Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali.

Cass. civ. Sez. I, Ord., 2 ottobre 2020, n. 21139
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 858/2016 proposto da:
B.A., elett.te domiciliato presso l’avvocato Magnabosco Gianfranco, dal quale è rappres. e difeso,
con procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
L.C., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, elett.te domic. presso l’avvocato Zaupa Fiorello, dal
quale è rappres. e difesa, con procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2651/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il
24/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2020 dal Cons. Dott.
CAIAZZO ROSARIO.
Svolgimento del processo
che:
Con sentenza del 22.11.12 il Tribunale di Vicenza pronunciò la separazione personale dei coniugi
B.A. e L.C., rigettando le reciproche istanze di addebito e di assegnazione della casa coniugale,
nonchè l’istanza del B. di contributo di mantenimento a carico della moglie e quella della L. di
risarcimento dei danni, osservando che: il matrimonio da tempo versava in una situazione di crisi
irreversibile dovuta all’abuso di alcool da parte del ricorrente e ad episodi di aggressione e violenza;
entrambi i coniugi godevano di un proprio reddito.
Con sentenza del 24.11.14, la Corte d’appello di Venezia rigettò l’impugnazione del B. –
condannandolo al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio – rilevando che: i coniugi
versavano sostanzialmente nella medesima condizione economica, tenuto conto del reddito
percepito dalla L., della comproprietà della casa coniugale e della proprietà di un’autovettura in
capo all’appellante e dell’abitazione in cui lo stesso appellante aveva dichiarato di vivere con la
figlia; di conseguenza, non sussisteva la variazione del tenore di vita di cui i coniugi in convivenza
godevano.
B.A. ricorre in cassazione con tre motivi.
Resiste L. con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
che:
Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto la
Corte d’appello ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali anche del primo
grado, a differenza del Tribunale che le aveva compensate, pur in mancanza del ricorso incidentale
della controparte la quale aveva richiesto la conferma integrale della sentenza di primo grado.
Pertanto, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia pronunciato ultra petita sulla questione
della liquidazione delle spese.
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 115 e 116 c.p.c.,
avendo la Corte d’appello condannato il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali, lamentando
che: la sentenza era stata emessa anche sulla base della documentazione prodotta nel grado
d’appello dalla controparte, senza che fosse stato richiesto alla convenuta l’esibizione delle ultime
dichiarazioni dei redditi degli anni 2012 e 2013 – oggetto peraltro di istanza ex art. 210 c.p.c.; di non
aver potuto difendersi in seguito alla costituzione della convenuta in vista dell’udienza dell’1.10.14,
non avendo potuto prendere visione della documentazione prodotta il 19.9.14; la decisione era
basata su dati reddituali non aggiornati, non rappresentativi della situazione economica attuale dei
coniugi.
Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 13 c.p.c. comma 4, n. 1,
D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in quanto il giudice di secondo grado ha liquidato le spese del grado
d’appello in violazione dei criteri stabiliti dal suddetto art. 13 circa il valore della causa relativa alle
prestazioni alimentari, criteri da ritenere applicabili per analogia anche ai giudizi relativi al
mantenimento dei coniugi, come nella fattispecie. Al riguardo, la Corte di merito ha liquidato per
spese la somma di Euro 9515,00, somma superiore anche al massimo liquidabile in applicazione dei
criteri dettati dal predetto art. 4 del D.M., pur non presentando la causa un grado di complessità tale
da giustificare un aumento dei compensi medi.
Il primo motivo è fondato. Inverto, secondo il consolidato principio affermato da questa Corte – cui
il collegio intende dare continuità – in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di
procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della
pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata,
in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della
lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal
giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto
di specifico motivo d’impugnazione (Cass., n. 27606/19; n. 58/04).
Nel caso concreto, il giudice d’appello, rigettando l’appello del B., lo ha condannato alla refusione
delle spese di entrambi i gradi, pur in mancanza di un motivo d’impugnazione relativo al capo della
sentenza del tribunale sulla compensazione delle spese, in quanto l’appellata non aveva proposto
ricorso incidentale, chiedendo la mera conferma della sentenza impugnata.
Il secondo motivo è infondato. Il ricorrente, il quale si duole anzitutto della violazione del diritto di
difesa (per non aver potuto replicare ai documenti prodotti dalla convenuta dopo la sua costituzione
in appello), non ha allegato quale sarebbe stata la norma processuale violata e il concreto
pregiudizio subito, atteso che l’udienza in appello risulta svolta nel pieno rispetto del
contraddittorio.
Parimenti infondata è la doglianza riguardo alla asserita violazione delle norme processuali
sull’esame delle prove. Invero, la Corte d’appello ha deciso valutando i documenti prodotti dalle
parti, esaminando, in particolare, le dichiarazioni dei redditi delle parti e le varie proprietà del
ricorrente, il quale invece lamenta genericamente l’omesso deposito delle dichiarazioni dell’exconiuge
degli anni 2012 e 2013, senza dedurre specifiche questioni la cui valutazione sarebbe stata
omessa dalla Corte territoriale.
Il terzo motivo è infondato in quanto la causa di separazione coniugale, caratterizzata da un pluralità
di domande (addebito, mantenimento) risulta di valore indeterminabile, come implicitamente
ritenuto dal giudice d’appello; pertanto, non appare corretto invocare l’art. 13 c.p.c. che riguarda le
prestazioni alimentari (quantunque s’intenda estendere per analogia la norma anche all’assegno di
mantenimento).
Per quanto esposto, accolto il primo motivo, la sentenza impugnata va cassata; la causa può essere
decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2,
con una pronuncia di elisione della condanna al pagamento delle spese del primo grado del giudizio,
contenuta nella sentenza emessa dalla Corte d’appello, confermando la compensazione delle spese
in primo grado.
Ricorrono i presupposti per compensare le spese del grado di legittimità, in considerazione del fatto
che l’accoglimento del ricorso riguarda una parte del capo della sentenza impugnata, limitatamente
alle condanna delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in parte qua e,
decidendo nel merito, espunge la condanna al pagamento delle spese del secondo grado,
confermando la compensazione delle spese del primo grado di giudizio.
Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli
altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020