotta successiva al delitto.
Le dichiarazioni dell’imputato tendevano a ridimensionare la causale del delitto ma integravano una
versione difensiva fallita sul punto dell’esistenza di un dolo d’impeto; non vi era stata ampia e leale
collaborazione e nemmeno resipiscenza da parte dell’imputato.
La sanzione penale massima era ritenuta, quindi, coerente con la gravità dell’azione e con la capacità
a delinquere dell’imputato.
2. Ricorre per cassazione il difensore di C.S., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione
con riferimento al diniego delle attenuanti generiche.
Tale diniego era basato su una ricostruzione del fatto dubbia, non supportata da prove certe nè da
meri indizi ma da meri sospetti. Non vi era prova che l’omicidio fosse stato premeditato, nè era emersa
una propensione di C. alla violenza o alla sopraffazione delle donne. L’imputato aveva fornito una
spiegazione del suo comportamento post-factum, nè vi era prova di un tentativo di occultare il corpo
o di inquinare le prove. C. si era consegnato spontaneamente ad una pattuglia dei Carabinieri che si
trovava nelle vicinanze a regolare il traffico; i militari non sapevano nemmeno che egli si trovasse
all’interno del locale.
La difesa ribadisce che l’imputato aveva sempre collaborato con gli inquirenti e aveva mostrato
pentimento.
Inoltre, poichè il movente dell’omicidio era la gelosia nei confronti della F., le attenuanti generiche
avrebbero potuto essere concesse alla luce dell’incapacità dell’uomo di affrontare la fine del rapporto
con la donna, che costituiva un ennesimo fallimento nella sua vita. L’omicidio era conseguenza di
uno scatto di gelosia frutto di un equilibrio psicologico destabilizzato e della perdita di ogni
razionalità: uno stato emotivo fragile e complesso.
Il diniego delle attenuanti generiche creava una disparità di trattamento, equiparando C. ad un crudele
omicida che occulti il cadavere, occulti le prove, nasconda ogni indizio e tenti la fuga.
3. Il Sostituto Procuratore generale, Franca Zacco, nella requisitoria scritta, conclude per la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1. La Corte territoriale ha fornito ampia e logica motivazione del diniego delle attenuanti generiche,
basandosi sugli elementi indicati dall’art. 133 c.p., e analizzando la gravità del fatto, l’intensità del
dolo, il comportamento dell’imputato durante e dopo l’omicidio e la condotta processuale.
Il ricorrente non fa che proporre considerazioni in fatto, tentando di ricostruire quanto avvenuto in
maniera difforme da ciò che risulta dalla sentenza, senza in alcun modo dimostrare la manifesta
illogicità della motivazione o il travisamento di dati probatori.
La considerazione difensiva, secondo cui la ricostruzione operata dalla Corte territoriale costituisce
soltanto una tra quelle possibili, è generica: la sentenza ricostruisce in dettaglio i fatti e fornisce
adeguata spiegazione della adozione di quella specifica ricostruzione, cosicchè la rappresentazione
astratta di ricostruzioni alternative non integra un motivo ammissibile.
La presentazione del motivo della gelosia in senso favorevole all’imputato come stato emotivo e
passionale che, in qualche modo, può incidere sulla applicazione delle attenuanti generiche – contrasta
con l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che ritiene, al contrario, che la gelosia
integri l’aggravante dei motivi futili (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P, Rv. 278082).
2. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, emergendo profili di colpa nella
presentazione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2022