Comunione dei beni: un regime ancora attuale? La diversa consistenza economica impiegata da parte di ciascun coniuge per la famiglia.

di Michela Labriola
Il regime legale della comunione dei beni subisce, non da ora, una scarsa attuazione nei matrimoni italiani. Lo spirito iniziale con cui era stato concepito,con la riforma del1975,che mirava alla equiparazione tra i coniugi in ragione dei diversi contributi economici e di attività domestica forniti, negli anni si è andato perdendo atteso un maggiore ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Senza dubbio, le consistenze patrimoniali c.d. personalissime utilizzate per la famiglia,da parte di ciascun coniuge in regime di comunione dei beni,e la rilevanza dei diversi contributi apportati,assumono un particolare rilievo nel momento della crisi matrimoniale e,quindi,dello scioglimento della comunione stessa.Tra le cause di scioglimento della comunione legale, a norma dell’art. 191 cod.civ.,c’è la cessazione degli effetti civili del matrimonio, che comporta, com’è noto,un affievolimento del principio solidaristico tra i coniugi evento che induce il coniuge più ricco a rivendicare il recupero, venuto meno l’affetto, della maggiore consistenza patrimoniale personale impiegata. Di conseguenza, l’esigenza del coniuge che ha maggiormente contribuito alla formazione del patrimonio familiare è quella di vedersi riconosciuta una quota più consistente in sede divisionale,dall’altro lato, il coniuge che ha diritto all’assegno di mantenimento o divorzile potrà contare sui parametri di cui all’art. 5,co. 6,L.898/1970ai fini di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali, in considerazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli exconiugi1, traendo,dalla maggiore consistenza messa a disposizione del coniuge onerato,elementi probatori a proprio vantaggio. È dibattuto il tema se lo scioglimento della comunione legale comporti il passaggio automatico al regime della comunione ordinaria,atteso che la comunione dei beni si atteggia come una comunione senza quote predefinite. La questione non è di poco momento poiché lo scioglimento della comunione di beni, confluiti in regime patrimoniale legale,non equivale ad 1Ex multis Cass. civ.,sez. I, 24febbraio 2021, n.5055, in Mass. Gius. Civ., 2021; Cass. civ., sez. I, 29 gennaio 2019, n. 2480,in Dir. & Gius., 2019, 30; Cass. civ., sez. I, 16maggio 2017, n.12196,in Foro it.,2017, 6, 1859; Trib. Siena, 6novembre 2018, n.1271, inwww.laleggepertutti.it(cons. 27 aprile 2021) eTrib. Bologna sez. I, 17 luglio 2018, in Il familiarista.it,25 settembre 2018.
automatica divisione degli stessi,la divisione è un atto eventuale e successivo;pertanto, si ritiene che, ad eccezione dei nuovi acquisti che saranno esclusi dal regime patrimoniale dopo lo scioglimento, il compendio vada ancora gestito ed amministrato con i criteri della comunione legale sino al momento della effettiva divisione2. La disciplina della divisione dei beni della comunione è prevista dall’art. 194 cod.civ. L’articolo specifica,al 1° comma, che la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo;non è una presunzione semplice e non sembra ammessa la prova contraria. Viene,dunque,affermato un principio di egualitaria ripartizione assolutamente in linea con la ratio cui si ispira l’intera disciplina della comunione legale, la quale assicura ai coniugi la possibilità di partecipare nella stessa misura alle vicende patrimoniali del nucleo familiare. È necessario, però, evidenziare come questo orientamento non sia sempre stato pacifico: la dottrina3, infatti, aveva già esaminato la possibilità,per il coniuge che avesse contribuito in maniera notevolmente superiore alla creazione del patrimonio familiare,di richiedere una ripartizione non egualitaria, però ciò è risultato in contrasto sia con il principio generale di cui si è detto, sia con il dovere dei coniugi di contribuire ognuno in relazione alla propria capacità lavorativa, inoltre, tale soluzione minoritaria avrebbe per di più implicato una serie di difficoltà tecniche. Benché lo stesso spirito della comunione dei beni, quale regime legale, sia nel senso di assicurare la tutela per il coniuge che apporti all’interno della famiglia una prestazione di fatto più che di danaro4, come già detto, al momento della dissoluzione del matrimonio tale diversità di contributi personali può rappresentare un eccessivo sacrificio patrimoniale da parte di uno dei due. Per esempio, nel caso di un matrimonio di breve durata5,in regime di comunione dei beni, durante il quale sia stata co-acquistata la casa familiare (assegnata poi al genitore collocatario dei figli minori)con l’utilizzo di somme personali versate da uno solo dei due coniugi,il mancato godimento dell’abitazione da parte di quest’ultimo non solo può costituire un sacrifico patrimoniale ma, in ragione della comproprietà della casa familiare, il diverso impiego di somme personali per l’acquisto non sarà tenuto in considerazione nel momento della quantificazione dell’assegno di mantenimento. È indubbio come lo scioglimento della comunione dei beni sia evento che non incida solamente in ragione della possibile divisione della residualità delle consistenze rimaste dopo la separazione –c.d. comunione de residuo o comunione differita-ma anche sugli eventuali diritti al rimborso o di credito reciprocamente vantati6. 2DE PAOLAe MACRÌ,Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978.3E.RUSSO, Il denaro e l’ambito della surrogazione dei beni personali, in L’oggetto della comunione legale e i beni personali, Artt. 177-199. Il Codice Civile Commentario(a cura di P.SCHLESINGER), Milano, 1999, pag. 225, il quale sostiene che si debba ritenere possibile provare l’acquisto di un bene come personale a seconda della prevalenza del denaro impiegato.4M.COSTANZA, Rapporti patrimoniali e autonomia privata in Il nuovo diritto di famiglia, a cura di G.FERRANDO, Bologna 2011, pag.264, secondo la quale la contitolarità degli acquisti è giustificata, nel regime di comunione, da una compartecipazione reale da parte di entrambi i coniugi. 5Si pensi ad un apporto del coniuge c.d. debole non di tale entità da giustificare la con titolarità di un immobile.6Parte prevalente della dottrina ha sostenuto non trattarsi di ultrattività della comunione legale che, così opinando, cesserebbe i propri effetti al momento della divisione, v. sul punto Note introduttive agli artt. 186 ss., in Commentario al diritto italiano della famiglia,a cura di G.CIAN,G.OPPO,A.TRABUCCHI, III, Padova, 1992, pag. 230 ss. Inoltre, parte della dottrina ha ritenuto applicabile la disciplina della divisione ereditaria sul punto v. ALAGNA, Lo scioglimento della comunione legale: osservazioni e proposte, in Studi sulla riforma del diritto di
Sotto quest’ultimo aspetto, la Corte di Cassazione7ha escluso la possibilità che uno dei coniugi possa chiedere al giudice il riconoscimento, in sede di divisione, di una quota diversa rispetto al 50% contemplato dalla norma. La Suprema Corte osserva che la divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa, con effetto ex nunc, per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate nell’art. 191 c.c., si effettua in parti eguali, secondo il disposto del successivo art. 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all’acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice [ art. 1101 c.c. ], superabile mediante prova del contrario. Di conseguenza, nessuna automatica trasformazione sembra esserci dallo scioglimento della comunione dei beni alla comunione ordinaria, la cui eventuale divisibilità ha differenti modalità operative. Al di là delle ipotesi della comunione convenzionale, di seguito si esaminano alcune eccezioni alla regola generale. a)L’esclusione dal co-acquisto L’art. 179 cod.civ.,che enumera i«beni personali»,elenca le ipotesi di esclusione dei beni dalla comunione e sancisce che “non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali: (…) f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto”.Ciò si verifica, tra l’altro,quando, il prezzo di acquisto sia, nel suo ammontare complessivo, proveniente dalla vendita di un bene personale ovvero quando vi sia uno «scambio»(permuta), cosa che comporterà la titolarità di un solo coniuge che acquista per surrogazione. Nel momento in cui si procede alla divisione dei beni della comunione,a seguito di scioglimento,è possibile far accertare l’esclusione della comproprietà di un immobile acquistato con somme provenienti dalla vendita di un bene personale solo nei casi previsti dalla legge. Per quanto concerne la mancata dichiarazione da parte del coniuge non acquirente non è contemplata l’ipotesi per cui l’esclusione possa desumersi da fatti concludenti, ritenendosi condizione necessaria la partecipazione del coniuge all’atto e la sua la dichiarazione. Una deroga a tale ipotesi, come si vedrà, è frutto di costruzione giurisprudenziale. Sulla natura confessoria della dichiarazione, di recente la S.C.8ha ribadito il principio per cui l’esclusione dal co-acquisto, da parte del coniuge non acquirente intervenuto nell’atto, può subire un’azione di accertamento per la verifica circa l’effettiva natura di bene personalissimo impiegato nella trasformazione o circa la genuinità della dichiarazione stessa. famiglia, Milano, 1973, 505.Cfr.Cass.civ.,sez. I, 5aprile 2017, n. 8803, in. Mass.Giur., 2017. Contra Cass. civ., 24 luglio 2003, n.11467, cit. 7Cass. civ., 24 luglio 2003, n.11467, in Foro it., 2003, I,2966,connota di G.DE MARZO.8Cass. civ.,sez. II, 14 novembre 2018, n.29342 inRiv. Not., 2019, 1, II, 185 per cui “La dichiarazione resa nell’atto dal coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, comma 2,c.c., in ordine alla natura personale del bene, si pone, peraltro, come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c.”.
Tale verifica è stata ammessa dalle Sez. Un.9ad esclusiva tutela del coniuge estromesso dall’acquisto –per riportare l’immobile in comunione -. La stessa norma, sempre a tutela del coniuge non acquirente,è soggetta ad interpretazione restrittiva, nonostante due datate sentenze della Corte di Cassazione10abbiano sostenuto che la dichiarazione che deve essere effettuata nell’atto pubblico, di cui parla la norma, debba ritenersi essenziale esclusivamente nei casi in cui sia incerto se l’acquisto sia stato effettuato o meno con l’investimento di denaro proprio (avuto in donazione, eredità, o che sia frutto dello scambio o investimento di beni egualmente personali);tuttavia,la giurisprudenza prevalente ritiene di dover seguire una interpretazione letterale dell’art. 179, co.1, lett. f) cod.civ., sottolineando come la locuzione “purché” non consenta di ipotizzare casi in cui la dichiarazione risulti superflua: questa, d’altro canto, rappresenta una tutela proprio per il coniuge acquirente e deve essere espressa. Quindi, ove il consenso del coniuge pretermesso non sia supportato dalla prova effettiva della natura del bene quale personalissimo-ovvero tra quelli elencati nell’art. 179 cod. civ.–ciò non sarà sufficiente ad escludere il bene dalla comunione. Ciò non toglie, però, ai coniugi la possibilità di accordarsiper una divisione non egualitaria, esclusivamente dopo lo scioglimento della comunione legale, in virtù dei principi di libertà negoziale e di disponibilità della quota caratterizzante la comunione ordinaria. b)Prevalenza della provvista impiegata per il co-acquisto Altra è l’ipotesi in cui la casa familiare, co-acquistata con atto pubblico,sia stata pagata utilizzando prevalentemente somme personali da parte di uno dei coniugi con il ricavato della vendita di un immobile di sua proprietà e il residuo prezzo con la spendita di danaro della comunione. Ci si è chiesti se sia possibile far rientrare tale questione tra quelle di esclusione del co-acquisto. La risposta è negativa, infatti, non è possibile, per escludere il detto bene dalla comunione,fornire la prova della prevalenza della provvista impiegata. In questo caso non è ipotizzabile estromettere il bene entrato in comunione per atto pubblico, attesa la tassatività dell’art. 2647 cod.civ.,che prevede l’obbligo di trascrizione degli atti di acquisto di beni personali a norma delle lettere c), d), e), ed f) dell’art. 179 a carico del coniuge titolare del bene escluso e che cessa di far parte della comunione. Di conseguenza, un atto trascritto, relativo ad un bene caduto in comunione avrà valore inter partes ed erga omnes, mentre, dimostrando l’elusione delle norme sulla comunione, un bene,erroneamente inserito in atto come «bene personale»,potrà rientrare in comunione. 9Cass.civ.,Sez. Un., 28 ottobre 2009,n. 22755,in Resp. civ. e prev.,2010, 2, 458.Il coniuge non acquirente può successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall’altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. Tuttavia, se l’intervento adesivo ex art. 179, comma 2, c.c., assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell’esclusione del bene dalla comunione, l’azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui è ammessa dall’art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l’intervento adesivo exart. 179, comma 2, c.c., assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati.10Cass. civ.,18 agosto 1994, n.7437 e Cass. civ., 8 febbraio 1993, n.1556.
Il dubbio è se sia ammissibile, quindi, per il coniuge che ha impiegato provviste personali considerevoli per l’acquisto di beni ricaduti in comunione, e che al momento della divisione voglia differenziarne le quote in base agli apporti personali,farsi riconoscere un diritto di credito nei confronti dell’ex coniuge.La dottrina meno recente11ha previstola possibilità di utilizzare i mezzi di prova per poter accertare che una particolare proprietà, in base al momento dell’acquisto, sia stata pagata con danaro in parte personalissimo e in parte della comunione (attuale o de residuo)pertanto, se è impiegato in prevalenza danaro personalissimo il bene acquisito sarà personale, salvo l’obbligo di rimborso ai sensi dell’art. 192 c.c. Ma sull’ammissibilità del rimborso e delle restituzioni va segnalato, tra gli altri, un recente provvedimento12che ha osservato come, ai sensi dell’art. 192, co.3,cod. civ., nel concetto di rimborsi e restituzioni non sia da ricomprendere l’impiego delle somme versate per l’acquisto di un immobile caduto in comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l’art. 194, co. 1, cod.civ., ma vanno restituiti solo gli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune. Quindi, la procedura di divisione della comunione, ai sensi dell’art. 194 cod.civ.,non presenta dubbi interpretativi sulla natura dei Rimborsi e restituzioni dovuti all’art. 192,co. 3,cod.civ.,che sono dovuti al coniuge che ha utilizzato, in favore della comunione, somme personali dirette al miglioramento o all’accrescimento del bene in comunione. Tuttavia, di recente, nel tentativo di allentare le strette maglie d iprincipî propri di una legislazione che, in passato, si era mostrata desiderosa di alleggerire il coniuge «debole» dalla dipendenza economica ed era apparsa incurante dei rischi della limitazione della libera circolazione dei beni, alcuni autori si sono espressi in senso contrario. Si è sottolineato quanto la sorte dell’acquisto effettuato solo in parte mediante impiego di risorse personali e per la rimanenza con la spendita di danaro della comunione, possa trovare una soluzione de iure condendo, in quanto, nel silenzio della legge, pare sostenibile un regime di comproprietà indivisa tra titolarità personale e titolarità in comunione legale, in quote proporzionali all’incidenza dei rispettivi apporti13. La portata delle tutele previste con la riforma,che ha inserito la comunione dei beni quale regime legale patrimoniale, nell’attuale contesto socio economico deve essere rivista. Vanno contemperate le posizioni di ex coniugi, in quanto tali meno legati da motivazioni affettive e di solidarietà,che soffrono,al momento dell’attività divisionale, a causa di una condivisione patrimoniale di parità di quote, a beneficio, spesso, di una sola parte, valutandosi che, in alcune particolari ipotesi,ci si potrebbe trovare in presenza di una sorta indebito arricchimento,per esempio con l’impoverimento del coniuge che ha maggiormente impiegato quote personali nella comunione e, viceversa, miglioramento economico del coniuge debole. La soluzione potrebbe essere quella di attribuire alla disciolta comunione dei beni natura di comunione ordinaria, la cui disciplina divisionale consente di fornire, ove possibile,la prova contraria alla presunzione semplice sulla uguaglianza delle quote. 11E. RUSSO, op. cit.12Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2012, n.19454, in Mass. Giust. Civ. 2012, 11, 1283;in senso sostanzialmente conforme cfr. Cass.civ.,24 maggio 2005,n. 10896.13G.OBERTO, I beni personali. Il nuovo diritto di famiglia. Trattato diretto da G.FERRANDO, Bologna, 2011, pag. 425.