L’adulterio non è considerabile come una mera infatuazione della moglie con un altro uomo

Cass. civ. Sez. I, Ord., 17 settembre 2020, n. 19324
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 29179/2018 proposto da:
T.M. e G.V., nella qualità di eredi di T.M., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati Gargano Simone e
Giulio Attilio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Procura Generale presso la Corte d’Appello di Milano, S.T.D. e T.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1161/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 5/3/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2020 dal cons. PAZZI
ALBERTO.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Como, con sentenza n. 633/2015, dichiarava inammissibile la domanda presentata
da T.M. e G.V. volta al disconoscimento di paternità del minore T.M., nato a (OMISSIS), dal
matrimonio del figlio premorto T.M. con S.T.D..
2. La Corte d’appello di Milano, a seguito dell’impugnazione presentata dagli attori, rilevava che gli
artt. 54 e 55 Codul Familie rumeno, da applicare alla fattispecie in esame ai sensi della L. n. 281 del
1995, art. 33, comma 3, e nel testo vigente al momento della nascita del bambino, prevedeva che
l’azione di disconoscimento di paternità potesse essere avviata soltanto dal presunto padre ed
eventualmente continuata dagli eredi, di modo che doveva essere esclusa la legittimazione ad agire
degli appellanti.
In ogni caso, anche a voler fare applicazione della legge sostanziale italiana, a parere dei giudici
distrettuali non era stata raggiunta la prova della conoscenza dell’adulterio asseritamente consumato
dalla convenuta soltanto nel mese di maggio del 2011, nel senso già rilevato dal primo giudice,
rimanendo così indimostrata la tempestività dell’iniziativa processuale assunta dagli eredi del
presunto padre.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 5 marzo 2018, hanno
proposto ricorso, illustrato da memoria, T.M. e G.V. prospettando tre motivi di doglianza.
Gli intimati S.T.D., Avv. Denise Canu, in qualità di curatore speciale del minore T.M., e il
Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/ falsa
applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 16 e 33 con riferimento all’avvenuta applicazione degli
artt. 54 e 55 Codul Familie rumeno nel testo vigente ratione temporis anziché dell’art. 246 c.c., in
quanto la disciplina nazionale regolante la fattispecie, prevedendo l’impossibilità per gli eredi del
defunto di agire direttamente in giudizio in mancanza di una precedente iniziativa del de cuius,
contrasterebbe con l’ordine pubblico interno e il diritto comunitario e doveva quindi essere
disapplicata, con conseguente ricorso alla normativa italiana.
4.2 Il secondo mezzo, sotto la rubrica “vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con
riferimento alla raggiunta prova della consapevolezza di T.M. dell’adulterio della moglie S.D. e
conseguente non paternità del figlio minore T.M. solo il 29.5.2011”, assume che tanto il Tribunale
quanto la Corte d’appello siano incorsi in un grave errore di valutazione dei fatti di causa e,
soprattutto, delle prove testimoniali assunte: la motivazione della decisione impugnata, richiamando
per relationem quella del Tribunale, sarebbe contraddittoria e incomprensibile laddove non tiene
conto delle prove offerte dagli attori e dell’assenza di prove contrarie ad opera della convenuta e
arriverebbe a risultati illogici e incompatibili rispetto al materiale probatorio in atti.
In particolare, a dire dei ricorrenti, risulterebbe provato per testi e documentalmente (dalla sentenza
di separazione resa fra le parti in Romania, al cui interno non era stato fatto alcun cenno alla
questione) che il T. avesse saputo con certezza dell’adulterio della moglie solo il 29 maggio 2011
(quando la donna nel corso di una telefonata aveva rivelato al coniuge di aver concepito il figlio con
un altro uomo), mentre l’eventuale precedente conoscenza di frequentazioni con altri uomini
avrebbe al più ingenerato dei dubbi nel presunto padre e sarebbe risultata quindi irrilevante al fine
di far decorrere il termine di decadenza di cui all’art. 244 c.c.
5. Le doglianze, da esaminare congiuntamente perchè tese a minare le due autonome rationes
decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento della decisione assunta, risultano ambedue
fondate.
5.1 La Corte d’appello, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 33, comma 3 ha applicato al minore,
figlio di cittadini rumeni, la legge nazionale in vigore al momento della sua nascita, costituita dagli
artt. 54 e 55 Codul Familiae previgente alla riforma introdotta dalla legge rumena 71/2011, secondo
cui l’azione per il disconoscimento della paternità poteva essere avviata soltanto dal marito,
presunto padre del bambino, mentre ai suoi eredi era data unicamente la possibilità di proseguire
l’azione da questi iniziata.
Il giudice nazionale, prima di procedere all’applicazione della disciplina straniera regolante la
fattispecie, deve però verificare se la stessa risulti contraria all’ordine pubblico internazionale, da
intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un
determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di
tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (Cass. 19405/2013).
L’applicazione della legge straniera, al di là della sua conformità o difformità alla normativa interna,
presuppone perciò l’accertamento della coerenza di tale disciplina con le esigenze di tutela dei diritti
fondamentali dell’uomo desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti
fondamentali dell’Unione Europea nonchè dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (Cass.
19599/2016) e deve tener conto anche del modo in cui detti principi si sono incarnati nella
disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza
costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente,
dal quale non si può prescindere nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme
dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass., Sez. U.,
12193/2019).
La norma di cui la Corte di merito ha fatto applicazione nel caso di specie contempla una
limitazione del diritto di accesso alla giustizia per gli eredi del presunto padre titolare dell’azione di
disconoscimento e non consente la proposizione dell’azione in caso di decesso dell’avente diritto
ove quest’ultimo non abbia agito in giudizio prima della sua morte, restringendo il diritto di
iniziativa processuale degli aventi causa alla sola prosecuzione del giudizio già instaurato.
Una simile limitazione contrasta non solo con il diritto di iniziativa processuale riconosciuto
dall’art. 24 Cost., art. 6 CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
che non tollera limiti ingiustificati, ma introduce anche, in violazione dell’art. 3 Cost., una
irragionevole disparità di trattamento fra eredi dell’originario titolare dell’azione a seconda del
comportamento processuale assunto da quest’ultimo in vita, giacchè il favor veritatis che ispira la
generale normativa sulla filiazione (in uno con i valori di certezza e stabilità degli status e dei
rapporti familiari) impone di ritenere che il presunto padre non possa considerarsi l’unico arbitro
dell’iniziativa volta al disconoscimento.
La norma straniera che risulterebbe applicabile in base alla L. n. 218 del 1995, art. 33 deve perciò
essere trascurata, stante il suo contrasto con l’ordine pubblico internazionale, con ricorso, in
mancanza di altri criteri di collegamento, alla legge italiana, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art.
16, comma 2.
5.2 La Corte di merito ha inteso condividere, richiamandoli espressamente e facendoli propri, gli
argomenti già offerti dal Tribunale, secondo cui la congerie istruttoria disponibile, nella sua
complessità, offriva un “contraddittorio contesto” in merito al momento di scoperta dell’adulterio
(intesa come acquisizione della certa conoscenza di un fatto rilevante a tal fine).
Simili considerazioni prestano tuttavia il fianco alle contestazioni del ricorrente – da ricondursi
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in tema di errata applicazione della disciplina che, a mente dell’art.
244 c.c. regola la dimostrazione della tempestività dell’azione di disconoscimento della paternità.
La fattispecie in esame riguarda il caso di un minore nato (il 29 maggio 2007) a distanza di poco più
di due mesi dalla celebrazione del matrimonio (risalente all’8 marzo 2007) e quindi concepito in un
periodo in cui la madre non era tenuta al rispetto dei doveri coniugali previsti dall’art. 143 c.c.
Circostanza, questa, che non influisce sull’onere di dimostrare la tempestività dell’azione di
disconoscimento della paternità gravante sull’attore (Cass. 13436/2016), dato che tale onere non
assume una consistenza diversa per il figlio soltanto nato ma non concepito durante il matrimonio
(“reputato legittimo” secondo la terminologia utilizzata dall’abrogato art. 233 c.c.).
Anche in questo caso infatti la scoperta del concepimento ad opera di un soggetto diverso da chi poi
ha contratto matrimonio con la donna che già si trovava in stato di gravidanza – alla quale si collega
il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. – va intesa come acquisizione
certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile, perciò, a mera
infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro
uomo – rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale,
idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere (si vedano in questo
senso Cass. 3263/2018, Cass. 14556/2014, Cass. 6477/2003).
Il legislatore delegato, con l’introduzione del nuovo testo dell’art. 244 c.c. ad opera del D.Lgs. n.
154 del 2013, art. 18 ha conservato l’indicazione della scoperta dell’adulterio (o del concepimento
ad opera di altri nel caso di figlio nato ma non concepito durante il matrimonio) come dies a quo per
la decorrenza del termine di esperibilità dell’azione, con una scelta che si riverbera sulla disciplina
della prova, nel senso che l’attore deve assolvere l’onere a cui è tenuto fornendo la dimostrazione del
momento in cui ha conosciuto, in termini di certezza, l’esistenza di una condotta della moglie idonea
al concepimento per opera di altri.
In questa materia il profilo della tempestività dell’azione rimane dunque regolato dal principio
secondo cui la scoperta dell’adulterio deve essere intesa come acquisizione certa della conoscenza di
un fatto idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, mentre non
assumono rilievo nè il sospetto dell’esistenza di una vera e propria relazione, nè la dimostrazione di
una condotta che tale capacità non abbia.
Un simile principio assume portata generale, di modo che ad esso devono ispirarsi sia l’attore,
nell’assolvere l’onere che su di lui grava di comprovare la tempestività dell’iniziativa processuale
assunta, sia le altre parti processuali, nel caso in cui intendano effettuare allegazioni difformi dagli
assunti avversari al fine di retrodatare l’epoca indicata dall’attore, sia, di conseguenza, il giudicante
nel vagliare i risultati dell’istruttoria espletata.
Più precisamente il convenuto, nel caso in cui abbia intenzione di confutare la concludenza delle
circostanze addotte e dimostrate dall’attore adducendo una pregressa conoscenza di un fatto
rilevante, dovrà provare che la consapevolezza della condotta idonea a determinare il concepimento,
in termini altrettanto certi, risaliva ad epoca precedente.
In altri termini il convenuto, qualora si proponga non di criticare la pregnanza della prova offerta
dall’attore, ma di addurre l’anteriorità della condizione di consapevolezza, deve contrapporre
all’attestazione di una condizione di certezza la dimostrazione di una identica situazione di certezza
in epoca anteriore e non può limitarsi a prospettare il mero sospetto di una precedente conoscenza di
una relazione idonea a determinare il concepimento o a dimostrare una mera frequentazione che non
abbia una simile idoneità.
Allo stesso modo, a fronte di contrastanti allegazioni delle parti in merito al momento a cui debba
essere fatta risalire la scoperta certa dell’adulterio, il giudice dovrà in primo luogo valutare se
l’attore abbia adeguatamente assolto l’onere a cui era tenuto secondo il canone di certezza sopra
richiamato.
Se poi taluna delle altre parti coinvolte nel processo abbia allegato e inteso provare che tale
frangente debba essere retrodatato in ragione della conoscenza avuta dal presunto padre in epoca
anteriore, il giudicante, nel vagliare la congerie istruttoria, dovrà acclarare la fondatezza di simili
assunti in coerenza con il medesimo parametro, astenendosi da ogni valutazione che comporti la
prevalenza del sospetto sulla certezza o valorizzi frequentazioni prive dell’idoneità a determinare il
concepimento.
Risulta quindi erroneo il governo della congerie istruttoria compiuto dalla Corte di merito, la quale,
piuttosto che compiere (a pag. 6) un esame promiscuo delle complessive allegazioni ed al fine di
non far prevalere il sospetto sulla certezza, doveva individuare quali risultati in termini di
acquisizione certa della conoscenza di una relazione idonea al concepimento potevano considerarsi
raggiunti rispetto alle differenti allegazioni in fatto delle parti, stabilendo, innanzitutto, se l’onere
della prova della tempestività dell’azione fosse stato assolto congruamente da parte attrice e se una
simile dimostrazione, ove offerta, rimanesse poi minata dalla prova, in termini altrettanto certi, del
raggiungimento della condizione in discorso in epoca antecedente.
Allo stesso modo contrasta con i principi sopra illustrati la valorizzazione (a pag. 7) di
“frequentazioni della futura moglie con altri uomini”, poichè – come detto più sopra – il giudicante,
ai fini dell’individuazione del momento di scoperta dell’adulterio, può apprezzare la conoscenza
certa di relazioni idonee a determinare un concepimento ma non di frequentazioni che non abbiano
simili caratteristiche.
Pertanto la datazione della scoperta dell’adulterio, il cui onere probatorio grava su chi abbia
introdotto l’azione di disconoscimento della paternità, e la retrodatazione di tale data eventualmente
allegata dai convenuti soggiacciono, entrambe, alla regola secondo cui vale a tal fine l’acquisizione
certa della conoscenza (e non del mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria
relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che
si vuole disconoscere – fatto non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione
sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo -.
Ne discende che il sospetto inidoneo a fondare la retrodatazione allegata dai convenuti non può
inficiare la prova certa della datazione offerta dall’attore.
6. Rimane assorbito il terzo motivo (con cui il ricorrente, sotto la rubrica “vizio di omessa
motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento alla mancata sanzione processuale
dell’immotivato rifiuto della convenuta S.D. di sottoporre il figlio T.M. al test del D.N.A. sia prima
sia durante il giudizio”, lamenta che la Corte distrettuale non abbia dato corso alla C.T.U. nè abbia
tratto argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. ed al fine di accogliere la domanda attorea, dal
rifiuto sistematico e ingiustificato della convenuta di sottoporre il figlio al test del D.N.A.), giacchè
la prova della non paternità, seppur evincibile ex art. 116 c.p.c., comma 2, dal rifiuto di sottoporsi
ad indagini ematologiche (Cass. 6025/2015), viene in rilievo, sotto un profilo logico-giuridico, solo
allorquando l’attore abbia dato compiuta dimostrazione della tempestività della sua iniziativa
processuale ed al fine di accertare la fondatezza nel merito della stessa.
7. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la
quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di
provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano in
diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi
a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020