Forma scritta dell’accordo tra avvocato e cliente sull’entità del compenso professionale ex art. 2233 c.c

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Verona Sezione III Civile Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 6355/2017 R.G. promossa da: ITALY – SOCIETA’ PER AZIONI (C.F. rappresentata e difesa dall’avv. del foro di con indirizzo di p,e.c riportato in atto di citazione;
ATTRICE-OPPONENTE
contro
(C.F. rappresentato e difeso dall’avv. ANNA del foro di Verona con indirizzo di p.e.c. riportato in comparsa di costituzione e risposta;
CONVENUTO-OPPOSTO CONCLUSIONI PARTE ATTRICE
Come da atto di citazione PARTE CONVENUTA Come da comparsa di costituzione e risposta e da memoria ex art. 183 VI comma n. 2. C.p.c. Firmato Da: VACCARI MASSIMO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Italy S.p.A. ha proposto opposizione davanti a questo Tribunale avverso il decreto del 3 maggio 2017 con il quale il G.D. di tale ufficio giudiziario le aveva ingiunto di pagare, a favore dell’avv. a titolo di compenso per l’assistenza che questi aveva reso in favore della attrice in quindici controversie giudiziali, la somma di € 108.679,61 oltre a CPA ed IVA sull’imponibile, e spese della fase monitoria, liquidate in € 2.455,25 per compenso e rimborso forfettario, ed € 406,50 per spese, più CPA ed IVA. A sostegno della domanda di revoca, annullamento o declaratoria di inefficacia del decreto opposto, che si fonda su quindici parcelle opinate dal competente del consiglio dell’ordine, l’attrice ha dedotto i seguenti motivi: – l’importo ingiunto era di molto superiore a quello che era stato concordato tra le parti; – il parere di congruità dell’ordine era stato emesso sul presupposto che le parti non avessero concordato il compenso e che la richiesta delle somme indicate nei progetti di parcella non fosse stata contestata da essa opponente; – il decreto ingiuntivo era stato emesso, per le pratiche principali, per importi superiori rispetto a quelli liquidati dal CdO; – il decreto riguardava anche il compenso per l’assistenza in una controversia patrocinata esclusivamente da un altro avvocato e nella quale l’avv. non era in delega, potendo, tutt’al più, l’attività di raccordo con il predetta professionista da lui svolta, rientrare nell’ambito dell’autonomo incarico continuativo di consulenza legale che avevano concluso le parti; – nella quantificazione della somma ingiunta non si era tenuto conto dei danni che il convenuto aveva arrecato all’attrice abbandonando la sua difensa in alcune cause prima che essa avesse proceduto a sostituirlo; – l’attività svolta, contrariamente a quanto esposto nelle richieste di opinamento, non era stata di straordinaria importanza perchè era consistita per lo più in opposizioni a decreto ingiuntivo in relazione a forniture di materiali mancanti o difettosi. Il convenuto si è costituito in giudizio contestando la fondatezza sia di fatto che di diritto degli assunti avversari con diffuse deduzioni in punto. Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti la domanda attorea è manifestamente infondata e va pertanto rigettata. I primi due motivi di opposizione si fondano sull’assunto, contestato dal convenuto, secondo cui dalla lettera dell’11.02.2015 inviata da questi alla attrice, a mezzo raccomandata a.r., e prodotta nella fase monitoria (doc. 17), si evincerebbe l’esistenza di un accordo tra le parti sulla quantificazione del compenso spettante al convenuto per le attività di assistenza giudiziale per cui è causa. Orbene, tale argomento, che era stato inizialmente condiviso da questo giudice che, in virtù della adesione ad esso, aveva accolto solo parzialmente l’istanza di concessione della p.e. del decreto opposto, melius re perpensa va disatteso. Al fine di valutare tale profilo infatti occorre tener presente il disposto dell’art. 2233, ultimo comma, c.c. che richiede il requisito della forma scritta ad susbtantiam per l’accordo tra avvocato e cliente sull’entità del compenso professionale e che nel caso di specie non risulta che le parti abbiano concluso un accordo in tale forma. Infatti nella predetta missiva l’opposto aveva riepilogato tutte le cause che, fino a quel momento, aveva seguito per conto dell’attrice e quantificato i compensi che gli erano dovuti per tali attività e, per un elenco di incarichi identificato con la lettera C, aveva precisato che si trattava di posizioni relative a contenziosi per le quali alla data del 4 dicembre 2013, giorno in cui si era tenuto un incontro presso il suo studio, erano “stati concordati i relativi importi dovuti”. Anche a voler attribuire a tale dichiarazione valenza di confessione stragiudiziale del convenuto essa non sarebbe idonea ad integrare il predetto requisito formale atteso che, secondo il consolidato orientamento della Cassazione: “Quando, per l’esistenza di un determinato contratto, la legge richieda, a pena di nullità, la forma scritta, alla mancata produzione in giudizio del relativo documento non può supplire il deposito di una scrittura contenente la confessione della controparte in ordine alla pregressa stipulazione del contratto “de quo”, nemmeno se da essa risulti che quella stipulazione fu fatta per iscritto” (ex plurimis Cass. sez. II, 21/02/2017, n.4431). Tale principio peraltro non è esattamente attinente al caso di specie atteso che la dichiarazione in esame fa riferimento alla conclusione di un accordo orale e non scritto sul compenso. D’altro canto l’attrice non ha nemmeno dimostrato di aver riscontrato per iscritto la predetta missiva, prima che l’avv. rinunciasse al mandato, cosicchè va esclusa anche l’ipotesi che l’accordo si fosse concluso con le modalità di cui all’art. 1326 c.c. A tali considerazioni consegue che, in difetto di un valido accordo, i compensi spettanti al convenuto vanno determinati sulla base della tariffa o dei parametri vigenti al momento della conclusione dei singoli incarichi. Quanto al rilievo circa la non corrispondenza tra gli importi liquidati dal CdO e gli importi ingiunti esso è fuorviante e pretestuoso poiché, come ha esaurientemente chiarito il convenuto (pagg. 15 e 16 della comparsa), i primi, come è prassi per le istanza di opinamento, erano tutti al netto di rimborso forfetario, spese e accessori non comprendevano, per alcune attività, esauritesi nella vigenza del d.m. 127/2004, i diritti. Anche la contestazione di non spettanza del compenso per l’assistenza prestata dall’avv. nella causa patrocinata da altro legale nei confronti del Ministero della Repubblica Slovacca va disattesa atteso che è pacifico, oltre che documentalmente provato, che tali prestazioni sono state rese ed esse erano funzionali ad assicurare il raccordo tra la cliente e quel professionista straniero. Quanto poi all’eccezione di inadempimento svolta dall’attrice in relazione a due incarichi, relativi alla assistenza in due distinti giudizi di appello, essa è stata drasticamente smentita dal convenuto che ha prodotto ampia documentazione comprovante, nell’ordine, che: – egli aveva preavvertito con congruo anticipo il cliente della sua decisione di rinunciare ai mandati conferitigli a causa del mancato pagamento delle sue competenze (cfr. lettera prodotta sub 18 nella fase monitoria) e già tale risultanza è sufficiente ad evidenziare la pretestuosità della eccezione; – aveva consegnato all’attrice i fascicoli di studio – aveva permesso al difensore subentrante di costituirsi nei due giudizi e di partecipare alle udienze di precisazioni delle conclusioni assicurando così continuità nella assistenza difensiva. Generico e non pertinente risulta infine il rilievo di eccessività della somme richieste rispetto all’attività svolta, che, a ben vedere, non è stata contestata dall’attrice e che comunque stata ampiamente comprovata dalla produzione di copiosa documentazione, costituita dai fascicoli di studio contenenti gli atti redatti in adempimento degli incarichi e la corrispondenza e-mail e postale riferita alle singole vertenze (doc. da 30 a 44 di parte opposta). Da tali risultanze si evince che, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, l’avv. ha svolto attività davanti ad organi giurisdizionali nazionali civili, penali ed amministrativi, ed anche in gradi di giudizio diversi, nonché davanti ad autorità giudiziarie straniere e per l’adempimento di questi ultimi incarichi ha dovuto esaminare gli atti e documenti avversari, anche in lingua straniera, e le relative traduzioni, impartire istruzioni a domiciliatari stranieri e conferire con loro per telefono. Gli importi liquidati dall’ordine risultano quindi adeguati a tale tipologia di attività e congrui. Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico dell’attrice in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base dei valori medi di liquidazione previsti dal d.m. 55/2014 per le quattro fasi in cui si è articolato il giudizio. La somma così risultante di euro 13.430,00 va aumentata del 30 %, ai sensi dell’art. 4, comma 8, d.m. 55/2014, data manifesta infondatezza delle difese di parte attrice e la speculare manifesta fondatezza di quelle del convenuto. Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso al convenuto spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta la domande dell’attrice e per l’effetto la condanna a rifondere al convenuto le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 17.906,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Verona 5/12/2019