La sopravvenienza di figli in capo all’adottante non comporta la revoca dell’adozione di persona maggiorenne

TRIBUNALE DI ROMA
PRIMA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5532/2017 promossa da: M.G.P., in proprio ed unitamente ad A.A. n.q. di legale rappresentante dei minori M.G. e M.P.P., rappresentati e difesi dall’ Avv. Antonio Catricalà, presso il di lui studio elettivamente domiciliati in Roma, via Vittoria Colonna n.40, giusto mandato in atti ATTORI controM.M.M., rappresentato e difeso dagli Avv. Giulia Sarnari e Avv. Saveria Francesca Caporale, elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Nicotera, 29, presso lo studio della prima, giusto mandato in atti CONVENUTO E M.B.D.M.M.R., elettivamente domiciliata in Cosenza, via Tagliamento 15, presso lo studio legale Testa Mungo, rappresentata e difesa, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione, dall’Avv. Antonio Testa CONVENUTA e con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale INTERVENUTO
OGGETTO: adozione di maggiorenne
Svolgimento del processo -Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori convenivano in giudizio M.M.M. e M.B.D.M.M.R. al fine di far accertare e dichiarare, in via principale, la nullità sopravvenuta della adozione dei convenuti da parte dell’attore G.M. pronunciata dal Tribunale Civile di Roma con sentenza del 5 luglio 2002, essendo venuto meno il requisito essenziale della mancanza di discendenti previsto dall’art. 291 c.c. per avere concepito i figli G. Jr. e P.P.; in via subordinata, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 305, 306 e 307 c.c. nella parte in cui non prevedeva tra i casi di revoca dell’adozione dei maggiorenni l’ipotesi di sopravvenienza di figli minori per violazione dell’articolo 3 della Costituzione, la sospensione del giudizio e all’esito positivo del procedimento innanzi alla Corte Costituzionale, revocare l’adozione dei convenuti, in ragione della sopravvenienza di figli naturali, disponendo, in ogni caso, che gli stessi fossero privati del cognome M..Deducevano gli attori a sostegno della domanda che: in data 5 luglio 2002 il Tribunale di Roma dichiarava l’adozione dei convenuti-collaboratori dell’attore nella agenzia di stampa in sua titolarità-, previa verifica dei requisiti di cui all’art.291 c.c.; che successivamente, dall’unione di G.M. con A.A., nascevano nell’anno 2008 i figli G. e P.; che i minori erano lesi dall’adozione dei convenuti da parte del padre, deducendo, peraltro, che i rapporti si erano in seguito deteriorati; che la mancanza sopravvenuta di uno degli elementi essenziali dell’art.291 c.c. (e, segnatamente, i figli minori) e la conseguente perdita della capacità di adottare incidevano sulla validità dell’adozione, evidenziandone il carattere negoziale e precisando, inoltre, che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva ritenuto lapossibilità del venir meno del vincolo dell’adozione in presenza di ragioni sufficienti ai sensi dell’art. 8 CEDU, qui ravvisabile nel preminente interesse dei figli minori. Rilevavano, inoltre, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale degli artt.305, 306, 307 del c.c. per violazione dell’art.3 Costituzione per non prevedere la revoca nel caso di sopravvenienza di figli naturali, in considerazione del diverso trattamento legislativo previsto per la donazione (art.803 c.c.), di cui era possibile la revoca in ipotesi di sopravvenienza di figli, essendo identici i presupposti meramente patrimoniali dei due istituti.Si costituiva M.M.M. che, previa contestazione della ricostruzione dei fatti come prospettata dagli attori, chiedeva il rigetto della domanda di nullità sopravvenuta dell’adozione, precisando trattarsi di atto non negoziale ma giudizialmente disposto, nonché che fosse dichiarata inammissibile la subordinata domanda di revoca dell’adozione per avvenuta prescrizione del diritto e/o improcedibile per decadenza dall’azione, con rigetto nel merito perché infondata in fatto ed in diritto, mentre infondata era la questione di legittimità costituzionale con riferimento alla diversità di trattamento di cui alla disciplina dell’art.803 c.c. in tema di donazione, essendo diversi gli ambiti di applicazione dei due istituti, con conseguente condanna della controparte al pagamento delle spese di giudizio, nonché ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.Si costituiva in giudizio M.B.D.M.M.R. che chiedeva il rigetto delle domande attoree, deducendo l’insussistenza di ipotesi ulteriori di nullità oltre a quelle tassativamente previste, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art.803 c.c., l’insussistenza di ipotesi di revoca dell’adozione oltre quelle normativamente previste.Concessi i termini di cui all’art.183, VI co. c.p.c., non ammesse le prove orali di parte convenuta M., istruito documentalmente il procedimento, all’udienza del 27.1.2020 le parti concludevano come in epigrafe e la causa era rimessa al Collegio per la decisione, con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Preliminarmente, deve rilevarsi l’applicabilità al presente procedimento della sospensione dei termini processuali disposta dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18 a far data dal 9 marzo 2020 sino al 15 aprile 2020, termine poi prorogato con D.L. dell’8 aprile 2020, n. 23 all’11 maggio 2020.Sempre in via preliminare, il Collegio ritiene di condividere l’ordinanza istruttoria del 18.12.19 per essere le prove orali articolate irrilevanti alla luce del thema decidendum.Prima di esaminare la domanda attorea, occorre svolgere premesse di ordine generale.Come è noto, l’adozione di maggiorenne è stata introdotta dalla riforma del 1983 ed ha preso il posto dell’antica adozione ordinaria, che concerneva originariamente sia i maggiorenni che i minori superiori agli anni otto, mentre per i minori degli anni otto si applicava l’adozione speciale prevista nella L. n. 431 del 5 giugno 1967.A seguito della riforma, l’adozione ordinaria è stata circoscritta all’adozione di maggiorenni come disciplinata dagli artt.291 e ss. del c.c. che, pur essendo istituto utilizzato a trasmettere il nome ed il patrimonio è ritenuto attualmente funzionale a dare veste giuridica ad un rapporto personale ed affettivo che, nella maggioranza dei casi è già di fatto sussistente tra adottante ed adottato (ad es. perché figlio dell’altro coniuge o per consuetudine di affetti), cui consegue il rilevante interesse morale all’aggiunta del cognome adottivo, attraverso uno strumento più duttile rispetto all’analogo strumento previsto per l’adozione di minorenne (cfr., Cass., 2426/2006).Ne consegue, pertanto, che alla luce della normativa precitata, l’adozione di maggiorenni, pur perseguendo fini prevalentemente privatistici, inerenti alla tutela degli esclusivi interessi dell’adottante e dell’adottato, di natura principalmente successoria, è sottoposta ad un controllo pubblicistico da parte dell’ordinamento circa la rispondenza di siffatta adozione all’interesse dell’adottando e ciò in considerazione del conferimento dello status di figlio adottivo all’adottato maggiorenne, che si aggiunge al precedente stato familiare.Al riguardo, mentre la normativa anteriore prevedeva che ” l’adottato aggiunge al proprio il cognome dell’adottante”, il legislatore del 1983, per sottolineare il rilievo che assume lo stato adottivo e la creazione del nuovo rapporto giuridico (che, tra l’altro, obbliga entrambe le parti agli alimenti legali) ha espressamente stabilito che l’adottando assume il cognome dell’adottante anteponendolo al proprio, né sono ammesse eccezioni (cfr., al riguardo, sulla non irrazionalità dell’anteposizione del cognome dell’adottante, Corte Cost. n. 120 del 2001).Data la natura pubblicistica dell’adozione di maggiorenne, il provvedimento che pronuncia l’adozione (in precedenza il decreto e, con la modifica effettuata con la novella del 2001, la sentenza) è costitutivo dell’adozione, producendo effetti direttamente incidenti sullo status, ciò che garantisce stabilità al nuovo rapporto, stabilità comprovata dalla circostanza della previsione della sua revocabilità soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge (artt.305-309 c.c.) in conseguenza di fatti sopravvenuti.In tal senso, secondo parte della giurisprudenza a cui questo Collegio ritiene di aderire (cfr., Cass. 16.7.04, n.13171), avendo la pronuncia carattere decisorio e definitivo, i vizi sia processuali che
sostanziali che eventualmente la inficiano si convertono in motivi di impugnazione e possono essere fatti valere esclusivamente con il mezzo dell’impugnazione previsto dall’ordinamento, con la conseguenza che la decadenza dell’impugnazione comportache gli stessi in applicazione del principio stabilito dal’art. 161 c.p.c. non possono essere più dedotti, nemmeno con l’actio nullitatis, esperibile nei limitati casi in cui la pronuncia sia stata emessa in assoluta carenza di potere giurisdizionale, in riferimento ad un provvedimentoche si configura come abnorme.In tale ottica, l’adozione è un atto giudiziale, ove i consensi e gli assensi dei singoli interessati assumono la connotazione di presupposti dell’atto, ossia le condizioni che il Tribunale deve verificare prima di emettere la pronuncia costitutiva, e, successivamente ad essa, non possono essere impugnati autonomamente per un eventuale loro vizio, in quanto la valutazione della manifestazione di colui che ha prestato il consenso resta assorbitanella decisione giurisdizionale passata in giudicato, e non può, pertanto, trovare più tutela se non nell’ambito dei rimediimpugnatori del provvedimento.La natura giudiziale dell’adozione di maggiorenne appare, a parere del Tribunale, coerente con il principio generale dell’indisponibilità negoziale degli stati familiari, trovando ulteriore conferma nella mancata previsione, da parte del legislatore dell’impugnazione dell’adozione per vizi della volontà dei dichiaranti.Deve, peraltro, sottolinearsi come, anche per quella parte della giurisprudenza secondo la quale l’istituto avrebbe, invece, carattere negoziale (cfr., in termini, Cass.4694/ 1992; Cass. 4461/83), l’azione di annullamento dell’adozione (ad es., per incapacità naturale dell’adottante o per vizi del consenso) riguarda esclusivamente vizi genetici dell’atto.Inoltre, in mancanza di una espressa disposizione normativa circa le persone legittimate a far valere la situazione invalidante, si esclude che possa trovare applicazione la disposizione generale dell’art.428 c.c., -che consente l’esercizio dell’azione anche agli eredi e agli aventi causa -in quanto volta a tutelare interessi essenzialmente patrimoniali, con la conseguenza che soggetto a legittimato a proporre l’azione di impugnazione del consenso dell’adottante è soltanto l’adottante stesso, titolare della posizione soggettiva in contestazione, dovendo tale azione considerarsi esclusivamente personale e non trasmissibile (cfr. Cass. 4694/92, cit., Cass. 2520/75).Anche in ipotesi di actio nullitatis, i vizi dell’atto (sia optando per la tesi negoziale che per quella giudiziale, in quest’ultima ricostruzione nei limitati casi in cui la pronuncia sia stata emessa in assoluta carenza di potere giurisdizionale) sono comunque sempre genetici, non essendo prevista dall’ordinamento un’invalidità dell’atto per fatti sopravvenuti (e, comunque, nelle fattispecie di elaborazione giurisprudenziale, come ad esempio in tema di anatocismo degli interessi bancari, non tali da inficiare la validità e l’efficacia del negozio costitutivo, cfr. SU 24675/17).Alla luce di tali considerazioni, non meritevole di accoglimento è la domanda svolta in via principale dagli attori (in proprio e quale rappresentante dei figli minori, M.G. e quale rappresentante dei figli minori A.A.) di nullità dell’adozione dei convenuti di cui alla pronuncia (passata in giudicato del Tribunale di Roma del 5 luglio 2002, per essere venuto meno, in considerazione della sopravvenienza dei figli minori, il requisito previsto dall’art.291 c.c.(per cui soltanto il soggetto privo di discendenti legittimi, ovvero, con discendenti maggiorenni, ma consenzienti, può procedere
all’adozione), trattandosi, invero, di evento sopravvenuto come tale non idoneo ad incidere sulla validità dell’atto compiuto oggetto di verifica giudiziale costitutiva di status.Inoltre, l’esistenza di un impedimento di legge preesistente all’adozione configurerebbe, comunque, un vizio la cui sussistenza al momento della pronuncia costitutiva dello status dovrebbe essere fatta valere nei termini di impugnazione della sentenza.Passando all’esame della domanda svolta in via subordinata dagli attori di revoca dell’adozione per sopravvenienza di figli minori, contestualmente ponendo la questione di legittimità costituzionale degli articoli 305, 306 e 307 c.c. nella parte in cui non prevedono tra i casi di revoca dell’adozione dei maggiorenni l’ipotesi di sopravvenienza di figli minori, in considerazione, in primo luogo, del diverso trattamento legislativo previsto per la donazione (art.803 c.c.), in cui è possibile la revoca in ipotesi di sopravvenienza di figli, essendo a loro dire identici i presupposti meramente patrimoniali dei due istituti ed, in secondo luogo ed in generale, per violazione dell’articolo 3 della Costituzione, lamentando la lesione dell’interesse dei figli minori, si osserva quanto segue.E’ noto che a tenore dell’art.291 c.c. l’adozione delle persone maggiori di età è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, ciò sul presupposto della tradizionale funzione dell’istituto di dare un figlio a chi non ne ha, per rendere possibile una discendenza elettiva, attributiva del cognome e della qualità di erede.Tale condizione è stata temperata dall’intervento della Corte costituzionale, che ha consentito l’adozione anche a chi ha già una discendenza di sangue (cfr., sent.245 del 20 luglio 2004 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 del codice civile, nella parte in cui non prevede che l’adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di figli naturali, riconosciuti dall’adottante, minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti).Attualmente, dunque, il divieto di adottare è limitato per chi abbia figli minorenni legittimi, legittimati e naturali e per coloro che abbiano figli maggiorenni legittimi, legittimati e naturalinon consenzienti all’adozione.Secondo gli attori, attesa la natura prettamente patrimoniale dell’adozione di maggiorenne, anche qualora non inficiante l’atto nella sua validità, la sopravvenienza di figli minori dovrebbe costituire motivo di revoca dell’adozione -come previsto, in fattispecie analoga, per la donazione-pregiudicando, diversamente, i diritti (in particolare di carattere successorio) dei figli minori, ciò trovando coerenza con l’espresso divieto normativo di consentire l’adozione in ipotesi di figli minori (che, diversamente dai maggiorenni, non possono valutare la portata dell’atto da compiersi né, conseguentemente, prestare validoconsenso).La tesi attorea non è condivisibile.Occorre partire dal presupposto che, secondo la ricostruzione dell’istituto, lo stato di figlio adottivo è considerato uno stato definitivo della persona, così da ammettere all’art. 305 del codice civile una limitatissima possibilità di revoca mediante sentenza del tribunale, come disciplinata, in via tassativa, dai successivi artt.306 e 307 c.c.: la revoca può essere pronunziata su domanda dell’adottante in caso di indegnità dell’adottato, o su domanda dell’adottato in caso di indegnità dell’adottante, domande su cui è competente a pronunciarsi il Tribunale del luogo di residenza dell’adottante, con l’intervento obbligatorio del P.M., trattandosi di controversia in materia di status.
E’ significativo, in relazione alla tutela che l’ordinamento appresta agli interessi dell’adottato che la pronuncia ha efficacia costitutiva, facendo venir meno gli effetti dell’adozione dal suo passaggio in giudicato, con la sola eccezione per il caso di revoca pronunciata dopo la morte dell’adottante per fatto imputabile all’adottato, che retroagisce, ma limitatamente ai soli effetti successori, alla morte dell’adottante.Costituiscono peculiari casi di indegnità l’attentato all’adottato o dell’adottante alla vita, rispettivamente, dell’adottante o dell’adottato o del loro coniuge, discendenti o ascendenti o la commissione nei loro confronti di un reato punibile conpena non inferiore a tre anni.Conseguentemente, la revoca dell’adozione, con la quale viene meno ogni effetto di essa (cognome, diritti successori, alimentari, ecc.) può essere pronunciata soltanto per fatti tassativi e particolarmente gravi -comunque sempre sopravvenuti rispetto allapronuncia -più gravi e limitati rispetto ad altre situazioni per certi versi ad essa assimilabili, come, ad esempio l’indegnità a succedere ex art. 463 c.c. e la revocazione della donazione ex art. 801 c.c. e ciò al fine evidente di apprestare all’istituto, per le sue rilevanti conseguenze sullo status dei soggetti, di particolari garanzie di stabilità.In tal senso, la previsione di ipotesi tassative e non suscettibili di applicazioni analogica della revoca dell’adozione del maggiorenne integrano una sorta di sanzione ad un comportamento particolarmente negativo del soggetto.Il disfavore dell’ordinamento nei confronti di eventi sopravvenuti tali da incidere-se non nelle richiamate eccezionali ipotesi-sullo status di adottato è confermata dall’abrogazione da parte del legislatore del 1983 della revoca per ragioni di buon costume prevista dalla disciplina anteriore (art.308 c.c.), ragioni che erano generalmente collegate all’esigenza di protezione del fanciullo.Svolte tali considerazioni, non fondata è la questione di costituzionalità prospettata dagli attori per disparità di trattamento ex art.3 Cost. con riferimento alla diversa disciplina dettata in materia di donazione dall’art.803 c.c. (che, prevede, per l’appunto, la revoca dell’atto donativo fatto da chi non aveva o ignorava di avere figli al tempo della donazioni) per essere diversa la ratio e la funzione dei due istituti, essendo quello regolato dall’art.803 c.c. teso a salvaguardare un interesse di carattere eminentemente patrimoniale del donante, consentendogli una rivalutazione dell’opportunità dell’atto di liberalità di fronte al fatto sopravvenuto della nascita di figli, mentre l’eventuale revoca dell’adozione verrebbe ad incidere (peraltro, con effetti ex tunc) sullo status del soggetto come acquisito in conseguenza dell’adozione.Del pari non fondato è l’ulteriore profilo di legittimità delle norme degli artt.305 e ss. per la mancata previsione di revoca per sopravvenienza di figli, sollevata dagli attori con riferimento, in via generale,all’art.3 della Costituzione, lamentando in tal modo la lesione degli interessi di figli minori venuti in vita successivamente all’adozione.Al riguardo, nel bilanciamento tra opposti interessi -da un lato, quello prevalentemente di natura patrimoniale e successoria dei figli legittimi dell’adottante e, dall’altro, quello non soltanto di carattere patrimoniale e successorio ma, congiuntamente e previamente, anche quello morale e pubblicisticamente rilevante al mantenimento dello status di figlio adottivodell’adottato -non può essere ritenuto prevalente quello dei figli legittimi successivamente venuti alla vita.
Ed invero, se, come già in precedenza evidenziato, non si può disconoscere che l’adozione di persone maggiori di età sia stata concepita, sin dal diritto romano, come istituto volto a rendere possibile una discendenza elettiva e che tale funzione abbia successivamente mantenuto, non si può soggiacere come l’attuale finalità dell’adozione ordinaria non sia più soltanto quella tradizionale di consentire la trasmissione del cognome e della qualità di erede dell’adottante, ma anche per formalizzare rapporti affettivi (ad es. quello creatosi tra un coniuge ed i figli dell’altro coniuge o rapporti di accoglienza e consuetudine tra gli interessati già sperimentati e concretamente vissuti, come accaduto anche nel caso di specie), in tal modo consolidando l’unità familiare e consentendo all’adottato, in considerazione dello status conseguito e dell’importante interesse morale all’anteposizione del cognome adottivo, una diversa riconoscibilità tra i consociati.In tale ottica di favor per l’adozione di maggiorenni anche in presenza di figli dell’adottante si pongono le pronunce del Giudice delle leggi(la sent. 245/04, ma, già in precedenza, la sent.557/88), che hanno eliminato il divieto di adozione anche in ipotesi di figli maggiorenni se consenzienti, in tal modo consentendo l’adozione di maggiori di età anche in presenza di discendenti di sangue.In caso di sussistenza di figli maggiorenni, qualora gli stessi dissentano dall’adozione, il bilanciamento degli interessi di chi fa già parte della famiglia legittima, da un lato, ed il favor verso l’istituto dell’adozione, dall’altro, è risolto, correttamente, a favore di chi è già parte della famiglia legittima, per le conseguenze che ne deriverebbero (pur senza essere parti del rapporto) dalla costituzione del vincolo.Coerentemente, per i figli minori già presenti nella famiglia legittima-proprio perché non capaci di prestare valido consenso (né potendo lostesso essere validamente in loro vece prestato da terzi) la tutela dell’ordinamento è massima, essendo del tutto vietata, in tal caso, l’adozione di soggetti maggiorenni.Né, in tali ipotesi (figli maggiori dissenzienti o figli minori), si può ritenere ingiustamente compresso l’interesse dell’adottando ad entrare nella famiglia dell’adottato (come invece è previsto nell’ipotesi di adozione di soggetti minori).Come autorevolmente chiarito dalla Corte Cost. nella pronuncia 53/ 94, “mentre con l’adozione speciale l’ordinamento giuridico intende inserire in un’ idonea e stabile famiglia (preferibilmente già con figli) un minore moralmente e materialmente abbandonato -e per questo interesse prevalente ritiene secondaria l’eventuale soddisfazione ridotta degli interessi personali e patrimoniali dei figli legittimi (anche se minorenni) degli adottanti -, nel caso invece dell’adozione ordinaria il legislatore non ha riscontrato analogo interesse prevalente, in quanto l’adottando non solo é maggiorenne e continua ad essere legato ai propri genitori, ma, entrando anche in una seconda famiglia, assorbe una parte degli interessi morali e patrimoniali del figlio minore, legato soltantoalla famiglia dell’adottante”.L’interesse dell’adottando, non pregiudicato se non nei limiti del mancato ingresso nella famiglia dell’adottante per la presenza di figli minori o di maggiorenni dissenzienti, non può essere, a parere del Tribunale, viceversa sacrificato (con revoca della adozione ex tunc e perdita del cognome acquisito,come pure richiesto dagli attori) in ipotesi di sopravvenienza di figli, né appare lesiva degli interessi della prole sopravvenuta la mancata previsione positiva in tal senso, in relazione al dettato costituzionale.
Ed invero, come sopra evidenziato, la valida costituzione del vincolo adottivo in presenza dei presupposti normativamente previsti, come giudizialmente accertati, non può essere inficiata dalla successiva venuta meno di un requisito di validità (nella specie, la sopravvenienza di figli minori).Né tale evento sopravvenuto può portare alla revoca dell’adozione, in quanto, successivamente alla pronuncia, l’adottando acquisisce non soltanto diritti patrimoniali e successori, ma un nuovo status -di cui l’anteposizione del cognome dell’adottante al proprio rappresenta l’indice più evidente ed il segno della sua appartenenza alla famiglia dell’adottato-che, nel bilanciamento con gli interessi di carattere eminente patrimoniale e successorio della prole successivamente venuta alla vita, non può soccombere come invece, legittimamente, prima dell’adozione.Detto in altri termini, coerente con l’impianto costituzionale è sia il divieto normativo -antecedentemente all’atto adottivo -di procedere all’adozione di persone maggiori di età in ipotesi di figli maggiorenni non consenzienti o di minori, prevalendo in questo caso l’interesse di questi a salvaguardare i propri diritti patrimoniali su quello dell’adottando di avere riconoscimento giuridico al rapporto in essere con l’adottante, e ciò sulla scorta della sussistenza in suo capo di una famiglia d’origine edi una già detenuta riconoscibilità nella società, sia la mancata previsione positiva-oltre a quelle tassativamente previste-della perdita di status di figlio adottivo per sopravvenienza di figli legittimi, in considerazione della prevalenza che va riconosciuta, dopo l’avvenuta costituzione, all’interesse al mantenimento dello status e della riconoscibilità tra i consociati in conseguenza dell’assunzione del cognome dell’adottante (nel caso di specie, i convenuti hanno assunto tale identità da quasi venti anni).Se, invero, in una valutazione ex ante (cioè al momento della pronuncia d’adozione), l’interesse dei figli minori e dei maggiorenni dissenzienti, per quanto esposto, è ex lege impediente all’adozione, tale interesse non può prevalere, sino a privare l’adottato dello status acquisito, in una valutazione ex post (e, ciò, dopo diversi anni il conseguimento dello status), non potendosi ravvisare in concreto una lesione degli interessi della prole legittima (di carattere eminentemente patrimoniale e successoria) idonea a prevalere sull’interesse anche morale dell’adottato a conservare lo stato di figlio adottivo, anche in considerazione della natura ontologicamente definitiva ed indisponibile degli status e della rilevanza pubblicistica dell’istituto dell’adozione anche nei confronti dei terzi.Né, infine, la normativa codicistica appare in contrasto con le indicazioni giurisprudenziali a livello comunitario ricordate dagli attori relativamente alla possibilità del venir meno del vincolo dell’adozione in presenza di ragioni sufficienti ai sensi dell’art. 8 CEDU, essendo previste, come si è visto, dall’ordinamento interno ipotesi di sopravvenuta inefficacia dell’adozione con indicazione delle relative ragioni (cfr. art.305 e ss. c.c. sopra richiamati), ipotesi non suscettibili di applicazione analogica e, per quanto esposto, coerenti con la ricostruzione dogmatica dell’istituto e conformi al dettato costituzionale.
In conclusione, la domanda non è meritevole di accoglimento.Non può essere accolta la domanda di parte convenuta M.M. di condanna degli attori ai sensi dell’art. 96 c.p.c., atteso che l’azione di parte attrice si è estrinsecata nella prospettazione di tesi giuridico fattuali risultate non fondate all’esito del giudizio, senza però che ciò possa essere ritenuto espressione di dolo o colpa grave. La giurisprudenza ha affermato che “La condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare solo dal fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi” (così Cass. n. 7101 del 1994; Cass. n. 19976 del 2005 e in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 15789 del 2007).Non risulta assolto dalla parte convenuta l’onere della prova in ordine alla sussistenza del dolo o della colpa grave. Sussistono giustificati motivi attesa la peculiarità e particolare originalità delle questioni di diritto trattate, per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel procedimento di primo grado iscritto al R.G.N.5532/17, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così decide:1) rigetta la domanda attorea; 2) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. di parte convenuta M.M.; 3) compensa le spese di lite.